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Full text of "L'Adone, poema del cavalier Marino con gli Argomenti del conte Fortuniano Sanvitale, e l'Allegorie di don Lorenzo Scoto. Aggiontovi la tavola delle cose notabili, con le Lettere del medesimo cavaliere. Volume primo secondo"

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NAZIONALE 


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L A D O N E, 


PO  E 


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D E £J 

CAVA  UER  marino 

Con  gli  Argomenti  del  Conte 

FORT VNI ano  SANVITALE, 

E J’A'llègoric  di 

f>on  lorbnzo  scoto. 

^igtontovi  la  TA’vota  deÙ€  Cofe  ì^ot abili , Con 
le  Lettere  del  tnedefimo  Cavaliere^. 

VOLUME  SECONDO- 


m AlvlSTERD^®* 


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M. 


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LA  PRIGIONE 

CANTO  DECIMOITERZO. 


i «unrcn«| 

ci  fa  fcorgcrc  eifccti  della  Su- 
perbia quando  per  cilcr  dilprcz- 

zaca  entra  in  furorc»&  la  vita 

1 j— ,1  » oua 


^^^aLSSts^fSi  *aca  entra  in  furore  ; & la  vita 
tribulatadcl  peccatore , quando 
^dorinentaco  nel  vitio.  Se  impigrito  nella  con- 
luctudine  , fi  lafcia  legare  dalle  catene  delle  pe. 


vitio.  Se  impigi^ncr  con 
luctudine  , fi  lafcla  legare  dalle  catene  delle  pe 
ticoloCc  tcntatione  11  cangiarli  in  uccello  è 
mi/lcro  della  legecrezra  giovanile , che  vaneg. 
‘^^aodononhd  ntTuoi  amoroli  penficn  giamai 

?r ITI /•fji 


ua  leggerezza  giovani!»^ 

»hà  nt-fuoi  aSorofipcnficr.  g.ama, 
La  Fontana. 

il  oi  ìt t ^fCe^rc  , allude  alla  di- 


■pi  ritorna  al  Caop^ìmoeffèrc  . allude  alia  di- 


delHnato  ^rne.  L u-  I 

minificrlo  delle  Adone  . cerca  I 

- ^®vcrc  l’bavcr  fottopo- 

•cjdcr/o.  Et  l’altro  dop  pj-ocuraintut- 

;^uomoa/la  Tua  tiranni^  che  Mcrcu-  ‘ 

^w^Tiorce  .^iranim^-  :^n*aJocon- i 


mr 

ri 


4 


llchc inficile.  Le  noced’oro,  ch’aperta  fommini- 
ftra  altrui  lautiffime  mcnfe)  oltre  relTer  (imbolo 
della  perfetdoue,  & della  bontà,  vuol  fignificare 
che  l’oro  (i  fa  abondanza  Inc^ual  (i  voglia  luogo 
ancor  che  fterile , & che  al  ricco  non  manca  di 
vivere  morbidamente  nelle  penurie  maggiore 
L’interelTc  con  rorecchieafinili , che  non  gode 
della  dolcezza deìl’armonia,  anzi  l’abhorre,cÌ 
jrapprcfenca  l’ Avaritia , & l’Ignoranza , che  non 
fi  curano  di  Poelie , nc  fi  compiacciono  di  Mufi- 
che.  La  trasformationc  della  ¥ata&  Tue  don- 
zelle in  bifee  adombra  l’abominevole  conditio- 
ne  delle  bellezze  terrene,  & delle  dllitie  tempo- 
rali, le'quali  paiono  altrui  in  vlfta  belle,  malon 
piene  eli  difformità,  & di  veleno. 


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A1.GO* 


I w-  -•  • 


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^ '°K^c  delT*  * 

CicI  sforzar  glM3ei» 

«corregge. 


cflcr 


E’taìpnm  > auubtuclirc  a i aceti 

alcnto,  o timor  qixalcHegli  movo- 
Tantoprea&rprodigiofo  cnoveì 

’■  “'f' quante  volte  de  Iciiervi  rote, 

iwrtlfr^,^  ? ^ poli, 

im.moce 
n'koli? 


i^ijqi 

-,  J v*^  x«_ 

^ficfivol^onslracto  inco  imo 
Veduto  ha  con  ftupor  rcftarfì  i 

Giove  l*im  iTì^n  f5“  ^ fVi-i  i n *-  ^ I 


««* ^vjnxtupor  rcitciiri 
Giove  rimmenfe  e rmiftì rate  nioii? 
Quante  vid’egli  a le  malvage  note 
Illune  in  Cicl  moltipllcr arii,  e i Soli? 

Cx • A ^ t ♦ 1 _ - - 


4 


LA  PRIGIONE, 


4 . Turbafi  al  fuon  de’murmurati  accenti 
L’ordine  de  le  cofc,  c fi  confonde. 

Nettun  lenza  procelle,  c lenza  venti 
Gonfio,  i lidi  del  Ciel  batte  con  Tonde. 

, Poi  quando  più  del  mar  fremon  gli  armenti 
Ritira  il  piè  da  le  vicine  Iponde  j 
£ ricurvando  in  sii  Th  umide  fronti 
T ©rnan  per  l’erta  i fiumi  a i patrii  fomL 

5.  Ogni  fera  più  fera,  e più  rabbiofa 
La  (uà  rabbia  addolcilce  e dil'acerba. 

Non  è Leone  altier,  Tigre  orgogliofa  , 

Che  non  deponga  allhor  l’ira  Luperba. 

Vomita  il  Ilei  la  Serpe  velenola, 

E i livii’orbi  luoi  Iteude  per  Therbaj 
E fmembrata  la  Vipera  e divifa 
Vive,  e rintegra  ogni  tua  parte  incilà, 

4.  Ma  com’è  poi,  che  i verfi  habbian  potere  • 

Di  feparare  i più  congiunti  con? 

E’i  commercio  reciproco , e’I  piacere 
Santo  impedir  de’maritali  amori? 

Come  de  l’alme  il  libero  Volere 
Anco  Icaldar  d’involontari  ardori? 

Et  agitar  con  empie  fiamme  infanc 
Di  maligno  furor  le  menti  fiumane  ? 

7.  FALSIRENA  afpettò,  che  piene  haveffe- 
Cinthia  de  Torbe  l'uole  parti feeme  . 

Et  opportuno  alfin  quel,  tempo  elelVe , 

Che  congiunte  havea  già  le  corna  eftremc. 

E veggendo  anco  in  Ciel  le  ftelle  iftelfe 
S^nde  a l’arte  fua  volgerli  iiifieme, 

Nel  loco  ufato  a celebrar  fen  venne 
Dc’facrilegii  Tuoi  Toprafollenne, 

Sorge 


TERZO.  2 

Sorge  nel  più  folto  ,e  più  confufb 
D’unbofcoamicounfolitarlo  altare, 

D’alù  ciprcffi  incoronato  e chiufo 
Ladondeil  Sole  Orientale  appare. 

Aperto  a quella  parte,  ov’hà  per  ufo 
Depor  la  luce,  & attufforfi  in  mare. 

Opaco  horror  l’ingombra,  e lo  nafeonde 
Sotto  perpetue  tenebre  di  fronde. 

5*  Quivi  Idoletti  vari,  e firn  alacri 
L’innamorata  Incantatrice  accoifi;, 

E quivi  a più  color  tré  veli  lacri 

Con  caratteri,  e fegui  intorno^avoilef  ^ 

E poiché  a’membri  fiioi  nove  lavacri 
D’un’acqua  fé,  che  da  tré  fonti  tolfe,’ 

Difcinta,  c fcalxadel  finiftro  piede 
Il  foco,  c l’hoiiia  ad  apprettar  ù diede. 

IO.  Con  la  calla  verbena,  e*lì»a(chioincen(c>’ 

Lt  fiamme  pria  de  l’holocautto  alluma, 

E di  vapor  callginoCb  c denfo 
£ l’ara,  e l’aria  horribilmente  attuma. 

Poi  di  virtute  occulta  al  noftro  fenfo 
Dentro  il  magico  Incendio  arde  c confuraa 
Mille  coU  falce  tronche  herbe  maligne. 

Herbe  a pena  ancor  note  a le  madrigne. 

IL  Dclo.ttrldulo  alloro  afperfe  in  elio 
Le  nere  bacche  innanzi  dì  recife. 

De  la  fico  Selvaggia  il  latte  efpreflb , 

Edc  la  felce  il  leme  ella  vimife, 

E laradicc,x’hà  commune  il  felTo 
De  l’eringc  fpinofa  anco  v’intrife,  < 

E fra  gli  altri  velcn,  che  dentro  v’arfe. 

La  violenta  hippomenc  vi  fpaiTc. 


■ ^ 


Alfe 


LA  PRIGIONE, 

Ji.  Arfe  l’herbe,  e le  piante  ad  una  ad  una , 
Sette  volte  l’altar  circonda  intorno. 

Tré  s inginocchia  ad  adorar  la  Luna, 

Tré  la  contrada,  ove  tramonta  ilgiorng. 

D una  pecora  poi  lanofc,  e bruna 
Conia  manca  tenendo  il  manco  corno. 
Con  ladeftsa  il  coltei  i tra i fochi,  e i fumi 

Trecento  invoca  fconofciuti  Numi. 

15*  E mentre  che  di  Stige,  e Flegetontc  ’ ' 

L’occulte  Deità  per  nome  appella , 

Verfa  di  nero  vino  un  largo  fonte  ^ 
Infra  le  corna  a la  dannata  agnella, 

Non  pria  però,  che  da  la  folca  fronte 
Di  lana  un  hocco  da  fua  man  non  fvella 
E che  noi  glcti  entro  le  brage  ardenti 

Quali  primi  tributi,  e libamenti. 

14.  Pofeiaron  ferro  acuto  apre  le  ferifee 
La  gola  a 1 agna,  e le  trafige  c fvena, 

E del  far^ue , che  fuor  nefeaturifee 
Caldo  e minante,  un’ampia  tazza  ha  piena. 
Con  1 eftremo  del  labro  indi  il  lambifce 
Lievemente  cosi,  che’lguftaapena. 

,Poi  con  oglio,  e con  mele  in  copia  grande 
Ala  madre commune  in  fen  lo  Ipande. 

15.  Una  colomba  ancor  vaga  e lafciva 
Uccife  di  candor  fimile  al  latte, 

E poiché  quante  piume  ellaveftiva 
Tarpate  l’hebbe  a penna  a penna  e tratte , 
Donollein  cibo  a quella  fiamma  viva 
Finche  fur  tutte  in  cenere  disfatte  i 
Ma  prima  le  leg^  ne  l’ala  manca  , 

Con  roflb  fil  la  calamita  bianca.. 


Ciò 


9 


CANTO  DECIMOTERZO. 

lé.  Ciò  fatto , ftrinfc  in  tré  tenaci  no  di 
Una  ciocca  di  cr'm,  eh* IO  non  sò  come 
Dormendo  Adon,  con  Tue  fagaci  frodi 
Glitolfcldonla  datè%ronde  chiome. 

Sputò  tré  volte,  e’n  tré  diverfi  modi 
Difle,  ramante  lao  chiamando  a nome.  i 
Rclli  legato , nè  mai  più  fi  fcioglia  ' 

11  crudo  fprcziator  d’ogiM.  mia  aoglia.,. 

17*  Afcmbianiadilui  di  vertìn  cera  - 
Imaglnpoimìfteriofaamaffa,  • 

E con  un  ftecco  di  mor  tella  nera 
Bcn’aguzzoc pungente  il  cor  le  pafiàu 
E mcnir’appo  l’arlura  atroce  e fiera  r. 

A pocoa  poco  dlftillar  la  ladla 
Dice  volgendo  il  ramofccl  del  mirtp> 
Cosìfocod’Amor  ftrugga  il  fno  {pirco. 

iS.  D'Hippopotanjo  un  core  al  fine  ha  prefb^ 
Ne  la  riva  del  Nil  nato,  e nutrico. 

Che  dela  nova  Luna  ai  raggi  appefb, 
Eralafuafrcdd'ombrainaridita  > 

E di  faville  oltra  cocenti  acc:e£b, 

E di  fpilli  acutiflìmiferito , 

L’agita,  il  move,  il  trahe  come  più  volc. 
Mormorando  tra  fé  quelle  parole.;  • 

19.  Ecco  il  cor  di  colui,  ch*io  cotaàt’arao. 

Ecco  ch’io  ^i  hòCett’aghi  in  mezo  affiffi» 
Ecco  chc’l  tirò  a me  poi  con  qiielfhamo 
Già  fibricato  lòtto  fette  ecclilfi. 

Ecco  fette  carbon  latti  del  ramo. 

Che  già  colfe  mia  madre  entro  gli  Abiffi. 

Dcfti  dal  facro  mantice  v’aggiungo, 

Efcctc  volte  incoino  il  pungo. 

A S IDa' 


J 


IO 


la  prigione, 

IO.  Da’facrlficiabomia^di&  empi 
Cefsò  la  Fata,  e (i  pa^Tti  ciò  detto, 

Perche  contro  colui,  che  duri  feempi 
0<^nor  facea  dea  del  fuo  piagato  petto,. 
Sperava  pur  dopo  raill’altri  eflempi 
Diveder  nova  prova,  e novo  effetto. 

Ma  di  tante  fatiche  al  vento  fpefe 
Alcun  frutto  amorofo  indarno  attefci. 

2 1.  E come.pcr  magie  mai,  nè  per  piantk 
Sperar  poteajìmedio  a sì  gran  male. 

Se  la  Dea  de  gli  amori,  e de  gli  amanti;,. 
Ch’invocava  propitia,  havea  rivale  ? 

Se  colei , c’hà  ne  gli  amorofi  incanti 
Sovrano  impero,  e poteftà  fatale, 

Havea  malconcia  de  le  piaghe  iftelTe, 

In  quel  ch’ella  chiedea tanto  intcfeflc  ^ 

22.  Poiché  con  lungo  ftudio  in  van  compofe; 
Suggelli,  e rombi,  c turbini , e figure, 

Nè  Spp  e mai  con  quefte  & altre  cofe 
Quelle  voglie  efpugnar  rigide  e du;e^, 
Tornoffi  in  voci  am  are  e dolorofe  ' 

Con  Idonia  a lagnar  di  fue  fventuf e: 

Lafla  (diceale)  in  che  mal  punto  il  guardo» 
Volfida  prima  a.que’bei  raggi  ond’ardo- 

2j.,Per  mia  fata!  (crcd’io)  morte  e ruinas 
Vidi  canta  beltà  non  più  veduta. 

Infin  di  quanto  il  Giel  quaggiù  deftina 
Difficilmente  il  gran  tenor  u muta. 

Chi  può  per  molte  feoffe  in  balzaalpina^ 
Benrobufta  piegar  quercia  barbuta? 

Quercia, eh’ Auftro  prendcdo.e  Borea  e fcher- 
1 occa  col  capo  ifCiel)  col  piè  l’in&rno?  [no* 

Amo 


XI 


* V/  Nrf  I.  JtT*.  ^ ^ JCV. 

M*  Amoftatuadinevc,  anxi  di  pìccra. 

Pertinace  rigor,  fermo  defio. 

Egli  gela  a le  fiamme,  a i pianti  impetra. 

Nè  di  voglia  cangiar  mi  voglio  anch*io» 

Io  non  mi  pento,  ei  non  però  fi.  fpe  tra  , 
Guerrcggial’odiofuo  con  l* amor  mio. 

L’uno  in  elVer  nemico  , e T altra-am  ante 
Nonsò  chi  di  noi  duo  fia  più  cofiante. 

*5*  Veggio  moverfil  monti  anco  a’miei  verfi,« 
Non  ammoUirfi  un’animato  Tafio. 

Tallhor  de’finmi  indietro  il  piè  converfi» 
Fermar  nonsò  d’ un  fuggitivo  il  palio. 

I moftri  humilia-i  fieri  c p erverfi. 

Nè  d’un’akier  Garxon  1* animo  abbafl  o- 
Da  me  l’Inferno  ifteflb  e vinto  e domo, 
Nèfonpofféncca  fogglogarc  ùn’huomoi 

*6.  Scitfino  in  onda,  e fiabrico  in  arena, 

Pcrfuado  lo  fcoglio,  c prego  il  vento. 

A l’afpc  Egittio,  & a la  Tigre  Armena 
Scopro  la  piaga  mia,  narra  il  tormento* 

Idol  crudel,  di  cui  mi  lice  a pena 
Sol  la  vifta  goder,  di  placar  tento* 

Se  far  potcfl'e  a qucfta  alcun  riparo, 
iorfe  di  quefia  ancor  miforaavaroi 

xy.  Pregando,  amando  , lagrirnandb  (ahi  folle) 
Ottener  l’impolfibilc  credei. 

Far  una  felce  impenctrabil’mollc  ^ 

Più  tolto  che  quel  core,  io  fpererci. 

Quanto  più  foco  in  me  vede  chebollci 
Tanto  fchcrnifee  più  gli  aÉfiinni  mici. 

E pur  volta  ad  amar  bellezze  ingrate. 

Di  chi  mifàr'dolcr  prendo  pictats. 

A 6 Nè 


O 


Dsgltizcxi  : 


1.A  PRIGIONE» 

pi  correr  dietro  a chcs’iru^amota>. 

°^*'?»orFoa^hcn;tócUfc« 

Sebene  il  che  l’addolora,  i 

r *-:Tuv  rToSnl ' 

Premio  de  ° haverne  tolto, 

Serva  lon  di  colai,  cue 

*1  ^4’animave  dicorc 


5.  o beata  colei,  che’l 

pelici  qae  begli  PJ[.intender  vaga 

gs.:rvM»>,É“'E 

Sii;asrX«“ 

poiché  giovan  ri  poco  ? 

Malie  tenaci,  ò magici  1^0  -i 


crudo 


•iT 


Ma  tu  che  badh  & a cui  meglio  lice 

^pUr  d'ua«lfec.«oU 

Ponili  ben  tu  de’ fatti  efploratr  ice 
Sforzar  oUabifli  aconfeflartul  vero, 

Ke?Uoctafeinel’artiafcofe,. 

li  laicojcanto  del’  ofcuie  cole*. 


:o.. 


CANTO  DECIMOT  ERZO.  f} 

ji,  Qmtacc,&cUaai\ior  vche  poffiede 
Quante  hàTheffalia  incognite  dottrine»  ^ 
Noneiàdl  odo itripodi  richiede , 

Non  di  odfo  ricorre  a le  cortine  , 

Non  di  odonaaifacriborchl  il  piede-’ 
Volger  per fu.ppKjcar  querce  indovine, 

Non  a qualunque  Oracolo  facondo- 
Habbia  più  chiaro,  e più  (amofo-rl'  mondo» 

jj.  Nonil  moto , e’I  color  cura  de  gliefti 
Ncl’hoftieinvcftigar  dc’facrifici. 

Ne  de  gliaugeile  cal  giocondi,  ò n'cftì 
Seeonooil  ▼olo,Ìmerptctar  gli  aufplci> 

Nè  deliri , ò manchi  i mltni  ni  cel elH 
0(Terva,ò  fieno  infaulli,  ò fien  felici. 

Nè  fpccolando  và  le  ftelle,  e i Cieli  t 
Mà  più  tacite  cofe,  e più  crudelk  • • • ^ 

Noct»cra,  allhor  dal  diurno  moro 
Hà  requieogni  penfier,  treguaogni  duofo-^ 
L’onde  gi'acean^  tacean  Zenro,  e Noto, 

E cedeva  il  quadrante  a rhorivolo  , * 

Sopra  l'huom  la  fatica,  il  pefee  il  nuoto». 
Laleraiicorfo,e  l’augéllcttoìlvoloi 
Appettando  il  tornar  del  novolumc 
O tra  Taighe,  ò trà’rami,  ò sù  le  piume»  - 

5j.  Qaand’cllaprelc  à proferir  poffenti  ' , 
Con  lungo  mormorio  carmi,  c parolcj' 

E bifbigìiando  i Tuoi  profani  accenti. 

Atti  a fermar  nel  maggior  corfo  itSolie  ^ 

Il  corpo-s’impinguò-  di  quegli  unguenti», 
Onde  volar  qual  Plpiftrello  mole, 

E per  la  cui  virtù  fpelTo  s’è  fatta 
Cagna»  Lupa,  Leooza,  Istrice,  c Gatta* 


^0*aE20*0E3Di0£ 


^ LA  PRIGIONE,  ' 

56.  Sovra  un  Montonvlè  plùche  Corvo  ncrOy 
Che  la  lanate  la  barba  hà  folta,  e lunga. 
Monta,  & acconciò  ad  ufo  di  dcftriero. 

Vuol  cbe’n  brev’hora  aBabilonia giunga  * 
Quel  più  ch’alato  folgore  leggiero 
Per  l’aria  va,  fenza  che  fprone  il  punga. 

Ella  a le  corna  attienfi,  e non  le  lafla. 

Cavalca  i nembi,  c i turbini  trapalTa. 

J7.  Nata  tra  quel  Soldano  era  pur  dianzir 
£’l  Rè  d’AiCria  afpra  difeordia  e dura, 

£ venuti  a giornata  il  giorno  innanzi. 

Colma  di  morti  havean  la  gran  pianura^ 
Giace  an  de’buftl  non  curaci  avanzi 
Sparfi  foflbvra  in  horrida  miftura, 

£ gonfio  con  le  corna  infanguinate 
A favarfinel'  mar  correa  l’£ufi:ate. 

Le  campagne  d’intorno,  e le  forclle 
Son  di  tronchi  infepolti  ingombre  e piene,; 
Veggionfi  tutte  in  quelle  parti  e’n  quelle. 
Porporeggiar  le  fpatiofe arene, 

Parte  d’elea  crudel  menfe  fun^c 
A Lupiingordi,  & altre  Fere  ofeene, 

Ch’a  monte  a monte  accumulate  in  tcrca^ 

Le  reliquie  a rapir  van  de  la  guerra. 

Ma  dàla  Maga,  chedalCieldifcend’b, 

Son  le  delitie  lor  turbate  e rotte. 

Onde  lafciate  le  vivande  horrende, 

Puggon  digiune, ^e  umide  a le  grotte. 

Elia  di  fofche  nubi,  e fofche  bende. 

Che  raddoppiano  tenebre  a la  notee^ 

Avolta  il  capo,  inviluppata  i crini, 

iDi  quclt{;àgico  pian  Icorre  ì confioi. 


I 


I 


CANTO  DECIMOTEKZO.  q*. 

A°‘ di  iàngue  faumidi  e tinti' 
V^cne  col  favor  de  l’ombra  cheta,  * 

E la  confiifion  di  tanti  cflinci 
Volge  e rivolgc'tacita  e fccretaj 
Ementredc’ cadaveri indiftinci,  - ,, 

A cui  l’^nor  del  cumulo  fi  vieta o v 
Calcando  và  le  fanguinole  membra^ 

Ofeura  cofa,  c formidabìirembra. 

_ 41*  Non  ffòfc’n  viltà  si- tremenda  creai 
lane  la  notte  più  "profonda  c mura 
Per  la  fpiaggia  Coleo  ufeir  Medea’. 
L’herbefacre  à caccor  fu  mai  veduta 
Quand'ella  già  rinovellar  voica 
Del  padre  di  Giafon  l’età  canuta. 

A troppo  forfè  fola  a lei  s’agguaglia 
Qualhpr  d’alcun mortai  lo  ftame  taglia, 

4x.  Scelfe  un  mefohin  di  ijuella  mifchiaUbrZÉi 
Che  padaco  di  frefeo  era  di  vita. 

Intero  il  volto,  incera  ha  vea  ja  ftr ozza , 

Ma  d’uncroncon  nel  petto  ampia  ferita* 

Se  fia  guaito  il  polmon,  fc  rotta  ò mozza- 
Sia  l’alpra  arteriai  ond’hàJa  voce  ufiica^* 
Prendendo  a perferutar , trova  la  Maga, . 

G’hor  le  vifccrc  intactci  efenzapiaga.^ 

Pende  il  fato  dà  lei  dimoiti  uccifi. 

CUe  de  l’alta  Sentenza  indubbio  ftannoì, 

E qual  di  tanti  dal  mortai  divili 
Voglia  a.  la  luce  rivocar,  non  làmio.- 
Se  vuol  tutti  annodar  gli  danni  incifii 
Convicn  checeda  l’infernal  Tiranno,. 

Eie  leggi  de  rHereWdiftrutcc, 

fieadaalc  IpogUe  lor.fanimcttttttf* 

Hòir 


'i»  LA  PRIGIONE,  ^ 

44-  Hor  del  mlfero  corpo,  a cui  preferita 
l’ultima  lineaancor  non  era  in  forte. 
Lubrico  intorno  al  collo  un  laccio  gitta' 
E con  groppi  tenaci  il  lega  forte. 

Indi  acciocne  più  lacera  e trafitta 
Refii  la  carne  ancor  dopo  la  morte. 

Fin  dov’entra  nel  monte  un  cupolpeco 
Sù  per  fafli,  e Ipinc  il  tira  feco, 

[4j.  Fendefi  il  monte  in  precipitlo,  e fotta 
Apre  la  cava  rupe  antro  profondo , 
Ch’arriva  a Dite,  e difeofeefo  c rotto 
Vede  i confin  de  l’un’e  l’altro  mondo. 
Quivi  il  mefio  cadavere  è condotto, 

Loco  làcro  per  ufo  al  culto  immondo. 
Nel  cui  grembo  giamai  non  s’introduce 
Se  non  fetta  per  arte,  ombra  di  luce. 


Nei  fen  che  quali  ancor  tepido lanme,. 
Fa  nove  piaghe  allhor  la  man  perverta. 
Per  cui  lavando  il  già  corrotto  fanguc,  • 
Il  vivo,  e’I  caldo  in  vece  fua  vi  verfe. 
Glifparge  ancora  in  ogni  vena  efiangue 
Di  varie  cofe  poi  tempra diverfa , 

Ciò  che  di  moftruofo  unqua  , ò di  criRo- 
Partorifee  Natura,  entro  v’hamiftoi 


'47*  De  la  Luna  la  {puma  ella  vi  melce , 

La  bavaj  quando  in  rabbia  entra  il  maftino*. 
E’I  fiel  vi  mette  del  minuto  pefee , 

Che’l  volo  arreda  dei  fugace  pino. 

Ponvi  l’onda  del  mar  quando  più  defce,  . 
E di  Cariddi  il  vomito  canino , 

E de  runicoaugello  Orientale 

U redivivo  cenere  immortale., 

' ' L’k 


CANTO  DÉCIMOTERZO. 

48.  L’Incorrottìbil  cedro,  e Tamaranto, 
L'immortai  mirra,  e’I  balfamo  v’interoa. 
La  feconda  virtù  del  grano  infranto, 

E de  la  Fera  fertile  diLcrna, 

Del  fegato  di  Titioancor’alcjuanto,  ~ 

Che  fe  medefmo  rinafecndo  eterna, 

E del  feme  del  bombice  v’hà  meflb  ^ 

V erme  poflente  a fufeitar  fc  fteflo, 

A9»  II  ccrebro  de  l’afpido  vi  ftilla, 

E la  raidolladel  non  natoinfàntc, 

E ùel  nido  Aquilino,  onde  rapilla. 

Vi  pon  la  pietra  gravida,  e fonante. 
Haovi  l’occhio  del  Lince,  e la  pupilla 
Del  Bafilìfeo,  e del  Dragon  volante. 

De  l’Hienà  la  Ibina,  e la  membrana 

* De  la  Ceraftà  Wribilc  Africana. 


Jr; 


J n 


50.  Le  polpe  del  Bifeion , che  nel  mar  roflev  ''S'  ' 
Guarda  in  pretìofa  margherita,  m - ■> 
Infra  l’altre  foftanze,  e’nfieme  l’oflb 

Del  Libico  Chelidro  anco  vi  trita. 

La  pcllev’è,  c’hà  la  Cornice  adofio 
Dopo  ben  nove  fecoli  di  vita  5 ^ 

Nè  vi  mancan  le  vifcerc  col  fan^e  ' 

Del  Cervo  atpin,  die  divorato  ha  ranguc, 

51.  Ferri  di  ceppi,  e pezzi  di  capcftri , 

Fili  arrotati  di  rafoi  taglienti, 

Punted’aguzzi  chiodi,  e fangui,  e meftri 
Di  donne  uccife,  c di  fvenate  genti, 
De’fulmini  la  polve,  e de  glialpeftri 
Ghiacci  il  rigore,  e gli  aliti  de’venti,  ' 

E i (udori  del  Sol,  quand’arde  Luglio 

Yi  dUtempra  confeh  in  un  mifeuglio. 


4 


lA  PRIGIONE, 


<1.  V’agglunfc  d’Etna  rhorridc  faville. 

Di  F Icgra  i xolfi,  e di  Cerauno  i fumi. 

Del  gran  Cocito  le  cocenti  ftille. 

Del  pigro  Assito  i fervidi  bitumi , 

E di  mill’altri  ingredienti  e mille 
Abominande  fece,  empi  foxxumi, 

Infamie,  e pelli,  onde  la  Maga  abonda^ 
Incorporò  ne  la  miftura  immonda. 

5 j.  Poiché  tai  cofe  tutte  infieme  accolte 
Ne  le  fibre,  e nel  core  infufe  gli  hebbe, 

E dal  fuo  fputo  infette  altr’herbe  molte 
Yirtuofe  e mirabili  v*^accrcbbe, 

Sovia  il  corpo  incurvofli,  e fette  volte 
Infpirò’l  fiato  a chi  riforger  debbe. 

Al  miracolo  cftremo  alfin  s’accinfc , 

* TE'l proprio  fpirto  adanimarloaftrinfc* 

« rt 

Veftefi  pria  di  tcnebrofe  fpoglie , 

/•Poi prende  ne  la  ma\ì  verga  nefanda , 

Et  a le  chiome,  che’n  sù’l  tergo  accoglici. 
Fa  d’intrecciate  vipere  ghirlanda. 

Viepiù  ch’altra  efficace  indidifeioglie 
La  fiera  voce,  ch*aPluton  comanda, 

E move  a i dettlfuoi,  fommefla  c pian* 
Lingua,  ch’affai  difeorde  e da  1‘humana» 


5;.  Dc’Cani  imitai  queruli  latrati,^  » 

Et  cfprime  de’Lupi  i rauchi  fuoni  ^ 

Ferma  i gemici  horrendi , e gli  ululati 

De  le  Strigi  notturne,  e de’Buboni,  \ 

1 fifehi  de’Scrpenti  infuriati , ^ 

Glifpaventofiftrepiti  de’cuoni. 

De  Tacqi’c  il  pianto,  il  fremier  de  le  fronde, 

Tante  voci  una  voce  in  se  confonde. 

Laer 


CANTO  DECIMOTERZO.  if 

L’aer  puro  cfcren  s’ingombra  e dgae 

A quel  parlar  di  repentina  ecclifle. 

lagrimar  ftille  lànguignc  ~ 
L’alte  luci  del  Ciel  moblLì,  e falle. 

Bendo  fafciadi  nubi  atre  e maligne  > - 

Come  la  terra  pur  la  ricopriflè,  ^ 

E le  vietafte  la  fraterna  villa , ^ 

De  la  candida  Dea  la  faccia  trifta. 

57.  Dop o i preludii  d’un fuflurro  Interno 
Seco  pian  pian  fommormorato  alquanto. 
Cominciando  a picchiar  l’ufcio  d’ A ver  no^ 

In  più  chiaro  tener  diftinfe  il  canto: 

T artarco  Giove,  che  del  foco  eterno 
Reggi  rimpero,  e de retcrno  pianto, 

Al  cui  feettro  foggiacc,  al  cui  diadema 
T utto  il  vulgo  de  l’omlwe,  efer ve,  e tremai 

58.  Perfefone  triforme,  Hccate  ombrofe,  ^ 
Donna  de  l’Orco  pallido,  e profondo. 

Al  più  crudo  fratel  congiunta  in  fpofa 
De  tré  Monarchi  j ond’e  divilb  il  mondo^ 
Notte  gelida,  pigra,  e tenebrola. 

Figlia  del  Chao  confufo  & i nfecondo, 
Huraida madre  del  tranquilla  Dio , 

De  rhorror,del  rdeniìo,  de  Toglio. 

5^  Dive  fetali , c rigorofi  Numi, 

Che  fedete  àfilar  l’humane  vite, 

£ novoilamc  achl  giàchluli  hai  lumi 
Per  di  novo  fpezzar lo, ancora  orditCf 
Cocito,  erutti  voi  perduti  fiumi, 
Voi,ch1rrìgatelacittàdi  Dite. 

Dolenti  cale,  antri  nemici  al  Sole, 

Aprite  il  pafib  a l’altc  mie  parole. 


ORegli 


u LA  PRIGIONE, 

# T 

6o.  O Regi,  c voi  de  le  mal  nate  genti  ''  J 

Conofeitori,  & arbitri  Teveri,  . ^ 

Ch’agiufti,  e del  follir  degni  tormenti  ^ 
Condannate  gli  fpirti  iniqui  e neri.  ^ 

JE  voi  miniftre  a i miTeri  nocenti 
Di  fuppliciì,  di  ftratii  acerb'i  e fieri,  ^ • . 

Vergini  horrende,  che  gli  ftigii  lidi  ^ 
fate  Tonar  di  deTperati  ftridù 

^1.  E tu  vecchio  Nocchier , ch’altrui  fai  fcorca  ^ 
I A quelle  tegion  malvage  e crude. 

Solcando  Tonda  ognor  livida  e Tmorta 
De  la  bollente,  e fetida  palude. 

E tu  vorace  Can , che’n  su  la  porta 

De  la  gran  reggia,  ov’ogni  mal  fi  chiude. 

Per  che  chi  v’entra  più  non  n’e  Tea  mai , 

Con  tré  bocche,  e Tei  luci  in  guardia  Itai. 

Se  voi  Tovente  nc’miei  Tacri  verfi  | 

Conlabra  pur  contaminate  invoco;  , 

Se  mai  di  langue  human  grate  v’offerfi 
Vittime  impure  in  effecrabi)  foco , 

Se  le  minugia  de’banibin  dllperfi,  ^ 

E dal  materno  Ten  tratti  di  poco  \ 

Polì  gTaborti  in  su  lamenfa  ria,  ’ ' . 

Affiftete  propitii  a l’opra  mia.  v ' ^ 

éj.  Già  ritor  non  pretendo  à i regni  voftri  ^ 
Le  pofledute,  e ben  devute  prede , 

Nè  Tpirto  avezzo  a converlar  tra’moftri  ^ 

Per  lungo  tempo,  hoggi  per  mefi  chiede»  - . 

Quel  che  dimando,  de' temuti  chioftri 

EoTe  pur  dianzi  in  su  le  foglie  il  piede, 

E di  quefta  vital  luce  ferena 
Ha  quafii  raggi  abbandonaci  a pena. 

Non 


CANTO  DECIMOTERZO.  xi 

Non  nego  a Morte  fua  ragion  nè  degglo^ 
Del  giufto  dritto, defaudar.  Natura.  * 

Sol  de  le  lìellc,  e non  del  Sol  vi  cheggio 
Si  conceda  a coftuipicciolaurura. 

Godan  quegli  occhia  che  velati  hor  veg^o 
Di  caligine  cieca,  e d’ombra  ofeura, 

Poiché  per  Tempre  pur  chiuder  gli  deve. 

Di  poca  luce  ua’intei  vallo  breve. 

• Quinto  ignudo,  anima  errante,  . 

Odi  e ritorna  al  tuo  compagno  antico» 

Solo  qual  fia  l’amor,  qual  ha  ramante 
Rivela  à me  del  mio  crudel  nemico. 
Riedifublto  al  loco,  oiTeri  innante,  , •>  > 
Dato  c’havrai  rilp  olla  a quatft’Io  dico,  ; 
Ritornaalma  raminga  e fuggitiva , , , " 

Rivcfti  il  manto,  e’I  tuo  contorte  aviva» 

• Ciò  detto,  n(^  lontan  mira,  & aCcolta  . 

Del  trafitto  Guerrier  l’ombra  che  geme,  > 
Perche  del  carcer  primo,  onde  fu  tolta , . 

Tra  nodi  rientrar  pavenra  e teme,  i 

E nel  petto  fquarciato  un’altre  volc4  :■  u 
Rìhabitar  dopo  l’cflequie  eftremc,  , , 
Chifin  laggiù  (prorompe)  inrivaaLcthe 
Mi  turbaancor  la  mifera  quiete? 

• Latto,  c chi  de  la  Spoglia,  ondalo  fon  fcarcfl^ 

L’odiato  pefpafoftcner  m’af&etta  ? ; ,, 

Dunque  contro  II  deftìn  Leverò  e parco  v ^ 
11  fil  tronco  afaldar  doto  è coftretta  ? r 
Deh  ch’io  ritorni  per  l’ombrpfo  varco 

A la  requie  interrotta  hor  fi  permetta,  . j 
Mifcr,  qualfato  si  mi sferzae  lega , , , yo 
Che  di  poter  morire  atico  mi  nega  ì 

^ - • Ch’cl 


tA  PRIGIONE, 

^8.  eh  el  fià  sipoco  ad  ubbidir  veloce 
^ Donna  fpirital  difdcgno  prende, 

Onde  con  sfèrza  rigida  c feroce 

Di  viva  ferpe  il  morto  corpo  offende, 

1 oi  con  piu  alta , c più  tcrribil  voce 
Solleva  il  grido,  che  fotterra  fccnde  , 

E penetrando  i più  profondi  horror! 
Minaccia  a l’alma  rea  pene  maggiori. 

^ informar  queft’olTa? 

^al  piu  forte  feongiuro  ancora  attcndiì 
l’ Abillo,  e ne  la  fofla 
arrivar,  fè  mcl  contendi  ? 

O eh  e^rim«  cjuc’nomi  hor’hor  non  podi 
j“cdfabili,  tremendi , 

^*A M ^ davante 

Ciò  ch’io  t’impongo  ad  efl'cguir  tremante} 

70*  Megera,  e voi  de  la  fpictata  Cuora 

degne,  e degne  Dee  del  mal^ 

M udite  } a cui  pari’io?  tanta  dimora 
Dun<]ue  vi  lice?  e si  di  me  vi  cale? 

E non  venite  i e non  trahere  antera 
^or  del  penofb  baratro  infernale 
Da  ferpenti  agitata,  c da  fkcellc , 

L alma  infèlicc  a riveder  le  ftcllc?  ' - 

71*  vi  farò  de  le  maglon  notturne 
A forza  ufeir  di  fcollfe,  e di  flagelli. 

1 legiiro  per  ceneri , c per  urne , ‘ 

VI  Icaccerò  da‘roghi,c  da  gli  avelli, 
^rete  voififordcjc  taciturne , 

^laud’io  co’propri  titoli  VappclPi  » 

O’con  note  più  Acre  & cflccrande 
. ; deggio  pur  ^ucl  nome  grande 


CANTO  DECIMOTERZO.  il 

71*  A tai  detti  (ò  jprodigio)  ecco  repente 
Il  fangue  intepidir  gelido,  c duro, 

E le  vene  irrigar  d’huraor  corrente  f ' 

Che  già  pur  dianzi  irrigJtchiro. 

Rlpien  (U  fpirto,  c d'alito  vivente 
Mo\  efi  già  rimraobil  corpo  ofeuro. 

Già  già  palpita  il  petto,  & ogni  fibra 
Nc’fi^eddi  polfi  fi  dibatte  c vibra. 

75.  I nervi  ftende  a poco  a poco,  e forge  * 

E comincia  adaprir  l^cgrc  palpebre. 

Torna  il  calor,  ma  fomminiftra  e porge 
A le  guance  un  color,'  ch'è  pur  funebre? 
Tallidczza  si  fiitca  in  lui  fi  feorge 
Che  fomlglia  fquallor  di  lunee  febres 
£ con  la  morte  ancor  confiila  e mifia 
Oioftra  la  vita,  che  pian  pian  racquifta»' 

74.  Di,  di  {dic’clla  ailhor)  per  cui  fi  ftrugge 
Colui,  per  cui  mi  ftruggo.?  alzati,  e dillo* 
Qual’il  cor  fiamma  gliconfumae  fugge? 
Qual  laccio  il  prefe?  e quale  ftral  feriilo? 
Dimmi,ond'avien,cbe  più  m’abhorre  e fugge 
Quant’io  più’l  feguo,  e più  per  lui  sfavillo 
Sefia  mai  che  fi  muti  e quando,  e come 
Narra,  e dammi  del  tutto  il  loco,  c*l  nome 

75.  S’averrà , che  tu  chiaro  il  ver  mi  fcopra% 
Non  come  fan  gli  Oracoli  dubbiofi  , 

Degna  mercè  riceverai  de  l’opra 
In  virtù  de’mieiverfiimpcriofi 
Farò  che  più  non  tornerai  di  fopra, 

Nc  più  verrà  chi  rompa  i tuoi  ripofi. 

Da  chiunque  incantar  ti  vorrà  mal 
jFjr«inco  per  tutti  IfccoUraral*  ' 


fW 


la  prigione, 

76.  Così  gli  dice,  c carme  aggiunge  a quefto, 

Per  cui  quanc’ella  vuol,  favergli  kàdato. 

Quei  fparge  alfine  un  flebil  fuon  c metto  , " 
Arcicoìando  in  tal  favella  il  fiato. 

Non  io  , non  già  nel  .mondaempio  c funetto 
Donde,  giunto  pur’hor  fon  ricchiamato. 

De  le  Parche  mirai  gli  alti  fecrcti, 

Nè  vi  Icflì  del  Fato  i gran  decreti.  . . , . 

77.  Pur  quanto  foftener  potè  il  bre-Zufo 
D’un  a ruga  ce  e momentanea  vita. 

Dirò  ciò  che  d’udirnehoggi  laggiufo 
Mifti  permetto  innanzi  a la  partita 
Hoggi  hòdi  quel  ch’atuanotitia  è chiufo. 

Da  Tempia  Gelofia  Vhlftoria  uditaj  ...  > 
Dai'empiaGelofia,Furia  perverfa, 

Che  con  Taltrc  tal  W Fune  converfa.  1 

^8.  Ditte,  che’l  bel  Garzon,  ch’a  te  sì  piacque  » » j 
£ che  de  Tamor  tuo  cura  non  piglia, 

Dal  Rè  di  Cipro  è generato , e nacque 
Perfraude giade  Timpudica  figlia.  ) j 

' Ama  la  bella  Dea  nata  de  Tacque.  ' 

Ella  Polo  il  protege,  ella  il  configlia,  > 

È fé  ben’hor  fe  n’allontana , c parte,  ^ 

Ama  pur  tanto  lui,  che  n’odia  Marce.  ' 

I 

75.  Marte  di  fttegno  accefo  edifurprc  > . - 

Morte  già  gli  minaccia  acerba  c rea* 

Onde  s’c  Tamor  tuo  fterilc  amore , 

Infaufto  anco  è Tamor  di  Githcrea, 

Volger  ricu  fa  a le  tue  fiamme  il  core , , . 

Perche  fitta  vi  ticn  l’amata  Dea 
Poi  cotal  gemma  lo  difende  c guarda,.^ 
jCh'etter  non  può,  che  d’altro  loco  egli  arda. 

^ E p^ii- 


t 


dANtO  DEC  IMO  TERZO,  if 

10.  E polche  tu  c'on  fiero  abufb  e rio 
Derarti'tue  mi  togli  a i regni bafiì, 
E^cnmeurioibe  van  defio 

Fai  che  Sclge  di  novo  a forza  io  pafli. 

Nè  mcQ  crudcljch'a l’alma,  al  corpo  mio, 
Ucclfo  ancor,  d'uccidermi  non  laflì, 

Alicolta  pur,  ch’io  voglio  bora  (coprirti 
Quel  che  nonintcndea  prima  di  dirti. 

11.  PfermcFtcil^uftoCl^pcr  qucfto  feempio, 

Epèrl’a^adaciafoldcltao  pcccatqj  . 

Ch’osò  con  ftranó  e non  udito  eflempio 
SforzarNatura,  e violare  il  Fato} 
Chenons’adctnpià  mai  del  tuo  cor’crapio 

U malvagio  appetito  e rcelerato,  ^ 

Nè  tel’amato.bcnc  amerà  mai.  ^ ^ 

Nc  tttdclbené  amato  unqua  godrai. 

8a..Piunondlfs’egUcclòIaMa»aadltai  . -• 

Digelofodifpctto  cbras’àccc^f 
• E’ibufto  in  negra  pira  incenerito»  . ; 

Alfin  più  di  morir  non  gli  cc>ntcfe.  . ' 

Ritornò  pur  quel  mlfeto  feti  t.o,  , 

Poich’a  terra  ricadde,  e fi  diftelc,  • 

Mandando  l’ombr.i  a le  T arcaree  porte, 

Dopo  ddevite  c la  feconda  morte. 

Màglàs’aprellglardindc  l’Orizontc, 

Già  Clori  U del  di  frefcKcrorc  infiora. 

Già  l’Oriente  il  piano  intorno,  e’I  nome 
D’oftro,  e di  luce  imporp®*^*»  ^ ij'dora; 

E già  con  r Albaa  piè , col  giorno  in  fronte  ; 

Sovra  un  nembo  di  folgori  l’Aurora 
Ter  l’ aperte  del  del  fiorite  vie 
le  ftellefugM  dinanzi  al  die. 

'•  VoU.  Il*  ® 


l6  tA  prigione»  I 

84.  PIÙ  veloce  di ftral,  ch’efcadi  nervo# 

Torna,  ov’Idoniail  fuo  ricorno  attende 
Qnefto Barbaro  (dice)  rnpio  c protervo 
N on  è qual  fembra,  anzi  d’ Amor  s’ac  cend^ 

^ Miièra,  c pur  (benché  d’Ainor  fia  fervo) 

Di  chi  langue  d’ Amor  pietà  non  prende.  • ' 
Diftintamente  il  tutto  indi  lefpiega, 

B di  configlio  In  canto  affai  la  prega. 

gj.  Non  per  quello  dei  tu  ( l’altra  rifponde|[ 
Abbandonar  rincominciata  imprefa. 
Almachebellafiammainfe  nafconde»  ' 
E di  quel  bel  rimpreflìone  hà  prefa , 
finche  foco  nove!  non  venga  altronde# 

D’una  folabelca  fi  moflra  acccfa.  fbrama# 
Mentr’hà  l’occhio , e’I  penùero  in  quel  che 
Altro  non  conofcendo,  altro  non  ama. 

Sé.Qualunque  amante  Amor  infiamma, e punge 
Ama  l’oggetto  bel  ,che  gli  è prefente, 

Mà  la  memoria  fol  ne  tien  da  lunge» 

Ne  la  ricien  però  già  lungamente. 

T ofto  eh’ altra  fembianza  a mirar  giungct  ^ 
Gli  efee  la  prima  imagine  di  mence# 

Sempre  il  defir  di  nove  cofe  amico 
Fè  che’l  novello  amor  fcacci  l’antico. 

87.  S’una  volta  averrà,  che  tu  pcrvegna 
Pur  di  quel  core  ad  occupar  la  reggia , 
Ch’hoggi  la  madre  di  colui,  che  regna 
Nel  terzo  Ciel,  s’ufurpa,  tiranneggia# 

Efl'endo  tu.  fe  non  di  lei  più  degna  # ^ 

Di  bellezza  almen  tal,  che  la  pareggia# 
Credimi,  il  primo  ardor  porto  in  ooUo# 
L’inert'orabU  tuo  diverrà  pio, 

X.- 


u 


^odobcntrnl  ' 

O >«  fro<fa7p/r  ?'  ">“* 

Coiuro  l'arte  c?i/  fia  tolta 

Far-alll,„r„,i  '■"fe 
® 7 * Cùi.ereL^r"H"  -“oltai 
gradoalfin  J-  f.;  !^^P«to. 

«o  P ir 

♦^^lufcnaaoii.af  4*  /*  . 

E novo  ardire  enr 

^crò  chc'i  favllhjfV  ‘^^ia, 

pi  co[k  conrcguir  apporta 

PiTufcitando  fa  balda  * 

creder  volflnfl 

Quindi  a colei  cIm  vorria. 

* Ìn*3l^^J^M“^«oni«oAJone 

PaiTandolSiS5““"!"'<>.  ^ ‘ 

^uallido  affi*  Cagione 

«tre  iJ  di6®“ T“  ’«°- 
E IVflir  del  fuo  bV„  ^ Ptigionc. 

forre  accrefee  “li  ' P"™- 

Del  crudo  Hidrafpe  U reCwlo^r^SsUo. 

naSr^'r-5.'®SÌ?rdimlU?^„rd 

«paOà in  Im  d ogni  tormento  i fe^txi 
«onovo  marcir,  che  troppo  il  puaec 
^‘afltiawlial>cttmuIos'agsiun|r^^^ 

^ * IFcronj 


^7. 


LA  PRIGIONE, 

pi.  Feronia  è più  d’un  dì,  che  l’hà  inffoverno,  C ^ 
Una  Nanae  cofteidifforme,eveccnia, 

La  qual  fera  c mattin  con  onta  e fcherno 
La  vivandagli  reca,  e gli  apparecchia. 

Furia  (credo)  peggior  non  ha  l’Inferno, 

Può  fe  fteflà  abhorrir,  fe  mai  fi  fpccchia. 
Sembra,  (sì  laida  e Tozza  è ne  l’alpecco,^ 

Figlia  de  la  Difgratia,  e del  Difetto. 

j}.  Più  groppi  hà  che  le  viti,  òche  le  canne. 

Et  ha  corpo  fi  ravolto,  e faccia  fmorta, 
Sbarrat.Q  il  nafo , e lungo  oltre  due  fpanne. 
Ricurvo  il  mento,  ampia  la  bocca,  e torta* 
Come  Cinghiale  infuor  fporge  le  Zanne, 

E sù  Vhomero  unfcrigno  porta. 

Ne  le  doppie  pupille  il  guardo  iniquo 
Fa  gli  occhiftralunar  con  giro  obliquo. 

Dopo  molte  ignominie , c molti  feorni. 

Che  gli  fc  quefto  moftro,  e beffe,  e giocchl. 
Mentre  con  arti  fconciamente  adorni 
D’alimenti  il  nutria  debili  e pochi. 
Motteggiando!  pur’un  fra  gli  altri  giorni  - 
Con  parlar  balbo,  e con  accenti  rochi 
Sciolfe  la  lingua,  e poiché  l’hebbe  fciolta  f 
Intoppò,  fcilinguò  più  d’una  volta. 

, O'ferainella  vii,  ch’ad  huom  sì  inetto* 

Altro  nome  ( dicea)  convienfi  male,  . 

Nèvò  rimproverando  il  fuo  difetto  • 

Far’a  Natura  un  vituperio  tale.  : < » 

Hor  fc  non  fai  d’Amor  prender  diletto,- 
Il  tuo  fedo  virile  cheti  vale  ? . ! 

O qual  beltà  ci  fcaldcràgiamai, 

S’ad  arder  de  la  mia  feolo  nonhaU 

Mcrau; 


Canto  e>eciMOTEr^^^ 

Meraviglia  non 

Sprczzaftì,  ancorché  vanto 

Quando  di  vagheggiar  ti 

Più  vagatane?,  e Sgnor  xl  donzellai 

Nè  per  haverne  Tagio  a P**^“  ^ 

Solo  confola  in  sì  remota  cella,  ^ 

{Sciocco  che  fei)  richiedermi  damoj.^ 

T’è  mai  ballato  in  tante  volte  il  core. 

J7.  Se  non  che  certo  aifeciirata  iofui, 

Chuom  non  fe’ta,  fi  come  gli  altnfoj^^  ^ . 

Anzi  un  freddo  Spadoiij  ^ * 

Che  qui  ci  guarda,  a 

Te  fol  correi , come  fol  de;^”  > ctn  > 

Faceffi  di  me  ftefTa  . 

Dandoci  imin  co’miei 

(Suo  mal  grado)  a goder  cibi  miglio,.j^ 

58.  Polche  fonduncjue  i 5*^®^ 

Eciechialofplcndor  de  ragg 

Convien  che  tu  mi  moltri , e c jp  toccM 
Hor'hor  fi!  marchio,  6 par  °<=f  ‘ 

E quando  avenga,  che  le  mani,  ^ i oc^u. 

Ti  trovinpoi.qual  mai  non  creder^-,, 

Troncar  civò  quel  Porgano  intecondo^ 

Che  tu  pofliedi  inutilmente  al  mondo. 

Ma  pjerche  dubbio  alcuno  in  te  no 
E le  bfllczxe  mie  non  prenda  nfo.  «*•, 
Mira  ciò  che  tu  perdi,  c cio  c avref^ì  ^ ^ 

Ecco  t’apro  il  chcfordcl  **"-*  ^ 

Guarda  le  bella  pur  fbtto  le  ve  i ^ 

Altrccamo  (bivio,  quanto  uc  vi  o.  ^ ^ 

Così  dicendo,  s’accorci^  ? , r 

E fi  gli  fè  veder,  ch’cU’era  Donna, 

; ^ ^ Boi 


JO  LA  PRIGIONE, 

100.  Poi  le  luci  girò  bieche  ctraverfe 
5iche  mirgtulo  lui,  mirava  altrove 
B quella  bocca  ad  un  forrifo  aperfe,. 

Che  la  fepoltura  par,  fe  s’apre,  ò move*, 

E innanzi  a lui  sìofccne,  c sì  diverfe 
Di  fua  diftioneftà  prefe  a far  prove, 

Che  di  foftidio  ogni  altro  cor  men  franco 
fora  affai  meno  afofferir  già  ftanco. 

101.  Un  tratto  pur  rimpatienza  il  vlnfe. 

Che  fdc^^no  degno  e gencrofo  il  moffe. 
Mcntre°che  la  bruttarclla  aluili  fpinfc 
sfacciata  per  baciar  più  che  mai  foffe, 
Adone  il  pugno  iritamente  ftrinfe, 

E la  finiftra  tempia  le  percoflc. 

N el  mal  polito  crin  pofeia  la  prefe,  -T 
Et  a forza  di  calci  al  fuol  la  ftefe. 

joi.  LafieraGobbaintornoalni  s’attorfe 
Aviticchiata  in  m oftruofa  lutta, 

E conl’ùgne  il  graffiò, co’denti  il  morfe. 
Quanto  arrabbiata  più,  tanto  più  brutta. 

A i romori,  a k ftrida  Hidrafpe  corfe  , 
che  rifonar  facean  la  cafa  tutta, 

E fgridando  il  garrì  che  laScrignuta.  ^ 
Deputata  a fervirlo,  havea  battuta. 

103.  E con  la  sferza  in  mano  anco  il  minaccia. 
Ch’egli  il  correggerà,  fe  non  s’emenda. 
Idonia  allfior  vi  iovraggiunge.  e fcaccia 
La  coppia  abominabile  & horrendai  ^ 

Poi  con  più  grata,  e piùpiaccevol  faccia 
Vuol  che’l  latto  da  capo  adir  leprcndaw 
La  olpa  (diffe)  è del  tuo  cor  protervo, 

Che  potendo  effer  Re , vuol’effer  fervo. 


'"‘“'"“Terzo. 

iv°^®"0  blr?  "J°  af  «ttar  u‘  movi 

‘i  giovi, 

S “ioirvuó:  00°”'»  chiami. 

"“>.'hecriidelcàconvienti. 

j 

meglio,  &tc  fteflb 
tanto  raalci 

fiocci-a  K nc  fia  promélTo, 

^tai  onl  «J’urcir  ti  fia  conceflb  , 

terra  eguale. 

^ailjp^.’^t-icchezzaamorcongiunto 
in  un  punto. 

Màs’av- 

Si^’  oteii  <f!f  c^*^tra  nebbia  a l'alma  ingrata 
^ i)Oùf>^  j^^gionc  habbia  si  cliufi 
^^conol^^  ^ **c  la  benigna  Fata 

làppla,  anzi  l'abtifi, 
zjttiijaccia  ®fini  credere  opinata 
Sf  s’accufi 

per  tal  cagion  t'avcgna, 

J07  furor  quando  fi  fdeg  na. 

1 ^anto 

nobi]  a],§t*^Ita  ^ più  > vl3  piu  s’avanza 
i“&*“riata^^^iiumanit3  corcclè. 

^ muta  Tu/ànza, 

« ? ??  i'amor,  ebe  pria racccfc. 
i!'  . ‘*'^fue  freno  abafiranza 

i:*^^opiii^l-raa  vendicar  roftefe. 

^ ®agj^j^olto  avien  qual hor  fi  (prezza 
^^a  Donna  aita  bellezza.  . 

s 4 Gaar^ 


LA  PRÌGIONE, 

108.  Guardati,  quando  haverla  bora  aon  TOgl2 
Supplichevole  amante  e lufinghiera, 
D’haverla  poi  con  pene , e con  cordogli  ; 
Tiranna  formidabile  e fevera. 

Conchiudo  infin , che  fe  non  Ikghl  c fciogl 
Chi  del  Tuo  prigioniero  e prigioner a , t 

Senra  trovar  pietà  fra  tanti  affanni , 

In  villana  prigion  perderai  gli  anni. 

J09.  Adonichcfenzafcampo,  efenzaaltA  . ^ 
Le  cofe  in  ftato  peflimo  yedea. 

Pensò,  che  s’egh  cara  havea  la  vita  , > 

Cara,  fe  non  per  sèi  per  la  fua  Dea,  \ 
JMoftrar  gli  convenia  fronte  mentita, 

E di  cangiar  penfier  finger  devea* 

E l’opreal  tempo  accommodandoin  par^i, 
far  virtù  del  bifognò,  & ufar  l’arte, 

110.  Comincia  a fcrcnar  l’aria  del  voltoV' 

E più  grato  a moftrarfi,  e men  rubello , 

E fperando  In  tal  guifa  efler  poi  fciolto  > . 
Qualch’inditio  gli  dà  d’amor  novello.  . { 

La  prega  intanto  almen , che  gli  fia  tolto  » 

De  la  N ana  importuna  il  gran  flagello , 
Poichc  gli  c fovr’ogni  altra  arpralciagura  ; 

Si  malvagia  miuiftra  a foffrir  dura. 

111 . Lieta  Idonia  promette , e perchc’l  cred^ 

Da  lunga  fame  indebolito  e fmorto,  ' 
Riftorarlo  s’ingegna,  e gli  concede 

Di  foavi  conferve  alcun  conforto , 

Mà  ne  l'anel,  che  Citherea  gli  diede,  ' 

Volgendo  adhor’adhor  lo  (guardo  accorte, , 
Tenia  come  glieTrubi,  e gli  prefenta 
Alloppiato  vafel , che  l’addormaita.  ' ' 

D“op- 


c A NTO.  DECIMOTEKZa 

ComSo  gMvofo-è  <jael  licow 

Gi-atlà  loto. 

Wà  recre^"?  %“« . . 

“=5  fean. 

^^’opprim,.  r ’ , «SPre. 

Atto  ^°S'‘=  il  *nfo,e'l  mo. 

M’eria,  e di  Scigc  il  i>rago , e’I  Cane. 

Nè^tarda  m » Adone  il  beve,  i 

Chr’un  fi  operar  Telfetto, 

Che  fij  qn,  ' ^onno  il  p refe  in  breve 
^ vinto  da  /•  ^ vacillar  coftretto, 

Cirfen  si'i  /»  . profondo  e greve 

Idonia , cb  ^ riverfar  del  Tetto, 

^afciollo,?  '^‘itto  era  prefaga, 

^^antòi  ■&  appellò  la  Maga^ 

^*+-  LaMaffo  • 

» el  dito^trar  j S^i  fece  -t 

Un’altrofuo  * adamantino»  anello. 

SonuVlianf  fiippole  in  vece 

che  pa«a  quello.  ; 

® ' ‘■‘gi «foro?? ‘l'tce  groppi  e dieoe 

raddon  ^ onxello,  ^ 

PercbcnuijW^i^^^ele  capcne  groic 
ntia,  nulla  ii  mofle. 

X15.  Salvo  un  f j . 

La  cui  cliiav  * chiavilleM’acciaio  duro,  ' " 
Tutta  vuol  altrui  fidar  non  ola , 
Qucllaricca  ^ d’of  fernpKce  epuro 
Sì  perche  pi,'  ^^tcna  c prctioia, 
x>  cl  più  luci  metallo  ólcuro, 

Slperchc’tì  i efinò  c copioiaj 
■yuglconutx^^^iod’óro  ellcndoftrctt^ 
d*f»r-  fitfQC  venoett^. 

^ S 


Dopo 


OO 


oc 


l4  lA  PRIGIONE, 

né.  Dopo  lungo  dormir,  quand'ci  lì  della  > 

E fi  ritrova  in  auree  funi  avinto, 

I3a  lo  ftupore  , onde  confufo  refta , 

Lo  ftupor  del  Lethargo  in  tutto  è vinto* 

La  cara  gemma  a contemplar  s’apprefta , 

Non  facendo  però,  ch’è  l’anel  fintoi 
E perche  non  vi  feorge  il  volto  amato, 

Teme  non  contro  lui  fia  forfè  irato. 

117.  Amor’Infidìofojì  tuoi  piaceri 
Com'han  Pali  ( dicea^  veloci  e lievi  5 
Come  fehernifei  altrui?  non  fia  chi  fpcri 
Gioie  da  te,  fe  non  fugaci  e brevi. 

Perche  levar  tant’alto  ì miei  penfieri. 

Se  poi  precipitarmene  volevi  ? 

Mi  fomraergl  nel  porto,  a pena  giunto  » 

E mi  fai  ricco,  e povero  in  un  punto. 

«8.  fortuna  lngluriofa,i*non  credei 
Perder’in  herba  la  fudata  melTc, 

Nè  ch’una  ftolta  e temeraria  Dea 
Ne  l’impero  d’Amor  ragione  haveflc» 

Così  dunque fen  van,  pèrfida  e rea. 

Con  le  fpcranze  mie  le  tue  promelfc  ? 

Dunque  dal  tuo  furor  perverfo  e dura 
Trà  le  milcrie  ancor  non  fon  fecuro  l 

H9-  Non  preftai  fède  a la  tua  madre  Amore , 
Quand’era  (c’hor  non  fon)  contento  e lieto* 
Dicea,  ch’eri  un  mal  dolce,  un  dolce  errore,. 
Sagittario  crudel,  Regc  indifereto, 

Latifiato  di  fraude,  e di  dolore. 

Libera  fervitù,  porto  inquieto. 

In  cui  fè,  ne  pietà  mai  non  fi  trova, 

Lafib,  bòi  tardi  U«onofco>  c’I sòper  prova. 


V 


*»l>:.Scmf*‘'  ‘■“SSio. 

*Cco  J;  un  fi  gran  torc^ 

al  'f  ^efìabi  1 raggio , 

C^Iufoun  i?  S’ogo  a^pro  cfervile 

tuo  pngionfcro  in  carccr  v3c. 


^ar^^i  cruda  Fortuna, 

^ogni  Dar^v^  cftrano^ 

^PogllaL?^  Qo  ben  fiiT  de  Ja  cuna 

E (ciò  cJiV  rnand^ 

I>alSoJ  calciarmi  «a  nottebruna 

Ch-aggianEeti'’^'  “’'T’ 

Epuribcttr- ^ a nodi  ancovorefti 
& Jìonor  ini  promctteftL 


Qi*alprivil^  Ipiettatc  c ngTd’armi 
Se  con  chi  ha vran-  diademi,  e troni  » 

Se  ne  pur*^''Sueemuor  non  le Tifparxui  » 

Sefontra^*^^®  * * ' 

Quc/le  Jv  ache  piulaetrarmi? 

Precipini  ove  mfponi? 

A chi  dunque-  hai  pre^<^ 

'^«gUfoctogUAbiflii 

tj.  AhiVK;  , 


efilE 


Ahi'chi  j ^ 

Chi  nega  ^ Ipcrar  mi  priva?* 

Giunger^  occhi  miei  l’amara  Aurora?* 
Godrò  rna^.^^  tanti  Ararli  a riva  ? 


5*J.ai  di  tanti  ftrani  a riva  ? 
Com’eflet*^  ^*^ta,©  conlòlacaun’hora? 

Sarà  pur  che  feaza  vita  io  viva? 

Deh  che  ti  o»  m or  end'o  io  mora?’ 

Coftvoipa  p?  com’bavrò'pa:cc  alcuna? 

* 4mof ’cjnpi®  , empia  Fortum 


foitu 


-«JTtlV- 


tff-^3lttf“ 


LA  PRIGIONIE, 

114.  Fortuna  empia,  empio  Amor,  qual  pene,  i 
N6  foftié  dii  per  voi  piagne  c foipira?  (danni 
L’un  è fanciul  fallace,  e pien  d’inganni , 
Femina  l’altra,  ebra d’orgoglio, e d’ira, 
Quefta  Covra  la  rota,  e quei  su  i vanni,. 

Quei  Tempi  e vola , e quefta  Tempre  gir*U 
Cieco  1 un,  cieca  l’altra  ,&  ambidui 
Aquila,  e Lince  a Taettare  altrui. 

115.  Con  quefte  note  bordi  Tua  Torte  dura  • 
Hordei  crudeTamorTeco  diTcorrej 
Venere  incolpa,  che  di  lui  non  cura. 

Di  Mercurio  Ti  diiol,  che  noi  Toccorre  ; 
Qiiand’ccco  entrato  in  quella  ftanzaofcura 
Mercurio  iftefib  a la  Tua  vifta  occorre. 

Ch’a  diTpetto  di  toppe,  e di  Terragli 
Viene  a porgergli  aita  in  que’travagli.  ' 

it6.  Mercurio,  a cui  già  da  la  Dea  commefta  . 
Fii  il  patrocinio  di  cn’il  cor  le  tolTe, 

Li  aflìftea  Tempre,  e’I  vifitava  Tpeflo  ; 

Se  ben  laTciar  veder  mai  n on  lì  volTc. 

V eggendol  dal  digi  un  talvolta  oppreflo,  . 
Cibi  divini  e delicati  accolTc.  . 

Et  al  inefto  Garzon  poi  la  Colomba 
Gli  recava  nel  becco  entro  la  tomba. 

X17.  Hor  colta  hà  l’herba  rara,  e vigorofà,  - 

Non  sò  ben  dire  in  qual’eftrania  terra, 

Contro  la  cui  virtù meravigliofa. 

Con  mill«i  chiavi  in  danno  uTcio  fi  fcrray 
E Te  le  piante  alcun  deftrier  vi  poTa, 

Ne  Tvellc  i chiodi,  e lo  difeae  sferra. 

Con  queftafenza  ftrepito  ò fracaft'o 

Xnvifibilc  altrui,  s’aneiTc  il  paflb. 

Carna, 


CANTO  DECIMOTE  Bl  ZO. 

218.  Caraa>  Dea  de  le  porte^  e de  le  cHiavi^ 

Di  quella  entrata  agevolò  le  frodi, 

£ di  volger  per  entro  i ferri  cavi 
L’adunco  grlmaldcl  móftrogU  i modi. 

Le  fibbie  doppie,  i catenacci  gravi, 

Legroffe  £barre,ibenconfitti  cKiodi, 

E le  guardie  falcar  d’intorno  al  buco 

Fè  così  pian,  che  non  Ludi  TEunuco.  .» 

12.9.  Uditic’hebbe  il  mei^ggier  del  Ciclo 

Del  tribulaco  Giovane  i lamenrix 

A lui  feopriffi,  e con  un  molle  velo 

Gli  venne  ad  afeiugar  gli  occhi  piangenti. 
Poi  tutto  pien  d’affettuofo  zelo 
Dolce  il  riprende,  c con  fommclfi  accenti,' 
Che  de  la  Dea  tra’fuoi  maggior  perigli 
Così  mal  cuftoditi  habbia  i co  «figli. 

13O.  Ech’avifato  in  prima,  & aver  tiro  , 

Statofia  sì  malcauto,  e sì  leggiero. 

Che  lafciato  levar  s^babbia  di  dito  ^ 

Quel  don  maggior  di  qual  (ì  voglia  impcroii 
Edato  agio  a colei,  che  l’hà  rapito, 

DI  porvi  un  falfoancifimileal  vero.  » 

Poi  de  la  gemma  adultera  c mendace 

Gli  fa  chiaro  veder  l’arte  fallace. 

J31.  L’altro  inganno  di  più  gli  fpiana  c fno<^ 
Del  còntrafatto  e magico  tencihiante, 

E dice,  che  non  miri,  c che  non  oda 
L’iftcfla  Dea,  £c  eli  verrà  davante , \ 

Ch’altro  non  fia  ch’infidia,  altro  che  froda» 

Che  s’apparecchia  a la  fua  fè  coftantci  • 

Che  (otto  finta  imaglne  e furtiva 

SwàTa  DouQa.  c fcinbisifù  U ^ 


LA  PRIGIONE^ 

iji.  L’inftruifcé  del  tutto,  e gli  ricòrda , ; i 

Ch’ella  d’ogni  malia  porta  le  palme  t 
Che  più  con  verfi  horrendi  a morte ingordx 
Far  vomitar  le  trangugiate falme  y 
Tor  malgrado  di  Dite  avara,  e Torda, 

A l’urne  i corpi,  & agli  abLQTi  l’alme^ 
Puòfommerger  il  Sol  nelmarprofondòr 
Sotterràii  Cielo,  e ne  l'Inferno  il  mondo. 

1J5*  Diccgli,  che  bifbgno  ha  che  fi  guardi 
Dalelufinghe  fue  qual  hor  ragiona^ 

Ch’ogni  Fata  hà  per  efche  accenti, erfguardr> 
Onde  gli  animi  allctta,  e gl’ìmprigjLonai, 

Ma  dopo  i vcazi  perfidi  c bugiardi 
Satia  dfin  gli  fchcmifcc,  c gn  abbandona. 
Molti  ucci^r  ne  fuol,  tal  un  n’incanta 
V olto  in  fieia,in  augello^in  {afib,ò  in  pianta: 

JJ4*  Soggiunge  ancor,  che  non  dia  punto  ioàc. 
A le  lolite  lue  leggiadre  forme, 

Poiché  tuir'artein  lei  quanto  fi  vede, 

E.  l’eflère  al  parer  none' conforme  > 

^fe  ben  d’anni,  e di  laidezzaeccede 
Qualunque  fiifl'e  mai  vetchia  difforme  ,, 
SuppTilceslcon  l’artificio  ch’ella 
N c viene  a comparir  gio  vanè  e bella. 

che  ciò  fò  perche  vezzofà  in  vifta 
D’alcun  fcmplice  amante  il  corfoggioglu^ 
"Con  cui  (che  raro  avien  ch'altri  rc^a^ 

Sua  sfrenata  libìdine  disfoghi^. 

Mà  fc’  1 perduto  and  giamai  racquifta,, 

Ofeìto  tiror  di  que’profondi  luogh^. 

E con  effe  averrài,  ch’égli  la  tocchi, 

J ofio  delvcr  «'accorgeranno  gli  occhi. 

Final- 


CK't^'TO  X>12.01K1.0nr 

^^6.  ’SvnaVmciv^c lo  flcga^  c Ac  lo.  Foj^lio 
l>otxo  gli  fià,  cKcpiviAcl  ferro  e force  ». 

B,  l’ammacfVra  ancor  ,corrwe  fi.  Ccloglia, 

Quando  allcnrar  vorrà  V*a.Cpr e ricor ^ 

Sc^en  fuggir  non  può  fiior  Ac  la.  foglia.,. 
Mentre  liner  guardiate  girar Aa  le  porre 
Baderà  V>cn>  cliccjnanAo  alcri^nol  rnm^ 
Difgragaco  del  peCo^  al  meri  rifpli^l-- 


1x7.  StupifceAdondicpaarrrocgti  racconca» 

L’altro. di  fen  G traKc  cVxc  * 

Pofl'cmea  riftorarta 
Lettraai  lìnee  i*or  gaca 

l.a  rofa»cl«cn  £UgS?““^^>  fi  J^carta^ 

Mo0ra omte  vegna,  edx  chi  n-^Stta». 

SSela  riga  in  s^  V 

Al  Cuo  bcOcritor  la  Dea  trafteta.- 
„8.  X.a  rciolfc.  e 

” L'almadal  core.  ..  ^ 

Poi  quanre  noce  . 

Xamihactr  ciuaodo  hi  left« 

Pecche-  confi^erero  n ta  fcrifte. 

Oaarainor  ta  n 

Pù  det  gran  C/”'?forpir  non  Varfc. 

Sola  mercè,  fe  co  E j.ormcd, 

«a  Veggio  (il  ^c“gìo  ri?forxi. 

coml>a<t:otap^^>  V lauree  catene. 


Ciu^ 


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40  LA  PRIGIONE^  > 

140.  Cruda  prigion , rnaviè  più  cruda  molto  . 
Quella  che  qui  mitica  legata  e (Ire tta, 
Ch’oltre,  cbcde’begll  occhili  Sol  m’ha  tolto 
A chi  mcrtoglic  ancor  mi  ia  foggetea 
Bramo  il  piè  , come  il  core  haverne  iciolto> 
Ma  la  fpada  può  più  che  la  faettai 

E fe  ben  la  lua  forza  ogni  altra  avanza, 

Amor  contro  Furor  non  ha  poflanza. 

141.  Che  mcl  fenz’aghi,  e rofa  fenza  fplne 
Coglier  mai  non  li  polla , è legge  eterna, 

Stan  le  doglie  a i piacer  Tempre  vicine. 

Così  piace,  à colui,  che  ne  governa. 

Mà  fperiam  pur, che  liberati  al  fine 

Io  d’un’inferno,  e tu  d’una  caverna,  ^ ^ 

Tornando  in  breve  aTallegrczza  antica 
Scherniremo  Pamantc la  nemica. 

141.  Sò  che  m’ami,  c fe  m’ami , ami  te  ■ 

Perche  più  che’n  te  ftcllb,  in  me  tu  (ci. 

Se  t’hò  nel  core  immortalmente  impreflb  , 
S’ardon  tutti  per  te  gli  affetti  miei, 

Io  noi  vò  dir.  Se  tu  non  folli  in  elio,  ^ 
Anzi  fe  me  non  folli,  io  tei  direi. 

Chiedilo  a te,  però  che’n  tè  cor  mio 
più  che’n  me  ftefla,  anzi  pur  te  fon’io. 

J45.  Cor  de  l’anima  mia,  vivi  fopportit>  ~-i 
E viva  teco  il  tuo  ben  nato  ardorej  ' 

E con  un  fol  penfier  ti  riconforta. 

Ch’altri  giamai  di  me’non  fia  Signore> 

E fe  forza  a’fer’altro  hor  mi  tralportar 
Scu&biPè  non  volontario  errore. 

PIÙ  non  ti  dico,  a quanto  a dir  mi  refta 
Supplirà  ceco U remoi  di  quefU* 

Letti 


CAJS/T<y  'R.’Z.O. 

J44^  Lccti I bc£  vcxii 9 Jiccon-cl^  i ferri  , e fpa.r'v^ 
Jkfcrca.r{o^  e qviln.^1  era  Cpaxlro  a pena» 

Qic  la  rivai  di  Venere  v’appar^ve»  J 

tal,  cKe  non  parea  pl^t  a\firc.n.a,  ^ 

Qaaft  deiuCo  dasiteiia.  lar'vc,  ^ 

K prima v\l\a  A.don  non\>en  s*a£Brerkas  ^ 

t'bcn  cixe  fappia  efler  V>eit.a  fc.llace>  ^ ^ 

Vin^anno  è però  ra\>  cViT  a occVxi  pxac«- 

145.  IL  fe  non  ciac  del  ver  tofto  s*ac<^rfe» 

Tal  fò  dei  Bdo  meCfo  li  canto 
5cndo  fcnxa  ranci  , fiior  d’ogna  forte 
Creduto  havrcbbealBm^lajo  Vito  , 

Perche  di  OUbcrea  tutti  in 

Portamenti,  e fatexxc, 

Ella  in  entrando  U Cainto  per 
JMà  volendo  parlar*  non  fep pe 

I4<.  GU  lontana  la 

Che  nel  cor  le  l^ciò  f^^gradita, 

Hor  cWella  avampa- 

,,1  Fatta  da  qnca*ardore^q«»“^°  ^^ 

A l'u  fata  battaglia  al^or  s 
Volfe  bacciarlo.  c fi  . Itanfoco- 

n.,r  .nnderò  Ce  fteOa  in  a» 


r 

? 


'X 


VoUe  bacciarivj» *r  eA  eran 

Pur  moderò  Ce  ftefta  in  si  gian 

7.  Per  occnltar,  per 

Biafimadi  F^^^^^VdffteaUa 

E cruda.  vin  tanto  “*  “ : 

Che  a si  tort  r Quanto  t am 

^nc  a a.»  ^ crliira  Pf  r,a  tratto. 


.m 


n corto  - ouanto 

. Pcomette.egi««»?f^Ptgìii'‘i»“%T 

1 D^fer-ancor,  f^“^‘J^ori:eftl 

1 Pur  ch'eU^d^l^^^^V^  » lei  U6«»- 


ILafci  poi 


m 


lA  PRIGIONE,  ' 

« 

148.  Gli  s’àilìde  da  4to  ) e «li  difteiide 
Mentre  ragiona,  insù  la fpalla  il bracciOi 
E tuttavia  con  la  man  bella  il  prende 
Per  annodarlo  in  amorofo  laccio. 

Ben  che  legato  ei  lìa,  pur  fi  difende, 

£’l  collo  almenderviada  quell’impaccio^ 
La  tefta  abbafla , e da  le  labra  audaci 
Torce  la  bocca,  e le  nafeonde  i baci. 

Fittofi  in  grembo  il  volto,  a Ieil*invola> 
Anzi  per  non  mirarla  i lumi  ferra; 

Ma  poiché  pur’aflai  d’una  man  fola 
Durata  è già  la  faticolà  guerra , 

Lu  Ma  ica  ella  gli  pon  fiotto  la  gola, 

E con  la  deftt  a il  bionde  ' " 

Con  una  mano  il  crin  g 
Con  l’altra  il  mento  gli 

Jjo.  O sì,  ò no,  ch’a  forza  ella  ilbacciafli^ 

V eduto  riuficir  vano  il  difiegno. 

Stanca  da  l’opra  fua  dur  fi  ritrafiè. 

Et  onta  ad  onta  crebbe,  c fidegno  a fidegno!> 
Le  luci  alzando  allhor  torbi£,  e baflc. 

De  la  favella  Adon  ruppe  il  ritegno, 

E diflc , Hor  quando  mai  Dea  de  gli  Amori, 
Fù  ch’Amor  ad  amar  sfbrzafle  i cori  ? 

Iji»  Non  è quello,  non  è vero  godere, 

Nè  modo  d’appagar  nobil  delire, 

E^qual  gioia  clTcr  può,  contro  il  volere 
Di  chi  non  vuole,  alcun  piacer  rapire? 

Mà  che?  de  delitie  & agi  ama  il  piacere» 
Tramifierie,  e dolor  chi  può  gioire  ? 

Non  fidennodubbiolcemal  fiecure 
Le  dolcezze  mifichiar  con  Icficiagutc. 


> crm  gli  altera 
li  tiraellringc, 
fiolleva  e fipmge. 


canto  t>EClM0T««.2.O. 

'2*1?  "? ' ferri  to  r*«ccare*ri>  - 
*‘  fembra  atto  a i aUecti? 

Più  a miglior  tempo  i velari, 

Arr/„J-  importuni  affetti. 

Attendi  pur , che  s'apra.  & che  fi  Cpez-ei 


ì 

r 

L 

5t 

l 


h ^5  J*  Ba£Hti,  cK*io  Ai  tc  non  arAo  meno,  ' -J 
il  corpo  A*  arxiina  privo,  ^ 

alterca  ceco, e xxcltiio  feno 
Vive  vita  rtiigiiot*  , cVi*io  xiotì  vi'vo,  " 

I^è  dei  carcere  ancico  il  Avito  Freiao 
l^*alcral>elTBk.  nai  laCcia  efler  cacci'vo  $ 

/Nè  c^ixancuru^vie  Asnaiaata  a si  rea  (orre^, 
Lamlavira  per  ce  recne  laxnorcea  ’ i 

154-  l-*oro  creCpo  e loccil,  roroivaccTvce 

Di  quella  V>ionAa  crcccia,  otvA’io 
Quanco  ò qvxajaco  c più  forc©--jre  più.  poilci^C 
Di  qu-cfto  ricoo  mio  tenace  pelo. 

Quefta  carena  è ral,  che  folamenrc  _ 

ILitieneil  corpo,  e non  n’èll  core  ofrelo* 

Quella,  cl>c  mi  legò  la  prima 'vol^,  *. 

Kli  Uringe  il  core,  enonfarù  mar  CcroUa. 

135.  Così  Aicea AllIimulanAo,  e cerro 

Ogni  altro,  a col  da  i o. 

Stiro  non  folTc  ixn  tanto 
O che  non  fUab  In  leaitate 
Oal  aolee 

l^c^es  aca  pare! da  quell  M 

t 


41  LA  PJIIGIONE;'  V 

E con  Idonlafar  rultimeprove 
Del  beveraggio  magico  rifolvc. 

Qual  guaftadahabbia  a torre,  e comc.e  dove 
^ L'infegna,  e qual  llcor  mifto  a qual  polve. 
Quella  il  filopo  a preparar  fi  move, 

Che  gli  humani  defir  cangia  é travolvè»  ^ I 
E nel  fecrcto  ftudio,  ove  la  Fata  ' 

Chiude  gli  arcani  fiioi,  s’apre  l’entrata  * ' 

il 

1J7.  Prende  l’ampolla  abominanda  cria,  ' i 
E quel  forte  velen  tempra  e compone. 

Che  fc  fiifle  qual  crede , e qual  defia,  ' 

- Non  che  le  voglie  infervorar  d’ Adonc^i  ' 

Far  vaneggiar  Seuocrate  poria, 

E d’illecite  fiamme  arder  Catone. 

Mà  non  tutto  qiiel  male , e quello  fcempió 
Permette  il  Ciel,  che  promette  l'fcmpio, 

j^8.  La  rea  minlftra,  ch’ai  Garzon  la  menfa  . ; t 
Dopo  al  Nana  ha  d’appreftare  in  ufo  , 

Mefce  il  vin  con  quel  fugo,  c gli  difpenfa  : 

Ne  l’aurea  coppa  il  maleficio  infufo. 

Ma  non  pari  l’effetto  è quel  che  penfa,  j 
Il  difegno  fellon  lafcia  delufo.  - { 

A pena  ei  l’acqua  perfida  hàbevuta,  '> 
Che  fubito  di  fuor  tuttofi  muta.  ' 

Tutte  le  membra  fue  (mirabilmoftro)  ; 1 
5 impicciolir,  e fi  velar  di  penne,  * 

E di  verde,  d’azzurro,  e d’oro,  e d’oftro 
Piumato  il  corpo  in  aria  fi  foftenne.  ' j* 

S afeofe  il  labro , anzi  aguzzoffi  il  roft^o,  > » 

La  bocca,  il  mcn-^o,  il  nafo  oflb  divenne.  i 
Divenne  carne  l’ircarnata  vefta,  ' 

E fi  fece  il  cappel  purpurea  crefta.  ■ 

' - Nc 


x-ziiNiu  JVl  O TERZO. 

■^0.  Ne  la  dita,  che  fatte  Iià  più  ibttili, 

Spuntan  curve,  dorate  unghie  novelle, 
Frcglanrlftrctto  il  còllo  aurei  monili, 

Sì  ricpglic  ogni  braccio  entro  la  pelle, 
Siritiran  le  man  bianche  e gentili, 

E s'allargano  in  ali  ambe  l’aicélle.  (lume.’ 
Due  gemme  hà  in  fronte  ^ ond'efee  un  dolce 
Si  più  vago  augel  non  batte  piume. 

y enere bella,  ahi  qual  perfida,  ahi  quale 
Forte  ventura  il  mo  bel  Sol  t’ ha  toltoj 
Labehà,  del  tuo  foco  efea  immortale. 

Ecco  prende  altra  fpoglia,  & altro  volto* 
Strano malor  del  calice  infernale, 

In  cui  tolco  maligno  era  i^accolto.  . , 

L’incantata  bevanda  hebbe  tal  forza, 

' Che  fiipofl'entc  a trasformar  la  feorza* 

1^1.  Fufle  dèi  Nume , che*l  difende  e guarda^. 
Profridenza  divinai  c fuflTc  calo  . 

Quando  il  vetro  piglio  la  Maliarda 
Scambiò  per  fretta,  e per  errore  il  vafo. 

Quel  che  fa,  che  d’amor  ogni  cor’arda,  - 
(Simile  in  tutto  a quefto)  era  rimafoi 
Et  ingannata  da  T ifteffa  forma 
Infila  vece  adoprò  che  quel  trasfornla,  ^ ' 

1^5.  Tofto  che  s’è  del  fallo  Idonia  accorta^  ‘ 
Mezo  riman  trà  ftupida,  e dolente. 

Per  trafeuragin  fua  vede,  che  porta 
Tamòrofo  rimedio  altro  accidente. 

Oimè  mlfera  (grida)  oimè  fon  morta, 

E piange  in  vano,  in  van  s’adira  c pente, 

. 11  crlnli  fvelle,  il  petto  fi  pcrcote, 
Stracciafipanni,egra£afile  gote*  - - ^ 


XA  PRIGIONE, 


1^4.  Già  fiior  de  lapriglon  libero  vola  ‘ 

D’habitonovo  il  novo  augelveftito, 
Lamcntarfi  vorria  ma  la  parola 
Non  forma  (come  fuol)  lenfo  fpedico, 

E gorgheggiando  da  l’angulla  gola 
De  la  favcila  in  vecceCce  il  garrirò  i 
Ne  de  l’humana  fua  prima  lembianza 
(Tranne  fol'incellccto)  alerò  gli  avanza.. 

l6j. , L’intelletto,  e’I  difeorfo  hà  foto  intero , j - 

Ondequal’è,  qual  fu  conofee  a pieno. 
Rimembra  ildolccfuoftato  primiero, 

£ difegna  al  Tuo  ben  tornar  in  Ceno. 

Poi  fentendafi  andar  cosi  leggiero 
Per  Timmenfo  del  Ciel  campo  fcreno  r 
Mentre  al  albergo  ufato  il  camln  piglia 
Di  tanta  agilità  li  meraviglia. 

lC6.  Lafcia  di  quella  ricca  aurea  contrada  ^ 

Il  fottoraneo  infaufto  empio  foggiorno, 

Paflà  la  grotta,  e per  la  nota  flr^da 
Fa  nel  fuperior  mondo  ritorno. 

Ferma  il  Sole  i deftrieri,  ovunque  cl  vada. 
Fermaniì  i venti  a vagheggiarlo  intorno, 

£ fecondando  il  và  da  tutti  i lati 
Mulico  Ituol  di  cortegiani  alati. 

i6j.  Del  fUperbo  diadema,  e del  bel  manto 
Le  pompe  a prova  ammirano , e i colori, 

£ con  olTcquii  di  fedivo  canto 
Gli  fan  per  tutto  il  Ciel  publici  honorL 
Non  hà  mal  la  Fenice  applaufo  tanto 
Da  l’humil  plebe  de  gli  augcl  minori  • 

Qualhor  cangiando  il  Tuo  fepolcro  in  culla. 
Ritorna  di  dicrepiu,  fanciulla. 


Mà 


% T>HC1M.0  O- 

^ //)2e  quAtkte  £brcULn.e»e  <^ta.ax\cl 

ffrjf^yj/sòtrÀ'vìj3L  rlCcìxi  c perigli? 

^ai  taraci  incontrò  xnoftri  volaxati, 

CVicvoVfcr  ne^l  ino  len  cinger  gli  a.r cigli? 

Aqallcy  ctAlbi^  a cui  Ccampar  Sa'vaxvcl 
r^co  g;vovato  Havrian  Forxc»  ò cocafìgli» 

Sc*l  ccJcftcTacor,  icKe  n’Kavea  cura» 
NongUbaveCCe  la  via  £acca  leccar  a. 

Non  però  d’angcl  fiero 'vmgKia,  nò  rofira 

Gli  nocquc  tanto  in  «^tacila  Cor  ce  averla. 
Quanto  il  moftro  pcggior  d’ogni  alrro  mo- 
Dico  laGclolia  cruda  e pervcrfa-t 
U Ceka  quella  del  feto  cicco  cHloltiro  , 

Con  Tamaro  veien,  clic  Cparge  e v 

Lo  Dio  nd ferro  armar  già  parve  poco. 

Se  non  fàcca  gelar  lo  I^io  del  roco. 

t70.  Venne»  Vulcano,  e l«  ' ’ 

Far  nel  Cuo  cote  foofa 

Che  per  prova  et  V 

D omiffaude'tit  taicafi  cflcr  eap^^ 

Ro^ineaU^l^^^ 

Chenon£ala2oanacitte,e  imo  p 

171.  Mentre  di  to  c*  vinto, 

Dal  dolor,  ftiiouU  al  petto 

A raddoppiargita^  Arcicr  di  Cinto, 

Vi  fovragiungc  a}  1>^  - . foCpctto 

Quelli  de  l^cagaoo^  ^ oifidìftinto. 


ih 


4 LA  PRIGIONE,  ^ 

17  Somiglia  il  monte  IftclTo,  ov’ei  dimora. 
Che  tutto  è carco  di  nevofa  bruma. 

Ma  da  l’internc  vifccrc  di  fora 
Le  faville  ellalando,  a vampa  , c fuma.  ' 

Nè  così’l  proprio  mantice  talhora 
Le  fiamme  Incita  e i pigri  ardori  alluma , 
Come  qucU’inveftigar  gli  foffia  e fpira 
Ne  gli  fpirtl  inquieti  impeto  d’ira.  . 

173^  Da  lo  fdcgno,  che  l’agita)  e rirrita , 
Sofpinta  fuor  del  nero  albergo  borrendo , 
Con  la fcorta di  Febo,  c con  l’aita 
' Tràsè  machine  nove  ci  và  volgendo.  ; 

Quindi  fu  pofcia di  fua  mano  ordita 
La  catena,  ch’Adon  ftrinfc  dormendo. 
L'aurea  catena,  ch’en  prìgion  Icgollo, 

Fu  di  lavor  di  V ulcan,  penfier  d’ Apollo. 

1^4*  E non  folo  il  lavor  de  la  catena 
L’un  di  lor  cònfigllò,  l’altro  efl'egiAo, 
Màriftcfla  prigion  diFalfircna 
Fu  fabricatadal  medefmo  Dio. 

Come  ciò  fulTc , ò fc  notitia  piena 
N’hebbe  la  Fata  allhor,  non  sò  dir’io. 

Prefe  d'un  vii  raagnan  ve  Ila,  c figura, 

E di  tefler  que’fcrri  hcbbc  la  cura, 

£75.  Tuttavia d’hor’in  hor  quanto fiicccdc 
Gli  và  fcoprendo  il  condottier  del  giorno. 
Che  del  vaticinar  l’ arte  pofliede  , 

E d’ogni  lume  e di  fcienza  adornoi  ' 

E ficome  «;olui,  chc’l  tutto  vede 
Scorrendo  i poli , e circondando  intorno 
De  la  terra,  c del  Cicl  la  cima,  e’I  fondo , 

Può  ben  fave!  ciò  che  fi  nel  mondo. 


V ' 
/ 


Tu 


Canto  DECiMOTERzo.  4, 

Tu  fai  ben  (gli  dicea)  quanto  mi  calfc 
uchuo  mai  fernpre  , anzi  pur  noftro  honprc 
iichc’nme  quefto  debito  prevaJiè 
A 1 odio  ifteuo  de  laTDea  d’ Amore. 
Laqualpcrtua  caelon  , benché  con  falfc  ' 
Dimoftranzeil  veten  copra  del  còrc. 

Per  la  memoria  de  l’ingiuria  amica 
Mi  fu  da  indi  in  poi  iCemprc  nemica. 

177.  Hor  chepur  d’Himeneo  le  facrc  piume 
Quefta  indégna  del  Giel , Puria  d’Iiiferne 
Connovofcoruo  dl  macchiar  prefume, 

Vuolfi  ancora  punir  con  novofehernoi 
E pofeiache’lluo  indormico  cofturae 
A corregger  non  vai  freno,  ò governa , 
DelalVirpc  commun  penfar  bifogtia 
A cancellar  la  publica  vergogna. 

i78.Sc  l’obbrobrio,  c de  l'infamia  in  ciò  n6  vale 
Vagliane  homai  la  crudeltate,  eT  (àngue. 

Io  tl  darò  queft’avco,  e quello  llralc, 
Che’aTheffagliaferl  l’horribil’angue. 

Poi  quel  rozobercon , quel  vii  mortale. 

Per  cui  fofpirainnamorata,  elanguc, 

10  vòch’appoftisiconlaguida, 

C’hoggi  di  propria  man  cu  glie  l’uccida,' 

175».  Gon  quelli  detti  a vendicar  quel  torto  > 

11  torto.Dlo  perfidamente  indueej 
Poi  là  donde  pafiàr  deve  di  corto 

Il  trasformato  Giovane  il  conduce,  ' 

E di  tutto  il  fucceflb  il  rende  accorto  , 

Il  portator  de  la  Diurna  luce. 

Gli  disegna  I augel , gl’infcgna l’arte 
Pcltrattarl'arco,  cglierco^cgna,  c parte, 

. VoU  Ih  C Mà 


p LA  PRIGIONE, 

l3o.  Ma  qual  fatto  è sì  occulto* , il  qual  non  fia 
Al  tuo  divin  favcr  palefe  e noto,  ^ 

Virtù  del  tutto  cfploratrlce  e fpia, 

Intelligenzadel  fecondo  moto? 

Non  conofeente  Mercurio  opra  sì  ria, 

Mà  vuol  che  quel  penfier  riefea  a voto, 

E dal  rilchio  mortai  campando  Adone',  7 
L’arte  Icher  iiir  de  Taflaflin  fel  Ione. 

181.  La* ve  foggiorna  il  pargoletto  alato 

L’alato  melìaggier  volando  corfe, 

E per  fomma  ventura  addormentato 
Solo  in  difparte  entro’l  Giardinlo  fcorlc. 
Difcefe  a terra,  e gli  fi  mife  alato 
Lcggier  così,  ch’Amor  nonfen’accorfc. 
Quivi  pian  pian,  mentr’eipofava  fianco. 
Un’aurea  freccia  gl’involò  dal  fianco. 

l8i*  E’  di  tal  qualità  la  frefeia  d'oro. 

Che  dolcezza  con  feco,  e gloria  porta, 

Ra^a  falute  altrui , porge  rifioro , 

IlQor  rallegra,  e Vanì  ma  conforta, 

Et^  ha  virtù  di  rifvegliare  in  loro 
La  fiamma  ancor,  quand’è  fopita,  ò mOrta^ 

E fe’l  foco  none  morto,© fopito, 

Rifcalda  almen  l’amore  intepidito. 

183.  Senz’altro  indugio  e’Hfe  ne  vàcon  efià 
Dove  il  fàbro  crudel  guarda  la  pofta, 

E con  la  fotti!  defirezza  iftclTa. 

<jU  (cambia  l’altra,  ch’ha  nel  fuol  depoft^j 
Nè  veduto  è da  lui  quando  s’apprefla, 
eh’ altrove  intanto  ogni  fua  cura  hà  pofta. 
Mentre  la  caccia  infieme , e la  venduta 
Jnfidiofo  uccellatore,  afpetta* 

Tenia 


[0 

) 

jrfc. 

rTc. 

iCOi 


Canto  DEciMOTERzo. 

baffe  il  ruolo 
^'tadeudo,  e l-adocchiò  Vulcano 
per  troncagli  inuu  U vita . e’ivolo 
lotco  incurvò  con  la  fpictata  mano, 

«‘^b’avezzofolo  i 
Wa  1 colpi  d Amor,  co^o  inhumano. 
Malafaettad  or  da  la  ferita 
Sangue  non  tralTe.  c non  fù  pur  fentict. 

L inltnfibilc  ftrale  aventuroCb 
Colfelosi,  ma  fc  TuCato  effetto. 

Che  per  novo  miracolo  amorofo 

In.  vece  di  doloragli  diè  diletto; 

^ ^uciramor,  che  forfè  era  dubbiofb, 

Per  Tempre  poi  gli  ftàbili  nel  petto;  f 

Così  chi  tende  altrui  froda  & inganno 
E’miniftro  talhor  del  proprio  danno. 

]S6.  Pulito  Adon  lo  fcelerato  oltraggio 
Del  feritore  infuriato  e pazzo,  ° 
Stanco,  mà  quafi  a fin  di  filo  vlago-io 
Giunt’era  vifta  del  di vin  Palazzo, 

Quando  trovò  lotto  un’ombrofo  fro’gi®  ‘ 
Due  Ninfe  de  la'Dea  ftarlì  a fbllazzo*^, 

Et  havean  quivi  a i femplici  u0ignuoli, 

C he  trà’rami  venian,  tefi  i laccivolL  ^ 

clTi  187.  Tràquellefìla  fottilmcnccintefte 
;»  Pafsò,mànclpaflar  diè  nc  la  rete, 

E le  donzelle  a corrervi  flir  prefte 

Forte  di  preda  tal  contente  e liete. 

Belle  ferve  d’Amor , le  voi  fàpefte 
Qual  fia  l’augel,  ch’imprigionato  havete, 
Perch’a  fuggir  da  voi  mai  pi  ù non  habbia, 

Q come  ftrptto  il  chiuderefte  ingabbia. 

O z Cor« 


la, 

ìpolh, 


0 


yv  * LA  PRIGIONE, 

i88.  CoTPQti  liete  a la  j^reda , e tofto  c’haninò  • 
Tra’aocU  indegni  il  t'empUcetco  involto,  ' ^ 
Perche  ben  di  Ciprlna  il  piacer  fanno, 

Stimano,  che  gradire  il  devrà  molcoi 
Quindi  al’ hoftel del  Tatto  elle  fen yapno, 

E’I  lafcian  per  quegli  horti  andar  difeioitei^ 
Secureben,  chedaGlardinsibello 
Benché  Ubero  fia,  non  parte  augello. 

» 

l8p.  Giunto  al  nido  p ri mier  de'fuoi  diletti 
Sii’l  ramofccl  d’un  placano  fi  pofe, 

E vide  (ahi  dura  vifta)  in  quc’bofchetti 
Sovra  un  tapeto  di  purpuree  rofe 
Venere,  e Marce  che  traheanfoletti 
Intraftulli  d’Amor  l’horc  otiofe  , 

Alternando  crà  lor  vezzi  furtivi,  , . ^ 

-Baci,  moti,  forrifi,  attilafcivi. 

1^0.  Pendean  d’un  verde  mirto  brando  criidc»)- 
La  lorica,  l’elmetto,  e l’altro  arnefe 
Onde,  mencr’ei  facea  feiiz’armi  ignudò 
A la  bella  nemica  amiche  offefe, 

Era  il  limpido  aciaf  del  cerfo  feudo 
Specchio  lucente  a le  fue  dolci  imprefe, 

E con  l’oggetto  de’piacer  prefenti 

‘ Raddoppiava  a l’ardor  faville  ardenti, 

1^1.  Volava  incorno  aquel  felice  loco 

Zefiro,  il  bel  cultor  nel  vicin  prato, 

E de  fofpiri  lor  temprando  il  foco 
Con  la  frefeura  del  fuo  lieve  fiato., 

E con  vago  ondeggiar,  quali  per  ^ioco 
Sventolando  il  cimier  de  l’elmo  auratOj! 
pacca  concorde  a le  frondofe  piante 

' r L’armatura  fonar  vota  c tremante.  ^ 

Sopì 


CANTp  tjfiClSiO'TÉRzo. 

Komàl  <le  la  tenzoti  la/civa 
G fcWU=Iufinghc.  c le  càf/zze. 
Gm^rang,a  tràftu  I leggiando  a riva. 
Del artiorofelor  prime  dolcézze, 
^ladormendo  pian  piati  dólce  languivi, 
^ Rema  immortai  de  le  bellezze} 

Nè  m<m  che’l  forte  Dio.  la  bellà  Deà 
A atte  le  fpogUé  fuè  depóftc  havca. 


il>i-  Pàrgoleggìariti  éfiTercitl  d’Ariiori 
Fan  mille  Ichethi  al  bellicofb’ueo} 

E qual  guizM  tra*ramì,  e cjual  tra'fiorl 
Qnal  fende  l’atia-,  e cjual  diguazza  il  rib, 

E peichè  carchi  d’itc  , e di  fifròri 
Non  cede  in  ttitto  aincor  gli  occhi  a l’oblió , 
Tal  v’hà  di  lor,  che  *nlui  ta'citó  àventà 
- VJn-fdnnàcchlofo  ftral,  che  l’addormenta. 


f^4.  Làfciafi  tutto  alllidf  cader  ri  verfo 
Il  Feroce  fhotor  del  cerchio  quinto , • 

E nel  fondò  di  Lcthc  apidno  Iniróerfo 
Sefrhbrà  viè  più,  ch’addòrmentató,  eftinto. 
Di  fangue molle,  é di  fadore  averlo , 

Dal  mòtoflanco , e dal  Lethàrgo  vinto. 
Rallentati  non  fcioltii  nòdi  cari, 

Soffia  il  Tonno  dal  petto,  c dà  le  nari. 


1^5-  O che  rlfo,  òche  giùbilo,  che  feda 
La  fchicra  allhor  de’pargoletti  affale. 
Scherzandovaà  di  quella  parte  in  quella 
A cento  a cento,  e dibattendo  Tale. 

Un  fuggè.un  torna,  un  falta,  & un  s’arrefta 
Chi  su  le  piume,  e chi  fotte  il  guanciale. 

Le  cortine  apre  l’un,  l’altro  sfafeonde 
Tra  le‘  coltre  odoràteiis  tra  le  fonde. 

C 5 


Tal 


LA  PRIGIONE, 


„é.  Tal  polche  laffo,  e difarmato  U vide 
IDopo  mille  pofar  moftri  abbattuti. 

Oso  già  d’ailàlire  il  grande  Alcide^ 

Turba  importuna  di  Pigmei  minuti. 

Così  su’ l lido,  ove  Cariddi  Itride  , 

Sogllon  con  thirfi  e canne  i Fauni  attuti 
Del  CiclopoPaftor , mentre  ch’ei  dorme, 
Mifurar  Fotta  immenfc,  e’I  ciglio  informe^ 

Altri  il  divinGuerrier  con  sferza  molle 
piede  di  rofe,  e lievemente  otlende. 

Altri  àia  Dea  più  baldanzofo  e folle 
Fura  gli  arnefi,  & a trattargli  intende. 

Altri  la  cuffia,  altri  il  grembiallctollc. 

Chi  de  gli  unguenti  i bettoli  le  prende. 

Chi  lo  Ipecchio  hàper  mano,e  chi’l  cocarno 
Chi  fi  pettina  il  crin  col  raftro  eburno. 

i^S.Un  ve  n’hà  pofcia,U  qual  mcntr*ella  attfoim^ 
Del  fuo  cinto  divino  il  fianco  cinge, 

E vette  i membri  de  la  ricca  gonna,^ 

E con  l’auree  maniglie  il  braccio  ttrlnge, 

E ogni  getto , e qualità  di  Donna 
Rapprelcnta,  compone , inita  c finge. 
Movendo  sù  per  quegli  herbofi  prati^ 

Gravi  al  tenero  piede,  i fiocchi  auratL 

jpp.  L’andatura  donnefea , e’I  portamento 
Nc’paffi  fiioi  di  contrafar  prefume, 

E’ntantoconunmorbido  ftromento 

Di  canute  concetto,  e molli  piume, 

Ond' allettare,  & agitare  il  vento 
Cithereane’gran  Soli  ha  per  cottumc, 
Un’altro  de  la  plebe  fànciullefca) 

L’aria  fcotcndo,  il  volto  elirinfrefca. 

\fnal- 


CANTO  DEGIMOTERZO.  « 

Urfaltro  a l'arsi  ben  forbite  e b<;Ile 
Uatoàipi^liodel'Heroe  cclefte, 
Convièpluaudace  man  gl-invola  e fveUe 
Usllucid  elmo  le  £uperbe  creflc} 

E’I  vìfo  ventilandogli  con  quelle, 

Nc  fgombra  l’aure  fervide  e molcflc. 

Poi  da  le  fronte  gli  raG^iuga  c terge 
Le  c^de  ftille j on.de*l  Gidor  Lalpcrge* 

101.  Alcun’ altri  divifi.  a groppo  a groppo 
In  varie  legioni,  in  varie  (quadre, 

• Con  l’armi  dure,  e rigoroie  troppo 
Movon guerre  tràlor  vaghe  e leggiadre. 

Chi  cavalca  la  lancia,  e di  galoppo 
La  fprona  incontro  a la  vezzofa  madre* 

Chi  conun  Capro  fa  gioftrc,etornciy 
Chi  de  la  fua  vittoria  erge  i trofei.. 

loi.  Parte  piantan  gli  approcci, e vanno  a porre 
L’affedloaun  troweo,  c fanmontonde  l’Kafta 
Batton  la  breccia,  c fon  caftello,  e torre 
La  goletta,  c la  corazza  vaila. 

Chi  combatte,  chi  corre,  c chi foccofre. 

Altri  fugff  e,  altri  foga,  altri  contraila. 

Altri  per  rampie  e ibaciofe  ilrade 
Con  amari  vagirl  inciampa,  c cade. 

xoj.  Queilid’Inrcgnain  vece , il  veldifciolto 
Volteggia  à)  l’aura , e c|uci  l’afFcrra,  c ilracda. 
Colui  la  teilalmpam  itOjC’!  volto 
Ne  la  celataper  celarli  caccia , 

E dentro  vi  riman  tutto  fepolto 
Colbuilo,  con  la  gola,c  con  la  faccia. 

Coiluì  volgendo  ji  l’averiario  il  tergo 
Corre  a iàlvariicutro  al  capace  uibergo. 


. - LA  PRIGIONE,. 

204.  Ma  ecco  ih  tanto  il  Principe  matóiorè 
C c l’alato  fquadronj  c^ìe  lor  comanda. 
Comanda  dico  a gli  altri  Amori  Amore,' 

A gli  altri  Amori,  i quai  gli  fan  ghirlanda^ 
Ch’ad  onta  fia  del  militare  honore 
Toftp  legata  a la  purpurea  banda 
1 a brava  fpada,e’nguifa  tal  s’adatti,  ' , 

Ch’a  guifa  di  timon  lì  tiri , e tratti. 

105.  Senzadimorailgrave  ferro  afferra  * - 
Sudando  a prova  il  pucril  drappello  - 
Cialcuno  in  ciò  s’ellercita,  e da  terra 
Sollevarlo  fi  sforza  lior  quello , hor  quello 
Ma  perche’l  pefo  è tal,  cn’a  pena  in  guerra 
Colui  chel  tratta  fuol  può  foftenello , 
Travaglian  molto,  & nan  tra  lor  divilc  ' 
le  vicende,  e le  cure  in  mille  guife.  ^ 

iiC6.  Chi  cur  voi  & anhelante  andar  lì  mira  ''' 
Sotto  il  gravofo  efaticofo  incarco 
Chi  la  gran  mole  affetta,  c chi  la  gira" 

JDov’c  più  piano,  e più  fpedito  il  varcO«  v.1 
Chi  con  la  man  la  fpinge,  e chi  la  tira  * - , 

O’con  la  benda,  ò col  cordon  de  l’arco. 
L’orgogliofofanciul  guida  la  torma 
Tanto  che  con  quell’aUc  un  carro  forma. 

107.  Pon  quali  trionfai  carro  lucente 
I cl  fovrano  Campion  lo  feudo  in  opra  , 

E per  feggio  fublime  & eminente 
Alto  v’acconcia  il  morion  di  fopra. 

Quivi  s’affide  Amor,  quivi  fedente 
Trionfadel  gran  Dio, che  l’armi  adopra- 
Trahendo  in  cauto  il  van  di  loco  in  loco 
In  vece  di  dcftr icr,  lo  Scherzo , c’I  Gioco, 

AccU* 


CANTQ  Dé;CTMOTER:20.  57 

08.  Acdama, applaude  con  le  voci,  e igeili 
L’infana mtba  de  ^li  Arder  feguacl, 
Dkeanper  ónta>  e per  dilpregio.  E’quc^ 
L’invuto  Du.ce,  i'idomàtor  de’Thraci? 
Loftupor  dc’mòrcalìj  c dc’celelli? 
llicrror  de’trerà'endiye  de  gli  audaci? 

Chi  vuol  favCr,  dii  vuol  veder  s*è  quegli»  , 
Dehvengàloà  rìiirat  pria  chefì  fvegli. 

109.  Ecco  i falli , c i trioni  Uluftri  & altL 
Ecco  gli  allori,  ecco  le  palme,  e i fregi 
Più  non  lì  vanti  Uomai,  più  non  s’ellalci 
’Pcr  tanti  Cuoi  si  glorlofi  pregi> 

QuantTiebbe  uncqua  vittorie  in  mille  adàlct 
Soggiacciòn  tutte  a i noftri  fatti  egregi. 
Scrivali  quella  imprefa  in  bianchi  marmi, 
'Vincan  vincàn  gli  amóri,  c cedarn  l’armL 

XI  o.  A quel  gridar,  fonnóche  l’aggrava, 
Marte  fi  fcuote,  e Cìtherea  fi  della, 

E poiché  gli  occhi  fi  forblfce,  clava. 

Le  fparfe  Ipoglie  a rìvellir  s’apprella  , 
Adon , che  lo  Ipèttacolo  mirava, 

T^on  Ceppe  contener  là  lingua  mella; 

Ne  potendo  sfogar  la  doglia  in  pianto, 
f ù coftràtò  addolcirla  alnren  col  tanto. 

III.  Aiftót  (cantò)  nel  più  felice  fiato. 

M’alzò,  che  mai  godefle  alma  terrent^ 

E’n  sì  nòbile  àrder  mi  fè  beato, 

Che  la  gloria  del  mal  temprò  la  pena. 

Hot  col  ricordo  del  piacer  palTato 
Dogliofi  oggetti  a rilguardaf  mi  mena,  ^ 

Là  dove  in  quel  bel  fen,  che  fu  mio  feggio> 
Altri  gradito;  c me  tradito  io  veggio, 

c s. 


La 


LA  PRIGIONE» 

xix.La  Dea, che  del  mar  nacque,e  da  cui  nacque 
11  crudo  Arder,  che  m’arde?  e mi  faetta  , 

Si  compiacque  di  me , ne  le  difpiacquc 
A mortale  amator  farli  foggetta, 

O più  del  mar  volubil,  che  irà  Tacque 
Pur  fermi  fcogli  e ftabili  ricetta} 

Ma’n  te  naca  dal  mare,  oimè  s’afeonde 
Un  cor  più  variabile  de  Tonde. 

aiV  lo  per  ferbar  l’antico  foco  intatto 
SofFerfi  in  riaprigion  miferie  tante. 

Ne  perche  lieve  augello  ancor  fìa  fatto> 

Facto  ancor  lieve  augel,  fon  men  collante* 

E tu  sì  torto  il  giuramento,  e’I  patto 
Ingrata  hai  rotto,  e difleale  amante? 

Ahi  ftoltoè  ben  chi  trovar  più  mai  crede 
Poi  che’nCiel  non  li  trova,  in  terra  fede* 

Qui  tacque,  e quel  cantar,  benché  da  Marte 
Filile  ò nonben’udito,  ò maTintefo, 
L’indull'epure  aforpettare  in  parte 
Del  Tuo  rivale,  e ne  rertò  fofpefoi 
P temendo  d’amor  Tln^anno,  e l’arte, 

£ bramando  d’haverloo  morto,  ò prefo  , 
AMercurio  il  moftrò,  che  quivi  giunto 
Con  Amor  ragionando  era  iùquelpunto*. 

215.  Il  peregrino  augel  fobico  allhora 
Po  erge  dal  vicin  ramo,  e fi  dilegua* 

E’I  meflàggio  divin  non  fa  dimora 
Fnr  come  id  per  ritenerlo  il  fegua. 

M»  poiché  fon  di  quel  bofehetto  fora» 

Del  fugace  il  feguace  il  volo  adegqa, 

E là  dove  più  folta  è la  corona 

Dft’ oditi  ombrofi  il  ferma,  egli  ragion^  ^ 

Omefebi* 


CANTO  DEC  IMOfTERZO.  p 

0 mcfcKinel  » che  per  qucft’aere aperto 
Su  le  penne  noa  tue  ramingo  vai» 

Dl  tanto  mal  fenza  ragio  loiFerto 
fuorché  te  fteffo,  ad  incolpar  non  hai, 
Ch’eflendo  pur  de  Taltrui  fraude  cerco. 

Dar  voleftl  materia  a i propri  guai. 

Non  però  dcfperar,  poi  ch’a  ciafeuno 
Bùl’aiuto  del  Ciel  iempre  oporruno. 


0 

•> 

ire?» 


crek 

felle* 


117.  Già  de  la  della  a ce  cruda  e nemica 
CctTanglinflaffi  homai  maligni  e trifti. 
Mà  pria  che  n un  con  la  figura  antica 
Lama  perduta  ancor  gemma  racquifti 
Durarti  converrà  doppia  fatica, 
Tornairdo,alloGO  onde  primier  partifK, 
Blavartibenben  nc  la  fontana 
Poflente a riformar  la  forma  humana. 


prefo» 

iato 

ra 

r 

a 

a* 

•ota» 

i^a, 


Xj8.  De  l’acqua,  ove  li  tua  fata  entra  abaguarfi 
Quando  depon  la  ferpentina  fpoglia, 
Poic’havrai  fette  volte  i mcrnbri  fpafff. 

Pia  che  larva  magica  fi  fcioglia. 

Tornato  a rcfl'cr  tuo,  vanne  ove  ftarfi 
In  guardia  troverai  di  ricca  foglia 
Moftro  il  più  ftravagance,.il  piu  diverfo, 

Che  li  fcorgclTc  mai  ne  l’Univerfo. 


119.  Ha  fatteexe  di  Sfinge,  e tien  confixfc 
Quattr’orecchie,  quattr’occhi,  altrecant’alr. 
Due  luci  ha  Tempre  aperte,  altre  due  chiufir 
E le  piume,  e l’orccchie  ancor  fon  tali. 
Luut^hel’orecchìe,  a’bei  difcorlìotcufe. 
Non  cedono  d’ Arcadia  a gli  animali. 

La  tua  faccia  fi  mura,  c fi  trasforma 


X^\X  tu»*  ***-w--  , 

Ou  CJiunAlcoutC)  iu  formi* 

^ Ci» 


L;a  PRIGjlONE, 

111.  Vario  fcmpre  il  color  lafcU}  c ripiglia. 

Nè  mai  certa  fcmbianza  in  fe  ritenne. 

Come  veggiam  la  eretta,  e labarbiglia 
Del  Gallo  altler,  che  d'india  in  prima  venne 
Bianca  a un  punto  apparir,  verde, e vermiglia 
Quallhor  gonfio  d’orgoglio  apre  le  penne. 
Così  Tua  qualità  cangia  fovente, 

Secondo  quel  thè  mira,  c che  fente  , 

111.  La  vetta  ha  parte  d’or,  parte  diTquarci  • 
Divifaca  a quartieri, c fatta  afpicchi, 

Quindi  di  cenci  logorati  e marci , 

Quinci  di  drappi  ^retiofi  e ricchi. 

Non  afpetti  chi  va  per  contrattarci. 

Che  ne  le  vene  il  denfe  ei  gli  conficchi, 

Però  che  morfo  ha  di  mignatta,  e d’ance, 
Chenonftraccialà  carne,  e fogge  il  (angue, 

iiii  Tagliente  , aguzza  , & uiicinuta  ha  l’ugna, 
E dritto  il  piè  manco,  e zoppo  il  deliro. 

Ma  nel  corfo  però  non  è cn  il  giugna, 

E è d’ogni  arte  perfida  maellro. 

Son  Tarmi  lue  , con  cui  combatte  e pugna, 
In  mano  un  raffio , a cintola  un  capeftro. 
Tira  l’un  le  genti,  e le  foggioga. 

Con  Taltro  poi  le  ftrangola,  e Tattòga 

113.  Non  fi  cura  d’Amor  quelli  ch’io  dico. 
Altro  che  Tutil  proprio,  ama  di  radoj 
• E ne’guadagni  fuoi  Tempre  mendico. 

Sta  Tempre  intento  a cuftodir  quel  grado. 

Sol  per  diflegno  applaude  anco  al  nemico. 
Nè  conofee  amittà,  ne  parentado, 

L’amrcitic,  le  leggi,  e le  promelTe 

Tutte  fon  rotte  alfiin  da  Tlnterettc. 

\ ^ ^ 


lQt&< 


CANTO  DECIMOTERZO. 

Intereffe  s’àppella  il  moftro  avaro 
t)elcncche2ze  c del  chefor  cuftodc. 

Del  thcforo , ove  chiufo  è l’anel  raro, 

■’  Non rifguarda  virtù ,ragìon  non  ode. 

Ticn’  ci  le  chiavi  de  T albergo  caro. 

Nè  vale  ad  ingannarlo- aftucia,ò  frode. 

E perche  vcgghiaognor  con  occhi  attenti, 
V uolfi  modo  trovar,  che  l’ addormenti 

115.  Per  Indurlo  a dormir  >dc  Tarmonia 
L’arte, ond’ Argo  delttfi.  in  ufo  porre 
Vanità  fora  inutile  , c follia, 

Gh’ogni  cofa gentile  odia  & abhorre, 

E di  qual  pregio  il  Tuono , e canto  fia  . ^ 
Nonconofee , non  cura,e  non  difeorfe. 
Come  colui , che  ftupido  & inetto 

' D’ Afino  ha  inun  V udito , e Tintelletto. 

116.  A far  pcrò,ch*ebro  del  tutto,e  cieco 

Difonno profondiflìmo  trabocchi. 

Baderà, che’lbafton , ch’io  porto  meco. 

Un  tratto  folben  leggiermente  il  tocchi. 

Farò  nèpiù  ne  mennel  cavofpecó 

Al  Serpente  incantato  appannar  glroccKì, 

Acciocnc  fuor  di  quc’dubbiofi  palli 

Senza  intoppo  fecuróf  andar  ti  lalfi 
» « 

az-^.  È mìa  cura  far àfrir  poi  dormire  , 
lie  guardiane  ancor  de  gli  aurei  frufti. 
Perche  non  ti  difendano  à l’ulcirc 
La  porta , che  vietar  fogliono  a tutti. 

Giu^o adempia  rtiadon, mille  apparire 
Afpettl  vi  vedrai  fqnaTIIdi  e brutti. 

Vedrai  la  Donna  rea  con  altra  faccia 
A che  fciaguraiBlfor^  foggiaccia. 

Entra 


'4^  LA  prigione, 

xi8.  Entra allhor  ne  r£rario,e  quindi  preRo 
Prendi  il  gioiel,che  de  la  Dea  m dono. 

Ma  nuU’dcr'o  toccar  di  tutto  il  redo. 

Ben  ch’apparenza  in  vida  habbia  di  buono^ 
Quante  cofe  v’hà  dentro(io  ci  procedo) 
Contagiofe , e sfortunate  fono, 

Eciafcuna  con  fece  avien  che  porte 
Augurio  crido  di  ruina  > ò morte. 

Ufeito  al  fin  de  la  gran  pianta^avcrci. 

Poi  eh’ una  noce  d’or  colta  n’havraì, 

Fà  ch’appo  ce  nc’  tuoi  viaggi  incerti 
La  rechi  ognor , fenza  lalciarla  mai. 

Perche  valloni  derilij  e deferti 
Badar  convienti  inhabitati  ad'ai,  • 

Là  dove  fianco  da  sì  lunghi  errori 
Penuria  havrai  di  cibile  di  licorL 

130.  Il  gufeio  apprendo  allhor  de  Taurea  noce. 
Vedrai  novo  miracolo  inudito. 

Vedrai  repente  comparir  veloce 
Sovra  raenfa  reai  lauto  convito. 

Da  minidri  incorporei , e fenza  voce 
Senza  làver  da  cui, far  ai  fervito. 

Nè  mancherà  d’intorno  in  copia  grande 
Apparato  di  vini, e di  vivande. 

131.  Con.quedI  ultimi  detti  il  Corrler  Divo 
De’ Numi  eterni  il  fuo  parlar  conchiufe, 

E la  tornato,  ove  lafciò  Gradivo, 

La  bugia  colori  d’argute  feufe. 

Ma  poi  con  Citherca  cheto  e furtivo 
Lungamente  in  difpar te  ei  fi  difRife , 

E le  narrò  dopò  la  ria  prigione 
11  calbmifeiabUed’Àdone. 


Indrutto 


canto  decimote 


loflrutto  Adon  dal  confi^lcr 
Perle  due  volte  già  varcate  vie  ^ 

Monwrdò  punto  a prendere  ii  camir^o 
Verfo  le  cale  federate  e rie. 

Era  quand’egli  entrò  nel  bei 

Tra'l  fin  de  l’Alba, e’I cominciar  «Ad  dio 

Già  s’apriva  del  Ciel  l’occhio  dlvirrao  * 

Et  cr a a punto  il  dì  (acro  a Sat VI  r lao  ^ 

IJ5*  Ode  intanto  fonar  tuuo  il  Palarlo 
Di  lamenti , che  van fino  a le  flcllo» 

C^afi  infelice  & horrldo^  preTagìo 
Di  dolorofc  c tragiche  novelle. 

Et  ecco  vede  poi  lo  ftuol  malvallo 
Sbigottir  , fcolorir  de  le  doiaxe  Ile  ^ 

Equafi  di  cadavere,  ogni  gviaxxjcla: 

Di  vermiglia  tornar  UvidajC  r axxclsu. 

434.  Vedele  horribilmcntc  ad  wna  ad.  una 
Vcftir  difozzafquamail  cor^o 
E (falcun  ver  me  putrido  clalcuna 
Prender  difforme  cfpavcntoCa  ima^o 
Vede  tra  lor  con  non  miglior  fo-r  runa 
La  Fata  iftelTa  tr  asfor  mafi.  in  "Drago  , 

E’n fogge  formidabili  c lugub»  r x 

Tutte  al  5n  divenir  bifee,  c col  uV>ri- 


,11.  Mir»A<lt>ne,eftuvxfce,c  sv.  per  1 herb» 
Hmmondofeopa  tttaCcroat  le  IaC&, 

I BOU’huroiHat  quella  iuperba 

Inial  smfa  hi veduta,al  fonte  paflà, 
t .7rÌhc  l'alto  avifoin  mente  ferb^ 


tA  PRiGIOlStÈ, 

zj6.  Ritolto  dunque  a pien  Vedere  antlqao, 
Volge  al  thefor  di  Falfireria  il  pad'o, 

E ritrova  su  Vufcio  il  moftro  iniquo 
Dormir  sì£brtethente  a capo  bauo, 

Che  par  mirato  col  fuo  fguar^o  obliquo 
L’habbiaMedufa,  c convertito  in  fallo. 

Onde  pria  che  lì  rompa  il  foniio  grave. 

Non  lenza  alcun  timor  gli  toc  là  chiave, 

137.  Quand’egli  hàbén  quelle  fémbianze  feoirtre. 
Quando  il  crudo  rampin  gli  mira  apiedi. 

E quando  il  tocca , non  ha  il  cor  sì  forte. 

Che  non  gli  tremi  da  l’intcrrie  fedi. 

Pur  la  chiave  feiogliendo , apre  le  porte 
De  la  conferva  de’  più  ricchi  arredi. 

Era  grande  la  ftanza  oltre  mifura, 

E di  gemme  havca’l  fuolo,c  d’or  le  muràì^. 

138.  Di  lampe  in  vece, é ili  doppieri  acccfi 
Sfavillanti  piropi  ardono  intorno, 

eh  ’a  m'eza  notte  aVàuree  travi  ap>pefi 
Fanno  l’uffició  del  Rettor  del  giorrio. 

Dodici  Segni  altretaiiti  Meli 

Rendono  U loco  illullrémente  adorno. 

Statue  fcolpire  di  finiliim’òro, . 

Che  per  ordine  ftanne’ nicchi  loro. 

HauvI  ancora  i Pianeti , c gli  Elementi, 
Tré  Provincie  del  mondo, e quattro  Erari, 
Rilievi  pur  d’artefici  eccellenti. 

Del  metallo  medefimo  intagliati. 

Parte  poi  di  bifanti,é  di  talenti, 

Di  medaglie, c di  ftampe  haiivida  I Tati, 

Parte  di  zolle  cariche , c di  ipafle 
Ampi  forzieri,  c ben  capaci  caflé. 


Trù 


orno, 

'O. 

Ictncntu 

•o  Brati» 


C 1 3Ml O T E. 'IL  Z.  O. 

tavolini 

D cftramt  pietre.c  gàbbìnetti  molti. 

Che  di  vezzi  di  perle  , c di  rtiBlrti, 

A f mticclii,  c c\iiTxu.li  ^'accolti*. 

Altri  lapilli  gcncrofi  c fini 

In  più  groppi  vi  fon  legati  i e fciolii. 

Scettri,  c cofonc  ,v*hàbrancHi&li  , cx’<^ic> 
E catene  , e cinture,dc  altre  cofifc. 

^41»  Vi  conofibe  trà  mille  Ì\  bel  di  arnantè 
Adon,clte  già  la  Nlàga  e itipia  gli  tol£c. 

C r>io  coti  cjnanti  baci,o  13io  con.  ^tiaiitb' 
Aficttuolè  lagrime  il  raccolfit- 
Ma  quando  poi  col  fido 
Gli  occKi  aPamaca  iitiagine 
Traboccò  di  Iccicia  ib  canto 
Chrfclic^Pirtiagixiax  refta  in 

14Z.  Sorge  in  rhezó  a la  fsila  atiireo  cdlbflb 
Maggior  de  gli  altri  affai  tutto  d’uti  pezzo^ 
I>*un  pezzo  fèl,ma  si  mafficcio  e grofid. 
Che  non  è fabro  aFabricarne  avezzo*  • 
Di  Forttma  Hà  l'cfligie  > e tiene  adono 
Tante  ^Ydrnc,fe  nel  rcn,cbe  non  hà  prettò; 
Tal’è  la  rota  ancor,tal*è  la  pa'lla»  . 

Tale  il  Dclfin,cbc  la  foftlcnc  m Cpalla. 

X4}.  A piè  di  quella  un 
R.iccamente  legato 
E vergata  ogni  linea , 

In  idioma  Arabico  fi 
De  lo  ftranio  volume 
Ornamento  nonè>cbc 

La  coverturain  ogni  par^ 

Di  fin  topatlo  clviddo  collrtvrta. 


« LA  TRIGIONB, 

244*  Son  le  fibbie  alla  (poglia  ancor  (Imlli, 

Di  zaffiri  compoftc , e di  gì  acinti. 

Son  d’or  battuto  in  lamime  Cottili 
I fogli  in  bei  caratteri  difiinti. 

Ha  di  fregi  ogni  foglio , e di  profili 
D’azurro , e minio  i margini  dipinti, 
Sfigurata  di  grottefche  antiche 
LemaiuCcolc  tutte, e le  rubriche. 

14;.  C^nti  ha  thefori  il  mondo  a parte  a parte^ 
Ciò  die  la  terra  hà  in  fen  di  pretiofo, 

Opra  fia  di  Natura , o lavor  d’ Arte, 

In  miniere  diffiifo , o in  arche  afeoCo, 

Tutto  fcritto  e notato  in  quelle  carte 
Moftra  l’Indice  pieno , e copiofo. 

I propri  lìti  infegna , e’I  lor  cuftodi, 

E per  trovargli  i contrafegni , oi  modi. 

Gira  Adon  gli  occhi  c’n  quefta  parte  c*n 
Scorce  diverfc,e’n  sù  diverfe  bali  [quella 

Ricche  reliquie, e’n  rotolo,©  in  tabella 
De  le  memorie  lor  deferitti  ì cafi. 

V’hàdc  la  pioggia , in  cui  per  Danae  bella 
Scefe  Giove  dal  jCÌiel , colmi  gran  vali. 

E verghe  v’hàd(  traboccante  pondo. 

Che  dal  tatto  di  Mida  hebbero  il  biondo, 

*47*  V’hà  l’aurea  pellejche  d’haver  fi  vanta 
Rapita  a Coleo  il  nobile  Argonauta. 

E v’hà  le  poma  de  l’Hefperia  pianta, 
Ond’Alcidc  portò  preda  sì  lauta. 

Le  palle  v’hà , che  vinfero  Atalanta , 

Pur  troppo  il  corfo  ad  arreftarvi  Incauta, 

Et  hauvi  il  ramo , che  fterpar  dal  piano 
Fè  la  Vecchia  di  Cuma  al  pio  Troiano. 

Vide 


panel? 

•ofo, 


ree, 


ifcofo, 


Canto  oegihaott z.  o.  <7 

X48.  Vide  firà  l’alcre  pompe  in.  un  paliftiro 
Pendere  un  fkCcio  di  £clvaggi  arnclL. 

Y*hà  laureerà  con  lottile  incaftro 
l^i  perle  riccamata  , e di  turcHeli. 

V*hà  gli  ftrali  per  man  d’egregio  maftro 
Difin* or  lavorati,  inlieme  appeii. 

N’havrla (credo)  non  cK’alrri  invidia  ApoUg^ 
Nè  so  le  tale  Amor  la  porta  al  collo* 

1.4^  L*arco  non  mende  lafaretra  adorno 
D*oro  e leca  1i3l  la  corda  attorta  iniiemc> 

Ed  nervo  il  bullo ,e  di  £L»rbito  corno 
Di  quello  capo  e onci  le  punte  eltr^xne. 
Brama  Adon  quefle  fpoglie  Haver 
Ma  di  Mercurio  il  duro  annuncio  teme. 
Vcdc,chc  de  la  fcritta  erpUcatrice 
Armi  di  Meleagrcsil  breve  dice- 


uefU 

itabclii 

an  vifi* 
onàot 

Ubloo^ 

>r(ìr^ 

iuta- 

ora» 


ca» 

ocaorai 
piano 
^tlO 


xs*.  Di  tutto  ciè  , cH-ivi  raccolto  ei  vede, 
^ Nefluna  punto  avidità 
Si  cUedi  tante  , e sì  ^,alia- 

Pur’una(ancorche 
Quefta  fola  delia,  jperc 

lui  ben  proprio  , c nccefl^arF  B 
Et  eflèndo  fonx’arco  , e fo  _ j ^ai  talL 

IJayernoa^cra  altronde  ai  mi  tn 

%St.  Adon  che  ^/ofoo  infette? 

Armi  a toccar  d i f_r.f«nnato  mira 

Ahi  trafcuraco  » “J’*  . ciucile  facttc. 

Chi  ciacU-arco  1 ira. 

Vi  A Diana  e maledette. 

Son.fotalmentc  * f^aalor  ,„orta. 

Da  che  ia  Fcm  m ^ porta- 

Infelici  l'ba  fotte  a c» 


*gR 


fji 


LA  PRIGIONE, 

x;i.  Eglijch’a  ciò  non  penfa,ò  ciò  non  cufji. 

La  faretra  difpicca , e pi'ehHfe  Tarco, 

E di  queftajC  di  quel  tienfi  a ventura 
Render  Thomero  cinto,  c’I  fianco  càfcò.' 

Poi  per  la  via  piùbréve  jèpiù  fecufa 
Del  tronco  d’or  fi  riconduce  al  varco 
Nè  trova  a corre  il  frutto  iiTìpàccìo.ò  nòia 
Col  favor  di  Mercurio,  ede  la  gioia. 

Tatto  quel  giorno, che  fra  gli  altri  fette 
E’  di  ripolo , & ultimo  fi  conta. 

Convertita  inDiagòn  la  Maga  ftetre, 
PocopofTente  a vendicar  qileironta. 
Nacquer  le  Fate  a tal  deftin  foggetee. 

Che  da  che  folge  il  Solffn  che  tramontài 
E dal  porre  ài  levar  la  brutta  feorzà 
Ogni  fettimo  di  perdon  la  forza. 

134.  Hor  qual  doglia  la  punfe,e  la  tràfilìe 
Poiché  (puntar  de  l’altra  lucè  t raggi? 
Quanto  allhor  fi  turbòpquanto  s’afmlTe 
Quando  s’accorfe  de  fuoi  nòvi  oltr  aggi? 

Ma  vanne  ingrato  pur , vattene  (difl’e) 

Che  là  vendetta  mia  teco  né  traggi. 
c Tacque , & a sè  chiamò  con  fiera  voce  ^ 
De  le  fuè  guàrdie  un  Caporàl  feroce, 

*-51  • ha  nome, altri  l’àppella  Ordente  j 

De  la  Superbia , e del  Furore  è figliò. 

In  bocca  fernpre  ha  le  minaccie,è  l’orite, 

. Travei  fo  il  guardo , e nubilofo  il  ciglio. 

Due  gran  corna  di  Toro  lià  su  la  frónte, 
D’ortò  la  branca , é di  Leon  rartiglio. 

Ha  zanne  di  Martino  /occhi  di  Drago: 
Figurar  nonli  può  più  fóz:tàirtìago. 

Grolfa^ 


veMriira 
fianco  tìitcfl. 
ùftcun 
aWarco 
picelo, ò noi 
la  gioia. 

tIì  altri  fcK 

\a  ftettó, 
[l’ontà. 
^ettc, 

e tranioflU 

:orzà 

:a. 


CANTO  DECIMqx£j^20, 

GroCa,c  rauca bvQcè^elailamra  ' 

veHrora  Emula  de  le  corri , ha  di  Gigante, 
venriira  ^ membruto  corpo  a la  mifiira 

Lo  fmifurato  fpirto  è ben  fembiantc.  \ 

Pietà , ragion, rcligion  non  cura. 

Perverrò, ineflqrabile , arrogante. 

Bruno  il  vifo  , irto  il  crine, il  pelo  hlffuto. 
Temerario  cosi, come  temuto. 

157.  Poich’a  coftui  narrate  ha  Falfircna 

L’ingiurie  fue  con  pianti, e con  querele, 

Udita  ei  la  cagion  di  tanta  pena. 

Sorride  d’un  lorrifo.afpro  e crudele, 

E ne  la  faccia , e ne  la  bocca  piena 
D’amaro  aircntio, gli  verdeggiali  fiele? 

E’I parlar^  ch’egli  fece  a la  Donzella, 
E’muggico , eruggito  ,enon&vella. 

ij8.  Mancini  tra  le  Sfingi,  c tra  i Plthoni,  - 

V andrò  (diceairenzameftlerd’aìuto.  ' 

Mandami  tra  i Centauri  c i Lcftriti-oni 
Dov’ogni  altro  valpr  refti  perduto.  ^ • 
Forami  pur  tra  i Procuri , e i Ceriom' 

Tutto  ardifeo  per  te,nulJa  rifiuto.  * 

Darti  in  pezzi  fraembrato  lin  vii  fanciullo 

Fora  di  quella  man  fcherzo,e  traftullo.  ^ 

1;^.  Imponimi  cofe  pur,ch’altri  non  poflà,  ‘ 
Dimmi,ch’io  domi  il domator  ^’Antco 
? ^ ^ foljd’una  percoflà 

Polifemo  t’abbatta  , e Briareo, 

Vuoi , ch’io  ponga  foiTovra  OÌImpo,  & Ofià} 
Strozzi  Efialte , e ftrangoli  Tefèo? 

Vuoi, che  Ibrani  ad  un  cenno,  echcdivoid 
: Cclgiardmo  diColco  iDraghi,e  ì Tori? 

Ch’io 


2 tralf^ 
riigp- 


.'annue 
jlcragg»? 
Offe) 

voce 

dee* 

hOtp^ 

;llo. 

l’oure, 

l'glio. 

rdnf^» 

riio. 

,go*. 


LA  PRIGIONE, 

t6o.  C h’Iofcacci  di  laggiù  l’cmplc  forcUéJ 
Ch’io  fnidi  di  lafsù  la  Luna , c’I  Sole? 

. I denti  fvellerò  da  le  mafcclle 
Al  rabbiofo  Maftindalctrè  gole. 

Carenato  trarrò  giù  da  le  ftelle 

L©  pio  ch’efler  invitto  in  guerra  fuole*  . 

Facll  mi  fia,fe  punto  ira  mi  move, 

Tor  l’Inferno  a Plutone,il  Cielo  a Giove.  . 

Porterò  (bvra  il  tergo, e su  la  fronte 
Soma  m^glor  d’ Atlante, e maggior  pondo. 
Nel  Nil  folcon  un  forfo  il  vafto  fonte 
Afciugherò,quand’hà  più  cupo  il  fondo  , 

Se  venilTe  a cader  novo  Fetonte, 

Se  minacciaffe  pur  ruina  al  mondo. 

Meglio  di  chi  l*hà  fetto,e  ftabilito 
A forza  il  fofterrei  con  un  fol  dito. 

i6t.  I poli  fgangherar  de  raffe  eterno 
( Pur  che’n  grado  ti  fia  ) mi  parrà  poco. 

Il  gran  globo  terren  vò  con  un  perno 
A guifa  di  paleo  librar  per  gioco. 

Il  fulmine  paflar  del  Rè  fuperno 
Al  corfo,  e di  vigor  vincerei!' foco, 

E ftracciar’a  due  man  l’iftefsò  Cielo 
Nè  più  ne  men  come  le  fuffe  un  velo. 

^^5*.  Le  bravure  de  l’un  l’altra  afcoltando, 

Si  divora  di  (Uzza , e di  tormento. 

Tempo  (dicc^non  è d’andar  gittando 
L’hote , o mio  fido,e  le  parole  al  vento. 
Malagevoli  imprefe  io  non  dimando , 

Noto  m’è  troppo  il  tuo  (bmmo  ardimento. 
Sò  le  tue  forze,il  tuo  valor  ben  veggio, 

Ma  molto  men  di  quàto  hai  dettolo  dileggio 


om, 


ilSoIci 


CANTO  ©TERZO.  71 

itf4.  Prendimi  fol  quel  fijggìtivo ingrato, 

' Pcrfido>diilealc , e ^r^ditore. 


:oIe. 


la 

55  . 

aGiOT^ 


Prendilo  ^'e  traUo  vivo  a me  legato. 

Ch’io  sfoghi  a lenno  mio  l’Ira , e’I  dolore. 
Vivo  dammi  il  crudel , che  m’hàrubatos  * 
Difle  il  thefor , ma  volfedire  il  core. 

Oltre  via, farò  pur  (foggiunfe  Orgoglio;  [glio; 
Quel  che  vuoi, quel  che  deggio,c  quel  chefo- 


roDtc 
lorpo»>> 
oait 
fbfldoj 


16S-  Non  molto  ftà  dopo  tai  detti  a bada,; 


E s’accinge  al  partir  l’anima  altera. 
Prende  un  fcelto  drapel  di  Tua  mafnada» 
Gente  fimile  a lui  malvagia  e fera. 


Seguendo  il  vanper  non  battuta  ftrada 
Il  Difprezzo , e’I  Dilpetto  in  una  febierd. 
Lo  Icherno  è feco , e feco  ha  per  viaggio 
L’Infolcnza,il  Terror, l’Onta, c l’Oltraggio, 


c(J. 


%66.  ^afeorre  i campi,  e fi  raggira  & erra 
Spiando  del  Garzonla  traccia  in  vano. 


Porta  ovunqu’egli  va  tcmpefta,e  guerra. 
Fa  tremar  d’ogn’intorno  il  mpnte,e’l  pii 


L’elci  robufte , e i grolfi  faggi  atterra, 
Zpeia  i bofehi  con  la  (concia  mano. 


piano* 


Col  loffio  (bl  par  ch’ammorzar  preluma 
La  gran  hunpa  del  Clel,che*l  nmndo  alli 


allum^ 


Il  Fini  Dbl  De  c imo  t b 1.  z o,» 
Can  t 0. 


GLI 


gli  errori 


CANtO  DECIMOQ.VARTO.  . 
ALLEGORIJ* 

L travcftirfi  d’ Adone  in  amefi  dà 


L’eflcrprelo  da  ladroni  il  faggi- 
re,  il  poi  di  nuovo  incappare , il 


alla  fiacl’efler  fatto  un’  altra  volta  prigioniero, 
può  dimoftrarci  le  difficoltà  c i pericoli , che  fi 
attraverfano  al  godimento  della  Humana  con- 
tentezza. La  morte  di  Malagorre  uccifb  da 
Orgontc,ciavifailgiudìcio  della  divina  ^iafti- 
lia,  che  molte  volte  a punire  i malvagi  £liol 
fervirfi  del  mezo  de  gl’iftefii  malvagi.  La  ca- 
duta d’Orgonte  ci  dinota  il  fine  , dove  va  a 
parar  la  Superbia , la  qual  quanto  più  arrogan- 
temente prefume  d’opprimere  altrui  , tanto 
piy  profondamente  viene  a precipitare.  Il  cafa 
di  Filauro,  &dlFilora,  cheinfindal  nafeimen- 
to  fono  accompagnati  dalle  feiagure,  cl  di^gna 
la  vita  travagliata  di  quegl’infelici  orfani,,  che 
mfeono  alle  tribulationì,  & alle  mlferic.  L’au  vc- 
nimcnto  di  Sidonio , &diDorl{be , le  cui  tragi- 
che fortune  vanno  à terminarli  in  allegrezze,  ci 
rapprefenta  il  ritratto  d’un  vero  & leal  amore, 
che  quando  non  hà  per  fcmplicc  fine  la  libidine» 
ma  è guidato  dalla  prudenza  , & regolato  dalla 
temperanzajSc dalla modeftia  , fpcflb  fortifee 
buòn  fuccefio.  La  feverità  d’Argcnc  , la  qual 


Donna  vuole  avertirci  l’habito 
molle  della  gioventù  effeminata. 


dar  nelle  mani  del  Selvaggio , & 


pure 


lì 

mre  al  compaflìoncTolc  oggetto  de’ loro  amo- 
:ofi  accidenti  alla  fine  fi  placa  > & muove  a pie- 
:à,cifignifica  il  rigore  del  divino  fdegno,il 
i^uale  ( lecondo  il  noftro  modo  di  parlare]  fuole 
intcnerirfi  quando  vede  patire  per  bontà  l’In- 
nocenza, ò dolerfid’hav?r  peccato  per  debolea^ 
u ia  fiagllicà. 


Vtl,  lU 


b 


ASLG  O* 


74 


ARGOMENTO. 

• ) 

Afcoltn  dì  Sidonio  i trìjll  amori 
piu  'volte  ptefo , e liberato  Adone. 

Condotto  a Pafo,e  dal  gentil  Barone 
Difcfo  pohritorna  a i primi  errori. 

X.  come  fatta  è vile  a’  giorni  noftri 

I I La  malitiajch’un  tempo  era  sì  degna. 

_1 A Non  manca  già  chi  ben  cavalchi,e  gio- 

Nè  chi  con  leggiadria  l’hafta  Coftegna.  [ftri 
Non  vi  manca  giierrier, ch’armato  moftri 
Sovravcfta  fuperba , e ricca  infegna, 

Non  già  per  acqniftar  nclmo|ido  fama» 

Ma  fol  per  farfi  noto  à colei  i ch’ama. 

1.  Vie  più  fi  (India  in  cittadina  piazza 
Tra  lieti  palchi,  e ben’ornatcfchierc 
A far  dove  (i  fcherza , c lì  follazza 
Fregi , c divife  al  popolo  vedere, 

Che  fotte  grave , e ruvida  corazza 
In  campo  ad  alTalir  fqaadre  guerriere, 

E dimoftrarfi  in  alcun  gran  conflitto 
PIÙ  con  ardir , che  con  vaghezza  invitto. 

Son  forbiti  gli  u(bcrghì,e  rifplendenti/ 

Tcrfi  gli  feudi,  e gli  ©Imi  luminofi. 

Perche  non  fono  ancor  chiari  c lucenti 
Coloro  che  ne  van  cosi  porapofi? 

Poveri  di  riccami , e d’ornamenti. 

Anzi  rotti , fmagliati , e fanguìnofl 
4Da  gran  colpi  dì  flocchi , c di  quadrella, 
Q^utoo  guanto  ^rianvlfta  più  bella*. 

Quanto 


CANTO  DECIMOQVARTO  7f 

-4.  Quamosfora  il  miglior  fpada , ò bipenne 
Trattar  nV  duri  aflalti , o Cavalieri 
Che  per  gioco  fpezzar  fragil’  antenne. 
Stancando  al  corfo  i Barbari , egl’Iberi? 

Che  vai  gli  augelli  impoverir  di  penne' 

Per  difplegar’al  vento  alti  cimieri. 

S’honor  mercandoinfra’l  nemico  fluolo. 

Non  impennate  a’  voftri  nomi  il  volo? 

5.  V uolfi  pili  tolto  con  qualch’atto  egreo-ì  ) 

Honorar  l'armi, &Uluftrar  gli  arnefi,^ 
C'haver  con  procacciar  da  quelle  il  pre^^io 
Da  rugin  di  viltà  gli  animi  olFefi  ° 

Far  devrebbe  non  men  corona,  e fregio 

A color , c’han  di  gloria  i cori  accefi, 
Connonmenbella&  honorata falma 
Che  l’acciaio , è che’lferro,alloro,epalma..- 

6.  Hoggi  pochi  ha  tra  noi  veri  foldatl, 

Che  per  vero  valor  veftan  lorica. 

Calzan  più  per  jfiiggir , fproni  dorati, 

Che  per  feguir  talhor  l’hofte  nemica. 

E con  abufo  t il  fon  tralignati  / 

Da  la  virtù, da  la  prodezza  antica. 

Che  fol  rubando , e violando  al  fine 
Son  le  guerre  per  lor  fatte  rapine. 

7.  Tai  forfè  efler  devran  gli  empi  villani, 

Che  far  al  noftro  Adon  vogliono  oltraggi?,. 
Non  già  tal  è il  Campion,che  da  le  mam  - 
Lo  fcanipa  poi  dal  predator  felvaggio. 

Iva  per  monti  Adone , iva  per  piani 
Contlnovando  il  mifero  viaggio. 

Poiché  fuor  de*rhegni,onde  fu  chiufo, 
DelaFataogn’ingannohebbedclufo.  . 

D t Ma 


7^  GLI  ERRORI,  « 

8.  Ma  perche  da  la  fame  è fpinto  a Forza, 

E da  la  fc tc  a dd'iar  riltoro, 

T ofto  da  l’aurea  nóce  apre  la  fcorza, 

E credenza  gli  appar  d alto  lavoro, 

E la  fece  , e la  fame  iniin  gli  ammorza 
Vall'ellameiuo  di  criftallo , e d'oro, 

Pien  di  quanto  la  terra, c’I  mar  difpen(a* 

E non  v’hà  fervi , & è fervicoa  menlà. 

Non  molto  dopo  , giunto  a la  marina, 
Vide,chc  pur’allhor  per  rinfrefcarfi, 

Scefo  ne  l’acqua  chiara  e criftallina 
Stormo  di  villanelle  era  a lavarli. 

Ciafcuna  havea  di  lor  ne  la  vicina  " - ^ 

Sponda  lafciati  i veftimenti  fparfi; 

E tutta  a fcherzi , & a traftulli  intente, 

A i pianili , & al  Garzon  non  poncan  mente. 

10.  Ei  fofpettando  pur , che  Falfirena 
Dietro  gli  manderà  gente  a la  pefta, 
Penfa.che  fe  trà  lor  Fortuna  il  mena. 

Potrà  meglio  celarfi  in  altra  velia. 

Prende  un’habìto  allhor  da  quell’arena, 

E perche’l  crin  gli  è già  crefeiuto  in  refta, 
Sovra  il  farfetto  pollafi  la  gonna. 

In  ogni  parte  fila  rall'embra  Donna.  : 

11.  A la  fpoglia , a lachioma,a  l^atto,al  vllby 
A l’andar , al  parlar  fallace  e finto 
Chiunque  il  vede,  hà di  veder’  avifo 

V aga  N infa  di  Menalo , ò di  Ci  nto. 

Ne  la  felva  ricovra , c quivi  alfifo 
In  un  pratel  di  mille  fior  dipinto, 

P4:ende  la  gemma, che  nel  ricco  incaftt<i 
Fù  già  legata  da  sì  dotto  mallro. 


CANTO  DECTMOQJV' ARTO. 

II.  Mira  nel  facro  anel  la  cara  i mago 
Di  lei, eh’ ancor  per  lui  tra^ge  fo/pirf, 

E dietroaVocchio ingordo  il  pen/fer  vago 
Fermando  in  elio, inganna  i fuoi  deliri.  ° 
Reftaìn  parte  pero  contento  e pao^o 
De  gliamorofifuoi  lunghi  marcir?, 
Veggendoalmen.cKe  pur  da  lei  fi  parte 
Per  girne  altrove  il  furiofo  Marte. 

13.  N on  gli  lafcia  ferrar  gU  occhi  doleotl 
1 1 folto  ftaol  de  le  noiotc  cure; 

E volgendo  irà  fe  gli  afp ri  accidenti 
De  l^affate  fue  difaventure, 

-*?iperation  de  le  prefènti, 

E l*alpcttatlpn  .dele  future. 

Per  trovar*  alfuo  mal  (gualche  conlìgtio 
^Scaccia  ogni  requie  da  lo  ftanco  clglm. 

14.  Purda’travaglidcl’afHitta  mente, 

E del  corpo  affannato , faticofo 
Vinco  torza  coavien , che  finalmente 
UbbldifcaaNaturafl  cor  dogliofo. 

Cosi  Inai  volenticr  cedere  confente 
A la  necelfità  d’alcun  ripolb, 

Nè  più  defender  occhi  egri  fiponno 
Dal  dolce  allàlco  d’un  piacevolfonno. 

13.  Mentre  giace  dorinendo.ecco  il  circonda 
TurbadI  mafnadleri , e di  ladroni, 

Gente  fcherana,  errante, c vagabonda, 

Son  forfè  trenta , e fon  tutti  pedoni. 

Alcuni  di  lonran  rotati  lafionda, 

Molti  fogUon  da  prelTo  ulàr  fpuntoni. 

Troppo  lì  ticn  chi  dì  metallo  armato 
Porta  in  braccio  il  brocchkr,  lo  Hocco  a Iat6i 

J>  i De 


I 


78  GLI  ERRORI, 

16.  De  l’armije  de  l’armar  fon  vari  1 modi. 
Hall  camice  di  maglia, & han  corazze. 
Adunchi  raffi , pali  acuti, e fodi 
Adufti  in  cima  , e capelline , & azze, 
^empcftatidi  punte  ,irte  di  cliiodl 
Adopran  parte  e niazzafruftrì,e  mazze, 
Giaverine  , e lanciotti , e curve, e larghe 
Le  ftorte  a’  fianchi , a’  gonjiti  le  targhe,  " 

17.  Vien  a tutti  davante  il  Capitano,  • i 
Capo  conforme  a compagnia  fi  fatta,  i 
Malagorre  s’appella  i è Rhodiano 

Di  natione e di  non  balla  fc blatta. 

PIÙ  d’una  volta  in  guerra  armò  la  mano, 
Ch’a  nobil’opre , a grand’imprefe  er’attsHt 
Ma  di  vendette  cupido , e di  prede 
A l’indégno  meftier  pofcia  fi  diede. 

xi8.  Nera , e folca  labarba , il  vifo  ha  bruno,  - r 
Occhio  fchizzato , e piccolino,e  roflb. 
Monca  la  manca, c fenza  dito  alcuno. 

Fregiato  il  nafo , Ove  s’incurvaTofib, 
Afciugator  di  tazze, e del  digiuno 
Mortai  nemico,huom  sìpefante.c  groflb, 
Ch‘a  pena  il  cape  il  ruginofo  ulbergo, 

Nc  può  portarlo  alcun  deftricr  su’ l tergo. 

ip.  La  defrra  ticn  di  lungo  fpìedo  armata. 

Dì  cuoio  cotto  a l’altro  una  rotella. 

Unatefta  di  Lupo  ha  per  celata, 

Celata  inlìeme  e fpaventofa , e bella, 

Che  la  bocca  (barrando  ampia  e dentata. 

Le  fauci  formidabili  rrnafcella. 
L’hifpideorecchie,  ch’irtein  altoftanno,. 

In  loco  di  cimici’  creda  le  fanno. 

AppreG 


CANTO  DECIMOCLVarto,  75 

i * 

iO*  Apprcflìiiti  coftofo  al  ^aiovinetro j 

Chedag,\iocchi  dal  Conno  ancor  Copici 
Spiravaua  dolce , e languido  dilecto, 

Stupefatti  reftaro  ,c  fblgotcici, 

Quafi  a la  viftadi  quel  primo  aCpetto 
Da  repentino  folgore  feriti. 

De  l’armi  intanto  al  Cuon,che  tpcchc  c molTj 
Faceanftrepitoinficme,ei  fi  riCcoile. 

ai.  Nons’atterrl{che  vago  era  di  morte) 

In  mirar  gente  si  feroce  e cruda. 

V enitc  I diffc;c  con  l’eftrema  Corte 
La  mia  favola  lunga  homaì  fi  chiuda. 

Il  Bargel  de  la  (quadra  accefo  forte  * 

Dibeltatanta>  alzo  la  deftra  ignuda, 

E confortollo , e fé  che  fidrizzade. 

Poi  pian  pian  prigionier  dietro  Cel  trafCc. 

xt.  Di  firada  ufcito,c  c]|uindi  hor.’alto,  hor  bado 
Tra  I erte  piu  difficili  d^iin  monte 
eiunCer  torcendo  il  calle, a piè  d’vn  Caffo, 

C he  d’alte^  querce  ombrofa  havea  la  fronte» 

> Torre  in  cima  forgea,  curdavailpaffo 
Sovra  doppie  catene  angufto  ponte. 

Queft’  era  de’  Ladron  la  cova,  e’I  nido, 

Quefto  il  refugio  lor  Cecreto  c fido. 


xj.  D altri  ladri  babitantnn  cjuefta  torre 
NumeroCafamilia  anco  s’accoo-lic, 

Che  cura  bande  l’albergo, e di  riporre 
Dal  Capitan  le  riportate  (*pogIie. 

Ognun  l honora  , Incontro  ognun  o'IL  corre 
Si  come  a proprio  Rè,fuordeleCo  S^ici 
Et  eflaltacdo  il  Duce , e la  Donzcita, 

X.odan di  forte  l’un,  l’altra  di  bella. 

■D  4 


Entrato 


So  GLI  ERRORI, 

&4.  Entrato  Malagro  difle , Compagni, 

Da  ch’io  Rodo  cangiai  con  queftobofco, 
HuorPjche  non  m’ami, ò che  di  me  fi  la^ni. 
Tra  voi  fin  qui  non  veggio,c  non  conoico. 
Sapete, ch’ogni  parte  hò  de’  guadagni 
Sempr’  egualmente  accommunatavofco. 
Dividendo  prigione',  vcfti,  ò danari, 

Sempre  tratcatirv’hò  meco  del  pari. 

xf.  Che  quando  elcflì  una  tal  vita.e  quando 
lo  declinai  de’  miei  l’alte  veftigia, 

Non  tento  agir  fuor  de  la  patria  in  bando 
De  l’or  mi  mode  l’avida  ingordigia. 

Quanto  con  atto  illuflre  e memorando 
De’  nemici  mandati  a l’onda  Stigìa 
Da  fronte  a fronte,e  lol  per  valor  d’armi> 
Generofo  defio  di  vendicarrnL 

Hor  fé  non  di  mercè  tanta  indegno,  - 

Vi  cheggio  in  cortefialola  coftei. 

Ben  per  la  poteftà,di  cui  già  degno  •- 
Mi  giudicafte , torlami  potrei» 

Ma  tolga  il  ciel,ch’io  nulla  haver  con  (degno 
Voglia  giamai  de’ famigliari  miei.  ^ 

D a voi  torrolla , e fotto  i voftri  aufpici, 
Qiwndo  vi  piaccia,io  vene  prego  Amici, 

X7-  Tutti  d’un  voto  acconfentirò  a lui, 

E gradir  moltoil  ragionar  cortefe.  < 

Ei  rivolto  acolei,ch’eracolui, 

Parlolle affabilmente,  eia  richiefe 
A dargli  parte  de  fuccelTi  fui. 

De  lo  ftato,del  nome  e del  paelc. 

Adon,  che  vuol  celarli  al’empie  genti. 

Copre  con  pianti  veri  i falfi  accenti. 


Di/Tc^ 


CANTO  DECIMOCiyARTO.  Si 

2.8.  Difl'eglljche’l  fuo  nome  era  Licafta, 

N at  ia  del  vago  e peregrino  Alfeo,  ^ 

Che  frequentava  con  la  Dea  più  calla 
JDel  Parcneuip  le  felvCje  del  Liceos 
E che  l’onda  folcando  horrida  e vaila 
Per  girne  a Deio , del  profondo  Egeo, 
L’havea  di  quella  fpiaggia  in  sù  la  cofta 
Tempcilojfa  procella  a forza  efpofta. 

zp.  f ù meiTo  in  compagnia  libero  e fciolto  ' 

D’una  fanciulla  Adone  , e d’un  donzello 
Che  nel  bofco  vicin,non  era  molto, 
Furpreiì,e  tratti  a quel  medefmo  hoilello. 
Non  sì  tofto  il  donzei  mirò  quel  volto  ' 
Unico, c fcnza  pari  in  efler  bello, 

Ch’avido  d’involarnc  i ral  leggiadri, 

Prefe  con  gli  occhi  ad  imitare  1 ladri. 

30 . Ladri  fon  gli  occhi, & a rubarè  arditi 
Van  per  le  ftrade  publiche  d’Ainore, 

E tutti  i furti  a la  beltà  rapiti  j 

Per  nafcondcrgli  ben, portano  al  core. 

11  C3r,poicheglihàprelìe  cuftodlti. 

Fa  che  d'eflì  il  defio  fcelga  il  migliore  ; 

• Ma  quantunque  al  defio  la  fcelta  tocchi. 

Contento  è.  il  cor, le  fi  contentan  gli  occ hi,> 

ji.  Il  fanciul , che  non  sa  ciò  che  Jiafcondc 
Di  vero , e di  viril  gonna  bugiarda, 

Hor’i  bei  lumi,hor  Pauree  chiome  bionde 
Fifo  contempla, e cupido  rilguarda.  . 

Ma  quanto  mira  più, più  fi  confonde, 

E più  convten,che  fe  n’accenda  & arda. 

Così  iv’ata  dietro  al  cor, che  fuo-cre, 

E’alina  fi  perde , & egli  invan 

ns 


Cfc  GLI  ERRORI, 

yL  Mentre  cerca  horcon  gefti,  hor  con  parolte 
^coprirgli  fliqual  plaga  ha  il  core  oflFefo> 

Adon  ben  fen’accorge,ebenfi  dole 
Di  fua  follia  jche’l  lefl'o  in  cambio  ha  prefb* 
Pur  fc  n’infinge, e de’  begli  occhi  il  Sole 
GU  volge, per  temprar  quel  foco  accefo, 

Ch’a  fconfolato  cor, che  vive  in  guai. 

Anco  i finti  favor  fon  cari  aflai. 

Ma  così  fcarle  c il  refrigerio , e breve. 

Che  tante  fiamme  a mitigar  non  vale,. 

Anzi  quel  van  piacer  che  ne  riceve, 

E mantice  a l’ardor,cote  a lo  ftralei 
Hor  mcntr’ci  langue,  c fi  disfa  qual  neve- 
A Sole  eftivo , ò pur’  a vento  Auftrale,. 

Chi  fia  colei, qiial’egli  fiafi , e donde 
Adon  dimanda,  e’I  giovane  rifponde.- 

j4.  E’ proverbio  vulgar,c'havcr  conforti' 

Ne  le  mifcric  ai  miferi  pur  giova.. 

Ma  veri  non  fem’io  quefti  conforti 
Che’i  mio  mal  per  l’altrui  pace  non  trova. 
Anzi  veggendo, ch’a  gli  antichi  torti 
Fortuna  aggiunge  ognor  materia  nova, 
Mentre  me  piango,  c inun  dite  m’incrcfce,, 
Nel  tuo  dolore  ilmio  dolor- s’accrefee. 


. E.fe  non  temefs’io , che  nel  tuo  petto 
La  doglia , e la  pietà  de  gli  altrui  danni 
, Fàrebbon  forfè  ancor  l’ifteflb  effetto,. 

Parte  ti  conterei  de’  noftri  affanni. 

Nolofo  è troppo  e tragico  il  fùggetco, 

E d’afiài  giìnforcunii  eccedon  gli  annij 
Jyia  pur  tacere  almen  non  fi  conviene 
efii  fiaino , equal  cagionqvu  ne  ritiene.. 

Hab^ 


Canto  decimocì^arto.  sj 

tìabblatno  a la  {quadriglia  infame  e ria- 

• La  verità  fou’altro  velo  involta,  l 

Che  benché  falfa  e mentitrice  fia, 

Leggiera  ò la  menzognaanco  talvolta,  ' • 
Quando  giova  a chi  mente  il  dir  bugia,- 
E non  noce  U mentire  a chi  Tafcolca. 
Poria,s’clla  de  1 ver  fufle  avertìta, 

Per  occultar'ilmal,tor  la  vita. 

y7.0ranta,che  d’Armenia  ha  hebbe  il  governo^ 
Suora  fu  di  Morafto  il  Rè  d’Egitto  , 

Ghe’n  compagnia  morì  di  Galiferno, 

Già  di  lei  fpolo , in  un  mortai  conflittoj 
Nel  marital’eccidio  , e nel  fraterno 
Le-fu  da  tanta  dogliail  cor  trafitto. 

Che  gravida  dlfpcrfe,&  abortivi 

. Partorì  duo  gemelli  iutcmpcftlvi. 

j8.  Intempeftivo  il  parto , & improvlfo 
Per  affanno  lallallc  innanzi  l’nora. 

Perche  fiibito  giunco  il  duro  avìfo, 

I duo  tener  i infanti  efpofe  fora. 

E per  l’a  mor  del  gran  inarito  uccifa 
Chiamò  fiiauro  Viin , l’altra  Pilota, 
ligll  di  madre  afflitta  5 e padre  efl'angiic. 
Prodotti-  nel  dolor , nati  trà’l  fangue. 

jS.  Queftl  fummo  noi  duo , che  comeroti 
L’inftabil  Dea, del  mondo  agitacrice. 

Provato  habbiam,d€Ì  dì  che  tra’  fuoi  moti 
Aprimmo  gli  occhi  al  Sol, coppia  infelice. 
Argene  poi, di  cui  noi  fiam  nipoti, 

Xn  vece  n’allcvò  di  genitrice. 

Però  che  quella  in  su  l’angofce  cftrcmc 
.Voniina  efprefTa  inficme. 

j)  ^ N^n 


84  GLI  ERRORI, 

40.  Non  è gran  tempo , che  per  bando  cipreflò 
Cipro  incorno  mand^  publici  gridi, 

Ch’a  corre  il  regno  al  più  beU’huom  promcffo 
V enga  chiunque  in  fua  beltà  confidi.  . 

La  nofiraZia,  c’hà  pretendenza  in  effb, 

Pè  da  Menfi  tragitto  a quelli  lidi» 

E ftimandoci  ancor  tra'l  popol  Greco 
Degni  di  comparir , ne  menò  feco. 

41.  L’altr’hier  ( però  che  qui  noftro  coftume 
Era  fovente  eflercitar  le  cacce^ 

Per  un  Cervo  fegulr  , ch’entrò  nel  fiume 
• Spaventato  da  gridi , e da  minacce. 
Perdemmo  infieme  col  diurno  lume 
De  la  Fera , e de’  noftri  in  un  le  trace. 

Così  fmarrici  in  altri  lacci  cefi 
Fummo  di  cacciator  cacciati  e prefi. 

41.  Tacque,  c volendo  dir,ch’altra  prigione 
Tenea  le  voglie  fue  ftrette  e legate, 

Sofpirò  si, che  ne  forrife  Adone, 

E parte  di  quel  male  hebbe  pietate. 

Che  già  dotto  in  Amor,  di  ciò  cagione 
Ben  conobbe  etler  fol  la  lua  belcace: 

Behà, principio,  e fin  d’ un  gran  tormento, 
Vifta.amata, e perduta  in  unraomento. 

43-  G ià  da  l’orabrofe  Tue  ripofte  cave 
i e la  notte  campagno  , aprendo  l’ali. 

Con  lento , e grato  furto  il  Conno  grave 
Togliea  la  luce  ai  pigri  occhi  mortali, 

E con  dolce  tirannide  e foave 
Sparfe  le  tempie  altrui  d’acque  lethall, 

I tranquilli  ripofi  e lufiughieri 
S infignoiian  de’  l’enfi , e de’  penfierì. 

gluan- 


CANTO  DÈCIMOQVARTO.  Sj 

44.  Quando  le  lor  parole  al  mero  rotte 

Repente  fur  da  fubito  tuinulco. 

Fracaflì  d’armi,  e ftrepidi  di  botte 
Ferivan  l’aere  d’un  remore  occulto, 
gonfufa  dal  timore,  c da  la  notte 
Va  la  cafa  folFovra  al  novo  infultoj 
Et  ecco  aUhor  di  quel  drappel  protervo 
Viene  anhelante  a la  lor  volta  un  fervo. 

df  IB-plrota, 

Che  ^lafci  volte  almeno  è da  la  rota 
. Per  gran  forte  fcampato,  e dalcapeftfo.‘ 

^gnatotien  con  indcbil  nota 

De  ia.bollareall’homero  defh-o. 

Barro  di  carte , e ficcator  di  dadi- 
Tutti  d ogni  bell’arte  ha  fcorfi  i gradi. 

4^.  Di  Filerà  la  bella,  e più  de’fuoi 
Ricchi  ornamenti  havea  l'alma  invaghita 

Venia  per  violarla,  e torle  poi 
Con  lemifercfpoglieancola  vita. 

V a 11  mondo  a fangue  (ei  diOe;  qui  fol  voi 
e gendo,  al  mal  commun  non  dare  aita 
Pai  b a te  bel  Garzon , che  pur  mi  fembri 
Ultore  core, e di robufti  membri. 

47-  Gente  comparfa  a l’improvifo  efpuo-na 
on  terribile  afledioilnoftromnro,  ° 
fi  combatte  e pugna, 

E .fi  fa  la  battaglia  a Cielo  ofeuro^ 

Tuttavia  crefee  ladubbiofa  pu<r.ia 
Ne  oer  voi  quello  loco  è ben  ffeuro. 

Gl.  fuor  con  gli  altri  tutti  è Malagorre 
De  la  vita  a difcfa,  e d«  la  torre. 

Sesa 


GLI  ERRORf,  I 

48.  Scbcn  folca Furcillo  efler  mendacc;^  L 

Cloche  narrava  allhor,  ^uct’cra  vero.  I 

N’era  Orgonte  l’autor,  d'*Adon  feguacc'  I 
C’havca  dr  lui  tracciato  ogni  fcntiero'.  I 

Ch’ei  fiifle  in  preda  a lo  iquadron  rapace  | 
Non  sò  come  fapefle  il  calo  incero. 

Di  quanto  ei  fatto  havca  nè  più  nè  meno* 

Da  che  partiflì,  era  informato  a pieno. 

49.  Di  làpaflando  jOvellmedcfmodie  ' 

Uniti  havea’l  fanciul  drappi  donnefchi, 

Intefe  il  tutto,  e da  fagaci  fpic 

Gli  giungean  d’hora  in  bora  avift  frefchi. 

Qual  cacciator,  che  per  diverfe  vie 

Cerca  com’augel  vago  al  ramo  invefcbi  >- 
Tenendo  fempre  inlbliti  camini. 

Pervenne  a la  magion  de  gli  aflalTinL 

50.  Non  era  il  ponticel  levato  in  alto,  - 
Onde  con  fuà  brigata  entrar  vi  volle  >• 

Ma  da’  ladroni  opporti  al  fiero  aQalto 
Fù  per  forza  refpinto  a mczo  il  colle. 

Incominciò  di  fanguinofo  1 malto 
L’herba  a farfi  vermiglia,  e’I  terren  molle* 

E i fofchi  horror!  a l’horridofcompigllo 
(Come il  fervo  dicea)  crefcean  periglio. 

jr.  Hor  più  tempo  non  è da  far  dimora 

(Sogginnfeil  ladro)  ognunpenfia  fe  rtelfo.- 
. ElTeguir  mi  convien  l’ordine  hor’hora. 

Che  di  falvar  cortei  mi  fu  commeflb.  • ' 
Così  diflè , e per  man  prefe  Filora, 

Che  fu  coftrecta  à forzalrne  con  elTo; 

Pianfe,  e gridò,  ma  pofe  freno  alquanto  1 
Efpavento  dclfcrro  al  grido,  al  piane  . 


CANTO  DECIMOQyARTO.  ti 

5 • „ Filauro,  in  cui  per  Taccrbeta  etade 
Erangli  (pirti  ancor  debili  e infermi , 

Oltre  che  fra  tant'hafte,  e tante  fpadc 
Le  forze  havea  d’ogni  difefa  Inermi, 

Contro  quel  fier  nemico  di  pietade 
Fu  mal  pollente  a far  ripari,  ò fchermi. 

Nè  feppe  altro  il  mefchin,  che  con  quereli 
Seguir  la  vergin  mefta,  e l’hom  crudele. 

Tal  rondine  talhor , che  veggia  lingue 
Guaftarla  il  nido,  e divorar  la  prole , 

E le  vifcere  care,  e’I  caro  fangue 
Crudelmente  languir,  s’afflige  e dolc. 

Tra  paura,  e dolor  paventa,  e languc  , 

Teme  accoftarfi,  e dipartir  non  vele , 

E con  pietofo  gemito  dolente 
L’orecchie  aflèdiaa  chi  pietà  ncn  fcntCi 

Veduto  Adon , fra  tanti  cali  averli 
In  quel  punto  Fortuna  efl'ergli  delira, 

Sì  ch’cflendo  i ladron  tutti  difperlì , 
Kimanea  folo  in  quella  cafa  al  pelila. 

Pigro  non  fu  del  tempo  a prevslerfi , 

E Lalfe,  ove  s’apriva  alta  finellra 
Quindi  affacciolfi  a rifguardar  nel  monte  > 
E vide  in  vive  fiamme  ardere  il  ponte. 

Havean  gli  alTalitori  ih  quella  parte. 
Dove  il  legno  s’incurva  in  su  la  folla. 

Che  molt’acque  otiofe  intorno  fparte 
Raccoglie,  e forma  una  palude  grolla.. 
Accefo  il  foco,  onde  Vulcano^  e Marte- 
Ea  fer  torto  apparir  fervida,  eroll'a. 

Ardea  la  tSrre,  e de  lo  ftuol  rapace 
Re  rapine  rapia-fiamma  predace.. 


jó.  Sorge  in  groppi  di  fumo  il  foco  al  Cielo, 
eonfulb,  e fcorrein  quelle  parti  e’n  quelle  i 
Poi  rompendo  de  l’aria  il  folco  velo, 

S’allarga,  e fnoda  in  lucide  fìanlmelle. 
Ricovra  Cinthia  al  cerchio  Tuo  di  gelo, 

A gli  epicicli  lor  fuggon  le  ftelle , 

Que  quella  teme  inaridir  gli  humoii. 

Quelle  disfarfi  a sì  vicini  ardori. 

57.  Per  mille  bocche,  e con  ben  mille  e mille 
Lingue  e ftridendo,  e mormorando  fvanipa, 
Con  acque  ardenti,  e liumide  faville 
Bolle  lo  {lagno,  e’I  raargin  tutto  avampa , 
Qtiivi  fi  pugna  , che  di  laiiguine  llille 
Spruzzata  adhoradhor  crelce  la  vampa, 

Che  Ipranghe,  & afledi.&  ogni  altr’elca  fecca 
Divora,  e i falli  morde,  e 1 onde  lecca. 

58.  Chi  da  l’orlo  del  ponte  in  giù  trabocca»# 
Chi  da  la  rilpa,  e nel  follato  affonda. 

Altri  dal  ferro,  che’l  perfegue  e tocca, 

Fugo^e,  e nel  foco  inciampa, o inuor  ne  1 onda 
Di  su  larvetta  de  l’eccelfa  rocca. 

Da  cui  difeopre  Adon  la  fponda, 

Chiaro  il  tutto  glimollraa  l’ariabruna 
Lo  Iplendor  de  l’incendio , e de  la  Luna. 

59.  La  chioma,  che  crefcluta,iifeminile 
Ufo  imitando,  infin’ al  fengli  feende, 
Difcloltaallhor , con  rozo  ferro  e vile 
Tronca  quell’or,  che  fovra  l’or  rifplende. 
Poi  de  gli  Itami  del  bel  crin  fottjle 
Treccia  forte  e tenente  attorce  e ftende  > 
Qnafi  lubrica  fune  in  linea  lunga , 

Tanto  che  dal  balconea  terra  giunga. 


CANTO  DECIMOQVARTO.  8P 

Ma  Malagor,  che’nque’mortall  ardori 
La  nova  fiamma  Tua  ierba  ancor  viva. 

Nè  trà  Tarmi,  e le  furie  oblia  gli  amori, 
Ripeniando  a la  Vergine  cattiva. 

Per  falvarla,  ove  falva  i Tuoi  thefori, 

Lafcia  la  zufià,  & a l’albergo  arriva 
A pu^to  allhor,  che  per  1 aurata  fcala 
V cde,  che  fdrucciolando  in  giù  fi  cala. 

6i.  Adpn,  che’n  preda  de  lo  iniquo  Duce 
Si  trovapur,dclfierdeftinfi  lagna. 

Fermano  il  prende,  e fiotto  dubbia  luce 
A la  valle  vicina  e Taccompagna. 

In  una  occulta  grotta  indi  il  conduce , 

Che  le  vifeeretora  la  montagna 
Dentro  i cui  penetrali  ermi  e ripofti 
I boccini  più  ricchi  ei  ciennaficofti. 

6i.  Opra  dì  non  di  Natura  è qnefta  grotta. 
Qual  de  {‘altre  efler  fiuol  la  maggior  parte 
Ma  la  man  dc’Iadronl  clperta  e dotta 
Pur  come  naturai,  cavolla  ad  arte. 

E’ftrjctta,  obliqua,  e diroccata,  e rotta, 

E nel  mezoin  due  parti  fi  diparte. 

Scende  la  prima  entrata  oblcura  ebaflà 
Fin  doveaTantro  interior  fi  pafla. 

(j.  Tfà  gli  fpatiidel  primo,  e del  feconda 
Un  làfib  s’interpon,  quali  parete, 

Acconcio  in  guifa,  ch’è  leggiero  il  pondo. 
Purché  note  altrui  fien  le  vie  fecrecci 
Ma  de  lo  fpeco  par  Tultimo  fondo 
A chi  trova  il  confin  di  quelle  mete, 

E queft’ufcio  di  fterpi  è cosi  folto , 

C he  trale  fpinc  ognor  giace  fepolto. 


90 


GLI  ERRORI,  f 


64.  Ne  la  figlia,  e ne  l’arco  è di  tal  Torte  , 
Qual  riparo  commeflb,e  fitto  in  terra. 

Che  non  fembra  la  tana  haver  due  porte, 

E s’apre  agevolmente,  e fi  riferra. 
Daindiinlaper  ftradeanguftee  torte 
Quafi  Meandro,  fi  ravolge  & erra, 

E polche  molti  giri  intrica  e mefee  , 

Ne  la  coftadel  poggio  alfinriefcc^ 

6;.  Riefceinsii  labalzaalpeftra&  erta, 

D’alni  infecondi  fertile,  e di  faggi. 

Cola  dove  la  pietra  alquanto  aperta. 

Ma  riturata  d’albori  felvaggi , ■ - 

Riceve  pur  dal  Ciel  di  luce  incerta 
Per  un  breve  TpiragUo  ombrofi  raggi 
E da  l’un  fedo  a l’altro  il  Tuo  gran  Teno 
Tiene  un  miglio  di  tratto,  ò poco  menou 

66.  Fù  dentro  quella  inhofpita caverna  i 

Non  sò  fe  pur  depofitata  io  dica , 

Ne  la  maggior  profonditate  interna,  ^ 

O fepolta  da  lui  l’amata  amica. 

Quivi  baci,  e parole  infieme  alterna  , 

E molto  a confolarla  ei  s’afFaticaj  . ^ 

E poic’hà  lo  fportel  chiufo  co’marmi, 
Lafcia  i traftulli,  e fà  ritorno  a Tarmi, 

6j.  Filauro  Intanto,  ilqual  ne  Tiftefs’hora 
La  Torella,  e la  donna  hà  inun  perdute. 

Del  nomedi  Licafta,  e di  Filora 
Fà  Tombre  rifonar  tacite  e mute. 

De  Tuna  la  beltà  fofpira,  e plora, 

^ De  l’altra  Thonefiate,  e la  falutc  i < 

E fadencroil  Tuo  cor  fiero  duello 
L’amor  dei  iai^ue  con  l’amor  del  bello. 


Can'xo  r>  e c I mo  arto. 

?^pro^rita^<li  fìizgel  tenera  cera 

Si  laida  in  se  non  lerba,  e non  ricicne, 
Conie  un  cor  giovinel  de  la  primiera 
Beltà  l’effigie,  ov’a  feontrar  li  viene. 
Coftui  del  prinao  aimor  la  viva  c vera 
Sembianza  imprcHa  lià  nel  penlier  sì  bene, 
Chenon  vai  del  bel  foco,  ond’ e gli  a vampa. 
Altro  accidente  a cancellar  la  ftampa. 

6p.  Mentre  cKe  per  la  lelva  erra,  c s’imbofca  ^ 
Dcfperato,  c dolei-ktc  in  quella  guifa. 
Incontro. a sè  venir  per  l’ombra  folca 
Vade  pcribna,  che  non  t>en  ravifa, 
Epoflibil  nota  è,  ch’ei  la  conolca. 

Se  ben^ntento  aliai  l’occhio  v’affilà. 

Che  lontano  è l’oggetto,  c l’aria obfcura, 
Mà  per  femina  pur  la  raffigura. 


,70.  L’atrclc,  c polche  donna  efler  s’àccorfc. 
Con  cor  tremante avicinoffi  a' quella. 
Scfial’una,  ò lìa  i’alcra  è ancor  in  forfè, 
Alfin  conofee  pur,  cH’e  la  fbrella. 

Con  quaraffètto  ad  abbracciar  la  corfe. 
Con  quai  fegnid’ainor  l’accoHc  anch’ella, 
Conquai  baci  iterati,,  e c<m  quar  lenii, 
Chi  può  dirlo,  e peritarlo  il  dica,  c’I  penfi. 


I.  La  Giovane  al  frarcl  conta  pisngenao, 
Poic’hà  l’anima  alquanto  m s e raccolta. 
Come  fù  tratta  entro  il  burroachorrendo 

D’unaforeftaaefviatae  tolta. 

Là  dove  foco  II  mafcalxon  volendo 
Trarfi  la  voo-Ua  fccletata  c ftolta, 

Gu“fò  per  nSn  P-fara  alta  ventura 
Interrotto  U piacer  de  la  paura. 


Perche 


GLI  ERRORI, 


71.  Perche  di  genti,  c tl’armi  intanto  udifli 
Repentino  romor  giùperla  valle , 

Onde  villanamente  egli  fiigeifli  . 

E a loro,  & a lei  volfe  iefpaUci 
E eh  elk , polche  il  traditor  partiflì. 

Per  io  piu  deftro,  e mcn  fegnato  calle 
Timidadlduo  rifehi,  in  fretta  diede 
La  chioma  al  vento,  & a la  fuga  il  piede. 

73-  yegro  Garzon,  ch’occultamcntc  havea 
Damorofa  ferita  il  fen  piagato, 

Vi»  • ^ ^ feguirvolea. 

Che  dietro  a chiferillo  era  volato.  ^ 
Olile  } Di  guefta  gente  infime  e rea 

XT  ' u ^ ^ armato} 

N.C  ben  fecuri  fiam  di  novo  inciampo,  . ; 
ienonfiftudiaaprocàcciarlofcampo.  ' 

74.  Buon  farà  dunque  alcun  ripollo  loco 

Cercartraoueftepiante.e  quellifaffi, 

Dov  IO  finch  a fpiar  vada  del  foco, 

E del  ferro  i fuccelTi,  almen  ti  lalfi. 

Tu  la  m’attenderai;,  ch’a  te  fra  poco 
Ritornerò  con  ben  veloci  palili 
M^tre  parla  così,  vede  non  lungc 
La  fpclonca  de’ladri,  onde  foggiSngc. 

75.  Quella  mi  par  per  breve  fpatiollanza 
Commoda,  & opportuna  al  tuo  foggiornò. 
Cara  mora  le  m’ami.,  babbi  collanza 
Infino  al  venir  mio,  ch’io  parto,  c torno. 
Cosi  le  dice,  & ella  ogni  baldanza 
Perdendo,  & fcolorando  II  vifoadorno , 
Stupida  cella,  c conturbata  tanto  , 

Che  rifpondcr  non  sa,  fe  non  col  pianto. 

Pu 


CANTO  DEC  IMO  QUARTO. 

».  Pur  rivolge ndo  in  lai  gli  humidirai, 
I-o  ftringe  con  dolclilìme  ragioni. 

Frate  (dicea  la  milera)  cu.  vai,  ^ 

E tra  Fere  mi  laici»  e crà  ladroni, 

E mi  predice  il  cor  , ctc  più  giamai 
Non  c*liò  da  riveder,  le  na’abandoni. 

Se  non  lenri  pietà  del  mio  dolore. 
Murato  hai  bendi  rigid’Alpeil  core. 


7-  Con  Io  Fprone,  c col  Fren  Fin  lite  in  lui 
Natura,  Amor,  c tenerczxa.  ^ 

Mà  convien,  che  cortei  ceda  a colui. 

Che ^di  ragione  ogni  ritegno  Fpezzai 
Nàcura  haverde  la  Ibrclla  altrui 
Può  chi  la  propria  madre  anco  diiprezui  • 
Sì  dopo  molte  alfìn  lacrime  Ipartc 
Al  del  la  r accom  rn  aridà,  c lì  diparte. 


Come,  s’allhor  che  più  Fpc^to  corre 

Pcrl’OlimpicapolVc,  ò peri  ^ 

Travia  carro  li  Fchiodac  vicnfia  Fciorrc 

Una  de  le  due  rote, 

Arrcrta  il  moto,  c 

La  gemina  union,  che*l  loften  I ■ 
Gemono  gli  arti,  c 

Và  ferperao  il  timori  Ipexzat®  e zoppo. 

Cosi  rimale  ne  già  ramingo, 

Del  buon  german,  cl^  fc  nc  g 6 

Pallida,  lagrimola,  *=,^”rror  Folingo. 
LaVirginellain 

La  fcaramuxxa  arringo, 

E Malagor  cornac  , apparire 

TràTuoi  li  a.»imofa ardire. 

Vergogna  a i vOr,  ^ *** 


Nel 


74  GLI  ERRORI, 

50.  Nel  cominciar  dela  battaglia  un  pezzo  j 
V antaggi 0 hebbero  a Bravi  i Farinelli, 
Dw’cjuai  ciafeuno  era  gran  tempo  avezzo 

In  cjuel  fito,  ove  gli  altri  eran  novcllii 
• E le  vite  vendendo  a caro-prezzo , 

Si  difendean  da  quelli  aflalti  e quelli,' 
Saltando  hor  macchie, hor  folTi^nor  pruni, hoi 
Scudo  fi  fean  de  fralfini,  e de  l'elci.  (felci] 

Sj.  Il  Signor  de  la  ciurma  alza  la  fpada,  ^ 

E comincia  a ferir  colpi  sì  duri, 

Che  la  rupe  ne  tremo,  e la  contrada, 

E temoli  d’appreflarlo  ipiù  fecurì. 

Fere  Armonte  il  primier,  che  non  vi  bada, 
Qual’huom,  eh’ altrove  intenda, ò poco  i curi 
Ma  mentre  al  fuon  del  ferro  il  volto  ei  volfc, 
Tra  la  fron^e,  c le  ciglia  il  colpo  il  colfe. 

51.  La  fibbia  gli  tagliò,  che  de  le  ciglia  ^ 
Con  gl  i fquamoli  mufcoli  confina. 

Onde  ferìla  fronte  (ò  meraviglia)  ' 

E la  luce  ammorzò,  ch’era  vicina. 

Tronca  del  deliro  gomito  a Scarmiglia 
La  chiave, e’I  braccio  ingiù  mozzo  mina. 

£ da  la  fpalla  in  un  medefmo  inflante 
A la  forca  del  petto  apre  Mimante, 

£).  L’elmo,  e’I  capo  a Tricollb  in  un  divide,  ^ 
£ di  vita,  e d’orgoglio  in  un  rhà  privo. 

£ per  la  fchiena  Dragonetto  uccide. 

Mentre  corre  anhelante  e fuggitivo. 
Ilfcrrapoi , che  lampeggiando  ftridc. 

Là  dove  è l’huom  piò  palpitante  e vivo. 
Cacciando  a Bricco  entro  la  poppa  manca, 
Le  latebre  de  L’anima  fpalanca. 


<^ANTO  r>EC  I M O QV  ARTO. 

^4.  Ne  la  noce  del  collo  Hà  d*un  rivcrfo 
“ Coleo  Squarcon  con  £liria>  e forza  tale, 

® Che  quinci  il  t>uflo  ni  ftiol  cade  converfo, 

'■  Q^ndi  il  telcliio  per  l*aria  in  alto  falc. 
Difendente  àCreufo  è per  rraverfo 
Prcla  del  cinto  la  mifìira  cgnale, 

^ Si  cheben  moftra  altrixi  <qu.al’ira  n’habbla 
Tra  le  vilccre  aperte  ilfìel»  cK’arrabbia. 

Trovavafi  di  quàpoco  lontano  • 

Armiiloil  cacciatore,  Armillo  il  bello, 

Ciprioto  non  già,  naa  Soriano, 

Ganimede  fecondo,  Adon  novello, 

Mcntr’ci  con  l*arco,‘e  le  faetteinmano 
Quello  guerricr  và  provocando,  e quello, 

A Tarmi,  a gli  atti,  al  viCo,  Se  a le  membra 
(Tranne  la  b^nda,  e l’ali)  Amor  radembra. 


6.  Havendo  il  gran  Tiranno  di  Soria 
Mandato  in  don  pur  dian  zi  al,  Kc  d OrmulTc 
Perche  1-alrabclta,  chc’n  lui  fioria 
Del  Serraglio  rcal  delicia  tulle.  ^ ^ 

Ma  rottlTt  morti  i condo^icr  via, 

S eri  To'  li  prisio*'  compagno. 


r.  Va 
De 


affhezza  pucrit  (fi  come  è l’ufo 
^nezza  \ . . pugna  il  mena. 

i-»c  fanciulli  sparto  ^atio  chiufo 

Non  haveaqucm  ^ -JP ferena. 

De  la  ftagton  P‘“  l fufo 

Però  c havea  del  aebu  ni 

doto  feaici  g»rt  «'"Ilio  nè  motto 

Nè 

YclUgiopuf  ai  nova  F» 


9^ 


GLI 


88.  Semplicetto  credea,  la  tra  le  fchicrc 
Dove  Tira,  e’I  furor  fere,  c minaccia. 

Quel  traftullo  trovarli,  e quel  piacere. 

Che  per  le  felve  havea  trovato  in  cacciai 
Echc’l  feguir  de  le  fugaci  fere 
• Co’cani  a latò,  e’I  dardo  in  man  la  tracciai 
Non  fuilc  ardir  men  cora^iofo  c forte, 
Chc’l  girne  in  campo  ad  affrontarla  morte* 


9^.:  Il  fianco,  e*l  tergo  ha  fenz’altr*armi  armad 
D’una  pelle  di  Lince  ofeura,  e bianca. 

Gli  è cuffia  il  tefehio,  e pendon  d’ambo  i lati 
Con  Tunghie  intere  e l’una,  e l’altra  branca. 
Duo  di  fiero  dinghial  denti  lunati. 

Un  da  la  deftra  parte,  un  da  la  manca 
Gli  efeono  innanzi  e con  due  fibbie  ftrettò 
Gli  fan  vagò  fermaglio  in  mezo  al  petto. 

^o.  A que’fèmbianti  angelici  diventa  • 

Qual  più  rigido  cor  molle  e cortefè. 
Trattiene  icolpl,  e con  man  lieve  e lenta  . 
Scherno  fi  fà  dà  l’innocentl  offèfe. 

Ma’l  Garzon  più  s’inafpra,  e più  s’aventa 
Tràle  più  dubbie,  c men  fecure  imprefci 
E chi  gli  cede,  irrita,  e.  di  chi’l  mira 
Contro  fe  ftefko,  c fiia  beltà  s’adira. 

ji.  Mclanto  nato  al  freddo  Tronto  in  riva 
Là  tra  l’Alpe  Picena,  e la  Pcligna, 

Suo  curator,  fuo  difenfor  veniva. 

. EfecoinunfaceaPherbafanguigna. 

. Per  la  calca  maggior  quefti  il  fèguiva, 

E fermando  càlhor  l’hafia  ferrigna , 

Volgeafi  a rimirar  quai  più  mortali 
Pc  l’occhio}  ò de  la  man  fufier  gli  iUali. 


CANTO  DECIMO  QVARTO.  57 

GU  cergo,&  hor  da’  fianclù 

Gli  Ulciaya  i gaerricr  ferUi.e  viuti. 

Perche  g!i  avanzi  Cuoi  ftorditi  e ftanchi 
Fimer  eia  luKoa  minor  Tirchio  eftìnci. 

Incotal  guifa , ove  i più  fieri  c franchi 
Segnalar  fi  vedea  di  fatigue  ciati. 

Le  fatiche  icemando  al  feci  fanciullo. 

Di  fpianargli  la  ftrada  haveatraftullo. 


Cosi  ftrozzicroal’aghiron  talhora 
Spuntandoli  lùngo  roftro,  ci  curvi  artigli, 
/ Al  falcon  giovinecto,e  non  ancora 
Ufo  a lé  cacce,  agevola  i perigli. 

Cosi  Leon , trahendo  il  bofeo  fora 
De  rafpra  cova  i non  chiomati  figli, 
Caprio  , 'ò  Torci , cui  di  branar  dlCdégna,. 
Lor  mezo  uccUb  a divorare  infegna. 

D 


Va  tra*  nemici  Arinillo,e  l’arco  tende,  ' 
Ch*è  di  fin’or  |>on:mofamcnte  adorno, 

E*1  cordone  ha  di  leca,e  tutto  fplendc 
Di  fottìi  minio  , edllucentccorno. 

Con  la  manca  nel  inezó  il  nervo  prende, 

Et  al  dritto  delbcchio  il  gira  intorno, 
Conl'alcrail  laccio  cìra,e  fuor  di  legno  - 
fa  guizzar  l’hafte,&  accettar  ricl  fegno.  . ^ 


Hor  chi  può  dlr,quanti  da  te  far  morti. 
Baldanzoso  donzel , prodi  guerrieri? 
Fcrracozzo  fu  il  primo  un  de’  piti  forti 
Partigiani  d’Orgonte , e de’  più  fieri} 

Ebcn  volg^a,  fe  non  volgcasì  corcij 
I fttoi  ftami  la  Parca , alti  penfieri. 

Ma  gli  pafsò  crudel  iaccca , & etnpi^ 

Tutto  il  cervcl  da  Pana  a l’altra  ccrnoia. 

VoLn,  JE  ' poi 


58  GII  ERRORI, 

^6.  Poi  vide  Orcan,chc  la  fua  fiime  ingorda 
Pafcea  di  ftrage,c  facea  prove  eccelle, 

E d’holHl  langiie  diftillante  e lorda 
La  fcimitarrahavca  fin  fovra  l’elfe. 

Tofio  per  porlo  in  sù  la  tefa  corda, 

E commetterlo  a l’aure,  unftrale  ei  fcelfé, 

E torcendo  il  e;a2;liardo  arco  legsilero, 

Fc  d’una  Luna  iccma  un  cerchio  Intero. 

57.  Volea  gli  accenti  allhortrar  de  la  gola  ‘ 

L’altro , e fcior  contro  luì  la  lingua  irata. 
Quando  in  aprir  labocca, ecco  che  vola 

A chiuderla  al  mefchin  la  morte  alata, 

E la  vita  in  un  punto , c la  parola 
Per  mezo  il  gorgozzul  gli  fu  troncata.  ' 

La  voce  intanto  infra  le  fauci  mozza 
Gorgogliava beftcmmie  entro  la  ftrozza. 

58.  Volto  a Bravlcr,  con  quanta  forza  ei  potè 
Lo  ftral  pungente  in  sù  la  noce  incocca. 

Poi  là  fu  ne  a sè  trahe  fin  sù  le  gote, 

Scaglia  la  canna,  e fovra’l  braccio  il  tocca, 
Ncrpefce  apiinto  il  calamo  il  percote. 

Col  pafmo  aterrail  povcrel  trabocca. 

Egli  noi  cu^,  e palpitante  il  laflà. 

Indi  fovra  terauno  ardito  paflà, 

55.  Haveva  allhor’allhor  fpogliato  e fcarco 
D’alma, e d’armi  in  unpunto  e Vefpa,eGrillo, 
Quando  fegnollo,  e come  fera  al  varco, 
L’attefe,  e giunfe  il  fiiretrato  Armillo. 

Con  l’arco  in  pugno , e con  loftral  sù  l’arco 
r i traverfo  nel  fianco  egli  ferillo. 

Quei  cadde  in  giù  rivolto , e la  faetta 
. Scrivea  note  di  fanguc  in  sù  l’herbctta. 

Sovra* 


CANTO  DECIMOCXy /l'Erto*  9$ 

ri  IO®-  Sovraglungc  à Gulxirro  Lin.* altro  ftrale. 
Et  aprc>  aprendo  al  caldo  lannaor  l’vilclca^ 

. Ncla  guardia  del  cor,viva  e vitale- 
Officina  del  Cangue  , ampia  Ferita. 

Palla  la  manca  colla  oltra  quell’ale, 
jjt  Che  mlnlUran  col  moto  aura  a la  vita, 

E nel  centro  del  petto  a Fernaar  vieni!, 

’ JOove  il  trono  , han  gllFpìrti,ll  Fonte  1 Fenfi. 


xoi.  Furiaflo  11  gran  guercio  ,lnFra  lo  lluolo 
Più  d’unl>andito  a piè  1!  tene à morto- 
E’  non  havea  coftui  , eh* u nuoccialo  Colo, 

E quello  ancora  il  volgea  torvo,ctorco- 

Piega  l'arme  bicorne  , e manda  a volo 

Anco  una  Freccia  il  Sagittario  accorto, 
Freccia,cK  * eguale  al  tulminc  congiu  ntc 
In  sè  tortc,3c  agux.a.e  havea  trò  punte. 

lOi.  Dal  triacntc  mortal.che  per  lacava 
Conca  de  rocchio  oltre  la  coppa  il  hede. 
Colui  ad  lume  , onde  la 

Drbo  rimane  in  mito , e pm  n°  Ten  et!  lava 

Pur  mentre  il  ‘'arvftueU  voUo.e  1 ren_gU 

r>r?xxa ver  lù,d.on.d.  u-fcio  I colp  > P ' 

uriz-zavci  ..««t-tain  man  due  <pade, 

ckduta  inciampa,  e cade 

tot.  Saetta  U fierGariond^^  , 

è^^?rlmneu“  uàclealglan^^^ 

C’ Havea ae  d'oro. 


C’ Havea  ae  ^ ella  d* oro, 

I>iovorxo  a m-rllc  ^ofeo  tuttoi 

ciu\  s’a-ffrenaan 

•jqè  la  x*ian,i 


Gli 


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tcìo  Gli  ERRORI, 

T04.  Già  la  faretra  homai  di  dardi  hà  vota, 
E’I.braccio  cjuafi  indebolito  e laflb, 
Quand’ecco  il  fiero  Orgonte,  eccol’cKc  rota 
La  Ipada  a cerchio,  e s’apre  intorno  il  paflb. 
Fermo  l’afpetta,econ  Io  fguardo  il  nota. 

Poi  trahe  l’ultimaftral  fuor  del turcaffo. 

Et  accelera  il  piede,  ov’empia  forte 
II  fa  quali  volar  contro  la  morte. 

1&5.  Prefto.ovunque’egli  vada  al  fuo  foccorfo 
Melante  Ilfcgue  pur,nè  l’abbandona, 

E come  il  vede  in  sì  gran  rifchio.il  corfo 
Colà  fubito  volge , e gli  ragiona. 

Raccogli  homai  jfauciul  malcauto,  il  morfo 
A l’ardir, che  tropp’oltre  hoggi  ti  fprona. 
Orme  fin  qui  del  tuo  valor  lafciafti 
Fra’ nemici  all’aichiare.hor  tanto  balli.  ' ^ 

106.  E quegli  a lui.  Deh  quell’altier , che  tanto 
Spaventa  altrui, confenti  aimcn  ch’aflaglia. 
Non  mi  difdir , ch’io’l  provi  quanto 
(Poiché  in  viftaè  sìficro  ) Infatti  ei  vaglia. 

D i ciò  ti  prego  fol.caro  Melante, 

Non  cheggio  dopo  quella  altra  battaglia. 

Se  vincerò  , tu  mio  fedel  cullode 
N'havrai  l’armi  ,c  le  rpogHe,Sc  io  la  lode. 

y07.  Ciò  detto  il  lafcla,e  pcrl’horribil  mifehia 
Dove  Orgonte  combatte,! n fretta  giunge. 

Et  aventa  lo  llral.chc  llride  e fifehia, 
Ma’lberfagliojovcvà.pnnto  non  punge. 
Contro  il  mefchitijch’oltrc  l’età  s’arrilchla. 
La  villa  gira , c guatalo  da  lunge. 

Indi  s’accolla, e con  forrifo  acerbo 
C osì’l  motteggia  il  Barbaro  fupcrfao. 


I 


S A M T O 


^ E C I MI  O 


A TT  O. 


*°A  lWofr"°  ^ effer  potrà,  che  tardi 

A l incontrar  ciò  cKc’l  tuo  cor  defia, 

il  c liuomla  morte,cUc  d’haver  tanc’ardi, 

^nciullctto  inaportnn.o>al  fin  cl  dia? 

Hor*io  non  vò,cKe  più.  gli  altrui  riguardi 

cacciano  infolentlrjtanta  follia. 

So, che  per  tc  miglior  forala  sfcrz.a, 

^a  la  inia  fpada  ancor  talvolta  fcherza. 

Tacque, e con  Ini  fi.  firlhrc,c  qnl  finarrlto 
Quando  mirò  la  Cpaventofa  frorlte 
V olCc  fuggir  , ma  nel  fangulgno  llto 


lor 


— t>“—  »-*».  Cangne  Innehrico  Orgonte. 
Melanto  il  vede , Se  a-l  Clarion  caduto 
Corre  per  dar  nel  gran  periglio  aiuto* 

ZIO.  Bda  per  die  and  cru.de!  moftro  inliumano 
Gid  l*Hd  gimaco  in  nn  fatto, c già  g,H  liaprcfà 
La  chioma  d*or  con  lafinlftfU:  inano* 

E l’altra  per  ferirlo  alTata  c ftefa,  , 

Et  el  non  può  , per  cCTcrne  loirtano,  ^ * 

A tempo  rltrovarfi  ala  dìFela. 

Citta  la  fpada  > e dà. di  piglio  a ^ * 

E già  rVià  tefo  In  vtn  momcnto,c  care  . 

XII.  O’ia  fretta  Coverchia.&U 
Oa  la  mira  io  ftrai  tvavo  ^ 

Si  che  del  empi" 

Del  ficr  nemico  i\  colpo 

rj. 


Jel  nemico  , che  pu. 

Et  era  di  ferirlo  fcoito 

E forfè  pii*  dapreu  _r»»\ 

rucl  bH  vifo  E } 


morto. 
Paffa 


lOX 


GLI  ERRORI, 

111.  Parta  il  cuoio  macchiato  à nero  e bianco^ 
Spinto  dal  braccio  del’Arcier  gagliardo> 

E,  fiede  al  caro  Armìllo  il  miglior  fianco 
Il  diilcalc , e difpietato  dardo. 

Qui  la  manbella  in  sil  i coftato  manco 

^ Si  pone,e  dice  aruccifor  col  guardo. 

Io  moro  ( ahi  crudo  ) ma  la  tua  faetta 
Porta  infieme  l’ofiefa,e  la  vendetta.  ^ 

113.  Come  fonte  talhor  lìmpido  e puro>  ^ 
Dove  il  piè  foizo  il  zappador  fi  lavi. 

O’  come  bel  giardin,cui  l’afpro  e duro 
Raftro  de  Varator  fieda,&  aggravi , 

Così  del  volto  pallido, & ofciiro, 

Così  de’  torbidettl  occhi  foavi 
E fecchi , e ftenti  da’  mortali  oltraggi 
Languirò  inori, e s’oflufcaro  i raggi. 

114.  Sofpendeilfcirojcvolgefi  a Melante 
Piendi  difdegno  Orgonte,e  di  fierezza, 

E vede,che’l  gran  duol  gli  ha  tolto  il  pianto 
Alo  fparìr  di  quell’alta  bellezza, 

E de  la  piaga  involontaria  intanto 
L’arco  ingrato  miniftro  aterrafpezza. 

La  delira  errante , alfuo  diletto  infida. 

Si  morde  e brama  pur, eh’ altri  l’uccida. 

X15.  In  un  punto  al  mefehino  ardono  il  petto 
Due  fiamme, anzi  dùe Furie, Amore, & Ira. 
Quello  il  move  à pietà  del  Giovinetto, 
Quella  in  fé  llertb  a vendicarlo  il  tira. 

Ma  mentre  la  fua  mente  un  doppio  affetto 
Hor quinci  hor  quindi  irrefoluta  aggira,  ^ 
Dal  bufto  il  capo  Orgonto  ecco  gli  ìciodic, 
E dal  dubbio, c dal  mondo  infieme  il  toglie. 


CANTO  i>eciiaocì:v  A^-ro.  »oj 

II6  Chidcfcriver  Moria  Vinfana  rabbia 
Di  ^uel prodigio  liorribil  di  Natura, 

1 ra  qixai^i  mai  la  terra  armati  tx’lial>bla 
Moftruofodi  forxe,  c di  ftatixra? 

¥umo  le  «ari  FuordcViiuma  le  labbia 
Gictan  , cbe’l  del  Cereri  turbasse  o ferirà. 

Se  arrabbiato 

^ foco,e  fiamma  > è folgore  , cioo  fiatò* 

Il  T*  ~Q«afi  vento  il  crude!  và  Coriando, 
piovendo  di  Carigocafpre  tci=npefte, 
Cioccano  i colpi  , ovu.nc|U.*ci  vieii  paCCniKlo, 
Graadiriand*ogriirit  or  no  e braccia>e  celle. 
Tuona  col  grido, e Culmina  c librando. 

Sono i Culmini  fu. oi  piai^lie  Cu.icfle, 

H Creme  , e ftride  > e fo^  i > e tbu£Ca,e  (pira 
Procelle d V Cur or  > turbini  ddra- 


11^ 


Cinta  d’un  naar  vcrmlglio^inalco  forge 
Del  corpo  dganteo l’ìfbla viva. 


J-/C1  corpo  ^rganteoi  iloaìì viv**.. 

V ol  pino  il  mira  , e perebe  ben  s’accorge 
DI  ciò  ebe  fia,Cb  c]^uellamai\  V arriva, 
Cac elafi  in  fuga  s ci  che  Cuggir  lo  icorge, 
P..atto  11  prende  a iegnlr  lungo  la  riva, 

E minacciando  il  và  coi^  emacili  d^cti, 
Ivlal  fc  mi  Fuggi  , c peggio  ic  in  alpecci. 

:olà<love 


lio.  Tra  le  plance  più  folte  , c colà<lov< 
Lo  fiuol  de'fidi  amici  era  pi*-' 

Per  campar  da  la  morteli  paio  move, 

^^uand’ecco  vi  teri o,  cnt.  Y**  rn.rr 

LUncaiitc»  Truffarci  prciylc  m roftetTo. 
Truffi^et  . cUnVluftrò  col  nalc.mcmo 

i uuuorcal 


idi 


104  GLI  ERRORI, 

110.  Quefti  in  pace  viè  più, che  per  battaglie. 
Con  man  fottili , e di  rapina  ingorde 

Sà meglio, ch’adoprar  fpade,e  zagaglie, 

T rattar  chiavi , e trivelle, e fcale,e  corde. 
Porta  ©gnor  feco,ovunque  va, tanaglie. 
Grimaldelli,  ac^ue  forti , e lime  forde, 

E di  rubar  con  Ina  deftrezza  tanta 
Le  ftcllc  al  Ciel,la  luce  al  Sol  fi  vanta. 

111 . Iva , pur  troppo  in  fua  malitia  fciocco. 
Spogliando  i morti , ond’era  pieno  il  foflb. 
E per  torre  a Giafler  la  banda, e’I  fiocco. 
Ch’eran  di  feta,c  d’or , s’era  già  moffo. 
Oliando  dal  fiero  inafpettato  fiocco 
Irreparabilmente  ei  fù  percoflo. 

Ladron  ( glidilfe  Orgonte)io  non  t’incolpo. 
Vantati  pur, che  mi  rubarti  il  colpo. 

111.  Torna  a feguir  Volpino , c non  fi  fianca 
Tanto  che’l  giunge , e perle  reni  il  parta. 
Fende  a Ronciglio  la  mafcella  manca, 
L’afcelladeftra  aRampicon  fracafl'aj 
A Cavicchio , a Fregurtb  il  feno,e  l’anca. 

L’un  quafi  cftinto , e l’altro  eftinto  larta. 
Folchetto  atterrapoijche  cade, e languc 
Mordendo  il  fuolo , c vomitap,do  il  fanguc, 

iij.  Duo  germani  eran  quì,Trinco,e  Trlfcmo 
Da  la  natura  l’un , l’altro  dal  cafo,  ^ 

Privo  già  quei  del  pofolino  e (Iremo, 

Quefti  del  deftro  Sole  orbo  rimafo.^  [nio. 
Tronca  egli  II  nafo  aqucl  che  l’occhio  hafee- 
E fcemafocciiioa  quel  c’hà  tronco  il  nafo. 
Così  sà  , così  fuol  con  cgual  forte 
C^:'i  difngguaglianza  aeguagliar  Morte. 

Rotte, 


CANTO  DEOIMO  A TC  T*  ® . roy 


1^1  ivxaiagorre  laoiTijai  le  genti  fono. 

Onde  pian  pian  conainciano  a ricraritc, 

E poi  prenàon  la  fuga  in  abbandono. 
Volgete  il  vHTo,(ei  cHc  di  fdegno  n*arre,) 
Gridò  con  fiero  c mlnaccevoliuonoi 
Nè^cr  tanto  à fuggir  fon  già  naen  tardi. 
Pero  che’l  tergo  è vi  vifode*  codardi. 

. 12.5.  Celiando’ Il  feroce  al  fin  mira  cjne’pocKi 
Oe  le  relicjuie  Cue  fgombrar  le  pia^S^c» 
E’ncencrltc  da*  ne  ini  ci  fiioclvi 
Le  si  fiip>erbc  gì  à c^fe  lelvagge, 

E,  ebe  gli  aiuti  fivoi  fon  fcarli  e fìoclil, 
EcKc  Pimpeto  altrui  feed  nel  traggo. 

Va  beftemrniando  in  faonrrabbiolo  cri» 
Il  Clclo,o’k  Sole  , e laNaturai'fe  Dio. 

%2.6  il  ladroni  , rtia la  tciribil  FaccU 


»V 


Olv* altri 

I>o  raro  da.  lolla  , t 

A lagrorca 


iDicoxjttKaiC 


to  nè  foftrir  potendo, 
la  apoffeder  Pacquifto amato. 


^o6  GLI  ERRORI, 

iiS.  Hloraln  sù  l’entrar  del  cavo  fpeco 
Guidollo  a ritrova'r  crudo  deftino, 

E l’ombre  abbagliato,  e fatto  cieco 
Dal  furor  de  la  rabbia,  e più  del  vino , 

Del  vin,  che  tolto  a un  navigante  Greco 
Bcbbequcl  di  foverchioil  malandrino»  j 
Prellando  fede  al  feminì  l’arnefe, 

In  cambio  di  Licafta  egli  la  prefe. 

US.  Senz’altro  dire  allhor  la  (bada  ftrinfe» 

E nel  bel  feno  il  perfido  Vaicofe, 

E’I  vivo  latte  arrubinando  tinfc 
Di  calde  porporette,  e rugìadofe; 

De  gli  occhi  il  lume  in  unbalen  s’cftinfc» 

E tle  le  guance  impallidir  le  rofe, 

Ella  giacque  gemendo,  e fenza  moto 
Lafeio  l’anima  ignuda  il  corpo  voto. 

130.  Ciò  fatto,  quel  pietofo  angue  d’ Egitto) 
Ch’uccide  altrui,  poi  fi  lamenta  e dole, 

Tra  fe  fteflb  piangendo,  e forte  afiUtta 
Del  fuo  ecdilfato,  tramontato  Sole  , 

In  unvkinfepolcro  il  vel  trafitto 
(Già  de’Regi  di  Cipro  antica  mole ) 
Preftamente  trafporta,equìviil  ferra,' 

Poi  con  rabbia  maggior  ritorna  inguerrav 

iji.  Torna  di  pieno  corfo,  ove  diftrutta- 
Vede  fua  gente,  e ratto  oltre  fi  fpinge. 

Trova  Orgonte,  che’n  villa  horrida, e brutta 
Di  queVfangue  villanlaterra tinge) 

E dal  pome  a la  punta  ha  rolla  tutta 
Quella,  ch’ai  fianco  s’attraverfa  c cinge, 
Laqual  trai  fofchi  horror  raflembla quella, 
Che  vibra  k Ciel  la  procellofailella. 


CANTO  DECI  MOQV ARTO.  107 

lii.  Trovata  luvea  pur  dianzi  al  muroappcfa 

De  capelli  d A-don,  l* auree  catena  >' 

E n pegno  di  venactta  a l’alta  ofFefa 
Per  un  niello  mandata  a Ealfirena 
Hor  feguicando  l’ollìnata  ìmprefa. 

Vici!  per  la  via,  ch’a  la  fpeloncail  menai 
Ne  lafda  in  paga  de’faoi  molti  cftinti 
D’inrupeiblr,  d’incrudelir  ne’ vinti. 


IJ5.  Et  ecco  in  Malagor  quivi  s’abbatte, 
Cbe’lpiè  rivolge  da  rinfauftabuca, 

E ben  di  quelle, fquadre  honial  disfatte 
Clilarainence  comprende  elTere  il  Ducai 
Q^eigli  s’aventaailhor  di  fianco,  e’I  batte 
D’un  gagliardo  man  dritto  insù  la  nuca, 
Ma  la  tempra  de  l’elmo  adamantina 
Manda  in  pezzi  la  fpaJa,  ancorché  fina. 


154-  Spezzato  il  ferro  a fuol  cade,  e recilbi 
E fuol  l’impugnatura  in  man  gli  refta. 
Ride  il  Gigante,  ma  fomigiia  il  rifa 
Di  Cometa  crudel  luce  funefta. 

Un  Mongibello  ha  di  faville  in  viló,  - - 
Alza  la  fua,  poi  nel  ferir  l’arreda, 

E dice,Hor’hordi  noi  vedrem  laprova, 
Chi  non  polfo  migliore  libraccio  mova, 


IJ5.  Ma  pria  che’n  polve  ben  minuta  e trittx 
lo  mandiPoflà,  e dia  la  polve  al  vento, 
t Se  mi  dirai,  dov’c  colei  fuggita, 

Ch’io  fon  più  giorni  feguitate  intento, 

Efler  potrà,  ch'a  toglierti  di  vita 
Al  quanto  il  furor  mio  caggia  più  lento. 

li  Malagorre  a quel  dir  contro  la  guancia 
Delbjcaado  fouoij^;:^aaico  gli  lancia, 

1 . . £ 6 Et 


108 


GLI  ERRORir 

J36.  Etoltraccì  ò fràrindice,  e’Iine2ano. 
Pcrbcfta  il  primo  dito  in  mezo  accolto  , 
Stendendo  verfo  lui  la  delira  mano, 

Gli  dice,  Hor  togli,  e fputagli  in  sù’l  volto. 
Per  torre  indi  un  forcon  ficalaal  piano, 

E perche  tcmeintantoellerne  colto> 

Solleva  il  moncherin  de  la  finiftra, 

De  le  difefe  Tue  debll  miniftra. 

ijy.Che’ncontro  a quel  furor  tremendo  e crudo 
Scherno  non  è,  cn’a  ricoprire  il  vaglia. 

Ne  gli  varria,  s’avefle  anco  per  feudo 
Di  triplicato  bronzo  amplia  muràglia. 

Già  piombando  d’Orgonce  il  ferro  ignudo^ 
Tutto  per  mezoToflo  il  braccio  tagliai 
Rotto  Tarnefe  poi,  che  lo  ripara, 

'Spvra  l’homero  feende,  e’n  due  lo  Ipara. 

138.  Non  bel  concerto  di  dentato  ingegno  1, 
Mifurator  del  tempo,  unqua  lì  vide. 

Mentre  il  girar  con  Infallìbil  difegno 
E de  Phot  e,  e del  Sol  moftra,  e divide. 

Se  talvolta  gli  (lami,  ond’han  foftegno 
I fuoi  peli  piombati,  altri  recide, 

Del  volubile  ordigno  a un  punto  immòte 
Ecrmar  sì  ratto  le  correnti  rote. 

13^.  Come  polch’alfellon  tronco  è repente  • 

Dal  fèrro  il  filo,  a cui  lavitaattienfi, 
Pcrdonla  forza  I nervi immantenemente. 
Mancano  al  core  i moti,  al  corpo  i fenfi 
Lafcianoeflinra  ©gni  virtù  vivente 
Del’ellremo  dolor  gli  eccedi  rmnienfi, 
Càggionle  membra,  c l’alma  fi  dlllolve, 

JEi  languid’occbi  ombfa  mortale  involvc. 

Mor- 


canto  DECIMOQVARTQ.  lof 

140.  Morto  ilLadron,  lacavernola  pietra 
Ricerca Oriionce,  c iiullacatro  vifcernc. 
Non  però  da  l'inchiefta  il  palFo  arretra , 

E innanzi  va  per  cjualch’inditio  haverne. 

Palla  il  pr  imo  log^liar,  mà  non  penetra 
Nc  la  feconda  de  le  due  caverne, 

Ch’oltreil  grati  muro,che’l  caiuingU chiude 
Un’altro  inganno  il  fuo  penficr  delude. 

14*.  llbuon  Motor  de  la  feconda  Itclla, 

Che  sàben  dove  il  Giovane  fi  vela , 
Perlottrarlo  al  gran  rifehio , Aracnc  appella, 
Ch’ordifcc  in  un  momento  eftrania  tela, 

E con  rneravigliofa  arte  novella 
S’attraverfa  per  mezo,  e’I  varco  vela, 

E’I  vel  si  denfe  hà  le  lue  fila  induftri, 

Che  par  tclluto  già  di  molti  luftri. 

1 41.  Orgonte,  che’l  lavor  ritrova  intero , 

Nesà  l’agnato  de  l’occulta  via, 

Nc  creder  può  ch’alcun  per  quei  femiero 
Senza  ftracciar  le  reti  entrato  fia, 

De  l’antro  fuor  fiiliginofo  e nero 
Kitorna  indietro,  c pur  ricerca  e fpia. 

Lo  circonda,  Io  lquadra,e  lo  mìfura 
Fin  doveafboccar  va  1 altrafefl'ura, 

14|.  Una  mifera  Vecchia  appo  di  forame, 
Ch’cfceaqueft’altra  banda,  in  terra  fiede. 
Dove  d’api  fclvagge  un  folto  efiàme , 
Ronzando  intorno,  ir’c  tornar  fivede* 

A cortei,  che’l  ritratto  è deda  Fame, 

Del  fiigace  Garzon  novelle  chiede  * 

A cortei,  ch’è  sì  fcarna*,  e contrafatta , 

Che  di  radici  d’arbori  parlotta. 


fio 


GLI  ERRORI, 

J44.  Trema,  e conil  parlar  confufo , e roca 
Non  rende  per  timor  chiara  rifpofta. 

Se  non  ch’ai  fiero  Orgonte  addita  il  loco  , 
Dov’c  {bucata  la  faHola  colla, 

Là  cui  bocca  di  fuor  fi  fcorgcpoco, 

Tutta  fra  bronchi,  e lappole  nafeofta. 

Quegli  all  hor  la  rincalza,  e minacciando 
Dritto  le  pone  in  sù  la  villa  il  brando. 

J4j.  Ella,  il  cui  fpirto languido  e mefehino-  ; 
Debilniente  reggea  le  membra  laflc, 

A pena  il  ferro  folgorar  vicino 
Vide,  che  lenza  pur,ch’ei  la  toccalTc, 

Da  l’infolito  lampo,  e repentino 
Mortalmente  atterrita,  un  grido  traile-, 

E fuor  del  petto  ellangue  e fpaventato 
Di  fubito  dialo  rultimo  fiato. 

146.  Per  farne  fcherno  allhoraun  conlaronca 
D’humano  fangue  ancor  macchiata  e fporca 
D’una  rovere  anno  fa  il  ramo  tronca 

Sì  ch’a  guifad’uncin s’incurvi  e torca, 

E ben’ acconcia  alato  a la  fpclonca 
Col  fuo  groppo  corrente  e fune,  e forca, 
V’appender,  e pender lafcia,  horrido pondo, 
De  la  povera  V ecchia  il  corpo  immondo. 

147.  Tien  Icerto,  che  la  dentro  Adon  s’appiatù 
Orgonte,  e penfa  pur  come  lo  feopra, 
Vailene  al  buco,  ove  gran  tempo  fatti 
Han  Tapi  induftri  i cafamenti  {opra, 

Pache  ciafcunde’fuoi  la  zappa  tratti, 

E chi  la  pala,  e chi  la  marra  adopra, 
Stromenti,  che  quel  di  dopo  i lavori  , 
Quivi  lafciati  haveangU  agricoltori,, 

li 


CIA  NT  0 DECIMOQVARTO.  ih 

148.  Le  pecchie  allhor  , ch’a  lavorare  il  favo 
Stavano  travagliando  entro  i covìlli, 

Quando  picchiar  fentito  il  fallo  cavo 
Da  vomeri,  da  vanghe,  c da  badili , 

S’aventano  a lo  ftuol  pervcrfo  e pravo 
Con fpìne acute,  e ftimuli  lottili, 

B con  tal  hiria,  e tanta  ftizza  iifciro, 

Che  n’^uccilero molti,  e ne  ferirò. 

149-  Ma  quantuncjue  falvatlche,  e fupcrbe 
Trafigellerolor  le  mani,e’l  volto. 

Il  mal  però  de  le  punture  acerbe 
Appo  il  danno  maggior  non  parve  molto  ^ 
Sparfcfiil  mel,  che  dì  peftifer  herbe 
E di  fior  velenofi  era  raccolto , 

E quei,  che  da  ladroii  non  for  dillrutti. 
Cullando  quel  licor,  moriron  tutti. 

jfo.  Orgonte  Col,  viè  più  che  mai  feroce, 

Palla,  ove  l’herba  il  gran  pertuggio  occupa  > 

E fà  d’horrenda  e formidabil  voce 
La  voragln  fonar  profonda  e cupaj 
Ma  giunto  al  guado  occulto,  entro  la  foce 
Del  ruinofo  baratro  di  rupa , 

Econfcoppio  terribile  e rimbombo 
Vien  d’alto  in  giù  precipitando  a piombo. 

151-,  Non  labombarda,  eccefl'o  de’cormenti.y 
Non  il  monton  cozzante  e furibondo, 

Non  il  furor  de’più  crucciofi  venti. 

Non  il  fragor  del’Ocean  profondo. 

Non  il  fulmin  terror  de  gli  elementi,. 

Non  il  tremoto  fcotitor  del  mondo. 

Non  d'Etna,  ò d’Ifchia  il  fremito } e’I  fracaflb 
Si  pareggi  al  romor,  che  fe  quclfaflb. 


GLI  ERRORI;  • 

151.  Cadde  e con  tal  fubblflo  In  gui  portello 
Il  grave  pefo  de  le  membra  vafte. 

Cbc  fiaccandofi  in  pexxi  il  capo  , e’I  collo, 
L*ofla  tutte  lafciò  lacere  e guafte. 

Ditelo  voi,  fe  vi  crollafte  al  crollo 
Selve,  e voi  fere  fc’l  covil  laCciadc , 

Sclafciafte  per  tema  augelli  il  nido 
Al  luon  de  la  caduta,  al  tuon  del  grido, 

J53.  Parve  tuono  il  fuo  grido  , e parve  telp,  * 
E con ftrepito  tal  l’aure  percofle. 

Che  fparfo  il  cor  di  tiinorofo  gelo 
Dal  Tuo  gran  feggio  il  gran  Motor  fi  moffe. 
Temendo  pur , non  da  la  terra  il  Cielo 
Fuor  d’ogni  ul'anxa  fui  minato  folle. 

Tremarci  poli  arimpctofoverebio. 

Nè  ftettc  Caldo  il  fempr’iramobil  cerchio. 

15 +.  Et  ecco  al  fine  il  fin  (prendete  efleìnpio  ■ 

T emerari  fuperbi  ) a cui  foggiacc 
L’alterigia  mortai,  cbc  giufto  feempio 
Dal  Cleì’alpetta,  e l’infolcnxa  audace 
Cadde,  e caduto  ancor,  moftrò  , qucft’empio 
Segni  d’ira  arrogante,  e pertinace. 

Con  atti  di  furor , non  di  cordoglio 
Minacciando  fpirò  1 ultimo  orgoglio. 

155.  Adonfràqucfto  mexo  era  affai  prima  ‘ 
Campato  fuor  del  peri glìof®  varco, 

Perche  veggendo  fcintillar  da  l’ima 
Parte  le  ftelìe,  ove  s’aprla  c|uell’arco, 

Arcefo  de  la  volta  in  sù  la  cima. 

Il  palio  fifpedi  e leggiero  e fcarco, 

E malgrado  de’rubi,  e de  l’ortiche , 

AI  termine  arrivò  de  le  fatiche. 


Ufeito 


CANTO  DECIMOQVARTO.  nj 

fé.  Ufcico  faor  di  tenebre,  e dì  grotte, 

Molle  a i palli  dubbiofi  ì piè  tremanti. 

Nè  molto  andò  per  quelle  balze  rotte, 

Che  feriti  gente  caminarfi  avanti  ; 

E vide  (perche  chiara  era  la  notte) 
fer  laftrada  medefma  andar  tré  fanti, 

£’l  prima  innanzi  a i duo,  fi  come  Duc^ 
Portava  in  cavo  ferro  afeofa  luce. 

157.  Furcillo  era  coftui,  che  pollo  cura 
Quando  da  Malagor  fepolta  fuc, 

Venia  Filora  a trar  de  Puma  ofeura 
Per  cupidigia  de  le  fpogUc  fuc  , 

Hor  tolto  ch*ad  aprir  la  fepoltura 
Fù  giunto  il  ladroncel  con  altr  i dua  » 

La  lapida  levar,  che  la  copria, 

E’I  c^avere  fuo  ne  portar  via. 

Xj8.  Per  mirar  meglio  Adon  ciò  che  n’avegoa 
Rrtratto  in  parte  a’fuoi  nemicl.ignota. 

Ne  l'arca  iftefla  afeonderfi  difegna. 

Che  reltò  mezo  aperta,  e tutta  vota. 

Mà  mentre  che  nel  marmo  entrar  s’ingegna, 
Fà  che  caggia  il  coverchio,  e’I  fuol  pcrcota 
Aculei  roinor  color,  ch’ìnnanxi  vanno , 
Laician  la  preda,  & à fuggir  fi  danno. 

ij9.Tempo  è via  da  fcampar  (gente  iten  dietro^ 
Marcia  Statizzo,  (brigati  Brigante. 

Con  quello  dire,  il  mifero  feretro 
Gittando  a terra,  accelerar  le  piante. 

ValTene  fcortoall’hor  per  l’aer  tetro 
Da  la  candida  face,  e lampeggiante , • 

E trova  Adonlalventurata  Donna 
Sanguinofa,  trafitta , e fenza  gonna. 


II4  GLI  ERRORI,  I 

l6o.  Un  de’ladron,  da  troppo  Ingorda  voglia  | 

Spinto,  quando  posò  le  belle  Come,  ^ i 
Fuorché  l’ultimo  linb^  ogni  altra  Ipoglia  ^ 
Tolta  infretta  l’havea,  ncn  sò  dir  come. 
Ben’ei  conofce  {en’hàpietate,edoglla) 

A le  fatezze,  al  vifo , & ale  chiome 
Filora  ell'er  colei,  nè  sa  in  che  guifa , 

O chi  fia  quel  crudel,  che  l’habbiauccifa. 

léi.  Dal  freddo  cerchio  de  la  Dea  di  Cinto 
Una  corda  di  luce  in  terra  Icende, 

E dritto,  là  dov’è  il  bel  corpo  eftinto 
Quafi  linea  d’argento,  il  tratto  ftendei 
Onde  d’atro  livore  il  ciglio  tinto 
Veder  ben  può  (sì  chiaro  il  lume  (plendc) 

E nel  volto  già  candido,  e vermiglio 
Solo  fiorir  fenzala  rofa  II  giglio. 

lèi.  Vorrìa  pietofo  Adon  del  duro  cafo 
Rifepelir  quelle  bellezze  Ipente, 

Ma  da  portarle  entro’l  marmoreo  vaio 
Forze  non  ha,  nè’l  tempo  anco  il  confentc. 
Non  vuol  però,  ch’ignudo  ivi  rimafo 
Il  corpo  de  la  giovane  innocente, 

Poiché  cibo  a le  fere  in  terra  il  lalfa, 

Sia  fcherno  ancora  al  pelegrin  che  pafla. 

i6  5.  E perc’homai,  che  raccorciato  ha  ilcrine  , 
Vano  ftima  il  celarli  in  altra  vefte , 

Depon  le  fpoglie  lunghe  e peregrine, 

E la  vergi  n reai  copre  di  quelle. 

Dopo  l’urticio  pio  partendo  al  fine , 

E ftillando  dal  cor  lagrime mefte , 
Poic’honorarlaallhor  non  può  di  folTa, 

Prega  requie  a io  fpirto,  e pace  a l’oilà.  . 


CANTO'  DECIMOQVABITO.  it; 
1^4"  Partito  a pena  Adon,  CìafFov’arnva> 

j Un  de’pm  bravi,  e più  temuti  Cani , 
Chemaid’lrlanda  in  su  l’algente  riva 
Prodotto  fufl'e  ò^r  tra  i monti  Hìrcani, 
1-ofcelfe  Malagor,  che  lo  nutriva, 

Tra  ben  cento  Molofli,  e cento  Alani  , 

E nc’fuoi  ladronecci  empi  e malvagi, 

A le  morti  avez2ello , & a le  ftragi. 

L’havea  già  contro  a Paverfariafehiera 
Con  intrepido  ardir  quel  dì  feguito, 

E riportò  da  la  battaglia  fiera 
Di  due  punte  di  fpiedo  il  fen  ferito. 

Nel  fan^ue  humano  era  incarnato,  & era 
Rabbiouflìmamente  inferocito. 

Et  hor  venia  con  queruli  ululati 
Cercando  il  fuo  Signor  per  tutti  i lati, 

T otto  che  Ifcfa  al  pian  col  volto  rnfufo 
Vide  giacer  la  mifer^  Donzella, 

Sbarrando  I ringhi , e diftendendo  il  mufi> 
Inchinoin  a lambir  la  faccia  be  Ila  ; 

E come  a tai  vivande  affai  ben  ufo. 

Il  capo  tutto  divorò  di  quella , 

E poiché  l’hebbeapien mangiato  cguaffo. 

La  bocca  foHevò  dal  fiero  pafto.ì 

167.  Mentre  nel  bianco  vel  forbifeee  netta 
L’orrenda  lingua,  c la  fpietata  zanna, 

Ecco  su  la  Ibranata  Giovinetta 
Giunge  Filauro,  e per  error  s’inganna, 
L’orme  feguendo  de  la  fua  diletta , 

Trova  il  crudo  Martin,  che  la  tracanna. 

Così  pensò,  fchernitpdala  verta 
E dal  tronco,  che  feema  havea  la  tefta. 


Ima», 


GLI  ERRORI, 

l6i.  Iraaglnò  fenz’alcun  dubbio  al  mondo 
Licafta  dler  colei,  cb’craFilora, 

Onde  rivolto  a l’animale  immondo , 
Trangugiator  de  la  bcltà,’^Vadora], 

‘ E rapito  da  l’’impeto  iracondo, 

Un  ftilctto  , c’havca,  trabendo  fora , 
Strozzollo,  e con  mortai  colpo  improvilo 
Il  fè  cader  fovra  Tucclfa  uccìlb. 

l6^.  Stringendo  tuttavia  racutoftile. 

Il  bel  bullo  ftracciato  ei  tollè  in  braccio. 

Deh  s’ancor  per  quell’aere  ombra-gentile. 
Voli  fciolta  (dicea)  dal  carolacelo, 

Gradifciil  facrificio,  ancorché  vile  , 

Ohoggi  col  core,  e con  la  man  ti  faccio. 
Ecco  ad  offrir  due  vittime  ti  vrgno, 

L’una  offerta  è d’amor,  l’altra  di  fdegno. 

170.  L’una  è del  Cozzo  can , che’el  fior  m’invola 
Di  beltà  tanta  in  fua  ftagion  più  frefea. 

Il  fanguc  fparfo,  eia fcannata gola 
Divoratrice, di  sì  nobil’efca. 

L’altra  è l’anima  mia,  ch’a  te  Cen  volo, 

Deh  di  reco  raccorla  hor  non  t’increfca. 
Accetta  il  don  di  quella  fragil  falma , 

Mirai  pianti,  odi  i preghi,  e prendi  l’alma. 

171.  DilTc,  e con  quello  dir  nel  proprio  fianco 
Sofpinfe  il  ferro  al  Tuo  Signor  malfido, 

E’I  varco  aprendo  a l’egro  fpirto  e fianco 
Gli  rupe  il  nodo,  e lo  Icacciò  dai  nido. 

Cadde  sù  la  ferita,  e freddo,  e bianco 
Languì,  dal  cor  ti'ahcndo  un  debil  grido. 
Qual  fuole  in  piaggia  aprica,  ò in  valle  om- 
Laguir pàpin©  in  vice,ò  foglia  in roCa.  (bro^. 


CANTO  DECIMOQVARTO. 

17 1.  Tal  fu  di  queftl  duo  Tacerba  forte, 
Nati  inficine, Sc^ftinti  in  sìverd’anni. 
Infelici  gemelli,  a cui  dici  morte 
Duo  tralcurati , e difpietati  inganni. 
Ambo  del  par  da  deftin  crudo,  e forte 
Per  colpa  uccifi  di  falici  panni. 

Ingannò  quella  altrui,  fe  llellb  quefti, 

E l’uno,  e l’altro  al  fin  tradir  le  vefti. 

173.  Adone  il  primo  autor  di  tanti  mali, 
Lui^e  in  tanto  di  qua  fen  va  fecero, 

Stefc  in  alto  la  Notte  bàie  grand’ali , 

E fregiai!  Ciel  del  bel  fereno  ofcuro, 
(^and’ci  già  fianco  alfin  le  membra  frali 
Si  rifolve  agittar  sii’l  terrcti  duro, 

E prcflbrorlo  d’uri’ herbofo  fonte 
V aflene  afifitto  ad  appoggir  la  fronte. 

*74-  Apena  in  grembo  al  fuol  verde  e fiorito 
Alquanto  ha  per  pofar  china  la  tefta. 
Ch’ode  fra  pianto  e pianta  alto  nitrito, 

E voce  mormorar  flebile  c mefta. 

Ecco  ftranio  Guerriero  abrun  guernito 
Da  manca  attraverfar  l’ampia  rorefia  i, 

E’I  può  chiaro  veder,che  chiaro  intorno 
Cinthia  già  trahe  fuor  de  le  nubi  il  corno. 

X75.  Deliro  viè  più  di  qual  più  deliro  augello 
Preme  dcftrier  l’incognito  Campione, 
Morto  di  llirpe,  e dì  color  morello , 
Fiamma  al  moto  fomiglia,  al  pel  carbone. 
Io  non  credo,  che  fofchl  a par  di  quello 
Nclaquadrigafua  gli  habbia  Plutone. 
Solpicciolfrcggion  bruno  capo  inalba, 

Hà  ad  manto  la  notte,  in  frontc.l'Alba,  - 


ti8  GLI  ERRORI, 

ry6.  Be  n s’agguaglia  al  cavallo  il  Cavalicro» 
Che  gli  preme  la  fella,  e reggeil  freno: 

Velie  fovr’arrai  nere  habico  nero,  I 

Che  di  ftelle  dorate  è fparfo  e pieno. 
Sembralo  feudo  fin  d’acciaio  intero 
Pur  brunito  ,e  ftellato,  un  Ciel  fercno. 

Là  dove  unbreve  appar  fcricto  di  forc. 

Aliai  più  che  gli  arnefi  hò  nero  il  core. 

177.  Sù  Telmo  fomiglian  al’ atre  fpoglie 
Di  dilicata  e nobile  fcultura, 

Sorge  d’un’O  Imo  vedovo  di  foglie. 
Schiantato  i rami,  la  divifa  ofeura, 

Che  mentre  amica  Vice  in  braccio  accoglie 
Con  vicende  d’appoggio,  e di  verdura. 
Fulmine  irato  il  bel  nodo  recide, 

E i fuoi  dolci  Himenei  rompe,  e divide. 

178.  V à per  Tombrofo  e folitario  bofeo. 

Loco  à Tofeura  mente  afl'ai  conforme. 

Tutto  dentro,  e di  fuor  dolente,  e fofeo 
De’fuoi  vaghi  penfier  feguendo  Torme. 

Pofto  hà  Tira  il  Cinghiai , TAfpido  il  tofeo. 

Il  Paftor  col  Maftino  ò tace,  ò dormej 

Sol  TalfllttoGuerrier  fvegUa  ogni  belva 
Per  Tombre  de  la  notte,  e de  la  felva. 

l7^.ScIoelie  in  languidi  accenti  il  freno  accolto 
A idelperati  fuoi  gravi  dolori. 

Et  a Tagli  corficr  non  men  Thà  fciolto,  . 
Che  vagando  fen  vàper  mille  errori  j 
Sotto  il  feren,  per  entro  il  cupo,  e’I  folto 
E de  notturni , e de’felvaggi  horror! 

Ilcorfier  via fcl  porta, & ei  che’l regge, 

Da  chi  leggiehà  da  lui  prende  la  legge.  > 

Stancflt 


i 


CA^^TO  DECI  MOQV  ARTO,  iti» 

5o.  Stanco  alfin  prc(To  il  fonte,  ove  la  frafca 
E’più  denfa  e frondofa,  il  palio  affrena. 
Difmontaa  terra,  c pria  ch’idi rinafca, 

Vuol  dar  riftoro  a l’affannata  Iena. 

Lafcia,  ch’a  fuo  diletto  a piè  gli  palla 
Libero  il  corridoi*  lenza  catena, 

Che  la  nova  ftagion,  quantunque  acerba. 

Gli  fà  Italia  la  felva,  e biada  l’herba. 

i8i.  Tiranno  empio  e crudel,  come  n’alletti 
(Cominciò  poij  con  dolci  inganni  e frodi. 
Pace,  piacer,  felicità  prometti, 

E dai  guerre,  miferie,  e lacci,  e nodi; 

Tieni  i tuoi  fervi  in  forte  giogo  ftretti, 

E vuoi,  che  prigioner  fieno  in  più  nodij 
Et  a i corpi,  & a l’anime  non  doni 
Altro  allìn,  che  legami,  e che  prigioni. 

iSi.  Dura  prigion,  che  mi  contendi  e ferri 
Quel  Sol,  che  l’altro  Sol  vince  d’ai, 

Ahi  quanto  è vano  il  tuo  rigor , quant’erri 
S’offufcar  penlì  i Tuoi  lucenti  rai. 

Folli  ofeura  fpelonca,  hor  che  i tuoi  ferai 
Luce  lì  bella  indora,  un  Ciel  farai, 

E fora  un  Ciel,  fe’n  quell’horrore  eterno 
PenetralTe  un  fuo  lampo,  anco  l’Inferno. 

l8j.  Voi,  che  chiudere  in  cavernofo  tetto 
. Il  mio  dolce  theforo,  ò chiavi  avare. 

Aprite  (prego)  c poi  m’aprite  il  petto 
Quell’ttlcio  fordo  a le  mie  voci  amarci 
Ond’cgli  a riveder  l’amato  oggetto 
Torni  del  Sole,  io  de  le  luci  care, 

Luci,  che  più  di  voi  fide  e foavi 
Son  del  mio  core  e carceriere,  e chiavi. 


no 


GLI  ERRORI 


i8 4.  Ferti  fpletau,  che  que’lurai  belli 
Sotto  tenebre  indegne  havete  afeofi. 
Per  cancellar  con  rigidi  cancelli 


Se  fdegnate  aftoltar  preghi  amorofi, 

Crudel  quella  fucina  e quel  terreno,' 

Che  vi  temprò-,  che  vi  raccolfe  in  Ceno. 

i8y.  Che  non  cedete  homai  libero  il  loco 
Di  chi  vi'prega  al  fervido  defio? 

O’corae  a tanto , e sì  cocente  foco 
Ancora  intenerir  non  vi  vegg’io  ? 
Concederemi  almen,  che  pur  un  poco 
Pofl'a  l’efca  appreffar  de  l’ardor  mio. 

Poi  di  voi  faccia  (io  fon  contento)  Amore 
£ catena  al  mio  piede,  e fpada  al  core. 

x86 . Qui  tacque,  e rifallir  volfe  in  arcione 
L’aventurier  de  l’armatura  bruna. 

Perche  vide  non  lunge  il  vago  Adone 
Ai  balenar  de  lafurgente  Lunaj 
E ftretto  il  ferro  havea  contro  il  Garzone, 
La  cui  vifta  gli  fù  troppo  importuna, 

E fi  fdegno,  che  l’amentar  Pudifl'e, 

Se  non  ch’egli  il  prevenne,  e così  diflc, 

187.  Huopo  qui  non  vi  fia  di  brando,  ò d’hafta 
Signor,  gioftra  non  vò  guerra  non  cheggio. 
Cheggio  pace,  c pietà,  che  ben  mi  bafta. 

Se  con  Fortuna,  e con  Amo  guerreggio. 
ChiconPortuna,  e con  Amor  cmitrafta. 
Che  può  da  Marti  mai  temer  dipeggio' } 
Laflb,  che  con  altr’almi,  e d'altra  (oric 
Per  man  d’altra  Cuerrerahebbi  la 


Di  celeftc  beltà  raggi  amorofi,  • 
S’ai  fedeli  d' Amor  liete  rubelli. 


CANTO  DECIMOQyARTO. 

l88.  Egli  m’hàbcndi  sì  pictofàcura 
Voftro  dolce  languire  licore  imprdib 
Ch’io  f^rei  volenricr  di  qixefta  dura  * 
Amorofa  tragedia  ogni  facccffo; 

C^al  talento,  qual  forza,  ò qual  ventura 
Vi  defvla  da  le  genti,  e da  voi  fteflo? 

Ch’io,  che  non  fon  da  fimil  laccio  fciolto. 
Gli  afiànni  altrui  nonfenz’affanno  afcolto, 

l8p-  E canto  più  de  Pafcoltatc  pene 
Forte  a piet  a m’intenerifco,  c movo, 

Che’l  noftro  Arato  fi  confa  sì  bene. 
Ch’udendo  i voftri , i dolor  miei  rinoro,  É ' 
Di  ceppi,  e ferri,  e carceri , e catene  * 

(S’io  ben  co^mprendo)  a ragionar  vi  trovo. 

Et  anc’io  tra  prigioni,  e lepolture, 

Di  loco  in  loco  ognor  cangio  fciagure. 

190.  QucAro  amarvi  non  folo,  c revcrirvi  ' 
Mi  fa;  quantunque  incognito  e ftraniero, 

Mà  la  pcrfonaiArefik  anco  offerirvi, 

Quando  pur  non  habbiate  altro  fcudìcro. 
Saprò  con  pronto  affetto  atmenfcrvirvi , 
Tenervi  l’armi  anch’io , darvi  il  deftricro. 

Chi  porta  ognor  tante  Inette  al  fianco 

Una  lancia  portar  potrà  bcn’anco, 

191.  AqueftofavclIarcortcfe,cpiOj 

A quella  egregia  e fignoril  prcfenza 
Il  guerricr  placò  l’ira,  cne  ftupio 
Mirando  di  beltà  tanta  eccellenza; 

Nè  men,  ch’egli  di  luì,  venne  in  defio 
D’havcrnc  apìen  contezza,  e conofeenza, 

E gli  occhi  intento  ne’begU  occhi  afiìTc 
Penfando  pur  chi  fofiè,  onde  venific. 

I Vo/.  lu  F far* 


L’armi  dcpofe,  e gli  rlfpofc:  Amico, 

Poiché  ranco  ti  preme  il  mio  lamento. 

Non  vò  tacerlo,  ancorché  quant’iodico 
Tempri  nò , mà  rinfrefchi  il  mal  ch’io  fcuto, 
Con  la  membranzadeldilettoantico. 

Dilli  diletto,  edevea  dir  tormento. 

Che  non  hà  doglia  il  mifero  maggiore,  . > 
che  ricordar  la  gioia  entro  il  dolore. 

195-  Gir  così  folo,  e fconfolato  errando 
Dura  del  Cicl  necelfità  mi  face  » 

Da  gli  altri  lunge,  e damefteflb  in  bando 
Non  vò  però  fenza  conforto,  e pàcc. 

’Son  difcepold’ Amore,  e contemplando 
Filofar  co’miei  pender  mi  piace,  . 1 

V Ch’a  chiunc|ue  d’Amor  s’afHige,  e lagna  •' 

L’ifteiVa  folicudine  è compagna.  l 

Xj)4.  Màfc  l’hiftoriaamara  e lagrimofa  • 

Pur  d’intender  ti  cal,  conta  ti  fia,  l . • 

E ftupir  ti  farà , quanto  vuol  cofà,  ■ , 

Ch’altrui  pietace  , e meraviglia  dia,  « ^ 

Finche’l  di  fia  vicin,  meco  ripofa, 

Poi  forgeremo,  e parlcrem  pervia. 

Che  benc’huomo  al  mio  affar  non  fia  d’aiutq} 
Nè  compagnia,  nè  corcefia  rifiuto. 

Ciò  detto  in  riva  al  fonte  ambo  pofàto  , 
L’un  fi  fé  feggio  un  tronco,  e l’altro  un  faflb 
E quei  verfo  il  Donzel,  che  gli  era  al  paro. 
Levato  alquanto  il  vifo  humido  c bado. 

Dopo  la  tratta  d’un  fofpiro  amaro  , 

Che’l  profondo  dolor  rupe  in  Ahi  laflb , 
Finalmente  allargo  per  lungo  corfo 
In  quella  guifà  a la  favella  Ù morfo. 


canto  DECIMO.QVARTO.  1^5 

19^-  Sù’l  mar  d’AlIìria  infra  duo  porci  fiedc 
Sidon  la  terra,  ov’io  mi  nacqui  in  prima 
II  mio  gran  genìtor  tutto  pofTiede 
Tra  Ciucia,  e Panfilia  il  fertil  dima, 

Sidonio,  de’Fenìci  unico  heredc 
Son’io  , che  falfi  a la  gran  rota  in  cima* 

Ma  caddi  in  breve,  c i fior  del  mio  gioire 
Mi  fero,  fi  feccaro  in  su  l’aprirc»' 

1^7.  Giunt’era  II  fello  dì,  quando  tra  noi 
L’Idol  crudel  fi  reverifee  e cole , 

Quando  non  pur  con  gli  habitanti  Cuoi  'j 

Honorar  sì  gran  feda  Egitto  fuole, 

Mà  Siria,  e Saba,  e dagli  eftremi  Eoi 
Vien  l’Indo,  c’I  Perfo  a la  Città  del  Sole, 

Città  vera  del  Sol,  tra  le  cui  mura 
Habitava  quel  Sol,  che’l  Sole  ofeura. 

1^8.  A celebrar  quel  raemorabil  giorno 
Perearin  feonofeiuto , anch’io  ne  venni 
Nel  ricco  Tempio,  e di  bei  rregiadorno 
Fra  le  turbe  confufo,  il  piè  ritenni. 

Et  ecco  fuor  del  Tuo  reai  foggiorno 
Argene  ufeir  con  pompe  alte  c folcnni 
Movendo àvifitar  (com’è  collume) 

Da  granpopol  feguita,  il  fiero  Nume, 

199‘  Era  Argene  di  C Inira  forclla. 

Che  fu  già  di  qucft’Ifola  fi^norc. 

Coftei  poiché  del  bando  udì  novella, 

Che  chiamava  a lo  feettro  il  fucceflbre, 
Precorfe  ogni  altro, e qua  fen  venne  anch’ella 
Ambitlofadel  reale  honorem 
Mà  pria  ch’ufcifle  il  generale  editto , 

Nel  tempo,  ch’ioti  dico,  erainEgitt». 

jr  X 


,,4.  GLI  ERRORI, 

100.  Fn  maritala alPiincipcMorafto, 
Udi^co  ricordar  l'havrai  talvolta. 

Màla  caraunion  del  letto  cado  ^ 

Fu  poi  per  morte iubreve  [pano  Icioita. 
Piaaie  il  nodo  gentil  rccifo,  e guafto 
Vedova  acerba  in  brune  fpoglie  avolta. 
Nè  di  lui  le  redo,  fuor  che  fol’una 
Pargoletta  reai,  progenie  alcuna. 

101.  Lcgt^iadra  è la  fanciulla  a meraviglia, 
E viè  p?ù  ch’altri imaginar  non  potè, 

Si  che  l^eflèr’herede  unica , e figlia 
D'unsVgran  Rege,  è la  minor  lira  dote. 
Vero  in  di  bianco  fen,  di  brune  ciglia , 

Di  bionde  chiomec  di  purpuree  gote. 
Mira  l i fronte,  ivi  tien  Corte  Honore^ 
Volgiti  a gli  occhi,  ivi  trionfa  Amore. 


lot.  La  novellainfelice  alci  jperveime, 
Ch’uccifoin  campo  il  Rè  fu  di  mia  mano. 
Lungo  a dir  fora  in  qual  battaglia  avenne 
L’horribilcafojonde  midolfi  Invanno 
Noi  conobb’io,  che  Ibtt’altr’arm'i  venne, 

E guerrier  lo  dimai  privato,  e drano, 

Ma  fempre  in  guerra,  c tra  l’armacc  fchicre 
Lice  (comunque  fia}  ferir  chi  fere. 


,,  o^  Prefe  da  indi  In  poi  fempre  che  l’anno 
Rinova  il  dì  de  la  memoria  meda. 

Il  teftimonio  d’un  sì  grave  danno, 

Quali  inCegna  terribile  e funeda, 
i^ifpiegar  publicamente  un  panno. 

Ch’è  dei  Rè  morto  la  fanguigna  veda, 
Per  irrìtar’ancor  la  Giovinetta 
Con  quel  drappo  vermiglio  a la  yeudetta. 


canto  DECIMOQVARTO.  u; 

* 

^04.  Deve  il  gran  tempio  forfè eflerti  noto, 

A la  vendetta  edificato  e facro, 

Dove  (uol  venerar  con  cor  devoto 
De  la  Dea  fangulnofail  fimulacro, 

Sù  i negri  altari  ha  quel  di  ftefloinvoto 
Sparger  di  fangue  human  largo  lavacroi 
E i vairalli  miei  cari , i fervi  miei 
Sonl’hoftie,  che  facrifica  coftei. 

loj.  Cosi  fin  da  quel  di  giurato  havea , 

Clic  del  Rè  fpofo  fuo  la  morte  intefe, 

Cosi  promife  à rimplacabil  Dea 
Per  l’oltracs^io  emendar  di  chi  l’ofFefè. 

Ne  quefta  legge  ngorofa  e rea 
Pia  giamai  cancellata  inquelpaefc, 

Finche  di  farlo  alfin  lefia  concedo 
Gol  fangue  ancor  de  l’homicida  ifteffo. 

106.  LTaltera  Donna , accioch’pgnun  fi  mova 
Tratto  da  l’efca  de’foavi  inviti. 

La  figlia  ch*è  si  bella,  e che  fi  trova 
Sù  la  verdura  ancor  de’dl  fioriti, 

Benché  cento  di  lei  bramino  a prova 
Potentiffiml  Reglefi'er  mariti, 

Promife  di  guiderdonfolo  ì chi  quefta 
Mi  troncherà  dalbufto  odiata  tefta. 

t07 . V enne  al  delubro  di  fpictato  e crudo 
La  cruda  Argene,  c'fccfe  entro  la  foglia, 
Softenea  ne  la  delira  un  ferro  ignudo, 

Ne,  e fpruzzata  a rodo  havea  la  fpoglla. 

Seco  era  quella,  per  cui  tremo,  c fudo, 
Dorilbc,  la  cagion  d’ogni  mia  doglia, 

Che  feguiapur  del  Barbaro  holocaufto 
L’apparecchio  inlmmano,  e’I  culto  infaufto. 


GLI  ERRORI, 


ao8.  Deh  perche  la  cagion  de’primi  pianti 
Rammento?  e fYegli  pur  grinccndii  miei. 
Poco  deftra  Fortuna  a i liti  fanti 
In  forte  punto,  oimè,  traile  colici. 

Vinti  da’ fiati  allhor  dolce  fpìranti 
Furo  I fumi  odoriferi  Sabei, 

E prcfl'o  a i lampi  de  le  vive^ftelle 
Tramortirò  le  lampe,  elefacelle. 

105,  Al  folgorar  del  rapido  fplcndore 
Arfi,  e rimafi  abbarbagliato  e cieco. 

Pur  cieco,  io  vidi  in  quel  bel  vifo  Amore, 

Et  havea  l’arco,  e leqiiadrella  fcco. 

Fuggi  (gridar  volea)  fuggio  mio  core. 

Ma  m’avidi,  che!  cor  non  era  meco. 

Ch’era  volato  (ahipenfier  vani  e fciocchi) 

A farfi  prigionier  dentro  i begli  occhi. 

aio.  Hor  qual  fecuro  Alilo’,  ò qual  magione 
Fia  che  vaglia  a fottrarne  a i lacci  tui„ 

Se  fin  nel  (acri  alberghi.  Amor  fellone, 
Perfegui  i cori,  & incateni  altrui  ? 

Quindi  da’ tuoi  minillri  a ria  prigione 
Sacrilego  crudel,  condotto  io  fui,  ^ 

Nè  dal  tuo  nodo  ingIurìofo&  empio 
V alfe  allhor  punto  ad  affidarmi  il  tempwx 

aii.  Erano  giade  ceremonle in  punto, 

Il  coltello,  e l’Incendio  in  ordinmcllb  ^ 
E’I  minifterio  abominabit  giunto 
A Falcar  fonerai  molto  daprellb. 

Lavorato  l’altare  era  trapunto 

D’un  drappo  bruno  a tronchi  di  ciprellb. 

Grand’urna  alabaftrìna  eravl  fufo. 

Che  tenca diMorafto il  ccncr  chiufo. 


h 


' CKUTO  ^ S Clivi  O QVARTO.  Ù7 

la  cima  a l*ai'a  ictniyìanze  horrcnde 
, * Tutto armaro  d.*acclar,  d’acciarfcolpito  • 
DcJaVenderta  il  fiixiiilacro  fplcnde. 

Stringe  un  pugnale,  e si  fi  morde  il  dito. 
Vermìglia  fiamma  il  lucid’elmo accende, 

' fiero Laon  le  giace  a piè  ferito, 

ClVa  la  ferita  o v’è  confitto  il  dardo, 

JFi/b  rivolge  , e mi nacciofb  il  guardo, 


tij.  Lareverenre,  e lupplice Rema 
Colàdovelaftà tua  in  alto  appare 
Le  luci  alzata,  e-le  gì  nocchia  cliioi  :t;v.  . 
Humilmcnte  Ipargca  1 actinie atharc- 
^ lo  fatto  intanto  a fa  b e I ca  divina 

• Del  bell’ Idolo  amato  il  core  altare, 

Luor  del  foco  trahea  de’mieidcfiri  - ^ . 
Quali  incetifi  fumanti,  alti  fblpiri. 

5'^  ai4.  Mentre  ebe  tutto  al  Tacro  ufBcIo 

• fiero  tributo  ala  leverà  Diva, 

Il  Sacerdote  entro  il  gran  rogo  accefo 
Da  fvifeerata  vittima  cjfFeriva } 

Io  di  ben  mille  ftrali  Pf»®  offero, 

• Sbranato  il  core,  &c  alfo  m fiammaviya 
Idolatra,  fedele,  a la  m»a  Dea 
' Sacrificio  de  l’ anima  fhcca. 


poicberimpurefiammedfangueeftmfc 
Che  da  la  vene  unCvcnturato  apeife, 
Coltolo  in  vafel  d’or,  la  man  v numfc 
V *1  r-narltal  ccncr  n alperfe 

y of  cWamanaolo  a nome,  il  brando  ftriiife , 
^ del  ferro  entro  v immerfc, 

■£1  cftie  - ^ gp-,anfc-,alfin(Ulei  . 

Confermo  1 vo  > 

Ceftaro  1 P ^ C»Kc- 


GLI  ERROKH  I 

aié  D’Hcliopoli  a Menfi , ov’c  la  fede  I 

Principal  de  la  reggia , e’I  maggior  trono* 
Riede  la  Corte,  e la  Reinà  riede, 

10  l'accompagno,  e mai  non  l’abbandono 
Seguo  colei,  che  come  il  core,  il  piede 

T ragge  a fua  voglia,  onde  più  mio  non  fono  I 
Patria  non  curo,  e fatto Eglttio  anch'io» 

Per  la  Fenice  miaFenicia  oblio. 

La  fama  intanto  a diffipar  fi  viene* 

Che  crear  cjuì  fi  deveil  Rè  novello, 

Onde  d'Egitto  alfin  fi  parte  Argene* 

E con  fece  ne  trahe  l’Idol  mio  bello  * 

E paflà  a Cipro,  e’n  Pafo  fi  trattiene  , 

Quivi  dimora  entro  il  rcal  caftelloi 
E a gran  volo  di  fpalmato  legno 
•yofto  à Cipro,  & a Pafo  anch’io  ne  vegnOi 

xiS.DTi  guardo almc,d’un  detto  (altro n6  chegr 
Cheggio  appagar  l’innamorate  voglie,  (gio) 
Volgo  mille  penfien  ma  che  far  deg^io , 

Se  parlarle,  e mirarla  il  Ciel  mi  toglie  f 
Modo  trovar  non  sò,  mc20  noti  veg^o 
Da  dar  picciol  conforto  a tante  doglie* 

OVome  a confeguirne  il  fin  bramato*  ' 

Recar  mi  polla  agevolezza  il  fato. 

Lafl'o  ad  amar  la  mia  nemica  ifteffb, 

Quella,  ch’a  morte  m’odia,  io  fon  coftretto. 
Quella,  che’n  virtù  dee  di  fua  promefla 

11  mio  capo  pagar  col  proprio  letto. 

Grande  è il  periglio',  ahi  che  fato?  con  cflai 
Difeoprirmi  non  ofo,  e’ndarno  afpetto. 

Se  conofeiuto  fon,  non  fpero  aita , 

E k fperanza  ìnun  perdo,  e la  vita^ 


De- 


,v  CmTO  13’E  C ilVEOCtVARTO 

‘J.^fid-nocrerce 


119 


TrV,^;«  -1“  ♦ crelce 

Ira  id,fix.:ai  a «coppa  ailal  più  gra,c ,• 

ChArgeiic,  aaacaii  pa.r  s’accoppuemcrce 

Accortca2^a_,  c rigore^,  tn  cura  I have.  ' 
Cluulaii  caco  , sa  che  giamai  non  cfce 
Socco  Cccre  na,  eV^on  fìdaca  ciaiavc , 

Nè,fe  noiv  Icrco  £ol  , ixiax  le  concede 
Ubero  trar  d-cl  regio  albergo  il  piede. 


^ Come  la  fpica  Incoronar  ranfie 

Come  togUon  la  ro£a  armar  le fpi ne, 

Cosi  aDorifl^c  incorno  in  guardia aiUfle 
Schieradl Donne  illu.ftri,  e pereo^rlne 
Ch’lnvolaca  la  tengono  a Je  ville,  * ’ 
Non  clic  de  vagheggianri  alerapine, 

PcnCa  s’aliro  1'^»  pocea,  che  conlamcncl 
^ PalVvdlr  l’au.i*e,  e co-ri' ibi pir  cocenti. 

5^  Amor  (mà  che  non  tenta  ? ò che  non  olà?l 

, 3 Amor,  (che  tutto  regge,  e tuccomove 
i'  M'infpirò  ne  peulìer  iugegnofa, 

I Arti  mCcg  no  mirti  Im-ificateenovc. 

Aaaor,  eh’ ad  onta  de  la  Ocagelofà 
Cangiar  feppe  In  pivi  forme  il  Tonno  Giove. 
Aniorltaco,  fcmhìanza,  habiep,  e nome 
A mutar  micollrinlc,  ediròcomc. 

11).  Giardln»  che  di  frondo^  ombre  verdegc^Ia 

Le  falde  infiora  al  gran  palagio  augnilo,  ° 
Là  dove  unico  varco  l’altra 4’ajrareggia 

Apre  In  folingo  calle  un’uTcij  augulto. 

Mà  cautamente  U gu^da,  &lìgnoj-gggj^ 

Il  fido  •Kerborco,nnyccchiarclrobufto. 

I)  'l  bel  verxlero,  ov  altri  entra  diraro, 
SÒVUcito  culto  JT,CUftode  avaro. 

^ i Scent» 


4 


1 


;a  GLI  ERRORI,’ 

X14.  Scender'ailai  fovente  Ivi  adiportoi- 
Le  cionzeMe  di  Corte  hanno  per  ufo. 

Per  > ch’intorno  intorno  il  nobll’horco- 
D’infupcrabil  muro  è tutto  chi  ufo 
Qui  da  {IcHabcni^na  a cafo  Tcorto , 

Qjì  da  ftupor»  qui  di  piacer  confufo 
rollando  uu  dì , mentre  il  villann’ufcia. 
lo  vidi  fpatiar  ranima  mia» 

aiy.  Soviemmi  tofto  un’amorofo  Inganno  r 
Sembiante,  e qualità  trasformo  e nng,o» 

Di  rotta  fpoglla,  e di  mendico  panna 
Pattuii  cc'ntadin,  mi  vcfto  e cingo. 

Cingo  la  fpada,  e {(Icom’efll  fanno) 

Grolla,  e ruvida  pala  in  man  mi  ftringo» 

A irozi  atrclì , al  rozo  andar,  che  ve^e. 
Povero  zappador  ciafeun  mi  crede. 

zi6.  Sotto  un  cappel  di  paglia  il  capo  appiatto> 
C hà  di'  vago  Faglan  penna  dipinta. 

D’afpre  lane  hò  la  gonna,  afpro  fovatto 
Ricucito  in  più  parti,  e la  mia  cinta. 
Malpolita,  la  fibbia  innanzi  adatto, 

C he  con  curvo  puntai  la  tiene  avinta..^ 

Calzo  fordide  cuoia,  e fotto  il  braccio 
Con  vii  corda  a traverfo  un  zaino  allacclo* 

xiy.  Porto  di  marche  d’oro  iLzaino  pieno 
Con  cui  velar  l’ardita  aftutia  intendo. 

Di  gemmate  vafella  ancor  non  meno, 
pdi  vezzi dipeilc un  groppo  prendo. 
Soletto  poi  con  quefte  cofe  in  feno 
L’aprir  de  lufcio  in  sù  la  foglia  attenda* 

Et  ecco  in  breve  ufeir  quindi  veggio 
Il  giardiniel  del  Paiadiio  mio. 

Pont 

*i 


w;  13  :E.  CIMO  QV  ARTO.  131 

/i/./ommigli  inconrro,e  dico.’:  Afcólca  quanco 
ni  Acoimnun  prò  pei.”  ragionarti vegnoj 
)1ì"ki  e a quelle  parole,  onei’io  mi  vanto 
ìi  Gran  vcncura  oc  tener,  volgi  Tingegno. 

•0,  Mifer,ta  iuciì  a procacciarci  in  tanto 
ài'  A /avita  caci  e lire  alcixn  foftegno, 

'aie,  l’ibcn  non  rari,-  n e cu  ris  onde  trar  puoi 
Porranata  cjuiecc  a gli  anni  tuoi. 

119.  Tudeifaver,  che  co  laggiù  fotterr» 

\n  Ni i’ Vortice  l c K’  a c ol ci  v ax  c’è  dato, 

\s»  Trcuolo  tliclòr  s^alconde  e (erra, 

) Ala  da  forxci  itrivllil>'i le  guardato. 

,(  Temendo  11  fin  d’nna  dubbiofa  guerra, 
nja  l^ovcpoi  giaccone  à la  campagna  armato^ 

2 Le  fue  piu  fccltc.  c piu  pregiate  cofe 
TJn’anùcoRc  voftro  avi  ripoie 


Uff 


xxr>.  Rivelato  han  gU  Sputiaun  IndovmOi. 
Che  di*  rilevo  d’o  r v'ha  dentro  chiufc 
Itiglùrland are  d-v  firaeraldo  fino 
Intor  no  al  faggio  L>xo  tmto  le  Mufe, 

Coi  cavallo,  che 

Acque  d'argento  m bel  rulccl  difiiilc 
re  eli  e di  nalr  abll’otnarncnti 
Hai^  habitUregiati,  e gliftromentu 

±a  E efie  T)erriogorgon  v’c  con  le  Fate 

zp.  E.  .-.I.-  che  non  haprezzoal  moni 

Sc.vi:a«n.nra=.^ 

^ir  etal.  ch’ò  più  peCmtc,  c biondo, 

U.  ài  per  tei  coili  ornate, 

l«nvdl Gioielli 

^ le  dita  anelli. 


GU  ERRORI, 


xii.  Tengo  di  tutto  ciò  minuto  conto. 

Però  che’l  Negromante  cfpcrto  e faggio^ 
Clr’a  Cipro  a quello  fin  venia  ^ Ponto, 

A cafo  riparò  nel  mio  viUaggloi 
E pagò  d’un  voler  cortcfe  e pronto , 
Mentre  infermo  giacca  dal  gran  viaggio» 
Lafciollo  in  fcrltto , c mifer  peregrino 
Pofe  meta  a b vita,  &al  camino. 


153.  Io  poi  le  note  incantatrici,  e l’artl 

Del  gran  fecreto  hò  dal  fuo  libro  apprefc» 
E qua  ne  vengo  da  remote  parti 
Per  porlo  in  opra,  c farlo  a te  palefc. 

Se  di  fiato  sì  bado  ami  levarti, 
iS’hai  punto  ad  arricchir  le  voglie  intefc 
Meco  ('credimi  pur)  farti  prometto 
Felice  poficlfor  di  quanto  hò  detto. 

134.  Prendi  nel  crin  l’occafion.  Ben  fai  ; ì 
La  fortuna  fervil  quanto  è moleftaj  ^ 

Lieto,  c fuor  di  faggio  almcn  vivrai 

L’ultima-età,  che  da  varcar  ti  rcfta. 

Nel  giardino  rcal,  dove  tu ftai, 

(Altri  non  voglio  )i  Padito  mi  prefta  y 
E noi  voglio  però,  fe  non  fol  quanto 
D’huopo  mifiapcr  efleguir  l’incanto. 

133.  Sì  dilli,  e dilli  il  ver,  che*!  mio  theforo  - 
Verone  la  vera  mia  fomma  ricchezza 
Era  fol  di  colei , ch’io  fola  adoro. 

L’infinita  incfiàbile  bellezza. 

1 zafiiri,  i rubin,  le  perle,  c l’oro 
Conquifiar  del  bel  volto  havea  vaghezza-» 
E vie  più  ch’altro,  di  quel  cor  co^ntc 
Spetrar  rimpenetiabUe  dìamanco^ 


CANTO  DE  CIMO  CXV  O. 

X36.  Con  crespa  fronte  e cviirve  cìglia  immote 
Stupido  al  mio  parlar  diede  ToreccHio 
Gli  atti  oOLervando,  c le  facezie  ignote 
11  icmplicc»  e d*^Haver  cupido  Veccliio. 
Quando  veraci  licn  cju.efte  tue  nore 
(RirpoCc).  a compiacerti  io  m*  apparecchi*» 
Nè  vò ch’indugi  ad  clVervi  introdotto  , 

Se  non  Col  cananeo  a Griffa  lo  nc  fo  motco.^  ^ 


El.igida,  melioraovic,  e ritrova  * 

Di  gentilezza,  c di  pietà  nemica. 
Perfida,  e^uanto  canta,  c 
Quefta  fii  la  graMnoIa  in  sù  la  Tpica 
^cfta  la  fpina  Cotto U 
LsTMedea,  laM-cdoCa  ela 

Che  nc  l’Alba  al  nato  diporto  la  Cera. 

8 Parla  a l’inicioa  «toglie,  e <T«f 
’ irrito  ^"nfislia, 

' 'nuda figlia 

E di  iS’aprale  por« 


*39 


E di  For»on»  a^f^a  ^ 

Poveri  à,  Cà  cl  . entro  le  mura 

Cosi  di  por  P ofo  hebbi  ventara. 

Che-  da  cat«pi  d ^ armenti ba^veffi. 


Digitized  ^ 


tj4  CLl  ERRORI*  ^ 

X40.  Mà  qual  nc^pettì  lor  pofcìa  s’ aduna  r 

Vero  piacer  ,quand’amboduo  prefenci,  , 

Dentr’ampio  cerchio  in  su  notte  bruna  . 
Comuiciò  a fufl  arrar  magici  accenti. 

Alzo  gli  occhi  a le  ftelle,  & a la  Luna, 

Poimi  raggiro  a tutti  quattro  i venti,. 

E vibrando  con  man  verga  di  legno 
Caratteri,  c figure  in  terra  io  legno. 

X4I.  Segni  efficaci  nò.  Coleo,  ò TheffagUa  - 
Nè  rinfernal  Magia  non  mi  fè  dotto. 

Fui’fol  da  Amor , cui  nefl  un  Mago  agguagli» 
Vanifeongiuria  mormorar  condotto. 

Gran  coppa  d’oro,  il  cui  fplendore  abbaglia 
Da  me  dianzi  celata  era  l'otto. 

Quefta  donata  a i V ecchi  aurea  mercede 
Fù  de  gl’incanti  miei  la  prima  fede. 

j^4j..Quefta  (difs’io)  fe’lCiel  mimoftra  il  vero. 
De  l’occulto  theloro  è poca  parte, 

Però  ch’a  poco  a poco,  e non  intero 
Quinci  a trarlo  in  più  volte  infegna  l’arte  ^ 
Conviemmi  a farperfeti;pil  magiftefo 
In  tanto  oll’ervar  punti,  e volger  carte, 

Di  più  Lune  è meftler  pria  che  fi  feopr^ 

E ciò  dicea  fol  per  dar  tempoa  l’opra,  ^ 

X43.  Non  molto  va,  ch’ai  dilettofo  Parco  ; 
Dorifbe  bella  a palleggiar  ritorna, 

E rende  d’aurei  pomi  il  grembo  carco,  - 

E d’intrecciatifior  le  trecce  adorna. 

Io  giuro  per  lo  ftral,  giuro  per  l’arco, 

Di  que  begli  occhi,  dov’Amor  foggiorna,. 
Ch’io  vidi  ad  infiorar  Forme  amorofe 
Noasò  per  qual  Virtù*  nafeer  le  ro£c. 
i r ■ Ala 

r 

% 


CANTO  DECIMOQVARTO.  »35 

44.  A la  beltà,  ch’c  fenza  pari  al  mondo.  ' . 

II  finto  gcnitor  mi  raporcienta, 

Ta  man  le  bacio,  e in  un  rofpir  profondo 
Vìen  l’alma  faor , mà  poid’ufcir  paventa. 
Wolto  mi  chiede,  e molto  le  lifpondo, 

Salvo  fol  la  cagion,  che  mi  tormenta, 

eh’ oltre  il  gran  rifehio  , il  c|ual  me’l  vieta  e 

Colui, che  lega  il  cor,  la  lingua  lega.  (nega. 

Spcfiblcluci  inleicondolce  affetto 
turtivaraente  innamorate  giro, 

E tal  (quantunijuc  breve),  e quel  diletto,. 
Che  mi  fà  non  curar  lunga  martiroj 
Anzi  il  bramato,  e fofpirato  oggetto 
Più  defio  di  mirar,  quanto  piu  miro  y 
N è giamai  torno  à rimirarla,  ch’ella 
N on  p ìia  a gli  occhi  miei  fempre  più  bella^ 

x4é.  Non  già  ferici  arazzi  ornan  le  mura. 
Del  bel  giardin , nè  d’or  cortine  altere» 

Ma  tapczzatc  d’immortal  verdura 
V cftond’arancì  e cedri  alte  fpalliere, 

Le  cui  cime  intrecciando  era  mia  cura 
Bizarie  fabricar  di  più  maniere, 

Edi  fronde,  e di  foglie,  e frutti,  e fior  l 
Componeadimia  man  cento  lavori. 

*47.  Tallhor  lungo  l’alee  de  gli  horti aprici 
„Retetefl'eadi  mirto,  ò di  gineftra. 

E l’induihia,  ch’ò  feorta  a gl’infelici> 

In  talneceflitàna’eramaeftra. 

Ma  che  valeamiùn  si  fatti  artifici 
per  minor  doglia,  eflèr citar  la  delira,. 
S’ovunqued’ognintorno|io  mi  volgefli. 
M’apjariaa  di  dolor  fembianti  efprcffii 


1}« 


GLI  ERROJlt, 


1,6.  S’a  i’hcrbc,  a i fior  volgca  queft’occh!  laflS, 

^ Il  numero  vedeade’miei  daloii. 

Se  la  vifta  girava  a i tronchi^  a i faffi, 

Scorgea  del  duro  cor  gli  afpri  rigori. 

Se  per  Tombrofe  vie  drizzava  i paflù 
Riconofcea  de  l’alma  i ciechi  erroru 
Se  mormorar  fentiacra’ramii  venti. 

Mi  fovenia  de’miei  fofpiri  ardenti. 

249.  Se  per  bagnati  fior  ne’caldi  cflivi  . 

Solea  con  ftudlo  a la  cultura  intento 
Tirar’divife  in  canaletti,  e rivi 
Dal  bèl  fonte  vicin  righe  d’a^ento^ 

1 torrenti  profondi,  i fiumi  vivi, 

Che  fcacurian  dal  mar  del  mio  tormente^ 

Le  torbid’ondede'perpctui  pianti, 
Chepioverno  dal  cor,  m’cr ano  avanti. 

xjO.  S^adlnocchiar  queirarbofcel  con  quello 
^ Movea l’accorta  e diligente  mano, 

Per  copular  {bttoingegnofoinneftOj 
A virgulto  gentil  germa  villano. 

Mi  parlava  il penficr  languido  e mefto, 

E mi  dicea , lo  tuo  fperar  fia  vano.  ^ 

Che  non  fa  frutto  Ainor , fe  non  s’incalma 
Sen  con  fen,  cor  con  core,  alma  con  alma. 

1^1.  Se  poi  con  zappa  in  man  curva, c pcfantc 
Da  la  terra  tal  hor  tenace,  e molle 
Afl'ai  miglior,  ch’agricoltore,  amante, 
Sudava  a volger  glebe,  a franger  zolle. 

La  diffidenza  in  horrido  fembiante.^ 
Veniami  incontro,  e mi  gridava , Ahi  folle, 

E qual  mefle  corrai  di  tua  fatica. 

Se  dinanzi  a laman  fiiggc  la  fpica? 

Vie 


Canto  degimoqjarto.  ij? 

t 

;i;x  Viè  più  che  palina  in  sù  l’herbofo  fmalto 
Dorime  a craftullarfi  il  à\  Tcendea. 

10  fender  l’aria  con  fpedlto  falto 
Hor’imitando  l Satiri  folca, 

Hor  ben  vibrato,  c ben  lanciato  In  alto 
Con  man  leggiera  il  grave  par  movea, 

Hor  sù  i fonori  calami  forati 
Per  allettarla,  articolava  ì fiati. 

ijj.  Conobb-i  intanto  a mille fegni  e mille,. 

Et  efpreflo  il  nota  più  d’ una  volta , 

Che  s’io  l’ardorverfava  in  calde  filile,  « 
Et  havea  l’alma  induro  laccio  avolta, 

Non  era  anco  il  fuo  cor  fenza  faville , 
Nèpunto  ella  però lèn  già difcioltai 
E vidi,  ch’egual  cambio  alfin  ne  rende 
Amor,  che’n  gentil  cor  ratto  s’apprende, 

*■54-  Nelaftagìon,  che’nCiel  s’accende  d’ir»  • 

11  fier  Leone , c fcalza  il  piano,  c’I  monte. 
Quando  per  dritto  fil  le  lince  tira 

Febo  de  la  metà  derOrizonte, 

^►icibonda  per  bere  il  pafib  gira 
Al  margin  frefeo  del  tranquillo  fonte. 

Et  ecco  THortolan  le  reca  Innanzi 
L’aureo  vafel,  ch'io  gli  donai  pur  dianzi. 

Ilvafoèd’orojcinunaomhrofefracta  ^ 
D’un  bel  rufcel  sù  le  fiorite  fponde 
Diana  v’hà  col  fuo  Paflior  ritratta , 

E fon  rubini  i fior,  diamanti  l’ondc 
Di  fmaki,  e perle  la  faretra  è fatta, 

Son  di  fmeraldo  fin  rherbe,e  le  fronde 
Duo  veltri,  che  da  l’orlo  il  capo  tranno. 
Manico  firano  a la  bell’urna  iànno. 


Prca- 


GLI  ERRORI, 

ijó-Prcndo  il  nappo  leggiadro , e prima  inchino 
L alta  mia  Dea,  poi  reverente aflorgo. 

Corro,  e del  fonte  terfo  e criftallino 
L attuffouna  c due  volte  al  chiaro  gorgo,  * 
Indi  di  molle  argento  empio  l’or  fino, 

E palpitante  a la  man  bella  il  porgo. 

Le  porgo  il  vafo,e  le  prefento  il  core. 

Acqua  le  dono,  e ne  ritraggo  ardore. 

1J7*  Sento  in  quel  che  la  coppain  man  riceve» 
Premermi  il  dito,  il  dito^anch’iolc  premo* 

M à quali  nel  toccar  la  viva  neve 
Spando  a terra  l’humor,  così  ne  tremo. 
Da’dolci  lumi  in  me,  mentr’ellabevc, 

^*^etta  di  conforto  cftrema 
Levando  alfin  le  rugiadofe  labbia, 
DimadaHcrbofcOjOnde’l  bel  vafo  egli  habb^ 

Rifpondo.  lo  fili,  chc’n  donò  ottenni  il  vale 
Dal  gran  Signor  de  l’odorata  mede, 

C^ando  Faunoal  cantar  vinto  rrmlfe» 

Giudice  il  Rè,  chevincitor  m’elefle, 

E’I  crin  di  lauro  entro  le  regie  cafe  . ‘ 

Cingemi  ancor  con  le  fue  mani  illelfc. 

E quello  il  canto  fu,  s’io  ben  rammento 
Ogni  numer  o a punto , & ogni  accento 

I50.  Non  fon,  non  fon,  Paftor,  perche  mi  veggia 
Sotto  manto  villan  Ninfa  gentile, 

Premer’Il  latte,  c pafcolar  la  greggia, 

Tonder  la  lana,  & habitar  Tovile! 

Lafciai  per  burnii  mandra  eccclfa  reggia 
Copre  penfieri  illullri  habicovile. 

Amor  m’hà  chiufo  in  quella  roza  fpoglia. 

Ma  le  cangio  vellir,  non  cangio  voglia. 


con 


^ANTO  DE  CIMOQVARTO.  i0 

quelle  note  a l’unica  bellezza 
Di  rofl'or  vii^inàl  la  guancia  fpaifi^ 

Turbar  la  vidi,  e vidi  la  gran  pezza 
, Tutta  fovrapenfier  (e  fbipefa  ilari!. 

Dai  mirarmi  più  IjpeiTo  allhor  certezza 
frefi,  e da  ciuci  sì  {ubico  cambiari!. 

Che  di  quel  ch’era,  a dubitar  s^induiTe, 

E di  quel  che  bramava  ance,  che  fulle» 

t<f.  Che  ci,  che  fece  il  geni tor  morire. 

Quei  mi  fuis’iojfofpettion  non  hebbe. 
Pcrfuaderiì  un  cosìflolto  ardire 
Potuto  in  inodo  alcun  mai  non  havrebbe^ 

Ne  tal  iècreto  io  poi  le  voli!  aprire, 

C’huomo  in  donna  fidar  tanto  non  debbe.  . 
Credeammi  ben  fott’habito  vulgate 
Cavalicr  di  gran  guifa,  e d’alto  af&rc. 

Herbofeo  a ciò  non  ponca  mente,  a cui 
Hor  pendente,  hor  monil  recando  à tempo.  ' 
La  malitia  fenil  tentava  in  lui 
Cercar  con  l’oro,  afpettava  il  tempo. 

In  me  diletto,  & utile  in  altrui 
L’amorola  Magia  nutrito  un  tempo. 

Alfin  di  queiramòre , ond’era  incerto. 
Argome  nco  maggior  mi  venne  aperto. 

163.  Mentre  quando  più  l’aria  è d’ombra  mifta,^ 
Sotto  color  d’incanti  a pianger  riedo. 

Et  al  chiaro  Oriente  alto  la  villa 
Dei’amato  balcone,  e qui  mi  fiedo. 

Odo  di  voce  dolorofa  e trilla 
Flcbil  lamento,  c poi  Dorilbe  vedo. 

Dorilbe  mia,  che  del  ginocchio  al  nodo, 

Ticn  le  mani  intrecciate,  io  veggio,  & odo. 

Ofeiti 


J40 


GLI  ERRORI, 


164.  Ufcita  fola  a la  frefc’aura  eftlva  , 
Abbandonate  le  compagne,  e’I  lecco. 

Scavali  afli  fa  in  una  pietra  viva  . 

Al  rezodeldomefticobofchetto,  7 

E dimoftrava  ben,  mcntelangulva,  c 

Dal  faflb  iflelTo  indifferente  afpetto.  ^ 

Sotto  il  velo  de  l’ombre  allhor  nafcofta 
Prcllb  mi  fafcio,  e per  udir  m’accofto. 

téj.  Datemi  tanta  pace  infra  l’ofcure  . 

Ombre  (dicea)  di  quello  fido  horrorc. 
Famelici  penfier,  mordaci  cure, 

Che  mi  rodete  c mi  pungete  il  core. 

Ch’io  polfa  almen  le  fiamme  acerbe  e dure 
Sfogar  col  Ciel  del  mio  malnato  ardore, 

E dal  petto  elfalar  qualche  fofpito 
Tacito  accufator  del  mio  marcirò. 

z66.  Che  mi  vai  dominar  popoli,  c regni , 

Se  di  crudo  Signor  ferva  languifco/ 

£ polleduca  da  deliri  indegni, 

T rà  le  regie  ricchezze  impoverifeo? 
Poiche’l  tuo  giogo  Amor  lofFrir  m’ìnfegni» 
Ecco  a l’era  pia  tirannide  ubbìdifeo, 

E foggiacendoalduol,  che  mi  tormenta , 

V ivo  Reina  sì,  ma  non  contenta. 

167.  O ombre,  o fogni,  o lumi,  o d’arid’herba, 
V iè  più  vili,  più  frali  honori,  e fallii 
O di  mortale  ambiiìon  fuperba, 

Abilfi  fenza  fin  voraci,  e valli  l 
S’alcun  rifpecto  Amor  vofeo  non  ferba, 

A che  più  nel  ufo  cor  face  contraili? 

Povera  lignoria,  mendiche  pope, 

Se'l  corfo  al  bel  delio  per  volli  rompe. 


GANXO  13E.C1M.O  CXV  A'ELXO-  14*. 

x6S.  Dorlfbe,  c cKe  ragioni?  inlana  voglia 
Come  ofFufcaa  la  mente  il  Inmc  in  tutto? 
Q»jal  diletto  Haver  pu.ò  Vergin,  cKc  coglia 
t>*illegitimo  amor  ^irtivo  Frutto? 

Sai  le  leggi  d'Egitto-  AHi  non  difeioglia 
L’anima  il  Freno  a dellr  Folle  e l>xutto> 

Onde  tu.  deggia  poi  mi  tardi  pentita 
Perderla  un  punto  Se  Honeftate,  e vita> 


X69.  E vorrai  dunc^ue  tu>  cHc  Fofti  in  Corte 
A degno  I-Ieroe  per  degna  CpoCa  eletta» 
Gir  poverella  e ixiiCcra  conCorte 
A Paftor  roz.o  in  rox.a  eappanetta? 

Dal  palagio  al  tigurio?  nCa  in  Corte 

Ad  elle r Donna^a  Fartialtrui  Cogget^» 

Celebrando  colà  tra  gli  orni  , e i Faghi 
Nozxe  palultri»  Se  Fdimenci  Celvaggi? 

470.  Qui  dal  pianto  il  pa^•larI•è  tronco  afbtz;(i 

E le  paroleve  i gentiti  conFonde- 
Mà  cVi  sà  (dice  poi)  Fc’n  tale  ^c<>rxa 
Alcun  FamoFo  Princii^  s f ' 

Le  plaghe,  c ha  nel 

g^c^d^rruoFvorentl^r'^^^  che  /iùbra^na. 

171  Non  hnom  di  felv^ 

^Moftranlo  altrn.  le 

Mà  fra  ® arde  e s&vilU, 

s^mma**^  copre. 

Per  entro  palili  Non 


Hi  GLI  ERRORI, 

1.71.  Non  villano  Tandar,  non  è villano 
Il  parlar  pìcn  di  gracia,  e cortdfìai 
Nè  quella  bianca , e dllicatamano 
Tal,le  taregUfufl'e,  cflèrdevriai 
Ne  quel  cantar  mìfteriofocftrano 
Senio  contien,  che  fignoril  non  lìai 
Nè  guadagnato  in  rultìehe  contcfc  ^ 
Quei  fuo  bel  vafo  è paftorale  arnefc. 

475*  Ma  che  cur’io,  che  quell’altri  non  crede, 
Involto  ftia  tra  bolfchereccl  panni. 

Se  pur  malgrado,  lor,  l’anima  vede 
Aperto  il  core,  c*l  coreè  fenzainganni? 
Sconofciuto  è il  fcdel,  nota  la  fede. 

Mente  condition,  non  mente  affanni. 

Gli  affanni  interni  in  que’begU  occhi  io  vcg- 
E i fecreti  pender  ferirti  vi  leggo.  (go 

Ì74.  Ciò  ne  la  bella  fronte  impreffo,  e fculco 
Vlfibilmentc  Amor  tu  mi  riveli. 

Può  ben  ftato  reai  talhora  occulto  • ' 
Celarli  in  altri  manti,  in  altriveli, 

Mà  fotto  larva  di  veftire  inculto 
Effcr  non  può  giamai  eh’ Amor  fi  celi, 

Che  chiufo  in  cafa  il  foco,  in  grembo  Tanguc 
Si  manifefta  alfin  con  pianto,  c fangue. 

171*  E così  detto,  al  fuol’humide  ciglia 
China  alquanto  e s’arrefta,  c penfa,  e tace, 

^i  le  leva,  c Pafeiuga,  indi  ripiglia  ; 

Ole  far  pofs’io,  s’ Amor  mi  sforza  e sfacci 
E Paftor  fiali  pur.qual  meraviglia, 

Se  Pallore,  c Bifolco  anco  mi  piace? 

Amaro  ancora  in  ruftica  fortuna 
genere  Anchife,  EndimionlaLuna. 

Cojnt 


CANTO  DECrMOQVARTO.  t4f 

-7^.  Come  valor  non  fia,  nè  vero  pregio, 

Se  di  porpora,  e d’oro  altri  noi  f^na, 

O come  altrui  non  fia  theforo,  e fregio 
Virtù,  per  cui  fi  fignoreggia  e regnai 
Spelfo  alberga  hamil  fervo  animo  regio. 
Chiude  Principe  eccelfo  anima  indegna. 
Perche  piacer  non  dee  nobilfembianza, 
S'oltre  l’ufficio  il  merito  s’aranza; 

*■77.  Guidar  gli  armenti  a più  vii  gente  hor  fallì. 
Che  quantunque  l’adombri  ignobil  vefte, 
Maeftà  moftran  gli  arti,  i guardi,  i pa  ffi 
Degna  più  di  Città,  che  diforelte. 

La  verga  imperiai  meglio  confaffi. 

Che  la  felvaggia , a quella  man  celefle 
Corona  a quel  bel  crin  , ch’amo  & adoro^ 
Come  l’hà  di  beltà,  convienfi  d’oro. 

178.  Paftor  gentil,  non  dee  chi  frena  e regge 
Perfonaggio  reai,  qual’io  mi  fono , 

Trattar  gli  a ratri,  e governar  le  gregge. 

Ma  Itringer  feettro,  e comandare  il  trono,. 

Se  puoi  tu  Colo  a’miei  penficr  dar  legge. 

Il  regno  acetta,  eia  Reina  in  dono} 

E d’aver  fa  Fortuna  ciò  contrada. 

Quel  che  poffiedi  in  quedo  cor  ti  bada. 

y}9.  Si  sì,  poco  mi  cab  che  può,  ne  fegua. 

Ne  verrò  teco  in  fol  itaria  balza. 

Ogni  difaguaglianza  Amor  adegua, 

£i  di  natal  l’indignicate  inalza. 

Se  di  nega  al  mio  mal  tanto  di  tregua. 

Ch’io  ti  pofl'a  feguir  difeinta  e fcalza, 

LafTa,  chi  fia  che  tempri  dolor  mio? 

Et  ic,  ch’era vicin,  le  rifpos’lo. 


Io 


V 


CANTO  DECIMO OyARTO:  14.^ 

a.48:  D’Armene  ancor,  che  feco  era  fovence. 

La  conolcenza  in  quefto  mezoio  prefi , 

Ec  un  dì , che  tra  fior  vipera  ardente 
Venia  con  fàuci  aperte,  lumiaccefi 
Per  trafigerle  il  piè  col  crudo  dente, 

Cplnodolb  baffone  io  la  difefi. 

, La  Scrj^  uccifi,  e l’obligo,che  m ’hebbe. 

Molti  di  .lei  l’affettion  nj’accrebbc. 

x8j.  Spefib  da  indi  in  poi  tacito  e cheto 
V cnia  le  notti  a cònmmar  con  ella,^ 

Nè  pali  e hebbe  giamai  di  tal  fecreto  - 
(Fuorché  lafida  Arfenia)  altra  donzella. 

Così  rhore  pallai  felice  e lieto 
Sotto  dell r o favor  d’amica  llella, 

Finche  venne  a mifehiar  la  Vecchia  aftuta 
Tra  le  dolcezze  mie  fiele,  e cicuta. 

*8^.  O de  gli  horti  d’Amor  Cani  cuftodi,  . . 
Vigilanti  nel  mal, garrule  Vecchie, 

Tra  piu  leggiadri  nor  tenaci  nodi, 

Nel  più  foave  mcl  pungenti  pecchie. 

Non  hà  tante  le  Volpe  infidie,  e frodi, 

Tante  luci  il  Sofpetto,  e tante  orecchie,  - 
Quante  per  danno  altrui  ferapre  n’ordite, 

( Deh  vi  fulmini  il  Cicl)  quante  n’apr.itc. 

Dc  lcmenfcamorofeArpicnoccnti,  ^ 

Al  ripofo  mortai  Larve  molcftc. 

La  vita  è un  prato,  c voi  fietc  i ferpenti, 

V oi  fol  d’ogni  piacer  fiere  la  pefte. 

Senzaturbini  il  Cicl,  c fenza  venti, 

Senza  procelle  il  mar,  fenza  tempefte 
Quanto  più  lieto  fora,  c prò  giocondo  > 

£ fenza  marre,  cfcnca  Vecchie  U mondo* 

• ; V«L  lU  ^ G Jwlc 

• jr 


. GLI  ERROKI,  ■ 

i88.  Furie  crude  e proterve,  onde  gli  amanti  ‘ 
Vali  de  le  gioie  lor  vedovi  & orbi. 

Fantafmi  vìvi,  e notomie  fpiranti. 

Sepolclii  aperti,  ombre  di  morte,  e morbi» 
Perche  d’Abiflb  infra  eli  eterni  pianti 
Terra  homai  non  le  chiudile  non  l’aflorbi 
L’invidia  (credo)  fol  de  l’altrui  bene  ; 

Le  nutrilce,  le  move,  c le  foftlene. 


189.  Grifa,  del buonFillan  l empia  moglicra» 
Venne  fra  i noftri amori  adinterporfi. 

Quefta  malvagia  incolerabil  Fera  '♦ 

Di  mes’accefe,&ioben  men’accorfi,  ■ ' 

Però  ch’a  tutte  l’hore  incorno  nV  era  - -* 

Hor  con  fcherii  noiofi,  hor  con  difcorfi.'  ^ 
Ridea  talhora,  c mi  moftrava  il  rifo. 

Voto  di  denti,  e pien  di  crefpe  il  vifo. 

190.  Crefpa  è la  guancia, e dal  vifaggio  alciutti^ 
Si  ftaccan  quafi  Paride  mafcelle. 

Grinze  ha  le  membra  e nel  fuo  corpo  tutto 
Informata  da  l’afla  appar  le  pelle. 

Stan  nel  centro  del  capo  horrido  ebrutto 
Fitte  de  gli  occhi  le  profonde  celle 
Occhi,  che  biechi,  e lividi,  c fanguigni  • 

Aventano  in  altrui  fguardi  maligni. 

xoT.  Le  giunture  ha  fnodate  , e mal  congiuntei 
Adunco  il  nafo,  che’n  sù’l  labro  feende. 

Sporgon  le  Cecche  cofte  in  fuor  le  puntc> 

Stronfio  sà  le  ginocchia  il  ventre  pende» 
CÌafcuna  de  le  poppe  arficce  e fmuntc  ' 
Fin’al  bellico  il  bottoncin  diftende.  «•' 

Ne  la  gola  il  gavocciolo,  e nel  mento  * 
Porta  la  barba  di  filato  argento.  - 


Ni 


CANTO  decimo  Coarto.  47 

91.  Ha  chiome hlr Cute,  hlfpido  cio^Ho  e foltn  c 
Bavofe  labra,  obliqua  bocca,  e g^fla,  * 
Sc^ualUda  fronte,  e tUCparuto  volto,  ^ 

B’n  Comma  altro  non  è,  ch’anima,  & ollà. 
Sembra  horrendo  cadavere  infepolto 
Che  fuggito  pur’  ho  r fia  da  la  foflk. 

Sembra  mummia  animar  a,e’n  tutto  fgombra 
D’humana  effigie,  una  palpabH’ombra. 

Penfa  tu  s’io  devea  per  cosi  fatte 
Fattezze, c per  s\  laido,  e Tozzo  moftro 
lafciar  colei,  ch’oTcur  a il  minio , e’I  latte , 

E vince  al  paragon  l’avorio,  e Toftro , 

Ella  con  vezzi  ognor  più  mi  combatte. 

Io  con  rcpulfc  mi  difendo  c gioftro. 

Cangia  l’amore  alhn,  polche  fi  mira 
Non  che  fprezzata,  àbomiaata.inira. 

394.  EiilTequalch’attodl  non  ben  nafcofto. 

Chele  Cvegllò  la  mente,  e la  rifcolle, 

O’pur  fottcrra  il  cumulo  riporto 
Di-cotant’or,ch’afofpettar  la  morte, 
O’del’anlmo  perfido  più  torto 

La  naturai  malignità  fi  forte  ^ 

Per  ifpiar  ciò  ch’io  faceffi , avenne 
Ch’una  notte  pian  pian  dietro  mi  tenne. 

395.  Tcnncmmi  ,c  non  sò  In  qual  maniera 
Nelfolto  dclglardin l’iufidia tefe, 

L’ombre  fplcndean,  perche  la  Divaarcicra 
Era  nel  colmo  del  fuo  mezo  mefe, 

E’  I ricco  tempio  de  l’ottava  sfera 
Tutte  havea già l’aurce  Tue  lampe accefe. 

Qua  meraviglia  allhor,  fc  non  potei 
Occultar  dai’agoaio  i mici} 

G a La 


148  GLI  ERRORI, 

2,^.  La  Vecchia  ala Rcina il  fatto  accufa^,  .:t 

Io  repente  al  mio  ben  fon  colto  inbraccio  , 

E di  vergogna,  e di  timor  confu(à> 

Fartail  vokodi  foco,  e’I  cor  dì  ghiaccio» 

Condili' i:ori£be  mia  legata  e chiufa^ 

Veggio  in  altra  prigion  con  altro  laccio.  « ^ 

• Ma  giatie  al  Ciel,  che  ne’miei  frutti  audaci 
Viffcp  non  fui  rapire  altro,  che  baci* 

z^y.  Uccidetemi  (di(G)  e qual  mi  fora 
Più  bel  morir,  s’avien  chc’nun  mi  toccai 
( Quando  fia  pur,  che  per  coftiiminiora^^  . 
Lo  ftral  di  morte,  e’I  raggio  de’bcgU  ocebU 
Mà  non  è alcun  de’rei  Icr^entiallhorav  ^ . 
Ghe’n  mcfpadapur  vibri,  o dardo  fcpccai» 
Crudel  pietà , ch’uccidermi  non  Volle, 

E pur  Ja  vita,  e l’anima  mi  tolfe.  i . 

z^8.  Non  tanto  il  proprio  mal  m’afflige  c noce 
Se  ben  d’ogni  mio  ben  privo  rimango. 
Quanto  il  mal  di  Dorilbe  il  cor  mi  coce. 
Ch’io  per  me  f«nza  lei  fon  fumo,  e fengo.^ 
Te  Dorilbe  mia  cara,  ahi  con  qual  voce 
Chiamo,  e fofpiro  : c conqual’occhi  piango? 
Son  quelle  (oimè)  le  pompe, oimèfon  quelle 
De  le  tue  nozze  le  fperate  felle? 

Z9^.  Così  dunque  cangiar  lìniRraSorte  . ■?< 

Può  manìglie  in  manette?  anella  in  nodi? 

Gli  aurei  monili  in  ruvide  ritorte? 

I fidi  fervi  in  rigidi  cuftodi  ? 

In  vece  d’Himence  ti  fia  la  Motte? 

Ti  fiano  i pianti  epithalami,  e lodi? 

Ti  fian  (Rivolta  ogni  allegrezza  in  duolo)  ^ 
Camera  lapriglou,  tbalamo  iUuolo?  . . ^ 
•'  Hauvi 


CANTO"  £)É6IM0QJ<^ART0.  14^ 

5C0.  Hauvi  un’irrevocàbile ftatuto  , 

Che  tra  gli  ordini  amichi  ofierva  E«rìtto , 

E ch’apreghì  d’Argéne  hàpoivólum 
Cipro,  cHè  ^ui  per  léghe  anco'fia  fcricco 
Trovarli  in  tallo  uii  Cavalier  caduto 
Cori  vergili  Donna,  i capitai  delittoi 
E 1 foco  trà  lor  duo  purga  l’errore 
Di  -chi  fu  primo  a difcoprìr  Tamorc. 

joi.'"  Dico,  ètte  chi  de’duo  fu  prima  ardito  , v 

Di  chieder  rìfrigerio  al  chiufo  foco, 

Convien,  che  fia  col  foco  anco  punito; 

Chc’n  ciò  favore,  nobiltà  vai  poco, 

E s’avien,  che  l’autor  del  primo  invito , 

Prefo  ad  un  tempo  in  un  medefrtto  loco, 

Sia  dubbio,  e che  da  l'un  l’altro  difcordi. 
Mentre  tra  lor  le  diffcrcnie  aecòrdi. 

jor.  Se  fia,  ch’n  pugna  a l’un  l’altro  preVaglià, 
E fottratto  àie  fìartime  il  vincitore. 

Se  nel  tempo  prefiflb  à là  battaglia 
Manca  a qucfto,  & à quella  il  difenfore. 

Il  fupplicìo  de  l’un  Valtìroràgguaglia, 

L'un  come  l’altió.  Incenerito  more. 

• Se  l’una  parte  l’hà,  l’altra  n’è  priva, 

Convien  pur,  che  Tun  pera,  c l'altro  viva. 

303.  Hor  chi  di  noi  baldanza  hebbe, primiero  ^ 
D’aprir  labra  a gl’interdetti  accenti. 

Dal  deputato  Giudice  fevero 

Con  minacce  richìefti,  e con fpaYcnti  > ' 

Polfibil  non  fu  'mai  ritrarne  il  Vero  ' 

Per  tcrror  di  martiri,  e dì  tormenti, 

C h’appropria  ndo  a sè  la  co  Ipa  altr  uì, 

Dicea  cxalcttao  approva  : Io  fono,  io  foh  ^ 

G 3 Onobil 


GLI  ERRORI, 


JjO 

304.  O nobll  gara,  hor  chi  mai  vide,  ò 
Per  sì  degna  cagion  sì  degna  lite  J 
Chi  d'amor,  nond’honor  fu  mai ch’udillè 
Più  belle,  ò più  magnanime  mentite? 

Dolci  contcfe,  e generofe  riffe, 

Ch’amai!  le  morti,  e fprezzano  le  vite, 
Ne’cui  contrafti  divenir  s’è  vifto 
'Vantaggio  il  danno,  e perdita  l’acquifto, 

305*  Stupifee  il  Magiftrato  a tal  tenzone. 

La  crucciofa  Reina  ambo  rampogna. 

Ma  v!è  più  lei,  che’ntrepida  pofpqnc 
A la  falute  mia  la  fua  vergogna. 

Ben  comprende , ch’Anapr  n^è  fol  cagione, 

E che  communc  è il  fallo,  e la  menzogna.^ 

La  patria  chiede,  eie  fortune  mie, 

E io  compongo  allhor  nove  bugie. 

^06.  Veggendo  pur  la  pertinacia  Argcne 
De  la  copia  in  Amor  coftante  e fida, 
eh’ ad  ufurparfi  le  noti  proprie  pene 
Gareggia,  e ch’ella  invan  minaccia,  e grida, 
A l’uiaco  coftume  allhor  s’attiené  , 

Che*!  ferro  alfin  la  queftion  decida. 

Ch’un  campion  quinci,  e quindiin  campove- 
E d’otto  giorni  il  termine  n’aflegna.  (gna, 

307.  Nel  baffo  fondo  d’una  torre  ofeura 
Sepolto  *0  fui,  dal  Caftellan  guardata. 

Mà  di  guardar  la  Giovane  dier  cura 
A la  Vecchia  rabbiofa,  e fcelerata. 

Imaginar  ben  puoi,  fe  la  feiagura 
Condotta  ha  in  buone  man  la  fventurata. 

Se  fe  co  dee  con  ogni  ftratio  indegno 

puell’empia  ad  onta  mia  sfogar  lo  sdegno. 

Già 


CANTO  DECIMOQVARTO.  jji 


5©8.  Giàletce  volte  cHaro, e fette  ofcuro  - 
S’è  fatto  da  quel  dì  l’Orto,  e l’Occafoi 
Diman  fi  compie  il  tempo,  & io  procuro 
Terminar  con  la  morte  il  fiero  cafo. 

S’io  campion  m’habbia,  ònò,  nèsò  : nè  curo, 
Ch  io  fon  fenza  morir  morte  rimafo. 
Convien,  che  fol  di  lei  cura  mi  prenda. 

Che  non  hà  chi  l’aiti,  ò la  difenda. 

30^.  Hor  non  è il  meglio  (a  me  medefmo  io 
Se  tanto  il  Ciel  di  fuo  favor  ti  dona , [difli) 
Che  tu  campando  fuor  di  queftì  Abill^ 
Cerchi  di  fprlgionar  chi  t’imprigiona  ? 

Ser  per  la  vita  tua  di  vita  ufciflì, 

>4on  fora  il  tuo  morir  palma,  e corona? 
Vattene  homai , s’andar  ti  fia  permeflb, 

A combatter  per  lei  contro  te  iteflb. 


3xe.  Se  guerrier  non  appar  da  la  tua  parte. 

La  tua  Donna  s’aiTolve,  e tu  raoireì. 
S’alcun  forfè  ne  vicn  per  liberane. 

Tu  di  Dorilbe  il  protettor  farai. 

S’egli  t’uccide  entro  l’agon  di  Marte, 

Chi  morì  più  dite,  felice  nui? 

S’egli  uccifo  è date,  felice  ancora, 

Fia  che  chi  ville  ardendo , ardendo  mora. 


311.  L’inhumanoTorrier,chepur  fovente 

Compianfe  al  pianger  mio,  tentai  con  preghi 
E qual  core  è di  fallo,  ò di  ferpenje,^ 

C. 1!  nr\r\  mrvva.  n 


.-S*'’' 

Tratto  l’avanzo  fuor  del  mio  theforo. 
Dai  ferri  alfiu  mi  liberai  con  l’oro, 

G 4 


Con 


tft  dii  ÈktLótLi, 

311.  Con  l’oro  hebbi  il  deftriero,  e d’armi  ciiìtè 
Attendo,  chefiainCiel  l’Alba  riforca, 

Ch’io  non  vò  già,  fc  per  Amor  fui  vinto, 

Efler  vinto  in  Amore.  Amor  m’è  (corta- 
O’ch’io  fia  in  una,  ò in  altra  guifa  eftinto. 

Che  che  n’avegna  pur  poco  m’importa. 
Perche  foftrir  non  può  morte  più  ria. 

Che  non  morir,  chi  di  morir  defia.  ’ 

313.  Non  ftiaó  dunque  d’andar,  eh’ aggiaccio,  & 
Tanto, ch’a  l’alta  ìmprefa  io  m’a vicini,  (ardo 
Troppo  noce  Pindugio,  es’ioben  guardo» 
Par  già  la  notte  a l’Occidente  inchini. 

Ecco  il  Pianetta  inferiore,  & tardo. 

Che  tien  de  gli  Hemifperi  ambo  i confina. 
Vedrai,  fc  movi  afeguicarmi  il  piede  > 

Prova  d’ardire,  e paragon  di  fède. 

314.  Così  parlava  il  Cavalier  dal  nero,  : 

E poich’hebbc  la  lingua  il  fren  raccolte^ 
Dmegli  Adon  : PietoTa  hiftoriain  vero 
Signor  narrate,  e con  pietà  v’afcolto. 

Però  fate  buon  cor,  che  coiii’io  fpero* 

La  gran  rota  a girar  non  andra  moltòi 
Figlie  fon  del  dolor  le  gioie  eftreme# 

£ del  frutto  del  rilb  il  pianto  è femé. 

31;.  Grande  l’ardir,  ma  degno  è di  clemenza^  ' 
E s’è  fallo  amorofo,  il  fallo  è lieve. 

Perche  Hfteflb  error  fallì  innocenza 
Qualhor  la  voiuntà  forza  riceve. 

Argcne  fe’n  sè  punto  hà  di  prudenza. 

Sì  leggiadra  union  fcloglicr  non  deve. 

Vuoili  in  prima  pregar  poi  quella  ftrada> 

Gh’e  chrufa  a la  ragion,  s’apra  la  ipada. 

Lafcia* 

) 


CANTO  DEC  IMO  QVARTO. 

‘^onforco 

Mi  dolaa  ©gnor  di  mia  crudele  ftella  - ' 
Cosi  difs  egli , e fò  il  fu©  dire  àbforto 

dolce  pianto,  e ruppe  la  favella 

Ma  oia  Sidonio  m tanto  è in  piè  rifortó 
Cai  piato  herfcioro,  c rifalito  in  fella. 

Adone  il  {cguc,c  col  parlar  diffalca 
La  noia  del  camin,  mentre  cavalca. 

3 17-  D'Amori  torti,  del  fuo  proprio  male 

: Portegli  prende  raccontar  travia, 

E come  di  fortiffimo  rivale 
Fugge  l’ira,  il  furor.,  la  gélofia 

O la  ^a  donna,  o il  fuo  nemico  fia,  ’ - ^ 
E dAitando  pur  d’alcun’oltraggìo, 

Palcfar  nonardifee  il  fuo  legnici» 

31».  Già  da’termitti  Eoi  fpunta  l’Aurora,  ^ 
Già  la  caligm  mancai^  c I lumecrefee 

r*n?”  ® è giorno  ancora. 

Col  chiaro  il  hmo  fi  confonde  c iiiéfce 
NontutcocfotcoilSol  de J’ondc fora,’ 

Ma  il  lolleva  apoco  a poco,  & efee, 

ChcIìbeneiHùo  raggio  i Cid  difgomtra. 
Vi  reftapor  qualche  rcUqtdad’oi&ta. 

pacando  per  l’horribiVtatia, 
Chefugìàdc’ladronl  alloggjiamento, 
Veggiono  aduna  quercia  non  lontana 
Un  cadaver,  eh ’apprcfb  agita  il  vento. 
Guarda  Sidonio  la  figura  cftrana, 

Ch’à  difcminail  vifo,  veftipnetito, 

E perch'è  Parie  ancor  tra  chiara,  e fofca, 
Pub^o  ^ xs^l  9Ì,  c*l  nò')  fe  la  conofeai 

^ s 


Più 


3^.0.  Più  gli  par,  quanto  più  le  s’avicina,, 
Grifa  la  falla  vecchia,  e certo  è della. 
Che  de  l’ingiuria  fatta  ala  Reina> 

E de  l’ira,  c’havca  contro  fe  llella. 

Che  nata  filile  sì  mortai  ruina 
Per  la  gran  tradigionda  lei  commellà,. 
Defperatad’Amor,  non  che  pentita. 
Di  Pafo  occultamente  era  partita. 


3^.1 . E giunta  i^rello  a la  folinga  cava, 

Gh’Adon  già  traveftito  in  grembo  accolfe  „ 
Mentre  la  turba  riala  minacciava,. 

Che  cola  per  cercarlo  il  piè  rivolfc 
Da  l’antica  prigion,  che  la  ferrava, 
Sorprefa  dal  timor,  l’anima  fciolfej 
E à quel  tronco  poi  fu  per  diletto 
Impiccata  da  loi , come  s*è  detto. 


jii.  A pena  a gli  occhi  Cuoi  Sidonio  crede,, 

£ s’accoAa  ben  ben  fotco.la  pianta, 

Alfin  ringratia  ìlCIel , che  gli  concede 
ri’un  tanto  danno  una  Vendetta  tanta’,. 

E confolato  afl'ai  di  ^uel  che  vede. 
Prorompe  ; O cara,  obenedetta,  ò fanta 
QueU’ar  bor,  quella  mano , e quel  la  corda,. 
Che  dal  mondo  fmorbò  pelle  sì  lorda.. 


313.  Rimanti  ad- infettar  quelli  deferti 

Gioco  a i venti, efca.a  i corvi  empia  e ne&ndai 
Benché  fe  conofcelTero  i tuoi  merci , 
Abhorririan  sì  fetida  vivanda. 

La  terra  non  potea  più  foftenerti'. 

Però  ne  l’aria  ad  allogiar  ti  manda, 

Hor  più  non  curo  i propri  mali,  e godo , 

Ch’i  neUrinodi  alinea  Vendici  un  nodo*- 


C.ANTQ  DECIMOQTARTO. 

e poc’olcre  van  per  quel  camino, 
Ch  altro  borrendo  fpettacolo  gli  arreftai- 
Ecco  un  corpo  trafitto,  a cui  vicino 
Eccone  un’altro  ancor,  ch’è  fenzatefiajl 
E da  lor  non  lontano  ecco  un  Martino  ^ 
Svikerato  giacerne  laforerta. 

Adon  s’accorta,  e ben  conofce  apieno 
Quel  ch  c piu  guarto,  c fi  conofcemcnoi 


32-5-  Ch’è  FHora,  il  sa  ben;  màchi  recifi> 
Dopo  la  Tua  partita  il  capo  l’habbia 
Penfwnonsa,bcnchedal  Cane  uccifo. 
Che  di  vermiglio  ancor  tinte  hà  le  labbia, 

argomento,  e certo  avifo 
Che  cibo  ei  fu  de  la  canina  rabbia 
Volgcrfial'altro,_affi&  ilguardoin  eflb. 
E per  Filauro,  il  riconofce  efprertb. 


JK.  Conjpatlfce,  e e già  p„  qudlp 

Come  la  co&ftjanon  ben’intende,  ^ 

Ne  che  qucll'accidenteempio,  e fùnefto 
Seguitoha  per  fua  cagion,  comprende. 
Uditoli cafo  dolorólo  emcfto , 

Per  chiarir  del  ver,Sidoniofccnde. 
Quando  chi  fien  coloro  Adon  li  conta- 
Ferinailcavallo,^c  da  larciondifmonta; 


ft7*  ^ lor  perfone  c conofeiute , c vlfte 

Ne  la  Cortedi  Menfi  havea  più  volte. 
Onde  quando  di  polve,  efangue  mifte 
Le  vide,  c lacerate,  & infepolte. 

Forte  glifpiacque,  e da  le  luci  trifte 
Nè  versò  jper  pietà  lagrime  molte, 

E diflè.  Ah  ben  contro  ragion  fi  too-lle 

L’hoAox  deYac9  a quefte  belle  fpo^lìc. 


t56  GLI  ÈRRORl, 

318.  Spoglie  belle,  e reali , ahi  quanto  a tott# 
Giacere  efpoftc  a le  ferine  brame. 

Mà  s’a  le  voftre  vite  ancorché  Corfo^ , 
Unfolfiifocommunfilò  loftame, 

E qucfto , e quello  ha  generato,  c morto 
Un  ventre  illuftre,  & una  mano  infame. 
Dritto  è,  che  Toftaanco  un  fepolcro  aTconda, 
E Tun’e  l’altro  cenere  confonda. 

319.  Così  dicendo  acconcio  il  pcfo,  e mcflb  ■ 
Sovr ’ una  bara  d’intrccciatl  Iteli, 

Ne  la  tomba,  th’eretta  cralàprefld, 
Depofirato  i duofquarciati  veti. 

Ciò  fatto , il  Ca-valier  col  fangueifteflo, 
Ch’ufcl  de  le  lor  piaghe  afpre,  e crudeli^ 
Nelfaflb  de  l’avel  fcrilTe  di  fora, 

Reliquc  di  Filauro,  e di  Filerà. 

3j©.  Adon  ntl  fcpelir  la  co^ia  eftinta  < 

Sì  del  mal  d’ambobuo  s’amfe  e doUe, 

Che  confervar,  benché  di  fangue  tinta, 
De’fregl  lor  qualche  memoria  volfe j. 

Ondi  di  fmalto  a lui  tolfc  una  cìnta, 

A lei  d’or  riccamato  un  velo  cl  tolfe. 

Poco  accorto  pcnfier,  fciocco  confìgll0> 
CKe  gli  fìi  poi  cagion  d’alto  periglio, 

331.  L’opra  apena  fornita,  odon  le  fronde  ■ 

Scrocc'ar  dapreflb,  e feoferfi  le  piante. 

Et  ecco  ufeir  da  le  vicine  fponde 
Fluom,  che  quali  ftatuta  hà  di  Gigante. 

Io  non  so  come  in  si  bel  loco,  ò d’onde 
Venne  sìfconcio.  e Barbaro  hsdbitante. 

Ama  le  cacce,  e per  caverne,  c felve 

Belva  molco  peg^of,  lebelyc* 


I-  A N i o UtL^lMO  QJ  AR  T O.  t;7 

35X.  Lunga  la  capegliaia,  e lunga,  e nera 
La  barba,  e’I  vello  ha  Taninaal  feroce. 

Mente  humana  non  hà,  nè  forma  vera  > 

Et  cfprimer  non  sa  dilHnta  voce. 

A falere  fere  infidlolà  fera 

Per  nutrirfì  di  lor , danneggia,  e noce. 

Gli  huomini  Ingoia,  e quand’ei  può  pigliarne 
Ingordo , è più  de  lapin  nobil  carne. 

5J3-  Vivea  folingo  in  fotterraneo  albergo» 
Hifpido  il  corpo,  c fetolofo  tutto 
Veniva  armato  d’un’eftranio  ufterbo  , 

Che  di  pelle  di  Tigre  era  coftrutto. 

Ufeian  le  braccia  da  i confin  del  tergo 
Per  due  bocche  di  Drago  horrido  c brutto. 

E pur  di  Serpe  entro  una  feotza  cava 
Molte  quadreJla  al’homero  portava. 

3J4-  Tcnea  ferrato  in  mano  un  baftoncirudo 
Duro,  pcfantc , e noderofo,  e groflb. 

D*^utia  conca  di  pefee  havea  lo  feudo 
Ben  forte  e faldo,  c’n  tcftaun  zuccon  d'oflb* 
Tutto  quanto  del  rcfto  andavaìgnudo^ 

E lènza  piaftre,  e fènza  maglie  addoffb, 

.Nè  veftiva  altre  fpogUe  al  caldo,  al  gelo» 
Se.non  quanto  al  copriva  il  folto  pelo. 

335.  Scherma  non  hè,non  hà  ragion  di  Marta 
Ma  di  forza,  c deftrezza  ogni  altro  avanzi 
E dove  manca efperienza,  & arte. 

L’agilità  fupplìfce,  e la  poflanza. 

Venne  coftui  gridando  a quella  parte,  ' 
Dov’havea  <fi  venir  fovente  ufanxa, 

E mezo  ancor  tra  ftr angolato,  c vivo 
Unfiio  DamaLùMiòniVpiiitt»^^^ 


ifi  GLI  ERROICÌJ,  ’ 

536.  Un  Daino  a prima  giunta  il  ficf  Selvaggi», 
C’havea  pur  dianzi  in  quelle  macchie  piefo» 
Scagliò  contro  Sidonio,  il  qual  fu  faggio 
Di  quel  colpoafchivarrimpeto,  e’lpelb> 
Che  tratte  il  tronco  d’un  robufto  faggio 
Quafi  folmin  telette  a terra  ttefo. 

11  mottro  allhor  più  r apide,  che  ventov 
Gli  aventò  tré  faette  in  un  momento. 

J.37.  ' Due  ne  volano  a voto,  e la  corazza  : f 
Dal  terzo  ttrale  il  Cavalier  difende. 

1 dardi  lafcia,  & a due  man  la  mazza 
Senza  indugio  il  pelofo  intanto  prende- 
Occorre  Taltro  a quella  furia  pazza , 

E'I  brando  oppon  contro  il  bafton  che  fcende 
E per  mezo  gliel  tagliai  in  quetto  mentre 
Tira  di  punta,  e lo  ferifce  al  ventre. 

La  ro za  bettia,  che  non  mai  creduto  ' 

Jn  luì  trovar  tanta  difefa  havria. 

Vitto,  che  contro  il  ferro  il  cuoio  hiriuto- 
Non  giova.  Adone  atterra,  e’i  porta  via. 

Si  dibatte  il  fanciullo,  e chiede  aiuto. 

Ma  invan,  che  già  colui  l’hà  in  fila  balia',. 
Ond*afdegno,  e pietà  motto  il  Guerriero-- 
Prettamente  rimonta  insù’l  deftfiero-  ’ 

J3^.  Per  dar’al  metto  Giovane  foccorfo*.  ; s ^ 
Ne  la  foretta  a tutta  briglia  il  caccia,  ‘ 

Mà  di  ttender’apien  fpedito  il  corfo 
La  fpcttùra  de  gli  arbori  l’impaccia. 
L’infolentcfellonfenzadicorfo,  . , 
Ch’Adone  impaurito  hà  tr  à le  braccia^  ' 
Quando  giuntoli  vede,  a terra  il  getta,» 

Poi  tt  rimbofca,  & à fu.ggix  s’af&etca,  ; 


540.  Volgefi  alfine,  e d’un  grand’olmo  antko 
Perfpiccarne  uatroncon,le  cimeabbaffa, 
Ma  tronche  intanto  il  feritor  nemico 
Sù’l  ramo  Ifteflb  ambe  le  man  gli  lafl'a. 
Raddoppiai!  colpo, e in  men  ch’io  noi  ridico 
Un’occhio  imbrocca,  e’icerebro  gli  pafla . 
Ond’a  cader  fen  va  con  fier  muggito 
Il  difibrmc  Salvatico  ferito. 

541 . Per  una  ripa,  che  da  l’orlo  al  fondo» 
Trecento  braccia  ha  dirupato  il  fafib, 

Sidonio  allhor  lo  fmifurato  pondo 
Spinge  col  piede,  e lo  trabocca  al  bado. 
Cerca  Adonpofcia  indarno,  e perehe’l  modo 
Gàà  fi  rifchiara,  alfin  ritira  il  palio, 

E quindi  efce  a l’aperto  in  largo  piano, 

Che  daPafo  ncuiè  molto  lontano. 

•541.  U buon  deftrier  per  fpediteftrade-  ■ ' 
Sollecitò  con  importuni  fproni, 

Mà  pur  quand’egli  entrò  nela  cittadc 
Eran  de  Paltò  di  pieni  i balconi. 

Scorre  di  qua  di  là  borghi,  e contradcj 
E giunge  a lagran  piazxa  insù  gli  arcioni > 
Dove  un  theatro  Ipatiofo  e novo 
Coronato  è di  Ibarre  in  forma  d’ovo.  - 

2=45.  ■Vredegranrogo'accefoinundc’lati,.  < 
Eraa  foffiarloilfier  miniftro  intento, 

Per  entro  i cavi  mantici  agitati  ^ 

L’aure  comporrete  concepirvi  il  vento  ^ 
Poi  partorire  incitatori  i fiati 
Dal  gonfio  fen  del  gravido  ftromentOj. 
Lacui  fpirco  vivace  a poco  a poco 
Di  licenza  a le  fiamme,  aiuma  al  to  co» 


i6o  OLI  ERRORI,  > | 

3^.4.  Da  la  più  agiata,  è più  fublimc  jlika  . ^ 

Del  bel  Palagio,  che  lo  fpacio  ferra, 

Argenc  in  atto  aliai  turbata, e trifta 
> China  guardando  il  campo,  i lumi  a tctrSi 
E gran  truppa  di  Donne  e feco  mifta. 

Che  ftan  tremanti  ad  afpettar  la  guerra. 

La  guerra  in  cui  de’due  prigioni  in  bxcVc, 
L’alto  giudicio  difiinir  fi  deve, 

345.  Pènde  da  tetti  intorno, cdacornic!,  { 
Come  a mirar  fi  fuol  gioftra,  ò torneo. 

Di  curiofe  turbe  fpettatrici  1 

Innumerabil  numero  plebeo. 

Aprefi  il  paflb  il  Duca  de’Fenici, 
Nonconofeiuto  inun  campione,  e reo, 

E trova  a palleggiar  per  lo  ftcccato 
Tutto  fblctto  un  Cavaliere  armato.  * 

346.  Picca  un  corficr  tra  le  prune , è’I  gela  ; 

Nato  del  Rheno  in  sù  la  fredarìva , 

Tutto  tutto  ermellino,  e bianco  il  pela 
Sovra  l’ifteflà  fua' neve  nativa. 

Gli  fa  sù  gli  occhi  il  crin  candido  velo, 
Candidaancor  la  coda  al  piè  gli  arriva^ 

Ma  con  fpoglia  ncvofa,  e patria  algente 
Sfavilla  in  lui  però  fpirito  arderne^ 

347.  Bianco  il  dcftricr  bianco  l’tì(bcrgo,&Viaco 
J3)i  bianchi  fregi  bà  il  ^eraimento  adoraOk 
E di  penne  di  Cigno  il  cimier,  anco 

. Canuto  ondeggia,  c fi  rincrcfpaintonió 
Lo  feudo  che  lofticn  col  braccio  manco 
A 1* argento  pur iffimo  fà  feorno , 

E porta  ne  la  lancia , onde  combatte» 
Unpcaaoncelpurdel  colof  del  latte. 

Chic 


CANTO  DtCIMOOVARTO.  lét 

J48.  Olcrelapiilma,incimaala  celata 
Amorofo  mìniftcro  è fculto  e finto, 

Hauvi  vaga  Colomba  inargentata. 

Che  piagne  il  caro  mafchio  in  rete  àvintò, 

E batte  ralì,  e metta,  c fcompagnatà 
Mottra  ne  l’atto  il  gemito  dirtintO. 

Un  motto  in  lettre  d’or  Tè  fcritto  al  piedtf 
Pari  al  candor  de  Tarmi  è la  mia  fede 

34J.  Lanobilpónatura,  elafcmblanià  ^ - 

De  Tignotò  Guerfier  clafcnn  commendò* 

Ma  Sidonio  in  quel  mezo  oltre  s’avanza 
Per  (aver  chi  fia  quctti,  e cui  difenda, 

E fi  caccia  trà’l  vulgo,  ov’bà  fperanza, 

Che  meglio  di  tal  ratto  il  ver  s’inténda>  \ 

Et  ode  aogn’intorno,  ove  fi  giri , 
fremer  fingulti,  e mormorar  fofpirb 

350.  Ddh  con  Teterna  man  Giove  faceta  ! 
Da  le  porte  del  Ciel  telette  lampo, 

Ch’apporti  a Tinnoccntc  Giovinetta 
(Che  talcredcr  fi  dee)  difefa  e fcampò,  ^ ^ 

Pia  dunt)ue  a per  fua  ragion  cottretta 
Per  nonhavcrchilafoftengaincampo?  ' 

Fia,  che  tantabcltà  fu’l  fior  de  gli  almi 
Ad  infame  pacibulo  fi  danni? 

351;  S’indcgno  di  perdon,  di  mille  pew  ^ 

Degno,  un  vile  ftranier  Campiòn  ritrova. 

Et  nuom,  che’n  (angue, ò in  amiftagU  attive 
Per  lui  s’cfpone  a pcrigliofapróva. 

Innocenza  reai  deh  come  a viene, 

C’hoggi  a pietatc  alcun  de’faoi  non  mov4> 
Come  coniente  Amor  di  reftar  ylnto^ 

E che  fia’lfuo  per  altro  incendio 


H%  • GLI  ‘ERRÓRI,  ' 

351.  Quefti  in  languido  fuon  fommertì  accen^ 
Con  guance  fmotte,  c luci  lagrimofe 
Bifbigliando  per  tutto  Ivan  le  genti 
pi  fpectacol  si  tragico  pietofe. 

Comprende  ei  dal  tenor  dì  quei  lament?> 

E de  molt’altre  Inveftigatc  cofe  , 

Che  per  lui  quel  Gucrrier  la  pugna  piglia; 
Ove  Idegno n’ha  infieme , e meraviglia; 

353.  Imaginar  non  sa  ohi  fia  coftui 
Sì  d’amor  feco,  ò d’obligo  congiunto, 

Che’n  periglio  mortai  d’entrar  per  lui 
Efpreflb  ha  prcfo,  c volontario  aflunto. 

Sia  pur  chi  vuol,  nè  di  tutela  altrui. 

Nè  di  fua  propria  vita  ei  cura  punto, 

£ già  s’accofta  a Paverfario  eftrano 
Con  l’elmo  in  tetta,  e con  la  lancia  in  manOr 

■334.  Tu,  che  de’cafi  altrui  brigati  prendi. 
Dimmi  (gli  ditte)  ò Cavalier  chi  fcij 
Di  per  qual  corretta  fciocca  difendi 
(Comprator  di  litigi)  i felli , ci  rei? 

Meco  (forfè  noi  fai)  meco  contendi. 

Onde  celarmi  il  nome  tuo  non  dei } 

E fe’l  tuo  nome  pur  vorrai  celarmi. 
Scoprirmi  qual  cagion  ti  move  a l*armi. 

3JJ.  V edcr  non  so,  perche  si  dubbia  imprcfe 
Temerario  intraprendi.&  armi  tratti 
Senza  frutto  (pettar  di  tua  contefa, 

O’feper  la  ragion  per  cui  combatti. 

A Sidoni  non  cal  di  tuadifefa, 

Nè  rifiuta  la  pena  a’fuoi  misfatti. 

Follia  fa  l’huom  qual  querela  cerca. 

Da  cui  premio  non  miete,  honor  non  mcrca. 


óltre  che  per  nT,?""''?1°'' 

A farne  infutm  • “^“‘fefto, 
^cr  mia  nr  “P  accorti 

l^on  chUmato  ™°"* 

CIÒ  che  ti  vT&IT'k  ”°‘’ ‘■“l’I^fto 
D’haver  peStl  • i l«'«i 

peccato  Upcccator  confcllà  > 

ci"“;£“'J  j 4'PSX°- 

Màclli/^V„  a,L  J 1 . 

Honeftar vuÓt if  “"f  Donzelli 

Bichiara  purH!  nr^'**-’  f P‘“l’*ccufi? 

Già  t”feréd!“  k^®'’  tl«ella 

A àft.  ® l>ord-ubbidir  ricufiT 

nSi  d^r  P"  '"<!“' '!«=  '■oftieni, 

*l>‘>m«o,  à richielìoancor  ne  rieni, 

^^^Ì’erfhc**Vere°'^  b‘  chiami. 

Noche  viver  non  dee  di  fregi  in&mi^“ 
Off  a'?/*  ' òi  fui  ftirpe  indeonL 

Offendi  piarci  che  difender  bmmi.  ® 

Copri  piu  quel  che  coprir  t’ingegni 


U4 


GLI  ÉkkÓKJ, 


jéo.  Hor  veder,  fe  fchermir  te  fteffo  (ài? 

Più  ch’altrui  fpaventar  molto  mi  tarda, 
Emi  tarda  pXQvar,  s’habbi , com’hai 
Oltraggiofo  parlar  j'dèftra  gagliarda. 

Se  per  Dorifbe  tu  battaglia  fai , 

Per  Sidonio  fon’io,  da  me  ti  guarda 
E fappi , che  mifia  cara  e gradita 
Vièpiù  la  mòrte  tua,  che  la  mia  vita. 

f6t.  Volgohciòdettolfréni,  encle  mani 
Per  arredarle,  dringonfi  le  lance, 

E divifo  de  gli  Arbitri  fovrani 
Il  Solcai  amboduo  con  giuda  lance , 
Poich’un  tratto  di  dral  fon  già  lontani, 

A i veloci  dedrier  pungon  le  pance, 

£ con  le  briglie  abbandonate  al  morie» 
Vengono  ad  ineontrarfi  a mezo  il  corfo.  ’ 


Il  bianco,© per  la fireta  òperladlzza  '• 

Errò  l’incontro, c corfe  l’hada  In  fallo, 
L’altro  ne  la  vifiera  il  corpo  dritta , 

Dove  brevefefliiraapre il  metallo, 

E con  duro  tracollo  in  sù  la  lizza 
Fuor  per  la  groppa  it  trahe  giù  da  cavallo  , 

E cade  si,  che  più  non  è riforto , . 

Nè  ben  fi  sa,  s’c  tramortito}  ò morto. 


3^  Siùonio,  che  mal  concio  in  terra  il  mira. 
Nè  rifentirfi  pur  de  la  caduta. 

Pervede  fe’l  conofee,  e s’ancor  fpira. 
Smontar  di  fella,  e gli  alza  labarbuta, 

*E  ritrovaeficr  Donna  (e  fe  n’adira) 

Colei,  che  dì  fua  raan  giace  abbattuta 
Per  accettarli  più,  Telmo  le  daccia, 

£ di  Dorilbc  iua  ieoprc  la  faccia. 

Vede, 


X 


r 


14  V 


Canto  decimoqvarto. 

56  ^ ch’ella  èDonfbe,$c  Ahi  crudele, 

^rudele  ò me,  me  più  d’altro  infido. 
™r  guarda  opra  (gridò)  d’almafedele. 

engo  a falvarci , e dia  man  t’uccido . 

V ol£ 


3 Scaglia  il  tronca  infelice  incontro  al  fuolo.’ 
E n coniro  al  Tuoi  lo  feudo,  e Telmo  gitta. 

1 01  dolcemente  a mareggiando  il  duolo^ 
oacia  colei,  crede  liaver  traficra 
accorre  allhor  con  riyLmfrofo  ftiiolo 
C|Ud  popoi dolente  Argante  aj^ltta, 
tt  ailalita  c ben  da  ììqvc  angoCcc 
Quando  i duo  priglgnier  mira,  e cpnofcc. 

® fanguc  accefe,  & ebre  ' 
la  nella  le  luci  un  pez?;o  tennoi 
E quando  tinta  di  color  funebre 

tT?' pianto  venne  • 

Ma  io  fdegno  reai  sù  le  palpebre 

Le  già  cadenti  lagrime  loftenne, 

S tio^ndo  di  vulgar  tropp’humil  gente 
Baliezza  il  lagrimar  pablicamcntc. 

3^7^*  Stupìfep  ìnnn,  fofplra,  c freme,  c tangnct 
C h ancor  non  sà  di  eiò  Thiftorla  ver aj 
Negaj:  non  può  per  tato  al  proprio  in  fangirc 
La  devftta  pietà,  benché  fevera. 

Intanto  il  granromorla  bella  clTanigaex 
^2  V ergin  per  amor  fatta  Gucr  rera. 

Già  fi  rifcAtc,  c cangia  in  ro(c  i S'g'A 
Rendeado  al  toìio  i fupì  ; oloc  VtfimKU, 


^{6  GLI  ERRORI, 

566.  QaandeDorIftje il  defiaro  amante, 

. Che  creda  prigionìer)preflb(ìfcorgc, 

E ch’egli  è quei,  che  qual  nemico  inante 
Sfidò  con  l’armi,  attonita  riforge. 

La  madre  ancorché  molti  altro  fembiantc. 
Ben  magnanimo  l’atto  eflèr  s’accorge.  ‘ 
Intender  nondimen  vuol  di  loc  bocca 
Come  fuji^iti  fieli  fuor  de  la  rocca. 

^49.  NarraDorifbc  pria  , che  quando  accorta 
Si  fù  Grifa  del  tutto  efler  partita, 
L’abbandonata,  e malguardata  porta 
Torto  da  sè  l’agevolò  l’uTcita , ; 

E d’un  fervo  fedel  fiotto  la  feorta. 

Che  le  prertò  fiecretamenteaita, 

Havea  per  eflegulr  l’alto  penfiero  ; 

Accattate  qucl’armi,  c quel  deftriero. 

370.  Soggiunge  indi  Sidonio.  Amor  mi  porle 
(Amor  figlio  d’unfabro)  arte,  & ingegno, 
Ond’aperfi  i fierramii  ei  mi  fòccorfiC'  ^ 
Ne  l’operation  del  bel  difiagno. 

Non  crediate  però,  ch’io  brami  forfe 

Di  fuggir  morte,  anzi  morir  nc  vegno,^ 

Ma  pria  ch’io  mora  almen,  la  ragion  mia 
(Poi  di  me  fi  difiponga)  udita  fia.  ‘ - 

371.  Piacciavi  tanto  fiol  Donna  reale,  ^ 

De  l’alterato  cor  fiofipender  l’ire. 

Che  con  clemenza  a la  giurtitia  eguale  ^ 

Si  pieghi  ad  afcoltar  quant’io  vòdire. 

Fatte  i Giudici  vortri  al  tribunale  < 

Vofico  I vi  pregò)  c i Principi  venire,  ; • 

C h’io  vò  di  tutti  lor  l’alta  prefienza 
A proferir  di  me  giurta  lèncenza. 

Mcnh 


CANTO  DECIMOQVARTO.  i6y‘ 

'7  Membrando  Argene , che  coftui  da  morti;; 
Campolla  già,  quando  la  Serpe  uccife, 

T'Jou  Teppe  in  Tuoi  rigori  efler  sì  forte, 

Che  ciò  negaffe, eper  udir  s’aflife 
Ei,  ( raccolta  che  fu  tutta  la  Corte, ^ 

A piè  del  tuono  inginocchion  fi  mifè^ 

Tratta  la  fpada  poi  de  la  vagina, 

A lei  la  porfe , e cominciò,  Reina.  T 

373.  Sovvenir  ben  vi  dee  del  facro  patto  ' ^ 

Giurato  a la  gran  Rea  vendicatrice,  y 

Che  colui  degno  fol  fia  d’efl'er  fatto 
De  la  mia  Donna  pollclTor  felice, 

Ch’ai  regio  fangue  havrà  pria  fodisfatto 
Col  capo  del  figlivol  del  Rè  Fenice, 

Quel  nemico  mortai , che  già  die  morte  • 

Al  voftro  gloriofo  altoconforte. 

Hor’a  voi  fi  conviene  il  giuramento 
Meco  adampir,  com’io  v’adempio  ildonQii 
Ecco  che  di  Sidonio  io  vi  prefento 
11  capo,  e’I  ferro  Inun;  Sidonio  io  fono.  ' 
Son  d’ubbidir,  fon  di  morir  contento. 

Quando  Indegno  appo  voi  fia  di  perdono. 

Che  s’c^li  avien,  che  di  tal  mano  io  mora, 

Ea  gloria  del  morire  il  mal  riftora. 

373,  Son  vinto,  e prigionier,  non  mi  difendo, ‘ 

La  fpada  in  man,  la  tefta  in  grembo  havetc* 
Fate  ciò,  che  v’è  bello,  \ c pur  volendo 
Pafeer  del  fangue  mio  la  voftra  fete. 

Per  lafciarla  troncar,  l’armi  mi  rendo. 

Sfogar  l’odio  homai  tutto  i n me  potete, 

Se  merita  però  tanta  vcjidet  ta 
Error,  che  per  errore  altri  commetta. 


Ui  GLI  ERRORI, 


37^.  Nel  fen  di  lei  hurail  getto  e pio 
Iiiclili)òla  cervice  incaiuo,  e tacque. 
Aque^  parlar  nel  cor  di  chil’udio 
C on  gran  pietà  gran  meraviglia  nacque  • 
Occhio  non  Fu  «Barbaro,  &ch’un  rio 
Non  vertaire  d’amare, e tepid’acque. 

Mà  di  Sidonio  Argeve  udito  il  nome. 

Da  le  piante  tremo  fino  a le  chiome. 


Tf 

Zf 


■ 


377»  Turbpfli  tutta,  e variando  il  volto  , '• 

Pallido  pria , poi  più  che  fiamma  rodo,  . 
Data  iu  preda  al  mror  rapido  e ftolto,  y 
Forfè  fe  l’hebbe  ad  ambe  man  pcrcoflo.  < I 
Pur  raccogliendo  à l ira  il  frendifciolto 
Da  qualche  tenerezza  il  cor  coramoflo,  O 
Sedò  quel  moto,  e dilagati  in  fiumi  ‘ > 

Al  Ciclo  alzò  con  quette  voci}  lumi. 

} 7^.  ftellc  , ò Dei , deh  qual  vi  move  a queftc^ 

Qo^e  qui  confentir  furore,  ò fdegno? 

Di  marito,  è di  Rè  lafciar  voleftc  ^ 

Vedovala conforte,  orfano  il  regno*  ■ ,l 
Morir  di  ferro  a torto  anco  il  facette, 

N.è  di  lui  mi  riraafe  altro  ch’un  pegno, 
IJupillamiferabile,  cottei,  > 

Che  pupilla  era  pur  de  gli  occhi  miei.  ' t 

37^^  E quetta  ancor  mia  cara  unica  prole 
Veggio  dclufa  con  perverfo  Inganno,  i 
E pej  force  deftin,  che  cosi  volc, 

A brutta  morte  io  ftefla  hor  la  condanno.  ■ 

E quel  che  viè  più  ch'altro,  affai  mi  dolc,  ' 
Prender  vuol  per  Signore,  c per  Tiranno,  ' 
Dimenticata  4e  l'oltraggio  antico,  !f 
Ferfidoncname,UIkonnkggifitf  aeniùco.^  . 

Dun-, 


CANTO  DECIMOQVINTO  169 

j8o.  Dunque  con  chi  del  padre  aprile  vene 
Vivrà  Doriibegloriofa,  c lieta? 

-Hor  che  farà  b sfortunata  Argene3 
Dee  crudcldimoftrarfi,  ò manfueta? 
Benignità  reai  l’un  non  foftene, 

Obligo  maritai  l’alcro  mi  vieta 
Milera,  a qual  partito  homai  m’appigli*  , 
S’ov'abonda  ragion,  manca^onGgUo? 

J8r.  S* avien,  che’l  dritto,'  e*I  debito  mi  mova 
Quel  fangue  a vendicar,  che  fangue grida». 
Un,  che  già  prefo  in  mio  poter  G trova, 
Senz’alcuna  pietà  convien  ch'uccida  j 
Un,  che  di  mia  virtù  viene  a far  prova. 

Et  humilmente  in  mia  bontà  conGda  ì 
Un,  che  pentito,  efupplìce  mi  chiede 
D'involontario  error  gratta,  e mercede, 

jSt  S’eflaudifco  il  pregar  di  chi  mi  prega, 

E’I  gran  caftigo a perdonar  m’ abballo. 

Al  cenar  degno  il  fuo  dever  G nega^ 

E l’alta  ingiuria  invendicata  io  lalTo. 

Oimè,  chi  mi  ritiene?  e chi  mi  lega. 

Sì  ch’intradue  rimango  iramobil  falTo  ! • 
Punir  devrei  roffefa,  onde  mi  doglioi 
JMà  divenir  carnefice  non  voglio. 

383.  Deh  come  canto  cor  Sidonio  havelU» 

Dc’tuo  nemici  a crederti  in  balia  ? 
Com'ecelarti  poi  sì  ben  (àpefti, 

Che  t’hebbi  in  man,  ne  ti  conobbi  ^ria? 

Et  hor  che  ti  conofeo,  a che  voleftì 
Pormi  in  necelTità  d’eflerti  pia? 

• Perche  mi  sforzi  a fiir,  lafl'a,  al  Rè  morto  • 

£ la  mia  grandezza  un  fi  gran  torto  ? 

Voi.  lU  H O mie 


1 


X70  GLI  ERRORI,  ' a 

384.  O mie  Cchermte»  eilifprcxzatelcggl» 

A le  let^t^i  d’Amor  ciò  fi  condoni. 

Amor  a ce,  che  l’UniverCo  reggi  > 

Non  a pietà,  cotal  pietà  (i  doni.  ^ 

Scali  l’alma  gentil  da  gli  alti  Teg^i  ^ 

L’atto,  c quello  perdono  a me  perdoni.^ 

Che  meglio  è di  me  ftelTa  haver  vittoria. 
Clic  di  vìnto  nemico  acquUlar  gloria- 

385.  Non  era  eiunraalfin  di  quello  detto,  . 

NonJaavea-&e no  ancor  pollo  ala  voce. 
Oliando  Dorifb'e^  il  cui  confufo  petto 
Era  {leccato  di  coftflitto  atroce , 

Dov’amore,  & honore,  odio,  e dilpetto 
Fac^an  guerra  tràlor  cruda  e feroce, 
Aventofli  a la  Tpada,  e gliela  talfc. 

Indi  in  quello  parlar  la  lingua  fciollc.  ^ 

386-  Pocoa lui,menoamerideepieta.tc, 

Anzi  a lui  fi  perdoni,  a me  non  mau 
Io  fol  le  leggi  hò  rotte  c violate 

Morir  fol^egg’io,  che  fola  errai.  r 

E vò  morir  per  trar  fra  le  malnate 

La  più  mal  nata  e mifera  di  guai, 

E quello  è il  premio  alfin,  cne  malaccorta 
Da  l’amor  del  nemico  ella  riporta. 


j\  I itmaxitt  1 ) paghi, 

Se’n  credendolo  amante  aucor  non  erro. 
Quando  averrà,  ch’io  quello  petto  impiaghi» 
Vedrà  quanto  nel  cor  nafcondoe  ferro, 

B ch’ancor  vive  cntro’l  più  nobilloco 
Il  mal’accefo,  c malautrito  foco. 


CANTO  DECIMOQV ARTO.  171 

3*8.  Non  vacilla  la  delira,  il  cor  non  teme, 
Fatta  due  gran  vendette  una  ferita. 
Vendicherò  con  un  (bl  colpo  inliemc  • 

II  padre  uccifo,  e l‘honcftà  tradita. 

Voglio  uccider  me  ftclFa^,  c con  la  fpcrae 
O ogni  conforto  abbandonar  la  vita. 

Per  uccider  Tamor,  ch’ingiuftamentc 
Porto  al  crudo  uccifor  de  la  mia  gente. 


189.  Ferro  fedel,  già  de  l’amato  fianco 
Famofbhonore  & honorato  pondo. 

Per  man  del  tuo  Signore  invitto  e franco 
Del  miofarigue  reale  ancora  immondo. 
Fra  quante  imprefe  di  pugnar  non  fianco 
Fec’cgli  mai  piu  gloriofc  al  mondo, 
Queftafia  la  più  degna  e nobil  palma, 

Da  l’indegnà  prigionfcioglier  quell’alma. 


3^®*  In  quello  cor  malvagio  apri  la  firada. 
Origine,  e cagìon  de  falli  miei , 
Acciochecomc  fempre,  o carafpada, 
Compagna  a buoni,  elìda  amica  fci , 
Cosi  ci  dica  ognun,  qualbor  c’accada 
Punir’il  male,  afpra  averfaria  a I rei 
Ben  di  giufta  t’ulurpi  il  nome  invano 
S’impunica  ti  cocca  iniqua  mano. 


591.  Ricevi  ombra  paterna,  anima  chiara,  > 
La  morte  mìa  de  la  tua  vita  in  veceì 
E ben  quell’ira  homai  di  fangue  avara] 

Col  proprio  langne  tuo  placar  ci  lece»  < i 
Ch'ofFerta  ti  farà  forfè  più  cara| 

Di  quante  mai  quella  crudel  ne  fece. 

Darò  con  far  tré  alme  a un  punto  liete 
A ine  fema,  a lei  gioia,  ^ te  quiete . 

M a,  Cosi 


I 


jyi,  GLI  ER.R.ORIj 

391.  Così  dice,  e tremante  il  braccio  ftendc,  ' 

Slunga  lalpada , e volge  al  cor  la  punta» 

Ma  sidonio  la  man  forte  le  prende, 

E a tempo  la  madre  anzo  v*è  giunta, 

A cui  largo  da  gli  occhi  il  pianto  feeoo®» 
Giàd’amor  tutta,  e di  pietà  compunta. 

E’I  morir  difturbando al  infelice. 

La  riconforta  humanamente,  e dice. 

395.  Pon  giù  figlia  la  fpada  Infieme,  e l’ira» 

U pentimento  ogni  gran  biafmo  fcolpa. 
Mori  Morafto,  e fe  dal  Ciel  ne  mira. 

Forfè  non  tanto  i noftri  errori  incolpa^ 
Perche , fe  dritto  al  vero  occhio  fi  gjira» 
Non  fu  l’altrui  fallir  fenzafuacplpa , 
Coiifolandofialmen,  che  nonfucceflc  . 

Fallo  mai  tal,  che  tanta  emenda  bavette» 

594*  Poich’al  pattato  mal  non  è riparo» 

Et  io  depofti  hò  già  gli  antichi  (degni , 

Vivi  contenta,  affrenail  pianto  arnaro»  . 

E del  priir  ’odio  ogni  favilla  fpegnL 
Habbi  di  te  pietate,  e del  tuo  caro, 

C’hoggi  moftri  hà  d’amor  si  chiarifegni» 
Degno  teco  d’unirfi  ad  egual  giogo, 

E degno  d’altro  laccio,  e d’altro  rogo. 

39 j.  Dopo  qucfto  parlar  dolce  l’abbraccia  » 
Dolcemente  la  ftrìnge  al  fen  mater«ao,  ^ 

E baciandole  horgli  occhi,  & hor  là  faccia# 
Scopre  gli  ettèttide  l’affetto  interno. 

Poi  con  Dorifbe  fua  Sidonio  allaccia 
In  nodo  indittblubile  & eterno , 

Dandogli  apien  quanto  più  dar  gUpotc, 

. Lafcrlonainconfoitejclrcgnoindptc. 


N 


mro 

S.  *'°'»^ragivijitì  aquelH 

KiCcbiàa^^'.f  erano  imeifi. 

Stavano  a COSI  inif^i  Tu  creili. 

Tofto  che  1 calilor,fu.r  manifcfti,' 

\\  ^to ® "^atc^arich’effi,  ' 


ni 


£ con  par  facondo.  Se  efSeace 


Jiieglio  e parentela,  e pace. 


197,  Màqa^^  gioia  compica, 

'' • _^  (fi{leudolr*v  % 


CKvnon  fulie il  dolor  Tempre  contorte? 
O’ouancVo  il  dolce  de  1* Humana  vita 
■Lateio  wianial  d’avelenar  la.morte  f 

Bcco,mcotrclafeftaè  ftabllita. 

Movo  C^cottipt^Uo  ìmiorbi4a  la  Corte, 
PercVi’ad  Arsene  inafpcttari  avifi. 
Recati  fon  dc’dao  nipoti  uecifi. 


Di  Pilauro , ePUora  X fervi  erranti 
Poiché  più  «iornlfenz’ alcuno  efl^tto 
Cercano  i lor  Signor,  qou  doglie,  e plawà 
Tornando  rifeontràrono  un  valletto. 

Il  qi;^  c raheano  a la  Reina  avanti 
Tra  cento  nodi  incatenato eftrctto, 

Ch*a  pi^i  d’an  fegno , e d'un  inditio aperto  ^ 
Ch’ei  folfe  rucciior  tener  per  ceno. 


359-  Quando  (ù  quivi  II  Giovane  condotto, 
pin’a  le  fteUe  fi  levar  le  ftrlda , 

CHal  cinto,  al  velo  infanguinato,  c rotto 
Tofto  il  conobbe  ognun  p^r  hpmicidai 
isle  tempo  havea’l  mefehin  pur  da  far  motto> 
l<Ie  da  dir  fua  ragion  fra  tante  grida 
Sidoniailvidc,  e vide  effer  colui. 
Ch’accontato  quel  dì  s’era  con  lui. 

H 3 .js3lq«c 


1(I81ÌQ(«Ì? 


GLI  ERRORI, 


174 


400.  Queft’era  Adon,  che  poich’a  terra  Iplntè 
f ù da  rhuomo  inhuman,  diede  in  collorò. 
Contando  a tutti  il  cafo  allhor  diftinto. 

Il  Prence,  e com’al  bofeo  infieme  foro  , 
Innocente  il  dichiara,  ancorche’l  cinto 
Il  contrario  dimoftri,  e’I  drappo  d’oroj 
E da  relation  lunga  e diffula 
Di  quanto  già  cantò  la  noftra  Mufa.  ' 


401.  In  queftorempoilgiuftoCicl,  chToffcfo  • 
Non  nega  a i falli  mai  devutapena, 

Co’duo  complici  Tuoi  legato  e prefo 
Quivi  Furcillo  illadroa  tempo  mena. 
Allhor  meglio  èdatuttiil  fatto  intefo. 

Che  n’han  dal  bell’Adon  notitià  piena, 

E a forza  di  ftratil  e di  tormenti 
Già  confeflano  H vero  i delinquentL 


402  Quanto  a la  Donna  pria,  nanaFurcillo^ 
Ch’egli  da  Ma!  agor  vide  fvenarla, 

Perche  con  gli  altri  di  lontan  feguillo, 

E poi  ladifterr  ) per  difpogliarla,  , , 

Wa’l  G.irzon  come  cadde,  e chiferillo 
Nulla  dice  faperne,  e più  non  oarla. 

Si  afpi  .1  è la  tortura,  e sigli  dole. 

Che  la  vita  vi  lafcia,€  le  parole. 


4 05.  Pofeia  ch’ai  fine  il  Giudico  s’avedé. 
Ch’egli  il  degno  caftigo  hà prevenuto, 

E che’n  van  più  l!a®ge.-invano  il  fiede. 

Che  Io  fe’ldenfo  hà  già  perduto  , . ** 

Da  glr^ltri  duo  la  verità  richiede  , 

Che  tòrnano  a ridir  quel  c’hà  faputo. 

Mà  rei  d’altri  delitti,  e malefici, 

Son  pur  dannaci  a gli  ultimi fupplicL 

Mca: 

%• 


IBI  Mtwt®  coftoro  la  funefta  tromtu 

Se  a la  fune, 
Selvaggia  tomba, 
commune. 


e fremiti  rimbomba, 
tdaC'C''^’^  lor  forcunci 

Econeffeq'^’^^  i^^uftri  &:  Ho  norate 
1rasfculcoX'<l'i^  a la  cittate. 


Di  voci 
Yian^e 


libero  a?ena  A.don,  per  mano  II  plolia 

^ Mercurio,  e Ceco  U trahe  fuor  de  le  mura, 

E'ti parlar  > cbc’l  confola,  c c h e’ 1 configlia. 
Gli  dà  di  hc.n.  fp  e me  fe  cura, 

jj^gionandocosl  : non  và  due  miglia. 

Che  aiiin?)®»  deiifa  è la  verdura. 

Quig^  moftra  il  camin  > che  vuol, ch’ei  fegu^ 
Ì7io  detto  fparifee,  e fi  dilegua 


Ào6  Molto  Innanzi  ei  non  và,clje'l  piede  infer- 
^ S’indeboUCce  a poco  a poco,  e ilanca,  (mo 
E per  queibofeo  abbandonato  & ermo 
A l vicTor  aiovenii  la  forza  manca. 

Apteìl  a&ifclo  dorato  , il  qual  glie  fchermp 
Contro  la  fame,  e fua  virtù  rinfranca, 
ìa  ftancbezxa,  e’I  digiuno inun  reftaura, 

Poi  s’addormenta  aliuflurar  de  l’aura. 


Ao-7  -Eeiàdalcentro  dela  rota  appare 
^ Ben  Imrce  il  Sol,  che’l  noftro  mondo  laffa, 

B,  le  lue  rote  (folgoranti  e chiare 
Già  verfoCalpe avicinato  abballa. 

Ouitidi  l’argento  fuo  tremulo  il  mare 
^asformainlucid’or  mentre  ch’ei  palTa, 

E quinci  filorde  le  Cimerie  grotte 
T>„  rOccan  precipita  la  notte. 

IL  fine  del DECmOQy arto  canto. 


IL  RITORNO 

CANTO  DECIMOCtyiNTO. 

argomento. 

* DO  NE,  cBe  dopo  ì difturbi  di 

molte  perfecutloni  fi  riconduce 
A finalmente  a Venere,  cidichiara 
che  rhuomo  habituato  nel  pcG- 
cato,  ancorché  talvolta  per  alcun 
tempo  hnpeditsp  da  qualche  tra- 
vaglio , fi  diftorni  dal  male,  facilmente  per  ogni 
piccioka  tcntatione  ritorna  all*antica  confaetu- 
dine.  Il  givoco  de  gli  fcacchì  ci  fih  conofeìere 
ipafia tempi , &le  dilettationi  > con  cui  lo  va 
trattenendo  la  volutta’per  defviar  lo  dal  bene 
le  quali  nondimeno  non  tono  altro  che  combat- 
timenti 8c  battaglie.  La  trasformatione  di  Ga- 
lania  in  Tartaruga  crrapprefema  la  natura  di 
quello  animale;,  ch*è  molto  Venereo. 


» ..  . 


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ARGO- 


Q o M.  E.  N 1*  O. 

fJèi€to ingegno 
mena  ni  Loco 

»'«>-»•*  « /«i  promette  il  regno, 

t14  ^ov’Ka  Fortuna  il  regno^ 

I 2.vierrìei*e  Inftabil  campo, 

^^^JicVicnon  Ccopra  11  combattuto  legno 
"Di oaclfi^^  {iella  amico  lampo , 

•Wotv  dl^&^' coftantc  ingegno 
jD>^a\z3X.o  noccKler  di  trovar feampo, 
pur  da  deftra  luce  feorto 
Dlptender  terra  e ricovrarfi  in  porto* 

La  calma  ala  tempefta  alfo  fuccede, 

‘ Cedono  alfin le  nevi  a le  viole, 

Seeaelanocte  il  chiaro  giorno,  eriede 
X>opo  le  nubi,  e le  tempefta  il  Sole. 

«pellb  del  pianto  è la  letitia  herede. 

Cosi  dlato  quaggiù  murar  fi  fuole. 

Con  lai  leggi  "NTatura  altrui  governa> 

B le  vicende  fue  nel  mondo  alterna. 

I>opo  molto  girar  mobil  compaflb 
* Chiude  al  puntole  lince,  e le  congiungc. 

XDa  lun<^o  corfo  afBiticato  e laflb 
li  deftr^cro  anhelando  alpalloglungc. 

Arriva  al  fonte  con  veloce  paflo 
.'Cerva,  cui  ftral’acutp  il  fianco  punge, 

■£,  vientrà  noi  dal  Africano  lido , 

jLQ^dlw  va^^iwomporr^il  ni4o.  ^ ^ 


lyS  IL  RIT.ORNQ, 

« ' • 

4.  Dal  duro  efUHo  Tuo  contenta  e lieta 
Tome  a i’orbe  natio  la  fiamma  lieve. 

Torna  da’ giri  Cuoi  l’onda  inquieta 
Nfdgran  ventre  del  mar,  che  la  riceve. 

KÌ:oi  iiù al  centro,  ove’l  l'uo  moto  hà  metai 
A gran  fretta  correndo  il  faffo  greve. 

E la  patria,  ove’l  fuo  cor  foggiorna. 

D’errar  già  fianco,  il  peregrin  ritorna. 

5 . Alcun  non  fia  però,  ch’unqua  fi  vanti 
D’haver  tanta  a fentir  gioia  nel  core. 

Che  palli  quella  de’fedeli  amanti. 

Oliando  talhor  gli  ricongiunge  Amore, 

E nebbie,  e pioggie  di  folpiri,  e pianti 
Sgombrando  col  feren  del  fuol  fplendorc  , ' 

''  Di  lontana  beltà  guida  e conduce 
Anima  cieca  a riveder  la  luce, 

6.  Con  quell’affetto , e^n  quella  fteffa  guila,' 
Che  dietro  al  maggior  cerchio  il  Ciel  fi  -gira 
O’che  di  ferpe  fuol  parte  recifa 

Unirfi  al  capo,  che  la  move  e tira,  ^ 

Con  quel  delio  fen  corre  alma  divifa 
Al  dolce  oggetto,  ond’ella  vive  efpira, 

Che  calamita  apolo  hà  per  coftume, 

Augello  ad  efea,  ò farfalletta  a lume. 

7.  TEMPO  fia  dunque  In  braccio  al  caro  bene 
O bell’Adon,  da  ricondurti  homai. 

Che  l’un’e  l’altro  ftà  tormenti  e pene 
Hàfofpirato,  hà  lagriraato  aflài. 

Prepara  i vezzi,  ecco  ch’a  te  len  viene, 
Rafiiiiga,  D Dea  d’Amor.glì  humidi  rai,. 

Chi  dira,  che  fruttar  poffano  i femi 
De  gl^  eftr cmi  dolor  dUewi  etemiì-  ‘ 


^ * JViQy 


CANTO  Tsj^ 

%.  Dal  palagio  del  i^ìcco  c I,-,  _ 

Chiufel’auree  eran  o-?  ' ' 

Salvo  quella,  ch’aperta  c§tf 
Rimane  In  fin  che  fieri 

Dove  le  bionde  chioine  ^ itte^ 

Ancor  non  ben 

Vener  bellas’acconcia,  e reft 

Indietro  alquanto  agareggj^^^^°^e 

>.  Quando  da  la  dolciffìn^^  can*. 

Svegliato  al  fta  del  rollìfrt^^  , 

Che  lieto  al  rimbambir  de  In  nT^  • 

Salutava  d’ Apollo  il  prinn^ 

Le  pompe  a vagheggiar  fi  poff 
Del  dì  novello,  c del  novello  x>f 
Hor  quinci,  hor quindi  à 
11  terreno  ftellato,  e’I  Ciel 

10,  Erano  già  per  man  di  Primavera  . 

D’odorate  ricchezze  i Gamrw^  j 
Alllior,  che-nTaurola  maggior  > 

■ Men  brevi  adduce,  e più  , ^lera 

Progne,  c rn  del  bel  tempo  meàào|"^' 

Le  dolci  cale  a far  tra  noi  ritnr«-?° 

Fi  chriftallìno  piè,  ch’afiumf  i 
Eorealegato,  Zefiro 

11.  Fu^gon  per  ?herba  lìberi  i rufceilr  - 
Poi^e’l  Sol  torna  a deli  vrare  ilo- 

■ Van  trà  i folti  querceti  i vao-M 
Difputando  d’Amor  di  fleJo^'n  ftef  ^ 

Tremanrombro  Jegaiarea  i,»., 

. Cb’emf  ion  d-oAbr  ifdtTvclato  Cilfe 

Efeotendo,  e’ncrefpando  i ro«,*  , 

a«»co.l/e,uc:'er/é&^ 

-er  6 


Ito  [Gli  ERRORI»  ’ ' ' 

u.  Di  naturali  arazzi Intapczzato, 

Rivede  ogni  giardin  fpogUe  fuperbe. 

Nè  d’un  Ibi  verde  fi  colora  il  prato  , . 

MàdivcrCo  cosi,  come  fonl’hcrbe. 

A bei  fiorami  il  verde  riccamato  ^ ^ 

Lava,  e poiifee  le  iiic  gemme  acerbe^ ' ' 

C li’a  la  brina,  & al  Sol  formano  apunto 
Quafi  di  Lidia  un  ferreo  trapunto 

13.  Apre  le  (barre,  el  caro  armento incna  j 
Il  Bifolco  a tofar  l’herba  novella 

Scinta,  e fcalza  cantando  a fuoft d’avena^ 

Sta  conl’oche  afìlar  la  Villanella.  " 
Scherzando  colTorcl  per  l’ombra  amena 
Vàia  Giovenca,  e col  Momon  l’ Agnella. 

Su  per  lo  pian,  che  Flora  ingemma  e fmalta. 
Con  la  Damma  fmalta  fugace  il  Daino  (alta, 

14.  Langue  anch’egli  d’Amor  l’Angue  feroce, 
E depoda  tra’fior  la  feorza  antica, 

Dov’Amor  più  che’l  Sol  lo  fcaldj>3  coce> 
Ondeggia  egulzzaperla  piaggia  aprica^ 
Ififchi , e i ^ti,  onde  fpaventa  enoce, 

' Cangia  in  fofpir  per  la  fquamofo  amica 

L’acuta  lìngua,  e la  mordace  bocca 
Infaetta  d’Amor,  che  bucci  fcocca. 

15.  Mà  viè  più  ch’altri  Adon,  poffente  efiero 
Sente  l’ardor,  ch’a  vaneggiar  l’induce*, 

E mentr’è  il  Cielo  ancora  candido,  c,  nero 
Tra  i confini  de  l’ombra,  e de  la  luce. 
Tenendo  al’Idol  fuofifoil  penfiero. 

Volge  l’occhio  a colui,  chc’l  dì  conduce, 

E quafi  in  fpecchio,  con  lo  fguardo  vago 
Rafiigura  nel  Sol  l’amata  Unago, 


.•CANTO  E> ® * M o j 

tf.  QulniiA»!  duo'°a'lhor^a.j. 

Incommtncia  a tgf^Ppar  HeKìi- 'Pezzati 
Nède’caldiforpi’^^  ^^centi, 

Cliercondel  cor  con  minor 

Che  del  mantice  ufcir  fogriano 

A dar  vigore  a le  fornaci  ardeni-; 

Anzi  par  che  sfog^do  i fuoi  *“* 

L’anima ifteffa  e£Iai^ 


A.  • 

17.  Ahi  chemlval  (dicca  J 

Labella  Primogenita  de  l’an»-. 

O’chc  fpuntin  il Cieloi  a 

Se  per  me  non  rinalce  altro 
Ridano  i prati,e  cantino  i paftori 
Medi  lagrime  pafce  un  TirTL« 

ifanVerno perpetuo  i miei  tormenti 
b’araarcprogge,c  d angofeiofi^enti 


— ■>  *• 

j8.  Il  Sohche  porta  a’miei  trift» occhi  il  zv- 
Non  è già  qaeftojche  levare  hor  vcseìf°^°^ 
Se  ben  nel  volto  fuo  di  luce  adorntf^  ’ 
D^altra  luce  maggior  l’ombra  vao-h»,>^- 
.Parta.ò  partito  poi  feccia  ritorne?  ^ ^ 
Ben  altro  lame  a le  mie  notti  io  Ai^o^- 
, Chi  crederla, che  più  lucente,  chef /a 
M’^  dc  PAfba,c  dd  Sol  fol’una  fteliaa 


15.  .Sorglftella  d’Amor,fiamma  mia  cara. 
Dplcc  vaghezza  mia,dolce  fofpiro  ^ 
L’ombre  de  rOrizontc  homai  ri 
Ma  ?mquelle,  ov  io  cicco  og„or.„.,g’^ 
Sarai  si  di  pictace  in  terra  avara 
Come  larea  di  luce  in  Ci-i  .i 


oaf  «u  bi  ui  in  icrra  àvsrfl 

Come  larga  di  luce  iu  Ciel  « 

Min  tu  la  miapena,  c’J  mio  dolora 


I Miritulamiapena,  c’J  mio  dolora 


Del  fi'i 


i%t  |IL  RITORNO, 

xo.  Deh  perche  le  beirhore  indarno  rpendi  * * 
Per  governar  d’un’aureo  carro  il  freno? 

Chi  ti  giova  il  piacer , ehe’^n  del  ti  prendi 
D’errar  per.  lo  notturno  aercfereno  ? 

Lafcia  le  vane  tue  fatiche , e fcendi 
Homai  tra  quelle  braccia,  in  quello  fenót 
Vedrai , ch’ai  tuo  venir  quell’antri  folci 
Pieno  Orienti, e Paradifi  i bofchi, 

ai.  Bofchi, d’Amor ricoveri frondofi,  ^ 

De’  miei  penfieri  fecretari  fidi, 

Taciturni  filentii,horrori  ombrofi , 

E di  fere , e d’augei  caverne , e nidi. 

Con  voi  mi  doglio , c tra  voi  (prego)  afeofi 
Rellin  quelli  foi'piri , e quelli  gridìi 

" fia,ch'alcuB  di  lor  quel  Ciel  percota> 

Che  lieto  del  mio  mal,(credo^  rota* 

ai.  Fontane  vìve , che  di  tcpid’ondc 
Largo  tributo  da  quell’occhi  havete, 

E voi,ch’altere  insù  le  verdi  fponde 
Mercè  de  pianti  miei , piante  crefcecc. 

Se  ben  Tacque  afeiugar,  Peccarle  fronde 
A tante , c’nò  nel  cor, fiamme  folete, 

V oi  fol  de’  mìei  dolor,mentre  mi  doglìo>  - 
Afcoltatrici , c fpettatrici  io  voglio. 

a».  E tu , ch’afflitto , degli  afflitti  amico- 
Solitario  augellin , si  dolce  piagni , 

O’  che  la  doglia  del  tuo  llracio  antico 
Languir  tifaccia,  ò che  d’Amor  ti  lagni. 
Ferma  pietofo  il  volo  aquant’io  dico 
Nè  (degnar , che  nel  duolo  io  t’accompagnir 
Che  fe’lmio-llato  al  tuo  conforme  è tanto, 
Ragioa’è  bco>che  fiacoixuniuii;  il  pianto, 


Delrexomattutln  tutto  Coletto. 

Di  nova  fpeme  aU’hor , che  lo  reftaura, 
incerto  non  so  che  fentefi  al  pecco, 

Quafi  unbalcn  dttenerexxa  dolce 
Vicende  al  cor,  che  lo.rin£rancae  mofcci 

1^.  Là  dove  il  vago  paffo  ò fermi , ò mova, 
Ocrnl herba  ride , ogni  arbofcel  s’indora. 

Kfngermoglialaterra, efi  rinova,. 

E quanto  può  le  care  piante  honora. 
Spunta  di  roCeamorofette  aprova 
Schiera  laCciva , eie  bell’orme  infiora. 

E’I  piè  fregiato  di  celefte  lume 

Cotte  abaciargli,  c ne  trahefiamme  ilfiumc 

i7.  Se  vibrando  il  feren  de’  duo  zaffiri, 
Ch’innamorano  il  Ciel , volge  la  fronte. 
Prendendo  qualità  da’  dolcigiri,  ^ 

Lafciail  bofco  l’horror , la  nebbiail  montci 
• Par  che  favonio  n’arda , e ne  fofpiri. 

Par  che  ne  pianga  di  dolcezza  il  fonte, 

E per  dolcezza  in  copiofi  rivi 

StUlan  Le  qacscc  md, nettar  gUoIivi;. 


Oyunr 


ih  "uuih  ‘•«mj 
.n*  «min*  «min 


i84  IL  RITORNO, 

z8.  Ovunque, ò in  valle  ombrofa,ò  Inbalza  aprv- 
Sedendo  afFreni  i faticofi  errori,  (.ca, 

Piega  i rami  ogni  piama,e  l’ombra  amica 
Gli  offre, e di  pomi  il  fen  ^i  empie,  c di  fiori. 
Per  render  forfè  a quel,  cEe  la  nutrica 
Terreno  Sole4  tributari  honori, 

Poìch’ogni  tronco  prende,&  ogniftelo 
Vigor  dagli  occhi  lìioi  pitiche  dal  Cielo* 

25>.  In  una  crocc,che’I  rentier  divide, 

E fà  di  molte  vie  quafi  unafiella, 

Per  raezo  il  bofeo  alfin  pervenne  , c vide 
Quivi  a l’ombra  pofarh  una  Donzella* 

Stanca  tra’  fiorile  languida^’affide, 

Brunetta  sl,ma  fovr’ogm  alura  bellai  - 
Et  a l’habito  eftrano,&  a le  membra 
De  l’Egittie  vaganti  una  raflèmbra. 

30*  Senz’atcun  taglio  un  pavonazzoln  pela> 
Che  di  verde,e  d’azur  le  trame  ha  mifte. 

La  vefte,comc  vefte  Iridein  Ciela, 

D’un  cangiante  ingannevole  a le  vifte. 

Di  fovra  un  manto , ancipiti  tofto  un  velo 
Ha  dì  fati  vergato  a varie  lifte, 

Ch'ad  un  botton  dì  variato  opalla 
Le  s’attien  per  traveifb  in  su  laipalla. 

31.  La  portatura  de  le  chiome  belle 

S’increfpa  acconciainBarbarefchimodi* 

Qui nci,e  quindi  è diftintain  due  rotelle, 
©nd’  efeon  molte  sferze  in  mezi  nodi. 
Sembran  tele  d’arasne,e  mmezoa^uieUe 
Son  d’acuto  rubin  finì  duo  chiodi. 

Poi  de  le  ciocche  in  cima  al  capo  agglonte 

Sàie  rote  apafiig:  tjOXAaakpume* 

ianao 


5»-  F 


decimo  QV I NTO.  lis 


diadema  ai  crini  aurati, 
ccrcKio  intorno  fi  fofWndc, 
veli  a più  color.liftati  ^ 

Irn^Yid*»  attorte  bende. 

slui4taC  la  treccia,per  duo  lati 

^afi  in  due  lungone  corna,  al  tergo  feendt, 
*.  iregiata  la  cuma  è d*un  lavoro 
A rofette  d’af gene  o,o  {Ielle  d’oro. 


)3.  Giacea  sii*l  piumaccivol  d’un  violeto 
Lungo  un  rufccl  frefehetto,  c chriftalliao 
Corcato, quali  in  morbido  tapeto, 
Vnpargofetto,c  tenero  bambino, 

Ne  la  cui  fronte  sì  giocondo , el  lieto 
Vedenfi  feintiUar  lume  divino, 

Che  benché  il  {bnno  gli  occupaflc  il  ciglio^' 
Parca  di  madre  tal  ben  degno  filio, 


|4-  Era  coftei  d^  Amor  la  bella  Dea, 
Chedelfuo  caro  Adon  trace iavarormc, 
E’I  fancini,  che  di  dormir  fingea, 
£raquei,ch*a  Cuoi  danni  unqua  non  dorme. 
Sconolciuta  fcherzar  (èco  volea 
Sotto  ftranierc,  e peregrine  forme. 

Per^e  fafle  il  piacer  dopo  il  dolore 

Quanto  iraprovi{bpiiì,tantomaggiorc. 


3f.  In  arrivando  Adon,  dal  capo  al  piede 
La  difeorre  «on  gli  occhi  a parte  a parte, 

E rafia  (]gnoril,chen*eflà  vede 
Loda,e  de’ ricchi  arnefi  ammira  l’arte. 

Poi  la  raluta,e  la  camion  le  chiede. 

Che  l’hà  condotta  in  si  remota  parte. 

Et  ellafeco  a ripof^r l’invita 

La  dóve  ingiunca  il  Tuoi  l'herba  fiorita. 

Soft 


Ì8tf  IL  RITORNO, 

^6.  Son  di  Menfì  nativa  ( indi  rifponde) 
Barbara  Donna, c per  coftume  errante. 
Filomanta  m’appello, e da  le  fponde 
Partii  del  Nil  con  queft’^amato  infante, 
perch’ir  miconvenia, varcando  l’ondc,  - 
Alcun’herbe  a raccor  di  facre  piante  , • 

E credea  per  lo  torbido  Hellefponto 
Paflar’a  Coleo , e poi  da  Colcp  a Ponto.  ‘ 

57.  Ma  de^fuoi  flutti  il  tempeftofó  orgoglio  ; 
Tragittommi  pur  dianzi  acjueftolido, 

E poìche’l  Ciel  m’hà  qui  guidata, io  voglio. 
Solver’un  voto  a la  gran  Dea  di  Gnido. 
Piacemilntanto  neffuo  facro  fcoglio 
Poiché  trovato  v’hò  fcampo  sìfido, 
Trà.quefte  verdi  ombretteaffrenar  lalTo 
Peregrinante^  c vagabonda , il  palFo,  * 

38.  O (difleAdon)quant’hebbi{cmprc,oqiiattÉ# 
V oglie  di  ragionar  bramofe-e  vaghe 
Con  alcuna  di  voi , c’havete  tanto 
Celebre  nome  di  famofe  Maghe.  ' 

Odo, che  porta  Egitto  il  primo  vanto 
De  le  più  dotto  feminc  prefaghe , 

Che  d’ogni  cafo  altrui  ctiiaro , & intero  ^ 
San  sù  U mano  indovinare  il  vero.  ' 

59.  Deh  fé  ne*  patrii  tetti  a prender  po(a 
Le  tue  piante  raminghe  il  Ciel  raccogUa, 
Pregoti , aventuriera  aventurofa, 

Che  le  venture  mie  fpiegar  mi  voglia. 

Nè  mi  tacer  qualunque  infaufta  cola, 

Benché  fia  per  recarmi  affanno  e doglia. 

Son  sì  avezzo  a languir , che  poco  deggio, 

O nulla  più  temer  quafi  di  peggio^. 

Fù 


DECIMOOyiNTO.  My, 

Hò'ji? difle  aftrologando , ch’io 
itro  V aitali  inferme  , e corte, 
prefiffo  al  viver  mio 
1 4,^5  anni  nn  duro  finein  forte> 

E cne  per  violenta  nn  moftro  rio. 

Una  ieracru.de!  mi  dara  morte. 

Vedrò , s’a  (^uei  pronoftici  malvagi  ^ 
Slconformano  ancora  i tuoi  prelagi, 

41.  Dela  Chiromantia  l’alta  fcienza 
( LabellUrima  Zingara  rilpore) 
Tienconl’Aftrologia  giran  conferenza.  ■ 
Sìperfetta  armonia  l’artì  compoie. 

Per  la  fcambie  voi  legale  rifpondenza,  ; 

Chan  le  terrene  , eie  celelti  cme, 

Bper  lafitnpachia  .bella, che  paffa 
Tra  la  fovr  ana  madnna,e  la  balia. 

41.  Ma  perche!  Cuoi  principi:  hà  più  vkini^  ■' 

De  Mtt^,  i fuoi  giudic.'  ““  7 piP  «rti. 

Procedendo  da’  proffimi  confini 
Del  corpo ifteffo  humanoifcgmapeni,  : 
Onde  d’inveftigar  glj  »hnn  de(hm  _ 
Prendonnoùtiai  Chiromanti  efpera. 

L’efperienxa  poi  con  lunga  cura 

Dfi.  l’offctvation  l’arte  aflecura. 

4,.  Sette  monti  hà  la  naameiafeun  de;  quali  ' 

D’un  pianeta  del  CicI  1 .mago  efpnme. 

Hàouaùro  linee  illnftn  principali,  _ 

Corrifpondenti  a quattro  membra  prime. 

laduelaqualitàde’gemtaU,  _ 

E del  fonte  del  faogue  apicn  s imprime. 
Dimoftran  l'akre  due , come  coftruttc 
Sten  delcapo,  c dei  corlepartitutte.— 


m 


IL  RITORNO, 


44.  Quindi  altri  poi  confiderar  ben  potè 
D’ogni  complefGone,  c A’ogni  ingegno 
Le  tempore  interne, e le  nature  ignote, 
InfortuniijC  fortune  a più  d’un  fegno. 

Nè  creda  alcun,  che  così  fatte  note 
Sien  polle  a cafo  in  animai  sì  degno. 

Perche  Natura,  c’i  gran  Motor Tovranno 
Nulla  giamai  nel  mondo  oprano  in  vano., 

'45.  Hor’a  Topea  fon  prefta,e  grata  e lieve 
Mi  fia  per  compiacerti  ogni  gran  falma. 
Porgi  dunque  la  delira, a la  cui  neve 
(Diffe  feco  piano)  arde’queft’  alma. 

£ fé  ben  Tempre  elTaminar  lì  deve 
In  ciafeun  huomo  e l’una  e l’altra  palmai, 

A la  manca  però  l’altra  prevale, 

S’è  diurno  (qual  credo)  il  tuo  natale. 

4^.  A quefto  dir  la  bianca  man  le  llende 
Vago  d’udir  piò  oltre  il  Giovinetto. 

Con  un  fofpir  tremante  ella  la  prende, 

£ prende  nel  toccarla  alto  diletto, 

E quel  pungente  ftral,  che  roffende. 

Sente  feoterfi  intanto  in  mezo  al  petto. 
L'altro  con  ciglia  tefe,  e labra  aperte 
Gì  occhi  da  lei  pendenti,  a lei  converte. 

47,  Lavar  la  mano  ( ella  gli  dice)  è ftile^ 
Perch’ogn’imprelfion  meglio  fi  vegg^a. 

A me  però  la  tua  par  sì  gentile, 

Chenon  fia  che  di  bagno  huopo  haver  deggia 
Di  cinque  perle  un’ordine  fotdle 
Vi  fcorgOjil  cui  candor  dolce  rofleggia, 
Proportion, ch’altrui  moftra  palefo 
Nobile  fpIrco,&  animo  cortele. 

Quelle 


' 1 


CANTO  DEClMOQVrNTO.  if> 

^8.  rig\ìe,che  vcrfoH  fito, 

.'f dritto  ftanno, 

E dei  pai  grotto  tuo  maeftro  dito 
Ncle  radici  a tcrminarfi  vanno, 

Tal  qual  apunto  fei , vago  e polito, 

E delicato , e morbido  ti  fanno 
A idilctti inclinato,  & agli  amori, 

Lcg^tor  d’alme , e ferito  di  cori 


4^.  A quanto  de  TAttrologio  dicèfti 
Rilpondo , che  non  mal  del  tutto  avila* 
Che  certo  di  carattéri  funefti 
La  tua  linea  vital  molto  intercifa 
Da  grotti  folchi , eben  profondile  quelli 
Sccndon  dal  primo  articolo  ) divifa. 
Breve , debile, torta, -e  difunita, 

Inditij, eh 'accorciar  devrianla  vita. 

p.  Oltre  ch’alamenlàls’unirceelcga 
Quella  di  vita , e quella  di  natura, 

• £ cola  dove  il  pollice  fi  piega 
T rà  l*una  e l’altra  fua  doppia  giuntura, 
Stranio  contefto  l’intervallo  tega. 

Che  molti  femicircoli  figura, 

E*1  monte  de  lo  Dio  bravo, e feroce 
E’  cancellato  da  piud’una  croce. 


51.  Tuttipermiòparerfegni  evidenti 
D’haver  tofto  a pattar  grave  periglio, 

Efiior  de’dritti  termini  correnti 
' Del  camiri  naturai  chiudere  il  ciglio. 

Ma  quelli  formidabili  accidenti 
Si  ponno  anco  fuggjircol  buon  configlio, 
L’itteflb  Ciel  grinfluflì  Cuoi  cattivi 
StriUc  arhttom  sù  la  man, per  che  gli  fchivi. 

Lineà 


IL  RITORNO,: 

Linea  v’hà  poi,ch*oblIqua,e  maldifpoft* 
Da  la  percuflìone  in  alto  afccndc, 

E sì  di  Giove  appol  confin  s’accofta, 

Che’l  cavo  della  man  per  mezo  fende. 
Aggiungi  ancor,  ch’ove  lamcnfa  èpofta, 
Sovra  il  quadro  un  triangolo  fi  ftende, 

Onde  da  beftia  rea  ti  fi  minacci^ 

Rifehio  mortai , fe  feguirai  la  caccia. 

yj.  Ma  lafciam  quel  che  feguir  deve  ^prcllb, 
Ch’e  troppo  a fpecolar  dubbio, & ofeuro, 

E ne’  cafi  avenire  io  ti  confello. 

Ch’ogni  noftro  giudicio  è mal  fccuro. 
Toccherò  delpallato  alcun  (’uccelfo. 

Onde  potrai  comprendere  il  futuro. 

Che  s’averra, ch’io  fia  verace  in  quello, 
Devrai  fede  preftarml  anco  nel  refto. 

y4.  E poiché  del  deftin  crudo  e nemico 
Da  me  narrato  alcun  effetto  fai. 

Intorno  a quello  più  non  m’affatico, 

A piùprofpcre  cofe  io  verigo  homai. 
Scordo  la  bianca ftrifciaje  fi  ci  dico,  • 

Che  lei  per  altro  aventurato  affai. 

Sempre  del  latte  l’honorata  via 
Importa  alta  fortuna,  ovunque  fia» 

If . L’altra  linea  fottìi,  lunga, e profonda,  - , ' • 
Che  dal  dito  minuto  innantì  corre.  ' 

E’I  vicino  tubercolo  circonda 
Finch’al  monte  del  Sol  fi  viene  a porre, 

E preffo  a la  menfal , che  la  fecónda. 

Non  interrotta  md,quafi  trafeorre, 

Rende  ancor  grati  e cari  i tuoi  co.ftumi  ’ • 
A fommi  Regi , anzi  a celelli  Numi. 


CANTO  DECIMO  CtyiNTO. 

l6.  Ef<pdal’artemUnon  fon  deluta, 

Hauvi  una  Donna, anxl  una  Oea,che  t'ama* 
Ogni  altro  amante,ognl  altro  amorricufa. 
Altra  che  gli  occhi  tuoi  , luce  non  brama 
E ( come  pur  l’ifteffsf  man  m’ accufa) 

Al  Sole , a l’ombra  ti  fofplra  > e chiama. 

Per  te  Col  trahedegiornl;e  de  le  notti 
Le  vigilie  inc^uicte  > e i Conni  rotti 


57<  Non  sò  fcd’efler  dato  unqua  fovienti 
Prefo  dal  Conno  in  alcun  prato  herbofo, 
Dovet’habbian  foCpir  Corfe , t lamenti 
D’una  Ninfa  gentil  rotto  il  ripofo. 
Ancor  nonsò  di  più>£c  ti  rammenti 
D’haver  Ceco  pattato  atto  amorofo, 

E ch’ella  poi  tra  dolci  nodi  involto. 

In  palagio  rcal  t’habbia  raccolto. 

58.  E che’n  vago  giardin  tra  liete  fchiere 
Di  fanciulli , e aonxellc  andaftifeco. 
Seco  entrafti  nel  bagno,e’n  tal  piacere 
Ella  finche  l Ciel  volfc , albergò  ceco. 
Parmi  fra  que’  diporti  feco  vedere 
XJn  vcrdcjOmhroCbjC  folitario  fpeco. 
Che  fu  co’ muti  Cuoi  fecrcti  horror! 
Teftimonio  fedel  de*  voftri  amori. 

f E fotti  ad  un  bel  fonte  un  di  gludato 
A fentir  verfeggiar  candidi  augelli , 
Poi  tl  conduffe , Covra  un  carro  alato 
In  un  paeCe  bello  oltre  i più  belli» 
Dove  Ce  per  piu  di  fotti  beato, 

Tu’l  fai.fovercbio  fia, ch’io  ne  favelli, 

E s’accolte  vedetti  in  varie  Cquadré 
Quante  furo  » ò faraa  Donne  kggiadrc. 


Qiiiiv: 


r' 


Ùt  IL  RITORNO,  • • 

" «'  : ; ■ 

^o.  Quindi  a fegulr  ti  richiamò  Forti»»  v ^ 
DI  vaghe  fere  le  veftigia  fpartc. 

La  tua  fedel  però  Tempre  importuni' 

Ti  corifigliav^aatralafclar  queU’arte. 

E feguito  narrando  ad  una  ad  una  ^ 

Di  que’  commercij  <^ni  minuta  parte, 

E de  Toccultelorpaiwtccofe 
Senza  mentir  parola, ii  tutto  cfpofe. 

5i.  Quanto4ico(foggiuiifc)c  quanto  intendi. 

Tutto  da  la  tua  man  raccoglier  parmi. 

Trovo  di  più,ch’a  gli  àmoroh  incendi.  ^ 
S.eifatt’cfca  ancortu  herfaglio  aT^mi, 

E d'amor  per  amor  camhib  le  rendi, 

Infia  tu  l'ami , e ciò  non  puoi  negarmi» 

S’ami  quant’clla , to  non  sòdirti  a pieno,  • 

■ Sò  ben,chc  l’ami , ò che  Tamaftl  almeno, 

E d sò  dir,  ch*a 
Tifia  dato’afpira 
E ch’ad  honor  di  feettro , e di.diademi 
La  fua  mercà , predeftinato  fei. 

Qualunque  tua necelfitatc  eftrcma 
Protettrice  non  hebbe  altra  che  lei,  - 
E ti  fa  Tempre  in  ogni  tuo  Tucceflo 
O’ fortunato , ò fortunòTo  appreflb. 

StupiTccRdone,  e fbigottiTcc , e quali 
Jl)ì  languidc4za,c  di  deur  trabocca, 

E gli  occhi  abbaflàjC  non  gli  fon  rimafi 
Colori  in  faccia , nè  parole  in  bocca} 

E rimembrando  i Tuoi  pàflàti  cali,  - 
Si  fiera  paflion  l’jlsna  gli  tocca, 

E allatti  fofpir  ne  lycllc  forc. 

Che  par  ^tto  pezzi  habbia  del  core. 


dignità  Tuprema 
ir  lolper  coftei. 


-J 


canto  DECIMO  CiV  INTO.  iji} 

<4-  Veramente  gli  è ver  (pofcia  rifponde) 

Son  prefo,  & ardo,,  c mene  glorio  , e godo. 
Poiché  giamai  piu  ^gtio  incendio  altronde 
Non  nacque,  e non  fu  mai  più  nobilnodo. 
MaIabelra  ,ch^avaro  Ciel  m’afconde, 

{Lallo,  e chi  può  lodarla^  ) a pica  non  lodo. . 
Loda  la  Amor,  ch'ivi  na(ceHi>&  ivi 
Regnìfempre,e  trionfi,  e voli,  e vivi. 

t*  ‘ 

Qjwndoqucft’occhiin  prima  Amor  rlvolfc 
A ràìrar  la  beltà,  ch’ogni  altra  eccede, 

L’alma  le  porte  aperfe,  e ia  raccolfe 
De  la  fua  reggia  a la  più  eccelfa  fede; 

Quindi  a me  di  me  ftellb  il  regno  tolìe 
Et  colei, -che  l’havrà  Tempre,  il  diede,- 
Nafeondendo  il  mio  cor  nel  fen  di  lei, 

E la  bellezza  fua  ne  gli  occhi  miei., 

^6.  Altro  daiftdi  in  qua  non  feppi  poi. 

Ch’ale  leggi  ubbidir  del  cicco  Dio, 

Et  tutti  ricevendo  i dardi  fuoi^ 

Gli  fervidi  faretra  il  pcttomio. 

<^anto  più  crebbe  amorppfcia  tra  noi. 

Piu  crebbe  in  me  timor,  crebbe  delio, 

E fempre  invera  fe  ftabilec  faldo 
Arfi,  lalfo,alCicl  fred(jo,aljial  Ciel  calda. 

4?*  Già  del  mio  bene  entro  le  braccia  accolto. 
Villi  un  tempo,  e godei  fdice  amante. 

Mà  TinlquaEortuna  altrui  piu  molto 
Larga  in  donar,  che’a  confcrvar  coftantc, 
Meco  non  mutò  già,  mutando  volto, 

La  Tua  natura  lubrica  e rotante. 

Anzi  tante  mifcric  hàin  me  verfatc, 
Chcn'havria  ancor  la  Crudeltà  piccate* 

• V9l.  JL  i Mire* 


IL  RITORNO, 


19  A 


68.  Mifcro,  c chi  mi  vai  tra  doglie  e pene  . j 
A gli  andati  piacer  volger  la  mente. 

Se  la  memoria  de  Tantico  bene  ^ 

Raddoppia  il  novo  mài,  che  m’e  prelentc, 

A quelle  luci  ognor  di  pianto  piene 
De  la  notte  natal  par  l Oriente, 

E amo  l'ombra  aliai  più  che  la  luce, 

Poichc’n  fogno  il  mio  Sole  almen  m’addofc. 


O memorando,  ò miferando  eflempio 
De  l’amato  d’ Amor  dolce  veleno.  ^ 
Qual’eglimai  più  difoìetato  fcempio 
Pè  di  quello,  ch’io  folFro,  in  altro  lenoìi 
J^a  l’una  a l’altra  Aurora  ingombro  & empio 
D’afFannati  fofpir  l’aere  feren®,  ^ 

Sol,  nè  llella,  ove  ch’io  vatla  intanto» 
Sparger  giamai  mi  vede  altro  che  pianto. 

70.  S’io  non  deggio  veder  più  que’begU  ocetó. 
Per  cui  languir,  per  cui  morir  mi  piace, 
Serrinfii  miei  per  fempre,  e non  mi  toccai 
più  mai  de  la  diurna  face, 

Qili,°come  Morte  in  lui  lodlrale  fcocchi. 
S’abbandona  d’angofeia,  egeme,  è tace, 

E da  l’interno  foc®,onde  sravilla,  ^ 

Liquefatto  per  gli  occhi  il  cor  diftilla. 


71.  Oblio  rifana  ogni  dolor  profondo, 

(L’amorofa  Indovina  allhor  ripiglia)  ' 
Poiché  tanto  l’affligi,  io  li  rifpondo,  ■ : 
Che  devreai  afcoltar  chi  ben  confidila, 
pon  lain  non  cale,  altre  n’ha  forfè  il  mondo 

Di  nonb^le  guance,  e belle  ciglia. 

Volea  feguir,  ma  ne  la  bocca  bella 

Occupata  dal  piancpiG  la  favella# 


ktA 


CANTO  DEC  IMO  INTO. 

1t,  Nò  nò  (replica  Adoti)  prima  vedra/Ii 
Deporte  Atlante  il  fuo  ftclUto  pefo 
Neri  havrà Febo  i crim,  e tardi  i pak 
Gelati  ira^gi.ond’è  U Cuo  lume  accelo 
Andrai!  le  fiamme  al  chluo  , in  alto  i fi/TI 
Ch’io  fia  d’altra  beltà  fogerecto  e prefo  ^ 
p ima  del  mio  cor  dolce  ferita 
Sara  l ultima  ancor  de  la  mia  vita. 

71-  E febeo  de  la  vita  io  lunge  vivo 

In  (lato  tal,  che  più  fpcr  ai^ non  fpcro, 
Moltrarai  il  caro  oggetto,  onde  fon  privo. 
L’occhio  dcl  alnaa.  il  peregrin  penficro. 
Spello  con  quello  a vifitarìa  arrivo. 

Quefto  de’ miei  fofpir  fido  c corricro, 

O vada.o  ftiaini,  addormentnto,ò  Jefto, 

Mai  ne  penfo,  ne  fogno  altro  che  quello. 

7|.Non  mi  diiol  del  mio  duol,  poich’a  la  doglia 
La  cagion  del  dolor  porge  conforto, 

E per  dello  di  trionfale  Ipoglia 
E’gloriain  nobil  guerra  il  reftar  morto,! 

Non  m’elTortar  (ti  prego)  acangiar  vo^dia, 
•S’aggiunger  non  vuoi  male  al  mal  ch’io  Jyrto 
Per  lei  meglio  morire  amo  in  tormento 
Che  per  altra  mai  vi  vercontento, 

75.  Volfe baciar  labcilla  bocca alHiora 
La  Dead’ Amor,  ma  di  dolcezza  fvenne. 

Fu  per  fcoprirgUil  ver  fenza  dimora, 

E d’ abbracciarlo  a pena  fi  contenne. 

Volea  fpuncarlala^rimecta  fora. 

Se  non  ch’ella  ne  gfi  occhi  lafoftennc, 
Pcrch’Amor  con  que’detti  a poco  a poco 
Aggiunfe  efea  ala  fiamma,  e fiamnoa  al  fioco. 

^ K S*afi:fugi 


IL  RITORNÒ.  ''' 

76.  S’afciugai  lumi,  "li  folle  va,  e ilice,  ^ 
Ceder  convicnti  a forzaal  Cicl  pcrverfo. 
Vuolfi  goder,  mentre  fi  potè,  e lice, 

Mà  che  giova coz2ar  col  fato  averfo? 
Qucfiavirgulaquìche  la  radice 
De  la  linea  virai  parte  a traverfo, 

E sud  monte  di  V enerc  fi  {panda, 

Scopre  un  nemico  aflai  poflentc,  e grande. 


77.  Eccoti  la  cngiqn,  cfi’clVule  afflitto 
luor  del  bel  nido  a tapinarti  molle. 

Un  rivai  forte,  un*<iver£aidt>  invitto. 

Che  ci  fpinfe  a fuggir,  credo  che  folle. 

Vedi  perla  rafeetta  a pallb  dritto 
Due  paralelle  andar  non  molto  grolle.  ^ 
Sembrai!  compagne, & accopiateinbiga 
Montano  in  sù  con  geminata  riga. 


78  E da  l’Infima  parte,  ove  là  rnano. 

S’annodaal  braccio,conmifuracgualo  ' 
"Verfo  II  fuperiorditortiezano  * , ' 

L’una  c l’altra  del  pari  In  alt®  fate , 

E tagliai! l’alcrc  duepollc  insù' 1 piano 

Del  tondo,  eh  è trà’lpolfo,  c la  vitale, 

Mà  fonoaiich’elle  da  dlvcr^botte 
Tronche  per  mezo  in  mdlte  parti,  erotte. 

• * '* 

79-  Que’ramofcclli  poi,  che  djda  vìfa  ^ 

Procedon  la,  dov’è  di  Mafr^'il  trono,  ' ^ . .'j 

Si  confermano  a quelle,  eia  partita 
Voglienpurdinotar,  di  cui  ragiono.  # - 
Fuor  de  la  patria  una  furtiva  ulcita. 

Fughe,  & clfilii  clprcffl  entro  vi  fono, 

, E di  paterni  beni  c di  retaggi 
Perdi  te  gravi,  e poveri  viaggi. 


Tacci’  I 

i 


I 


C A N T O D E C I M I N T O 

4<J;^Tacer'anconon  deg^lo  c^l  dir^pure, 
^elle  croci  cola  picciole,  e fpcfle. 

Che  con  mfaufte  c tragiche  fio-ure 
Sulamenravega’io  fparfc  SchuprelTe, 
Non  fon  fuor  che  travaorli,  e che  fcìaanrp 

Strani,  e dolor  fignlficati  Iti  cfle,  ’ 

E difcgnano  un  cumulo  d’affanni 
A punto  in  sù’l  fioiir  de  più  verd’anni. 


1517 


«I.  E per  venire  ad  un  parlar  diftinto. 
Dico,  per  quanto  U mio  faver  n’actigne, 
Che  forti  in  ceppi , & in  catene  avinto 
Sol  per  cagion  di  fcmlno  malignej 
Perche  veggio  di  ftelle  un  labirinto. 
Che  la  linea  del  core  intorno  cigne, 
Evcggiola  mcnfal,  che’n  duedifgiunta 
Verio  l’indice,  e’I  mezo  i rami  appunta. 

«1.  Strega  malvagia,  anzi  ìnfernal  Megera, 

Perche  de  gli  tuoi  molti  invaghirti,*^ 
D’una  prigion  caliglnofa  e nera 
Vivo  ti  fcpclì  Cotto  gli  abirti. 

Mà  quel penofo  carcere  non  era  * 

Il  cordoglio  maggior,  che  tu  fenclrti; 

Sol  conlagelofia  fuor  di  fperaiiza 
T’aftligcadeltuo  Sol  la  lontananza. 


83.  N è perche  con  minacce,  e con  martiri 
La  federata  Incantatrice  Infame 
Di  torcer  fi  sforzartei  cuoi  defiri 
A fclortcrl  primo  lor  dolce  legame, 

Nè  per  offrirti  quanto  il  vulgo  ammiri, 
B quanto  appaghi  l’cfìecrabiì  fame, 
Valfc  a far,  che  volerte  unqua  il  tuo  core 
fallar  la  fede,  ò magagnar  l’amore. 

i 5 


1^8  IL  RITORNO, 

84.  Nulla  dico  a macchiar  la  llmpidezzaì 
Cela  tua  lealtà  giamai  le  vai  Ce  > 

Se  non  ch'a  frodi , & à perfide  avczxa,  ' 
Ricorfe  ad  arti  ingannatrici  e falfe. 

Sotto  la  fìnta  imagine  e bellezza 
Di  colei,  che  tant’anii,  ella  t’aflàlfe: 

E (c  non  era  ilCiel,  che  pietà  n’hebbe. 
Vìnto  con  armi  tali  al  fin  t’havrcbbe, 

85.  E però  che  le  fielle  lui  raccolte 
Fuor  de  la  linea  fon,  convien  ch’io  dicà. 
Che  rotti!  ceppi , e le  catene  icicvltc 

N ufcifti  nOn  però  fenza  fatica.  r . 1 
Ti  diè  favore , e t’aiutò  più  volte  * 

la  tua  pictofa  c fvifcerata  amica, 

Onde  pupi  dir  per  cofa  ccrtaever*,  ' ’ 
Che  ti  diè  libertà  la  prigioniera.  . . 

^6.  Cufici  de  le  malie,  che  t’havean  guafta 
L’humana  effigie  con  vclen  poflènta 
Disfece  i groppi,  onde  t*è  poi  rimaftat;  1 
D’ogn’  inUno  penfier  fana  \a  mente. 

E tanto  haver  di  ciòdetto  mi  bafta. 
Meglio  a te  fteffo  è noto  il  rimanente. 

E fai  per  quanti  Soli,  e quante  Lune 
Quante  incontrafti  poi  dure  fortune. 

87.  Tutte  infc  fteflò  a rimirarla  fìfo 
Recofli  Adon,  da  quel  parlar  commt^. 
Tocco  da  un  fovrafalto  a l’improvifo 
Divenne  involto  del  color  delboflb 
Mà  dal  dolce  balen  d‘unbel  forrifo* 

Fu  ferito  in  un  punto,  e fu  rifcolTp. 

La  fpeme  sfavillò  dentro  il  timore  , 

£ gli  fi  follevar  l’aU  del  core . 


CANTO  DE  Cimo  QJV 1 NTO.- 

88.  0 qualche  cuti  fia,  la  dottrina 
{Prorompe  poij  sa  penetrar  ne’petti, 

Come  Giovane  bella,  e peregrina 
Può  di  tanto  avanzar  gli  altri-  irttcliettl> 

Che  conCcvramontal  lu-ce  divina 
S’apra  la ftrada  ai  più  rlpofti  affetti? 

Deh  non  più  ti  celare  Te  Donna  fei, 

Ma  già  Donna  non  Cembri  a gli  occhi  miei. 

8^.  Donna  (rifponde  ) io  Con,cbe  quanto  chiu£ 
Nel  profondo  de  l’alma  io  tipaleli , 
Efcorgoituoi  pender  Cvelacie  nudi. 

Stupir  non  dei-,  ciò  da’^prim’anni  apprefi. 
Cotanto  ponnoi  curiod  ftudi. 

In  cui  lungo  travaglio,  e tempo  (pefi. 

Quinci  il  tutto  conofco,  e viè  più  affai 
So  de  gli  affari  tuoi,  che  tu  non  fai; 

^©.  Ma  che  dirai,  fe  fia  ch’ib  ti  difcppra  . - 
pov’hor fi  trova  il  tuo  dolce  tfiefbro? 

E che  molto  vicih  ti  pendc  fbpra 
Fato  miglior,  & ogni  tuo  mal  riftoro?  . 
Qual  premio  hav*rò?  già  per  mercè  de  l’opra 
Gemme  non  vò,  non  curo  argento  ,&  orov 
Ma  che  fola  una  rofa  a cogl ier’h abbia 
Di  quelle,  che  sìfrcfcc  hai  ne  labbia.  , 

$1.  Cosi  dicendo,  il  cupido  Garzone 
Trattiene,  e tuttavia  la  man  gli  firmge, 

A tal  dimanda,  & a tal’atto  Adone 

Di  Punico  vermiglio  ilvifo  tìnge, 

E fa  feco  tra  sè  dubbia  tenzone, 

"L’un  penfier  lo  ritien,  l’altro  lo  fpingc.' 

Ciò  che  la  Donna  dice,  intender  brama, 

Ne  vuol  romper  la  fede  a chi  tant’ama. 

^ I 4 SorrlCc 


IL  RITORNO, 

ji.  Sorrifeallhor  quella  bellezza  rara,  • " 

Volli  dir  come  rofa,  ò come  ftella. 

Ma  non  ha  ftella  il  chiaro  Ciel  si  chiara» 

Nè  fó  m^i  rofa  in  bel  giardin  si  bella. 

Il  vcl  ch’afconde  la  fembianza  cara. 

Si  fquarcia  intanto , è più  non  fembra  quella. 
Scorge  Adon  di  colei,  che’l  cor  gli  hà  tolto. 
Sbendato  il  lume,  e fmafcherato  il  volco.j 

5j,  Si  come  lampo  Tuoi  ne  letempefte  '-i 

Lacerar  de  le  nubi  il  fofco  velo; 

O’comc  pur  col  fiio  fplendor  celeftc 

La  lampafereniftiinadi  Dclo 

Sgombra,  & alluma  in  quelle  parti  e*n  quefte 

Le  notturne  caligini  del  Cielo  i 

Così  quand’ella  u ver  gli  difcovcrfe, 

Tutte  de’fuoi  penfier  le  nebbie  aperfe.  • 

94.  Sta  pur  in  forfè  Adon  di  quel  che  vede,  « 

Il  piacer  lo  confonde,  e lo  ftupore. 

E’n  sù’l  primo  apparir,  perche  non  crede 
Un  canto  ben,  che  gli  prefenta  Amore, 

A rocchio lufinghier  non  ben  da  fede. 

Che  cerca  fpeffo  d’adulare  al  core. 

Suol  tal  volta  ingannato  il  vago  fguardo 
In  ciò  ch’altri  più  brama,  efler  bugìardó. 

95.  Mà  rinfrancato  da  quel  primo  aflalto,  - 
Poiché  conobbe  il  defaato  afpctco 
Brillar  per  gioia  confeftivo  falco 
Sentiffi  il  core,  e fcintillar  hel  petto 

T ucto  dentro  di  foco,  e fuor  di  fmalto 
Rapito  alfin  da  traboccante  affetto  , 

E ftillando  per  gli  occhi  allegra  vena, 

Tele  le  braccia,  c ne  le  fé  catena. 

L’in, 


CANTO  DE:CTM  o:<3:yiNTo:  le, 

j6.  L’incatenata,  &. Infocati!  Oiva 
I nodi  raddoppiò'  Caldi  e tVnacl. 

Svcgliolli  Amor, -che  non  lonràn  dormiva, 

E d’Amor  li  (vegliato  anco  le  £ici. 
L'accci’acop'/da  in  sù  la  frefca  riva 
1 vezzi  favoria  con  rriille  iSaci. 

Gioiva  Adone,  c de'palVati  afifànni 
Campo  havea ben  da  rifarcìrei  danni.  ' 

^7.  De  dì  perduti,  e dal  ritorno  tardo 
Riftora  lltem^  entro’lbcl  grembo  a(Ii(b^ 
Dolce  pria  Varie  il  lampcf^giar  del  iìilardo 
Dolce  Drillo  il  folgorar  dei  rito. 

Ma  dolcemente  da  più  dolce  dardo 
Al  facttar  del  bacio  ci  giacque  ucCifo. 
Languianol’alme  , e d’egual  cólpo  tocca 
Gravidadidue  lingue  era  ogni  bocca. 

98.  Non  fu  per  man  di  due  maeilri  faggi  ' 
Concordia  (credo)  mai  diduo  ftromeucl. 

Che  raddòpplalle  con  sì  bei  paflaggl 
Diltercnzc  di  fuoni,  e di  concenti , 

Come,  di  vero  amor  dolci  medaggi 
Alternavan  tra  lor  Ibfpiriardcnh, 

E .u\\  que’baci  armonici  parlando 
Garriano  a prova,  e difeorrean  baciando. 

59.  O mia  dorata,  & adorata  Dea, 

Pria  ch’io  la  gloria  tua  fcorgefll  a pieno. 
Giuro  a te  per  te  (leda  (cglidicea) 

Ch’oggi  mi  palpitava  il  cor  nelfeno. 

Però  che  non  gli  parve , e non  potea 
Efler  il  lume  tuo  lume  terreno. 

Un  raggio  fol , che  del  mio  Sol  mi  toccW, 
Conolciuco  è dal  cor  pria  che  da  gli  occhi. 

i s Anima 


xox 


IL  RlTORNa, 


100.  Aliima  del  mio  cor,  giunta  e pur  Hiora», 
e he  fi  chioda  in  piacer  lungo  tormento. 

Pegno  di  rimirarti  anzi  ch’io  inora, 

Son  pur,  la  tua  mercè,  fatto  contento.  . 

De  la  divinità  l’aura,. ch’odora, 

E del  petto,  che  bolle,  iLfbco  Cento., 

So,  che’nmoftrarmi  il  ver  fenza  menzogna 
N on  travede  lo  fguardoj.e’l  cor  nqn  fogna. 

101.  O fofpiuato  in  tante  afpre  procelle , ^ 

j[&.ifponde  aTaltrafe  non  fperato  porto, 
Tràle  tue  brada  alfin,  che  fon  pur  quelle. 
Che  bramaì.sì,  lo  ftanco  le^no  hò  feorto. 

A dlfpetto  del  Cielo,  e de  le  ftclle 
Meco  hò  pur  la  mia  vita,  11  mio  conforto, 

Hor  che  quel  fiero  Thrace  ingelofico 
jlPio  di  ferro,;e  di  fangue)  altrove  è gito. 

10 i.  Centro  de’miel  defir,  quella  che  vedi,  . 

' E’colci,  che  t’adora, e più- non  fingo. 

S’al  tuo  veder,  s’al  mio  parlar  non  credi,. 

Ecco  ti  bacio,  ecco  t’abbraccio  e ftringo.. 
S*altra  prova.pìù  certa  anco  ne  chiedi. 

Che  i vezzi,  e i nodi,  onde  t’accolgo,  e^ngo,. 
Puoi  dal  mìofleUb  cor  Caperne  il  vero, 
eh!  enti  ò i b^ll  occhi  tuoi  Uà  prigioniero. 


irpj.  Così  diceano,  e i Fauni  al  mormorio 
De  baci,  chcs  ndianbendUontano, 

Dal  diletto,  rapiti,  e dal  defio  , - 

Giù  da’monti  vicin  calaro  al  piano. 

Fuoi  dclaverdefuafpelonca  ufeio  ; 
li  tutor  de’confin,  padre  Silvano, 

E di  tanca  beltà  le  meraviglie 

ÌL  mirar , a lodar  cblamo  le  figlie.  > 

Ninfe 


I 


canto  t)ECÌMO  Q.VINTO.  loy 

ro-4-.  Ninfe  (tiicc-n). di. quelli  ombrofi  chiollrU. 
Face  dolce  lonur  l'aurc  d’intori»), 

E con  gemma  Eritrea  ne  gli  antri  voftri 
Segnate  in  bianco  il  fortunato  giorno. 

M irate  là,  di  che  divini  moftri 
D’amorofe  bellezze  è il  bofco  adorno. 

E qui  taceah.e  poi  con  balli,  e canti 
Tutti  applaudcano  a i duo  felici  amanti: 

loy.  Tirato  intanto  da  duo  bianchi  augellLl  ' 
Stranio  carro  s’olferlc  al  partir  loro. 

Nc  di  Ciclopi  mai  lime,  ò maitclil 
Opra  fornir  di  più  fottil  lavoro. 

I leggi  hà  di  zafiìr  capaci  e belli , 

E le  rote  d’argento,  e i faggi  d’oro: 

Avorio  c l’òrbe  , e ben  mailiccl  e fodi 
Sondiamanrcj  e rubili  le  falce,  e i chiodil 

xo6.  Partono;  Auriga  Amor  lìcde  al  governo' 

^ Sù’lbelfoglio falcato,  el’aureomorfo 
Pervia  fevena,  Autumendonte  eterno. 

Con  redine  di  refe  allenta  al  coffo» 

Verib  gli  alberghi  del  Giardin  maternoi 
V à flagellando  a i vaghi  Cigni  il  dqrioj) 
Aurettaamica  con  fuoi  molli  fiati 
Seconda  ilvolode’canori  alaci.  I 

107.  Mà  ftimul'aca  dadefiriardenci’  ' 'f 
D’indugio  accula  i volator  leggieri’ 

La  coppia  bella,  e leparebbon  lenti 
De'  Rector  de  la  luce  anco  i dcftricri. 

Fà  le  rote  flrìfchìar  llcuì  e correnti 
Lubrico  II  carror  queMivi-.i  imperi, 

L carro,  che  nel  grembo  accoglie  e ferra*. 

He.  bellezze  del  Cielo,  e de  là  terra. 

- . - I ^ 


104  IL  RITORNO,  ‘ > 

108.  In  Occidente  il  Sol  già  ft  calava 
sferzando  i corridor  verfo  le  ftaOe , 

N<è  più  dritto  sù’l  capo  1 ral  vibrava , 

Mà  per  traverfo altrui  feria  le  fpalle^  .» 

E già  la  Notte  gelida  tornava  i 

Dagli  antri  fuor  de  la  Cimeria  valle-  i 
Le  campagne  del  Clel  fcrene  ebelle 
Con  negra  mano  a feminar  dì  ftellc. 

lop.  Quando  andato  a sfogar  nel  -letto  u&to 
De  Tulata  madongli  accefi  cori. 

Che  fpirar  fi  fenda  per  ogni  lato 
De  Tantiche  dolcezze  ancor  gli  odori. 

Qiiivi  iterando  poi  lo  ftil  pailato, 

Tornato  a i pi  imi  fcherzi,  a i primi  amon> 
L’un  fenza  l’altro  ad  altracura  intento 
Nè  moveà  paflb,  ne  trahea  momento 

HO.  Un  di  Cotto  la  loggia,  ove  Cpvente 
Difpenfan  l’hore  inheme, e le  ^ar^le. 

Venere,  che  giamai  l*^occhio,  ola  mente 
Non  allontana  da  l’amato  Sole, 

Vedelo  in  un  penfier  profondamente 
iramerfo,  è più  tacer,  ch’egli  non  Gioie  > 

P ciche  l’aniiche  N infe  afTife  al  frefeo 
Han  del  bianco  mantìl  fpogliato  il  defeo?.- 

Ili,  Onde  per  tornii  da  la  mente  ogni  ombra. 
In  tal  detti  ala  lingua  il  nodo  ha  fciolto. 
Adone  occhio  mio  caro,  homaideh  sgombra 
Tutte  dal  cor  le  tenebre,  e dal  volto. 
j^I^al  gran  penfier  quella  bellezza  ingombra 
èhe  di  me  fteffa  ogni  penfier  m‘hà  tolto? 

Per  cui  non  curo  il  Ciel,  nè  più  mi  cale 
De  la  beatitudine  inuimitalc. 


CANTO  DECIMOaVINTO.  xaj 

iiz.  SpreZ2o  per  te  la  mia  celefte  reggia. 

Tu  fei  folo  mio  Clel,  mio  Paradilo, 

Che  s’unaftella  nel  mio  Ciel  lampeggia, 

. Due  più  chiare  ne  gira  il  tuo  bel  viio.  < 

E qualhor  ne  le  roLe , onde  rofl'eggia 
La  purpurea  tua  guancia,  il  guardo  affìfo> 

E come  ( oiraè^non  rofpirar  pofs’io, 

Se  fcorgo  nel  tuo  volto  il  fangue  raioì  . 

115.  Hor  fe  la  vifta  Tolde  la  tua  faccia  ; 
E d’ogni  mio  defir  berfaglio , e meta, 
Raflerenarla  homai  canto  ti  piaccia. 

Ch’io  lapofl’a  mirar  contenta  e lieta. 

E perchc’l  gioco  i rei  penfier  difcaccia, 

E d’ognì  anima  trilla  il  duolo  acqueta, 
iPerdefviar  da  l’altrc  cure  il  core 
V ò ch'infieme  giocando  inganniam  l’hore, 

114.  Se  lieve  pila  in  fmgolar  fteccato 
Con  curva  rete  in  mano  ami  colpire, 

O’  Te  di  cavo  faggio  il  braccio  armato  ‘ • 
Vuoi  globo  d’aure  gravido  ferire , ' ^ 

Se  ftretto  infra  le  pugna  il  maglio  ballato 
Batter  palla  con  palla  hai  pur  defire , 

O*  Te  ti  fia  gitcando  i punti  a grado , 

Far  le  corna  guizzar  delmobil  dado.  . 

lif.  O fc  le  brevi  e figurate  carte  . . ^ vsi 
Volger  ti  piace , ò che  trattar  le  voglia,. 
Findie  quattro  dìverfe  infiemefpartc 
Siche  rompa  l’invito , alcun  ne  coglia, 

O là  dove  prevai  la  Torte  a l’arte, 

Parche  l’un  dopo*^!  trenta  il  gioco  fclogl^' 
O’trionfar  con  quella , cheli  lallà. 

Nc  la  coafiiTa  agicaca  malTa, . ^ v ; . ^ 


IL  RITORH'cyv^  ■ 

i\6.  OTe  di  crentafei  brami  in  Tei  volte  -• 
Dodici  rori>e,  & altrctante  darne, 

E rultirac  lafciandoìn  monte  accolte. 

Otto  l’un,  quattro  l'altro  indi  feambiarne, 

E dì  quelle  ,chc’n  man  ciafeuno  ha  tolte. 
Scoprir  ^unto,  e’ 1 nùmero  contarne, 

O’  riverlar  la  forte  del  compagno,- 
Facendo  de  la  perdita  guadagno.  . 

117 . Di  qual  più  ti  talenta  in  fomma  puoi 
Efl'ercitlo  otiofo  haver  piacere. 

Ma  peròche’n  elafe  un, qualunque  vuoi. 
Hanno  il  cafo.e  la  fraude  ^fai  potere, 

E perche  moftri  ne’  fembianti  tuoi 
Nobile  ingegno , e generofo  bavere, 
UnproporronnCjin  cui  non  habbia  alcuna- 
Poflanza  inganno,©  fignoria  Fortuna. 

h8  In  tal  guifa  però  pria  fi  patteggi , r 

Chc’l  vinto  al  vincitore  un  premio  dia, 

Onde  fi  vincerai  con  quelle  leggi. 

Pieno  arbitrio  di  me  dato  ci  fia. 

Mns’egli  avien,  che  tu  non  mi  pareggi- 
si che  vengala  palma  ad  cfler  mia, 

Gom’elTcr  tua  perdendo  huopo  mi  fora,- 
Voglio  de  le  tue  voglie  clTer  Signorai 

ji 9.  Fermo  tràlor  con  qucft’accordo  il  patto^ 
Ecco  d’àftuto  ingegno  , e ptontàmano 
Garzon , che  fempre  fcherzà,e  vola  ratto^. 
Gioco  s’appella,&  è d Amor  germano 
Quelli  sù  l’ampia  tavola  in  un  tratto 

c ^ A recar  venne  un  tavolieto  ellrano, 

Ghe  di  fin’oro  hà  la  corni  ce , c‘l  refto  ' 

Xutcod’ai^rio,  e d’hebeno  è conteflb; 

Sefiantai 


CANTO  DECIMOQVINTO.  ro^r 

ixo.  Seflantaquattro  cafe  in  forma  qnaata 
Inquartare  per  dritto , e per  traverfo 
Dilponper  otto  vie  ferie  leggiadra, 

Et  otto  ne  contien  per  ciafcun  verfo. 
Giafcunacafa  in  ordine  lì  fquadra- 
DI  fpatio  egual , ma  di  color  diverfo, 
Gh’alrciinamente  a bianco, c brun  diftlnco 
QiiaJ  terg^o  di  Dragon , tutto  è dipintoi 

i;2.i.  Scambievolmente  al  bianco  quadro  il  nePD 
Succede,  e varia  il.  campo  in  ogni  parte. 

Hor  qui  potrai , quali  inagon/guerriero, 

( Difl'ela  Dealveder  quanto  può  l’arte , 

Dico  di  guerra  un  finmlacro  vero  r 

Et  una  bellaimagine  di  Marte  , 
Mover’alIalti,e  ftratagemi  ordire, 

E due  genti  hor  combattere,hor  fuggirà. 

Tzt.  Afpettacol  sì'dolce'elTer  prefente 

Alleo  il  gran  Padre  mio  talhor  non  fdegna,. 
Quando  alleggiar  la  faticofa  mente 
Vuolde  rincarco , onde  governa,e  regna. 
Quello  gloco-il  Rettor  del  gran  tridente 
Cori  leNcrei  di  eflercitar.  s’ingegna 
Per  dar’a  Giove  alcun  piacer,qualhora. 

De  f’amico  Ocean  le  menfe  honora. 

JO-y  Ciò  detto,  verfa  da  bell’urna  aurata.  i 
SiVl. tavoli er  di  calcoli  due  fcliicrc , 

Chedi  tornitcgemmecffigiata 
Mollran  l’humana  forma  in  più  maniere^, 
L’una  ctl’altra falange  è divifata 
t-à  di  candide  infegne , e qui  di  nere. . 

Son  di  numero  pari  ,e  di  polTanza, . 

l^iifcrcnddi.oome } edifcmblanza,. 


IL  RITORNO,  r - 


1 


108 


114.  Scdecifono,  e fedeci , e fi  come  i 

Vario  c tra  loro  il  color  bianco , e’I  brunt^ 

E varia  lian  la  fembianza  , c vario  irnome. 
Cosiruffìcio  ancor  non  è tucc’^uno. 

Havui  Regi,  e Rcinc , & ha  le  chiome 

Di  corona  rekl  cince  ciafeuno. 

V’ha  Sagittari , e Cavalieri , e Fanti,' 

E di  gran  rocche  onulli  alti  Elefanti,  • 

115.  Ecco  fon  già  gli  cficrcici  difpofti, 

Già  ne’  fitifovrani , e già  ne  gl'imi 

Son  divifi  i quartier , parcitii  polii,  - 

6tan  ne  l’ultima  linea  i Rè  fublimi, 

E quinci, c quindi  entrambo  a fronte  oppolil 
La  quarta  fede  ad  occupar  van  primi, 

Ma’l  canuto  Signor , ch*è  l’un  di  loro. 

Preme  l’ofcura , e tien  Teburnea  il  Moro. 


116.  La  regia  fpofa  hà  ciafeun  Re  vicina, 
Unl’hà  dal  deliro  lato,un  l’hà  dal  manco» 
Tien  campo  a se  conforme  ogni  Rcina, 

La  fofcail  fofeo  tien, la  bianca  ilbianco.' 
Nela  fila  medefimaconfina  . 

Gemino  Arder  da  queUovC  da  quel  fianco, 
la  riflà  a provocar  fen  vaimo, 

E de  la  reai  coppia  in  guardia  Ranno.  . 

317.  Non  lontani  a cavallo  han  duo  campioni 
In  pugna  aperta  a guerreggiar’  accorti, 

R ncl’cRremitàde’duofquadroni 
L’Indiche  fere  gli  angoli  Fan  forti. 

Otto  contr’otto  alfillon  di  pedoni 
In  ordinanza  poi  doppie  coorti,  ’ 

Ch’a  i primi  rifehi  dela  guerraavanti 
Portano  i petti  intrepidi  e coRonti. 


Cosi» 


CANTO  DECIMOQVINTO. 
Così,  (è  con  l’Ethiope  a far  battaglia 

X allhor  dì  Gallia  il  popolo  s’abbatte. 

Par  che  ftormo  di  Corvi  i Cigni  affaglia, 

V engono  al  paragon  la  pece,e’l  latte. 

Vedefi  bun , che  di  candore  ageuadia 

De  l’Alpi  fue  natie  le  nevi  intatte. 

Porta  1 altro  di  lor , peròche  molto 
A l’Aurora  è vicin  j la  Notte  involto. 

^^oìgcaaCilIenioinquefto  tempo! preghi 
Ciprigna  bella, e con  que’  dolci  vezzi,  . 

A cui  voglia  non  è, che  non  fi  pieghi, 

Anzi  marmo  non  è,chc  non  ulpezzi. 

Chiede,  che’l  modoal  bell’Adon  difpicglu 
Di  dar  re^gola  al  gioco , c moto  ai  pezzi. 
Eque!  fià  mille  Amor  ,chq  ftannoatteuti> 
Ammaeftrando  il  va  con  quelli  accenti. 

130.  Pugnali  a corpo  a corpo , efìior  di  lluolo  - 
<^afi  in  fteccato , <^nì  guerrìer  procede, 

^ *^*JÌ*^”*'®  ^^ce  dì  Ichiera , ecco  ch’a  volo 
Da  Ia*contrarìa  ufeir  l’altro  fi  vede. 

Ma  con  legge  però , che  più  d’un  folo 
M9vcr  non  polla  in  una  volta  il  piede. 

E van  tutti  ad  un  fine, in  ilretto  loco 
Con  la  prigion  del  Rè  chiudere  il  gioco*  • 

13 1.  E per cli’egl  i più  tollo  a terra  vada, 

Tutti  cofferro  in  man  s’aprono  i palli. 

Chidi  quà,chi  di  là.  sgombra  la  llrada. 

Pian  pian  men  folta  la  campagna  falli. 
Airuccifor , s’avicn  ch’alcun  ne  cada, 

Del  caduco  averfario  il  loco  dalli. 

Ma  campato  il  perigHo(cccetto  al  fante) 

Lice  indietro  a ciafeun  ritrai  le  piante. 


ijo  IL  UlTOlLNa, 

jji.  Del  marciar, del  pugnar  nel  bel  cooftitta 
Pari  in  tutti  noaè  l’arte, e la  nornaa. 

Varca  una  cella  fol  Tempre  per  dritto 
Contro  il  nemico  lapedeftre  torma» 

Se  non  che  quando  alcun  ne  vicn  trafitto 
Si  ferifcon  per  lato , e cangian  forma» 

E ponno  nel  tentar  del  primo  aflalto 
Paflàr  duo  gradi , e raddoppiare  il  faltoi  • 

Può  da  tergo , c da  fronte  andar  la  Torr^ 
iiiorta  a deftra , & a manca  il  grave  incarc®:» 
Mafempre  per  diametro traKorrc, 

Nè  fa  mai  per  canion  torcere  il  varco. 

Sol  per  fentkro  obliquo  il  corfp  feiorre 
E dato  a quel  ,c’hà  lc  faettc»e  l’arco. 
Fiancheggiando  fi  nioVe,  c mentre  fcocc% 

L’un’e  l’altro  confin  del  campo  tocca. 

IJ4,  Il  Cavallo  Icggìer  per  dritta  lifta  • 

Come  gli  altri, I arringo  unqua  non  rcnac» 
Ma  la  lizza  attraverTa,e  fiero  in  vifta 
Curvo  in  giro , c lunato  il  folto  ftende, 

E Tempre  nel  Taltar  due  caTe  acquifta, 
Quelcolore  abbandona, cquefto  pfendt» 

Ma  la  Donna  reai  vièpin  Tuperba 
Ne’  Tuoi  liberi  error  legge  non  fèrba» 

Ijj.  Per  tutto  erra  coftel,lunge,  c dapreffo»  ‘ 

EpuòdituttìToftener  tavice, 

Salvo  che'n  cerchio  andar  non  ì è permcUo, 
Saltellar, volteggiar  le  TidiTdiccj 
Privilegio  al  deftricr  Tolo  conceffo, 
Corvettando  aggirarfi  altrui  non  lice. 

Nel  refto  poi, le  non  ha  intoppo  al  corTo, 

Non  t|ova  ai  Tuo  vagar  meta  nè  morTo» 

Move 


CANTO  DECIMOQ.V1NTO.  ti 

: , Move  l’armi  più  cauto  il  Rè  fovrano, 

In  cui  del  campo  la  fperanza  è tutta, 

Che  s’egli  prigionier  trabocca  al  piano, 

. L’hofte  dal  canto  fuo  rimaci  diftrutta. 

I Quinci  per  lui  ciafcuno  arma  la  mano, 

Per.  lui  s’efpone  a perigliofa  latta  -, 

£t  egli  ipetcator  de  la  contefa 
Cinto  di  guardia  tal^non  teme  ofFefa. 

IJ7.  Poco  intende  a ferire , e per  l’aperto 
In  publica  tenzon  raro  contraila. 

None  quello  il  fuo  fin, ma  ben  coverto 
Dal  ’inndie  fchermirlì  aflm  gli  balla. 

Pur  fe  contro  gli  vien  Duce  inefperto. 

Sa  ben’  anco  trattar  la  fpada ,,  e rhalta*, 

Colpi  fce  c noce.e  poiché  1 feggio  la^, 

Pi^ii  d’un  quadro  iltermine  non  palla»  . 

13I.  Quelle  te  leggi  lònich’io  ti  racconto,  1 

De^bel  certame  , c romper  lì  non  demto*. 
Ma  perchel'ufo  lor  tifia  piu  conto , 

Potrai  pria  dada  prova  apprender  fenno. 

Così  dic’ègli  ,e  lo  fcacchier,ch’è  pronto,. 

Si  reca  innanzi , indi  a laDeafò  cenno<> 

A dirimpetto  fuo  fa  che  s*alTida, 

£ fiede  anch’egli , & a giocar  la  sfid^ 


IJ9.  Vlenlì  a giornata , a movcrli’è  primiero 
Il  bianco  lluobche  Citherea  conduce. 

£Ila  fofpefa  alquanto  in  sit’l  penlìcro 
Il  pedon  de  la  Donnain  campo  adduce. 

Quel  s’avanza  duo  gradi, c non men  fiero 
Vn  gliene  mette  a fronte  il  negro  Duce. 
Scontranli  ambo  nel  mczo,e  deliro , e fcaltro 

Studia  l’uji  con  vantaggio  opprimer  l’altro» . 

Quinc^> 


CANTO  DECIMOQVINTO.  uy 

*44*^  Tira  ilRege  indifparte,&  indiféfo 
L’Elefante  mefchino  è fpinto  a terra. 

Mal  fiero  corrìdor, ch’ai  pian  l’hàftefo, 

Non  per  canto  impunito  efce  di  guerra. 
Tenta  il  rifchio  fuggir , ma  gli  è concefo 
djtpic , che’ntorno  il  ferra. 
Uceifo  intanto  da  la  Vcrgin  forte 
Termina  il  viver  filo  con  bella  morte. 

Qual  Tauro, s’egli  avien,chejperdut’habbia 
Pugnando  un  corno , inferocilce,  emuggc, 

, minuta  fabbia 

L armi  incontra  col  petto, e non  lefugge  : 

Tal  con  minor  configlio , e maggior  rabbia 
1 er  SI  notabil  perdita  fi  llrugge, 

Brama  di  vendicarli , c l’armi  nitrici 
Irrita  Citherea  contro  i nemici. 

14^*  Volontaria  a Ibaraglio  efpone  i fiioi. 

Nè  cura , che  più  d’un  n’efca  di  vita. 

Purché  dato  le  fia  di  veder  poi, 

Col  proprio  mal  l’altrui  mina  unita.  ■ 
L’arguto  meflb  de’ celefti  Heroi 
Con  miglior  Icnnoi  filai  di fegni  aita } 

Prevede  i colpi  j e con  ragion  matura 
De  la  preda  luperboil  tutto  cura, 

147.  Tacitovà  trà  sè  volgendo  fpeflb  . ’ 

Mortai 'silìcio  a la  Rcina  bianca. 

• Già  polchc’l  deliro  ArcieroegUl’hà  mclTo 
Celacamcnte  appo  la  colia  manca, 
Malguardato  pcdon  le  ^inge  apprelTo, 

Poi  trahendo  un  rofpir,  fi  batte  Tanca  « 

Quali  pentito,  e con  aliutimodi 
fiogendocrror,  diifimula  le  frodi. 

Tolio 


148.  Tofto  ch’offrir  l’occafion  fi  fcorgc, 

Penfa  V ener  nel  crin  prender  la  Sorce> 

Corre  ingorda  a la  preda,  e non  s'accorgCt 
Che  feopre  il  fianco  a la  reai  conlbrcc. 

Al  nemico  pedon, ch’olire  fi  porge, 

Va  già  per  dar  col  Tuo  pedon  la  morte. 
Quando  dì  canto  mal  pictofo  il  figlio  ' 
Cenno  le  fóce , c l’avertì  col  ciglio.  ^ ‘ 

i45>.  Softieneallhot  la  mano, e’I  colpo  àrréfta  : 
La  Dea , che’l  gran  perìglio  aperto  mira, 

E’I  pedon,chc  pur  dianzi  ardita  c prefta 
Cacciava  innanzi , a fuo  fquadron  ritira. 
L’Araldo  de  gli  Dei  querulo  in  quella 
Di  gridi  empì  c il  cheatro , c freme  d’ira. 
Conquiftata  l’Amazone.e  delufa 
Sua  ragie  n chiama, e Cltherca  fi  feufa. 

150.  Chi  nega  (dice)  al  giocator, che  nioflà  ' »r 

La  delira  errante  a trafeurato  tratto, 

In  meglio  poi  correggerla  non  poffa,  ' 

Se  noi  vieta  tra  noi  legge, ne  patto  ? 

Hor  che  da  tanto  rifehio  io  l’hò  rlfcolla 
Decreto  inviolabile  fia  fatto , 

Qual  fia  de  l’un  de’  duo  tocco  primiero. 
Quello  a forzane  vada,ò  bianco,ò  nero, 

Iji.  Quella  giullafcntenza  a tutti  piacque, 

E s’apprellaro  à rifguardarne  il  fine. 

Il  divi n nuntìo  affienò  l’ira,  e tacque 
T r afitco  il  petto  di  mordaci  fpiac.  - 1 

£ fecreto  penfier  nel  cor  gli  nacque 
Di  pugnarcon  inganni  ,c  con  rapine, 

Vigila  a le  calunnie , e molto  importa 
A la  madre  d’Amor  Teffer  accorta. 


CfANTO  DECIMOQ VINTO, 

5peflb  nel  moto  le  veloci  dita 
Xrafuga,e  fcambia,e  non  sò  come  implica, 

E duo  corpi , e duo  colpi  in  una  ufcita 
Sofpi^ffc  a danneggiar  l’hofte  nemica. 

Già  già  con  man  si  rapida  e fpedita, 

Che  la  può  feguitar  l'occhio  a fatica, 

Un  faretrato  fuo  manda  a l’aflalto. 

E fà  che  del  cavallo  imiti  il  falto. 

• balza  inmezojc  con  mentita  infegna 

Di  deftrier  contrafatto  il  palTo  (lampa. 

Vibra  fe  ftelTo, e d’atterrar  s’ingegna 

bianca,  a cui  vicin  s’accampa, 

A fpramente  (orride, e sì  fdegna 
Venere  allhor  , che’n  vivo  foco  avampa. 

Ben  (ei  de  furti  autor  (dille)  e maedro. 

Ma  vuolfincl  celargli  efler  più  deftro. 

de’ circoftanti  a pieno  choro 
La  turba  avida  de’  paled  inganni, 

E tutto  rimbombò  l’atrio  fonoro  ^ 

Di  man  battute  , e dibattuti  vanni.  ,,■ 

V ergognofo,  e confufo  al  rider  loro 
Sor(e  Mercurio  da  i doraci  fcanni , 

E (ucceder’  Adon  volle  in  fuo  loco 
A terminar  rincominciato  gioco. 

Di  Giove  in  quedo  mezo  II  mcfl'aggiero,  _ 
E l’alato  fanciullo  infra  lor  dui 
L’un  contro  l’altro  infìeme  accordo  fero 
D’attraverlarne  lapartitaaltrui. 

Per  lei  parteggia  il  faretrato  Arderò, 

II  celeflte  Orator  la  ticn  per  lui, 

E già  vengono  cncrambo  aduti  ii^egnl 
Aa  ingaggiar  de  la  (commeda  i pegni 

Vuol 


IL  RITORNO, 


t *■ 

1^6.  Vuol  Mercurio  ,fc  vince, un’aurea  rete  ' ì 
Di  filato  diamante i nodi  intefta,  ' ■ ' 

CW’a  far  fecurc  ognor  prede  fccretc 
Spera , ch’aliai  giovar  gli  deggìaquefta. 

Se  vince  Amor , vuol’il  bafton  che*n  Lethc 
Può  repente  attuf&r  la  gente  delia. 

Per  poter  poi  ne  le  notturne  frodi  . 
Addormencarei  vigili  cuftodL 

XJ7.  Movefi  il  vago  Adon  con  cauto  avilb 

Provido  a l’arrai , c nonie  tratta  in  fallo. 
Mentre  al  fuoRè  nel  maggior  trono  aCfifo 
Vien  per  dar  cacciali  candido  Cavallo , 

Un  con  l’arco  l’uccide, c quelli  uccifo 

Cade  per  un  pedon  fenza  intervallo, 

Quel  per  un’altro.Eccoogni  Arder  concorre 
Ogni  deftrier  fi  move , & ogni  torre. 

158.  Sorgcla  pugna, c fi condenfac  mefee 

Alternando  le  voci , e gli  accidenti, 

Come  quando  l’Ionio  ondeggia,e  crefee 
Agitato  talhor  da  vari  venti 
Mà  1* Araazone  bianca  arrida, & efee 
Per  mezo  l’ali  de  le  negre  genti, 

E ne  l’andar , c nel  tornar,  mentr’erra. 

Un  Saglttario,ttn  Elefante  atterra.  ' 

-Palfa  trà  l’armi  bollili , c fulminante 

Fende  la  mifchia  qual  faetta,ò  lampo;  , , 

Relfano  addietro, e le  fan  piazza  avantc  _ 

Le  fquadrc  averle , ognun  le  cede  il  campo.  . 
Ella  fidando  ne  Ic  lievi  piante , 

Onde  può  Tempre  agevolar  lo  fcampo. 

De  penetrali  interni  a còrfo  feiolto 
Spia  l’occulto, apre  il  chiufo,c  fpianail  folto 

Emulo 


CANTO  DECIMOQVINTO.  1(7 

La  fuTr°  appella 

La  fua  Gucrrera  il  Principe  de'ncrì, 

ecco  a prova  infuriata  anc  ella 

1 iecipicoianienteapre  i fcntieri. 

gioni  difptrfi  in  quella  parte , c’n  quella 

Elefante,  e deftrier,  6nti,  & arcieri. 

Che 

^ wn  le  due  magnanime  Reinc  f 

r'-'  .f , foi  za,  & armatura  eeuale« 
ja  già  la  bianca  il  calamo  pungente 
^bra  eda  tergo  Paverfarii  alia=. 

le  I una  ne  muor , l'altra  repente  ' 

1 f ^^*^0  miglior  pere  di  ftralc, 

■7  e quindi  con  mortai  caduta 

Acquiftataèla  fpoglia,  e nongoduta.. 

16  V De  le  due  Donnei  vedovi  mariti 
Cercano  allhorcun  falvò  ambo  ritrarfi 

Del- gran  flagello  timidi  e fmarriti, 

Che  gucrriertanci  hà  dilfipatì  e fparfi. 
rui  non  d’ogni  dot' forza  impoveriti 
Pollono  ancor  difenderli,  e guardarli  j 
Tre  pedoni,  un’Arciero,  e torreggiantc 
Hà  la  bella  Ciprigna, un’Elefalite. 

i6j.  Àltretanti  n’hai  tu  leggiadro  Adone, 

Tranne  la  belva,  chc’l  catlello  porta, 

Laquai  pur  dianzi  nel  fanello  agone 
Per  mand’unfìerSaettatorfÌLi  morta  i 
Tutto  il  rello  involò  Pafpra  tenzone , 

Tempefta  hori'cnda  hà  l’altia^nte  abforta 
Meila  a vedere , c lagrimofa l^na 
r Defolatadi  popoli  Parena. 

Voi.  //. 


K 


«8  IL  RITORNO, 

i6+.  Soli  ì àwo  capi , e feiiza  fpofe  a’fianch^ 
Stanfcnc  avolti  in  dolorolc  (pogUe. 

Ma  pur  da  rea  Fortuna  afflitti,  e ftaiichl 
A i fecondi  Hlmeuci  piegan  le  voglie. 
Invitta  prima  il  Rcgnator  dc’biancni 
Le  fide  ancelle  de  Tantica  moglie 
Al  confortio  reai  i ma  fi  compiace 
Provar  pria  di  ciafcunailcore  audace, 

jé5.  Le  conforta  a varcar  gli  argini  hoftili. 
Eie  mandar  tentar  l'ultima  meta, 

Per  veder  qual  più  fplrti  habbia  virili. 

Et  fla  più  franca  e generofa  Atleta. 

Nozze  reali  a femine  fervili  ^ 

Sperar  per  legge  efprefla  il  doco  vieta. 
Salvo  aquell’una  fol,  ch’invita  e prima 
De  l’altro  limitar  tocchi  1^  cima. 

166.  Trottcan  gl’indugi  le  miniftre  elette, 
Lapropofta  mercè  fa  piano  il  guardo. 

Ma  l’altrea  quella  pur  cedon  coftrettc,^ 
Che  tiendeftro  corno  il  terzo  grado. 

L’alia  le  piante  ambition  le  mette 
Tanto  eh’ oltre  fen  vola,  altrui  malgrado, 
E mal  può  de  la  gloria  il  bel  fentiero 

IntercUrleil  Rettor  del  popol  nero.  ; 

167.  Onde  a l’honor,  che  le  nemiche  allcttai 
Approvaanco  le  fuc  ftlmula  c punge, 

E la  quarta  da  manca  al  fegno  affreta , 

Ma  più  tarda  d’un  pàffo,  ancor  n’è  lungc. 
La  bianca  intanto  ad  occupar  folcita 
Il  bel  thalamo  voto  ecco  pur  giunge. 

E de  l’hercdità,  che  le  perviene , 

Con  applaufo  de  Cuoi  lo  fccttro  ottiene. 


CANTO  DECIMOQYInTO. 

168,  Del  diadema  Rovella  Donnaallccrra 
Allenta  al  corfo  impetuofa  il  freno,  ° 

E polTcdendo  la  campagna  integra 
X-  alr^  mine  rifar cifcc  a pieno» 

Cade  trafitta  la  Guerrera  negra 
Su’l  confin  de  la  meta,  un  grado  meno 
Fuggonl’altre  reliquie,  e’I  Rè  qonfuf® 

Da  duro  alledio  e circondato  e chiufo, 

l€p.  DrMaia  il  figlio,  che  vicin  gli  fiede, 

Compatifce  d’Adon  la  doglia  intenfa,  " 

E nov’arti  volgendo,  ollerva  e vede. 

Che  la  Dea  de  gli  Amori  ad  altro  peufa 
Perche’ntefa  a tentar  col  piede  il  piede 
De  1 amato  Garzon  fiotto  la  menla, 

Null’altro  cura , e di  fie  ftefla  fiore 
Vinfie  mifiera  il  gioco,  e perde  il  core. 

170.  Il  tempo  coglie,  e ne  l’aurato  e bello  ' 

Bollolo,  ch’a  i cadaveri  cattivi 

De’ vinti  iaguerra  è carcere,  & avello , 

Stende  gli  ai'tigli  taciti,  e furtivi. 

Un’Arcier bruno , & un  deftrier  morelle 
Ne  trag^e,  & pugnar  gli  torna  vivi; 

Ma  percnc  gli  atti,  e ì movimenti  fui 
Cialcun  rifiguarda,  adopra  il  mezo  altrui. 

171.  La  fraudead  efleguir  Galania  eflbrta. 

Di  Venere  una  Ninfa  è così  detta, 

Nonmen  delira  di  man,  d’ingegno  accorta. 
Che  di  volto  leggiadra,  e^iovlnetta. 

Quando  tuttad'Adon  la  (quadra  è morta,' 

I duo  frefichi  guerrier  collei  vi  getta, 

Onde  l*un  tende  l’arco , e l’altro  in  zuffa 
Zappa,  riflgHia,mtrifce,  c freme,  e {buffa. 

vK  i La 


no 


ÌL  RITORNO, 

T71.  LabellaDeaflel  mirto,  c de  la  rofa. 

Clic  novo  fcorge,  e non  pcnfato  aiiuo 
Sovragiunto  al  nemico,  e ftrana  cola 
Stima,  com’liavea  vinto,  haver  perdutOj 
Lo  IgorJo  alzando  (lapida  e dubbiofa 
Sorrider  vede  il  meflaggicro  allato, , ^ 
Ondeiltratto  comprelo  : Hot- tanto  balli 
Dice,  e’I  g' oco  con  man  confonde  c guada. 

175.  E dal  loco  levata,  ov’era  alTida, 

Spinta  da  l’ira,  che  nel  petto  accoglie, 
Corre  aGalania,  e la  pcrcote  in'guifa, 

Che  con  quel  colpo  ogni  beltà  le  toglie. 
Ahi  quanto  è folle,  ahi  quanto  mal  s avila 

Chi  tenta  opporli  a le  divi  ne  vpgUe. 

Fiisì’l  capo  ala  miferapercpllo 

Con  io  (cacchier,  che  le  rimafe  adoflo» 

j^4.  Da  Cìtherea  con  tanta  furia,  e forza 
E’battuta  la  Ni  tifa  afflitta,  e meda,^ 
Che’ncurvato,  e;cangiato  in  cava  Icorza 
Sovra  le  fpalle  il  tavolier  le  reda  p 
La  luce  de’begli  ocebi  allor  s’amorza, 
Sparifee  l’oro  de  la  bionda  teda, 

La  cervice,  chc’n  se  rientra,  &efce, 

Quafi  un  mezo'diviii  ttà  ferpe,  e pefcc. 


17;.  S’accorciail  corpo,  efinfovralanuca 
Ne  la  macchiata  fpoglìa  afeofo  dalli. 

Con  quattro  piè  convien , che  li  conduca  > 
Che  con  gran  tardità  mutano  i palli. 
Trasformata  di  Ninfa  in  Tai  taruca, 

Tra  fpelonche  profonde  a celar  valli 
E’I  grave  incarco  del  nativo  albergo 
Sempre,  dovunque  và,  porta  SVfUcrgo 


CANTO  DECIMOQVINTO.  lu 

premio degao 

{ Uilie  la  Dea  con  iracondoarpettc) 

Ad  irritar  de’fommi  Dei  lo  ide<^no 
Impara,  & a turbar  l’altrui  diletto. 

C^cltuosjpronto,  e sìfpeditoinoreffno 

Tiu  ch’altro  hor  diverrà  tardo  & inetto. 
Creile  man  già  sì  prefte  a far’inganm). 

Tigre  altretanto,  e ftupide  faranno. 


^ f uo  V! vo  fepoldiro  habltatricc , 

In  effigie  di beftia  infieme,  e d'angue,] 

Animato  cadavere  infelice, 

Senza  vifeere  vanne,  e fenza  fangue. 

Severa  ftella,  del  tuo  fallo  ultric?, 
Colàtifcorga,ovc  fi  torpee  langue, 

Tra  granchi,  e talpe,  c chiocciole, c lumache 
In  caverne  paluftri,  e’n  valli  opache. 


X78.  Dalpelb,che  cagion  fó  dé’tuoi  mali, 

In  ogni  tempo  havrai  l’horaero  oppreffo  j 
E quando  frà  lo  ftuol  dc' -gli  animali 
Ricercata  farai  dà  Giove  iftefio, 

Innanzi  a’fuoi'divini  occhi  immortali 
A te  fola  venir  non  fia  COnceflb,  - 

Sculancfotilcon  dir  d’elfer  rimala 
A cufiodlr  la  tua  dipinta  cala. 

ly^.Voglio  di  più,  che  quando  aqbel  dolce  atto 
Che  da  me  vien,  tiftimula  Natura, 

Poiche’l  fin  del  defir  n’havrà  ritratto, 

II  mafehio  più  di  te  non  prenda  curai 
E tu  pena  all  hor  del  tuo  misfatto 
Ti  rimarraldc  l’Aquila  paftura,j 
Rivolta  al  CIcl  la  pancia,  al  faollafchiena. 
Senza  poter  drizzarti  in  sù  l’arena. 

K 3 


Onde 


Ili 


IL 


RITOR 


NO, 


180.  Onde  malgrado  del  piacer , che  fcnte 
D’amorofa  factta  un  cor  ferito , 

Temprata  la  libidine  cocente , 

Lafalute  antcpofta  a l’appetito  , - 

Sarai  coftrettaad  cfl'er  continente,  ^ ^ 

Tt  a fuggir c il  tuo  crudel  marito, 

Bei)  ch’occulta  virtù  d’herba  efficace 
Ti  farà  pur  piacer  quel  ch’altrui  piac^. 

181.  Così  la  malediffe,&  adirata  ^ 

Ritrafle  altrove  il  piè  Ciprigna  bella. 
Mercurio,  che’n  Teftudine  mutata 
Vidc  .(iua  colpa)  la  gentil  Donzella, 

Pietà  ne  prefe,  e d’auree  corde  armata 
Lira  canora  edificò  di  quella. 

Indi  lieto  inventor  di  sì  bel  fuono^ 
penne  al  gran  Dio  de’verfi  altero  dono. 

i8i.  Poichedalgiocofilevò  laDea,.J  * • 
Trà  Mercurio,  & Amor  ^ran  lite  forfij 
Amor,  che  feco  attraverfato  havea. 

Quando  anch’ei  de  lafràùdé  alfin  s’accorfè, 
^ De  la  traverCa  il  pregio  à Ititi  cliiedea 
Con  gridi,  al  cui  romor  la  madre  corfe, 
Vene/e  con  Adon  tutta  fofpefa 
Dimanda  la  cagion di  tal  contefà. 

^8^  Giudice  fatta  poi  de  la  difputa , ' - 

Pria  del  cieco  fanciullo  odel’accufa, 

C he  dice  clTer  la  verga  a lui  devuta, 

E ch’a  torto  pagar  l’altro  ricufa. 

Ella,  che  sà  de  l’altro  ogni  arte  aftuta* 
Intender  vu  ol  da  lui,  come  fi  fciifa, 

E perche  nega  al  figlio  il  caduceo , 

Che  dee.  di  dii  l’hà  vinto  eder  trofeo. 


canto  DÉCIMOQVINTO. 

184.  C^and  iopur’hor  no  vi  cochiuda  (ei  difle) 
Cli’aneflundi  voi  duo  la  palma  tocca. 

S a mio  favor  ne  le  prefenti  rifle 
La  fentenza  non  vicn  di  voftra  bocca, 

Se  Giove  ìfteffcy>ancor  che’n  del  rudillc. 
Non  dirà  tal  querela  ingiufta,  e fciocca: 

Mio  farà  il  danno,  e la  ragion  ch’io  porc©, 
To  coufefl'ar,  che  fia  calunnia,  e torco, 

j-85.  Sciamo  pur’ad  udire,  io  vò  por  mente 
f Sorridcndo  rifpofell  nudo  Arderò) 

Se  co’fofifrai  cuoi,  ben  ch’eloquente, 

Saprai  darne  a vèr  bianco  per  nero. 

Da’miei  detti  (ei  foggiunfc)  apertamente 
Fia  conofciuco,  e manifefto  il  vero  i 
E perch’alerò  , che’l  ver  non  v’habbia  loco* 
Non  vò  partir  de  la  ra^on  del  gioco. 

18^.  Del  giocola  ragion  vuole  e richiede. 

Et  al  dever  del  giocator  s^dfpetta. 

Ch’altri  prenda  a giocar  quel  chepofliede» 

E che'l  fuo,  non  l’àltrui  nel  campo  metta. 
Qualhoraìl  gioco  in  altro  ftil  procede, 
L’ufanza  del  giocar  non  è pcrficta. 

Tanto  meno  à chi  gioca  è poi  concelfo 
Giocarfi  quel  de  ràverfario  iltello. 

187.  Convicn , che  fia  da  quello,  e da  quel  cauto 
Tra  due  parti  il  partito,  e’I  rìfehio  eguale', 

Se  modo  non  ha  Tun  da  perder  quanto 
Perder  può  l’altro,  il  fuo  giocar  non  vale, 

Nè  portar  può  vincitore  il  vanto 
Quegli,  a cui  manca  un  fondamento  tale. 

Ne  vincendo  ralhor,  pretender  debbe 
Del  perditor  quel  ch’egli  in  fe  non  hebbe. 

K 4 Hor 


114 


IL  RI  TORNEO, 


j88.  Hor  veggiam,  bella  Dea , s’a proprio  còito 
Giocafti,  e s’egli  è tuo  quel  c’hai  giocato, 

E.  fe  da  te  sù’l  tavoglier  fu  pofto 
Quanto  ha  coflui  giocondo  aventurato. 

Così  del  figlio  tuo  farà  più  tolto  : 

Sofpiro  ancor  per  confeguenza  il  piatoj 
Tuftefla  in  premio  efpolta  ala  tenzone 
IPromettcfti  perdendo  elTerd’ Adone. 


189.  Et  io  te  ftefla  in  teftimonro  invoco,  ' 
Invoco  teco  in  tcftimonip  invocOj 
Quante  volte  dicefri  al  tuo  bel  foco.  ' 
Ch’egli  a pieno  c di  te  fatto  fignore? 

Come  può  fe  medefma  elporre  al  gioco 
Chi  non  ha  in  fc  nè  liberta,  ne  core? 

Chi  non  hà  (è  mede  fina  in  faa  balìa , 

Nè  colà  al  mondo,  che  d’altri  non  fia? 

190.  Se  tua  non  fei,  ma  di  coltili  ; ch’io  dico,  ‘ 
De  l’altrui  dunque,  e non  del  tuo  giocaiU: 

^ pollo  havendo  sii  quanto  il  nemico. 
Non  ti  fi  deve  quel,  che  guadagnalti. 

Onde  fc  tu  confermi  il  dono  antico  5 
Se  rivocar  non  vuoi  quel  che  donaftij 
O’fe  pur  non  menti  la  lingua  tua  j 
E non  perde  fe  ftefib,  c tu  fei  fua. 

jpi.  Ecco  che’nfomma  a dichiarar  blfogna  , - 
C h’egli  vinto  non  è,  com’ìo  ragionoj 
O d’inganno  accufartii,  e di  menzogna, 

Se  fu  dafeherzo  ,enon  dalenno  il  dono, 

Et  io  (quando  ciò  fullc)  havrel  vergogna 
D’amar  chi  mi  fcherni,  qualunque  io  fono 
Perche  non  dee  leal  amante,  ch’arda 
Di  vero  amore,  amar  Donna  bugiarda.  . 

Qucll’ar-' 


CANTP  DECIMOCLVINTO.  X2.f 

Quea’.argomento  è debile  è fallace 
Ripiglia  Amor  J.  ne  tua  ragion  difende. 

CIÒ  fi  tacque  al  principio , e quei  che  tace  > 
T^^citamcnte-accopfencir  s’incende. 

Io  fon  d’Adonc,  & ellèr  4ua  mi  piace, 

Sovra  qiicfto  tra  noi  non  fi  contende. 

(Difl'e  la  Dea)  quand’io  pur  furti  fcio,lca, 

V orrei  farmi  .foggetta  un’altra  volta. 

Ma  com’è  pur  tra  giocatori  ufanza 
Quando  maucatalhov  l’oro,  e l’argento , 
Che  Tun  raltro  del  fuadanno  in  preftanza, 

E fupplirce.la.fedcal  mancamento , 

Se  bene  in  me  di  me  nulla  m’avanza, 

Di  preftarmì  in  me  ftcrtà  eì  fu  contento , 

E’I  mio ftato  Iprvil,  rncntre  che  tacque, 

A giocar  fcco  habilitarglitacqtie , 

IP4*  E’i  divin  mertb  a lei.  Non  maacan  mai  » 
A^teftio  pagator  feufe,  e parole. 

Ma  concedeteti  vò  (come  tu’l  fai) 
LV(b,^che'qgioco.t^)l6Ì44r.fi:fuolè  ' 

J laico  il  glopo,.^^*  qu^  frigio  liavra? 
Quanto  preftato  fit,TCJ?der  li  voi©. 

Rendi  te  rtclìa  al  moicprtcfe  amante,  • 

E così  farai  fua,  com’eri  avante, 

J9)-  Se  valeflc  il  tuo  dir  (difle  ilfanciullo)  * 
Cadrebbe  anco  in  Adon  fimìl  difetto. 

Anch  egli  alci  donorti,  pur  traftullo 
Di  non  erter  più  Tuo  talvolta  ha  detto, 
Dunque  (replicò  quegli)  il  gioco  è nullo. 
Mancando  la  cagion,  manca  l’eifetto. 

Altri  quel  che  non  ha,  giocar  non  potè, 

Nc  fi  gioca  giamai  con  le  fue  man  vote. 

,K  s Aprendo 


IL  RITORNO,' 

3^6.  Aprendo  allhora  U beirAdon  le  labbia 
pide  rivolto  al  nuntio  de  gli  Dei; 

' A che  gurrir  tra  voi  con  tanta  rabbia? 

Non  boggi  è il  primo  dì,  ch’io  mi  perdei. 
Perduto  lo  io,ma  quando  ancor  vint’habbia 

10  la  vittoria  mia  cedo  a coftei., 

P’un  tal  perder  mi  glorio,  e non  m’attrifto,, 
Che  la  perdita  mia  può  ditfv  acquiito, 

3<)7.Hor  facciam  (dilTe  Amor)  che  vanno  in  tut- 
iufl'e  il  gioco  tra  1 or,  come  tu  vuoi  [to. 

Vano  nonfia  però,  ne  fenza  frutto 

11  gioco,  che  di  fuor  fegui  noi. 

Di  fuor  giocammo,  Scbàciafcuno  adductoh 
Un  pegno  proprio  de  gli  arnefi  fuoL 
11  iioftro  c noftro,  e qui  nò  tu,  nè  io> 

Dir  palham,,  c.hip  fia  tuo,  che  tu  fia  miov. 

158.  E l’altro,  E’forza,  poiché  inffeme  vanno,. 

Se  ceda  il  principal,che’l  minor  ceffii 
Ha  vinto  Adon , feben  con  qualche  inganno. 
Onde  dir  non  fi  può,  ch’io  non  vincefli. 

S’altri  v’hebbe.la  colpa,  habbiane  il  danno.. 

La  rete  è mia,  tai  furoì  patti  efprenì, 

Sempre  il  vincer  èbel,femprefi  loda,. 

O per  forte  fi  vinca,  ò ver  per  froda.. 

Mentre  una  coppia  in  guìfa  tal  contraila 
L’altra  per  accordarla  s’aflàtiga 
Prega  quel , pre^a  quella,  e pur  non  bada. 

Ad  acquetar  la  mnciullefca  briga. 

Se  la  racconcia  l’un,  l’altra  la  guada, . 

Tanta  è la  (Uzza,  che  di  par  gl’inftiga. 

Perche  laqueftlon  nonvadainnanzi, 

Ycner  lofdegno  oblia, ch’ebbe  pur  dianzi. 

A Mcr.'»- 


C'AN'TO  DECIM  OQy  I N T O.  117 

zoo.  A Mercurio  dicea,  Tu  cerchi  in  vano 
La  rete  haver,  che  per  mìo  mal  fti  fatta. 

Se  l’arte  non  apprendi  di  Vulcano, 

O’non  t’infegna  Amor,  come  s’adafta. 

^ Non  vaglion  rarml  Tue  fuor  di  fua  mano,. 
Forza  alcuna  non  han,  s’ei  non  le  tratta , 
Senza  ivi  (crcdiamej  ti  giova  poco 
Quando  ancor’habbi  eia  Uretra, e’I  foco. 

SOI.  Dicea  pofcia  al  figlivol  : f iglìvol  pervcrfo*- 
Che  vuoi  tu  far  di  cjuella  ìnutil  veroa? 

La  brami  forfè.  acciochc’I  mondo  alperfo 
Di  dolce  oblio,  nel  fonno  fi  fommer^^a  ì 
Qnafi  in-monal  lethargo  ognor  fommerfo» 
Per  te  non,  fenp  ch’oblio  l’afpcrga, 
Soverchio  è ciò,  fc  ponno  i tuoi  fiu'ori 
Qualhor  ri  piace,  inebriare  i cori. 

toi~  Travagliò  molto  con  accorri  accenti.  ' 

Citherea  per  compórre  ambe  le  parti , 

Fin  ch’ai  fin  fi  placar  fdegni  ardenti , 

E ì tumulti  celfaro intorno fpartL 
Con  tal  converfionì  rcftan  contenti 
Lo  Dio  de  l’aime,  e l’Invcntor  de  l’iirM  ■ 

Che  U verga,  e la  rete,  c cjuegli , e c|U(:lìi 
Qualvolta  huoponc  fia,l’un  l’altroprcftL 

WJ.  Venne,  poiché  alquanto  Hebbedepofta. 
L’ira,  ch’ai  bell’Adon  pofe  fpavento. 

Ino  iu  follinga  parte,  e più  riporta 
V olra  à l’autor  del  fuo  dolce  tormento , 

De  la  condition  tra  noi  proporta 
Debiirice  (gU  diffé)  a te  mi  fento. 

Se  ben’a  tòrto  hò  mia  ragion  perduta, 

T’è  pur  del  gioco  la  mercè  devuta^ 

^ i Per 


1 


ti8  IL  RITORNO,  4; A3. 

Ì04.  Per  lo  paflag;g,io  poide  la  ver^ara  .!  ^ 


Con  parlar  più  di'ftinto  ella  glidìce. 

<■4 

Cara  parte  dei  cor,  cara  mia- cura, 

Dolce  d’og'ftì  mioben  irbnte,  e radice. 

Se  ben  b bella,  e dehata  arlura , t- 
C he  mi  Ctrugge  per  te,  mi  fa  felice, 

■■oh 

C^op.r.enra  non  tarò,  ch’io  non  ti  veggia 

N el  natio  regno,  e ne  la  patria  reggia 

• *') 

x05 . La  regia  amica  del  Ciprigno  {lato 

■db 

ì 

Vera  ancor  lerbab  reai  luarede.  ■ 

Al  cui  donìinio  il  mio  Tiranno  amaro 

f C hi h da  c|uefti,  io  noi  dirò)  fuccedO; 

» : 

Comedi  quella  originato,  c nato  ' r • 

ip  , 

Per  genitore,  c genitrice  herede.  t_  -4. 
Hor’a  la  lignoria,  ch‘a  t e s’alpetta. 

Piacciati  conlentir,  ch’io  ti  rimetta. 

to6.  Senza  capo,  e fignor,  che’l  freni  e regga. 

Erra.  & inciampa  il  popolo  contulo. 

Qual  greggia, a cui  s’avien,che-non  provegga. 

Paftor  licentrola  elee  del  chiulo,  ■ 

Per  sì  fatta  cagion,  che  Rè  s’c legga  1 

« 

Il  Senato  di  Cipro,  hàgiàconchiufo. 

E di  chi  deggia  al  loglio  elier  allume 

ì 

Dimane  il  tempo  t Itabilico  a punto. 

ioy.  Poi  che’l  tuo  nobil  ceppo  andò  fotterra 
Senza  fucceffi'on  di  germe  alcuna 
Nacque  lite  nel  regno,  e forie  guerra , 
Che  d*aiurparIo  pretendea  più  d’uuo 
Chi  di  qua,  chi  di  là  l’orfana  terra  . • * 

Diedi  con  l’armi  ad  occupar  ciafctmot  ^ 

E ciafcuno  arpirando  al  (ommo  feggIo> 

Contcadeaalràieite/U  il  bel  maneggio. 


CATsTTO  DECiMOQyiNTO. 

2:0^  Ma  per  fuggir  le  fanguinof^ 

Hcbbero  al  Tempio  mio  ricorfo  allhora 
^ove  5 Poich’epuryer(mracol  dille) 

C h c 1 pui  bel  Nume  il  bel  paefe  adora! 

Se  si  importante election  feguiae 
In  Tuggetto  non  bel,giufto  non  fora. 
Eleggete  li  pm  bello.  E qui  concordi 
Quecaro m un  parer  l’ire  difeordi. 

^09 . poi  qual  per  beltà  fufle  il  più  de<rn(>. 
Perche  gran  difparer  venne  frà  tutti,  ^ 

E chiedeano da mepur  qualche  fegno 

brutti, 

Da  1 Oracolo  rfleflo  a por  del  reo-no 
Ea  corona  in  miaman  furono  inftruttù 
Colui, che  di  mia  map  potrà  levarla, 

Dee  poi, come  più  belio  anco  portarla^ 


no.  lo  nlpoficosì  vcggfendoque^a 
La  miglior  via , che  rltro^var  fi  po/Ta 
Per  far  che  fola  all  hor  fia  la  tua  tefta 
A.  lacorona  vedova  promefla} 

La  qual  nel  dlde  la  lolennefefta 

Per  altra  man  di  man  non  mi  fia  fcolTa,  ' 
Che  per  atua , che  fe  mitolfc  l'alma. 

Ben  le  li  dee  d’ogni  altro  honor  la  palma, 

in.  Hor  tutti  vnirì  ia  aflèmblealì  fono  ■ . .. 
^eì,che’l  fovrano  arbitrio  hanno  in  balia 
Per  cflàltar colui  folo  al  gran  trono, 

. Che’l  più  bello  da  lor  filmato  fia. 

Publicato  badi  ciò  la  Fama e’I  fucmo> 

Già  di  Perfia  vi  cragge  , e di  Soria 
G\ov<enrù concorrente,  fide  l’editto 
Ilmattiao  che  fegue , c^di;pr elbritto.  ' 

Dimani 


Ì30  IL  RItORNO,  ^ 

zìi.  Diman  sii’l  primo  aIlhor,toftocchc  fpunta; 
Vivo  Sol  di  quell’  occhi , il  Sol  novello, 

Vò  che  tu  tene  vada  in  Araathunta, 

Dove  s’aduna  l’elettor  drapprello 
Abbagliata , e confufa  a la  tua  giunta-  - 
Cederà  la  beltà  d’ogni  altro  bello. 

In  quella  guifa  pur , che  ceder  fuole. 
Lol'plendor  de  le  llelle  a l rai  del  Sole.. 

*15.  Soletto  là  lenza  corteggio  intorno- 
Te  n’andrai  piend’una  Iprezzata  afprezza. 
Altri  conduca eiitro’l  reai  foggiorno 
Pompa  di  fervi , e d’habitì  ricchezza; 

Vattene  tu, non  d’àkri  fregi  adorno,  ' 

Che  di  tua  propria , e naturai  bellezza. 

Che  rozezza , incultura , ò povertatc 
Non  lì  trova  giamai , dov’è  beltatc. 

ai4.  Anch’io  ( non  ti  turbar  ) celefte  guida'- 
Teco  verrone  , c compagnia  divina 
Per  tutto , c femprevfficiofa , e fida 
© tu  vada , ò tu  liia  > m’havrai  vicina.. 

Non  penfar , ch’io  da  te  mai  mi  divida, 
Voglìmi  cacGÌatrice,ò  peregrina: 

Che  fe  ben  ne  languifco , e ne  fofpiro, 
Diletta  a par  di  te  cofanon  miro» 

ài/.  De  l’impero  paterno  il  bel  póflèflo,'  ■ ^ ' 
Ch’a  te  perviene  , edi  ragionndevc. 

Senza  contrailo  alcun  ti  fia  concelfo. 

Così  prometto , e vò  che’l  veggìa  in  brev^. 
llraiofàvor  , che  ti  fiafempre  appreflbi 
Ogn’intoppo  farà  felice  e lieve,  ‘ 

SI  che  farai  ben  fucceflbr  del  régno’ 
Eiconofciuto'ad  infalUbil  feeno. 

• E 


CANTO  DECIMOQVINTa.  131 

zi6^  E fin  ckes’aprala  prigione  ofcura. 

Che  tra’  fuoi  ceppi  l’anima  incatena^ 

Onde  volando  fiior  renda  a Natura 
La  fpoglia  corrottibile  terrena, 

Vivrai  più  ch’altro  Rè  , lieta  c fecura 
Nel  bel  reame  tuo  vita  fcrena 
Poi  le  cofe  non  natea  durar  Tempre 
Nohtiraeravigllar,  fe  cangian  tempre; 

zij.  Stagion  verrà,  ch’ai  Greci  Rè  fia  tolto» 
Quello  terrei!  da’  Tolomeid’Egittoj 
Ma  loro  il  ricorra  non  dapoi  molto 
De  la  Donna  del  Tebro  il  bracclo  ìnvitro 
£ ben  eh’ Antonio  in  dolci  nodi  involto, 
Edillrale  amorofo  il  cor  trafitto, 

A Cleopatra  Tua  fia  che’l  conceda. 

Tornerà  quindi  a poco  a Roma  in  preda- 

ti8.  Ma  quando  poi  la  monarchia  cadente 
Tramonterà  del  gran  valor  Ladnoj 
Sotto  il  prdidio  loro  in  Oriente 
L’havrannoiiucceflbr  di  Goftantinoj 
In  fin  ohe  d’armi , e di  guerrier  poffentc 
Con  numcrofoeflèrcito  marino 
Ad'efpugnarne  venga  il  bel  paefe 
lldifgiunto<lal  mondo  oliremo  Inglcfei 

Nè  d’anni  correrà  lungo  intervalloj 
Che  l’acquifto  occupato , c pofl'eduto 
Da  Riccardo  il  Brit  tanno  a Guido  il  Gallo* 
Per  un  titol  reai  farà  ceduto 
Con  quiete  maggior  quelli  terrallo, 

E cosi  fia  da’  Tuoi Tempre  tenuto 
Pinche’I  crudo  german  l’armi  non(lringa> 

E del  làngue  frac  erno  U ferro  tinga. 


. IL  RITORNO, 


A31 


110.  Ma  punito  dal  del  quefto  fpiccacot 
Darà  le  pene  del  malvagio  eccc0b. 
Quando  no  vendo  Uluo  navico  arntiato 
L’havrà  Liguria  in  fiera  pugna  opprcff b,..  ^ 
OndefaràdelvincitorSe^ta»  - . ' 

Prigionier  prima,e  tributario  appf<dlb>  . 
Fatto  a la  pompa  del  irionÉp  hoftUc, 
Milerabil  trofeo  ,fpoglia  fervile, . ' . . 


111.  Veggioquafirufcel.di  qUeftofbntc 
Sorger  d’vn  figlio  ancor  .prole  novella, 

C he  da  la  terra  de  Ippio  bifronte, 

Dove  nato  farà  > Giano  s’appella.  . 

Quelli  condebil  forze , e voglie  pronte 
Tenta opporfi  al  furor  delfier  Melchella. 
Ma  poichp  vinto  r^epr^fo  altro,  non  potè, 
Conoroalfinla*libertài;ifcote.  * 


111.  Ecco  pofcia  Giovanni  in  maritag^o 
Ad  Helena  la  bella  io  veggio  v.qito,;  • . r, 
Helena  nata  del rcallegnaggkbol*  ^ ■ 
Chc’n  Bizantifl.lo  fc^ptroilii.lJa^U§Qi  , 
Ecco  Ciarlottafiia,cbefa.panàg^Gl' 

A nove  nozze  , & a.miglvor  marito. 
Poiché  la  Parcajl  primo  pedo  allenta. 
Di  Lodovico  II  Zio  %qfpdiv6ata. 


Z15.  E Lodovico  con-guerrìeramano  ' 
Ne  fcacciafijpr  l’ vfurpator  ballar  do, 
Loqual  poi  dal  poter  del  gran  Snidano 
Quafi  riforto  Anteo , fatto  gagliardo,  f 
Tornando  al  nido  , onde  fuggi  lontano. 
Fuga , rompe, feonfige  il  Savoiardo, 

E’I  regno  intero  aracquiftar  ne  viene, 
Ch'ai  dominio  LigulUco  s’atticuG, 


Canto  DEciMOQviNTO. 

^^4-  Per  confernjarfi  con  più  ftabil  forte  ■ 
Lofeettro  in  mano , e la  corona  in  tefta, 
D’Adria  prende  coftui  nobil  conforte. 

Ma  non  molto  però  gode  dì- qn^a. 

HI  la , del  giogo'fuó  fciolta-pcr  morte  ‘ 
Vedova  infieme  j e gravida  ne  retta 
E partorifoe  intempeftivo  pegno , 

Ond’a  V enccia  poi  ricade  il  regno. 

xtj.  C911  ftragc-alfin,cui  nònfia  pari  alcuna^  - 
Lo  (pietato  Ottomano  a forza  il  prende* 

V edi  quanto  alternar  fotto  la  Luna, 

Cosi  loftato-buinan  varia  vicende. 

Solo  per  te  non  girerà  Fortuna, 
Fortuna5ch*aItrui  dona, e toglie, c rende 
Ch'i^or,con  l’aureo  ftral,per farla  immotà? 
Inchioderà  la  fuavolubil  rota. 

12.6.  RirpondeAdonc,efifeIntantoticnc 
In  lei  le  luci  aflfettuofe  e pie. 

G Dea  gloria  immortai  de  le  mie  pene,  , 

E pena  eterna  de  le  glorie  mie, 

tal  da  ma  beltà  mi  viene  t 
Che  non  cerco  regnar  per  altre  vie. 
Fortunato , è pur  troppo  il  mio  penderò,  . 
Che  di  tanta  ricchezza  è theforiero. 

it?‘  Più  non  prefomo.i  miei  dedr  dedo  . .. 
D’altrui  dgnoreggiar  non  dgnoreggia. 
Ambition  non  nutre  il  petto  mio , 

Si  che  per  grado  infuperbir  ne  deggia, 

Finch*  eflali  lo  fpirito , voglio , 

Che  fòlo  il  grembo  tuo  da  la  miareggia* 

Se’l  regnodi  quel  conche  mi  donafti, 

C onier vato  mi  da , tanto  mi  batti. 


ij4  IL  RITORNO, 

iz8.  Altri  con  l’armi  pur  feguendo  vada 
Schiere  nemiche , e pace  unquanon  haggia« 
A me  l’arco  , e lo  fti  al  più  che  la  fpada 
Giova , e moftri  cacciar  di  pias;gia  in 
Più  che  la  reggia  il  bofco,e  piu  m’aggrada 
C he  l’ombrella  reai, l’ombra  felvaggia. 

Se  vuoi.fervi,c  vafl’alli, ecco  qui  tante 
Suddite  fere, e tributarie  piante. 

Per  quella  vita  { e credimi)ti  giuro 
Nulla  mi  caldi  porpore,  òthefori. 

Satio  delpoco  mio , fprezzo,^ non  curo 
L’oro  adorato , e gl’indorati  nonori. 

Nè  vò  fol  che  dite  vìvafecuro, 

Altre  genimc  più  fine , altr’oftri,altr’ori 
Di  quegli  ori,e  quegl’oftri , e que’  rubim. 
Onde  ingemmi  le  labra, indori  i crini. 

150.  E’bellosifnonpup  negarfiinvercO  . 

De  Timpero , e del  regno  il  nome,eT  pregio: 
Ma  l’incarco  del  regno , c del’lmpicro 
L’honor  ragguaglia  imperiali  i-Crte^io, 

Tra  catene  gemmate  è prigioniero- 
Chi  di  fcettrojC  diadema  hà  pompa,  c fregio. 
Oiogo  che  dolce  in  vifl:a,afpro , e protervo 
Rende  ilfuo  poflèflbr  publico  fervo. 

zji.  Quell’ altezza  reai,  quel  feggio  augufto 
Di  molle  feta,  e di  pij^pureo  panno, 

Chc’n  magion  ricca, e fpatiofa  ingiufto 
Preme  fovente  > c tumido  Tiranno.  -, 

E’  dipiùrifehi  e più  flagelli  onufto,. 

Che  di  povero  tetto  ignudo  feanno , 

E quel  ch’a  gli  occhi  altrui  par  fommo  bene, 
E’  rinfeKcita  di  chi  l’octicne, 

Pungow 


CANTO  DECIMOQVINTO. 

ija  » Pungono  il  dubbio  Cor  di  chi  governa 
Di  perpetuo  timor  fpinofe  curei 
E benché  rida  lla|marenza  efterna, 

N on  fon  le  gioie  me  fincere , e pure. 

Pafla  i di  chiari  in  ùn’angofcia  eterna, 
Vegghia  in  lunghi  penfier  le  notti  ofcurc> 
Sempre  tra  piume  molli, e menfe  liete 
O’  la  fame  gli  è rotta , ò la  quiete. 

a.3 3.  Falfe  relation, dubbi  configli,  ^ 

Infidie  occulte , immodferate  fpele. 

Di  popoli  incollanti  ire,e  fcompigll, 

Di  domeftici  fervi  odij , & ofFeie, 

Rifarcir  danni,riparar  perigli,  '• 

Contrattar  paci , efl'er citar  contefe. 

Quelli  fon  d’ogni  Principe  fublimc 
Gli  acuti  tarli,e  le  mordaci  lime. 

*34*  Quanto  s’inalza  più, più  d’alto  Icende 
La  fortunade^randi  a la  caduta; 

E regnà^tidò  talhora  anco  fi  prende 
In  tazzàA‘6rmortìferacicura. 

L’anima  miia, cui  miglior  brama  accende, 
Sorbir  altro  velen  filegna  e rifiuta 
Di  quel  dolce,  e vital , che  fenza  inganno 
I tuoi  lumi  innocenti  a ber  ini  danno. 

Quant’or  tra  le  lucenti,  e Wonde  arene 
Volge*  in  India , inHiberiail  Ganga,  il  Taga„ 
Quanto  n’accoglie  Scithia  entro  le  vene, 
Quanto  Mida  ne  fé  cupido  e vago, 

Non  mi  torrà  di  braccio  unqua  al  mio  bene, 
Sidi  modello  haver  l’animo  appago. 

Rapir  non  mi  potrà  tanto  theloro 
Giamai  fame  d’honor , nè  féte  d’oro. 


IL  f^ITORT^O, 


Z}6.  Pur  voler  mi  convien  ciò ’ch’a  te  piace  * 
Moderatrice  d’ogni  mioj>eiiiìero 
Guardimi  il  Ciel , ch’io  di  difdirci  auidace 
Ti  ne»hi  nel  mio  cor  Ubero  impero. 

Così  ravellaje  la  ribacia , « tace 
Il  fanciul  Infingano , e lufinghiero, 

E s’apparecchia  in  sii  la  prima  vfcita 
Del  mattutino  raggio  a la  partita.  ^ • ' 


*37.  Fornito  intanto  il  fuocaminritonido,  •' s 
Febo  nel  mar  d’Hefperiail  carro  imracrlc. 
Sorfe  fofca  laNdtte , e’I  pigro  mondo 
Sotto  l’ali  pacifiche  coverre. 

Chiufefonno  tranquillo, oblio  profondo 
MiU’qcchi  interra,  c mille  in  Ciel  n'apcrlè^ 
Forfè  fur  di  que’  duo  le  luci  belle. 

Che  fpcnto  il  Sole , illuminar  le  ftellc. 


li  Fin?  Dsl  Decimo  qjv  x n t o 


f r 


Ca  H T O 


ri  - 


^57 


A CORONA 


ANTO  PECTmOSESTO. 


ARGO  MENTO. 

ELLA,  dcfcrlttlone  del  Tempio 
di  Venere  fi  ombreggiano  di« 
verfiefFettìd’ Amore  , Nelle  due* 
^ G>  porte  principali  , l’una  d‘oro  f 

fiorita  , l’alcra  di  ferro  fpinola, 
fi  dimoftra  il  Tuo  inconiincla- 
dilettevole  col  fine  doiorofo.  Così 
*^^lÀ*alcre  particolarità  di  eflb  Tempio  fidifeo- 
P^<^xio  parirnente  P altre  coriditioni  della  fua 
^^tora.  Nella  elettione  d’Adone  aflunto  al 
fi  allude  all’antico  coftume  de’  popoli 
^^  *rlìani  , i quali  non  folevano  accettare  Rè, 

~ di  bella  prefenza  non  fufle,  perche  dai  fem- 
^*ati  del  corpo  argomentavano  le  qualità 
1 l'animo.  Nella  inalitia  di  Barrino , che  ru- 
la  Corona  ad  Adone,  s’ingegna  di  preoc- 
piargli  il  Regno  fi  difegna  il  vero  ritratto 
^^Xlafiraude  ,la  qual  cerca  di  prevalere  al  me- 
^ KD,  ma  alla  fine  ne  riefee  con  danno , & con  in- 
Nella infolenza di  Luciferno , faettato  & 
^^cifoda  Cupidine  per  voler  contravenire  alla 
^ XTpofitione  dell’Oracolo  fi  manifcfta  quanto  ia 
^ centi  l’humana  audacia  di  refiftere  alla 

Sx  ^Ina  volontà  , a cui  opponendofi  , ne  viene 
Azeramente  punita.  Nella  difEbrmita  di  Tri- 
nc  Cinofalo  , nano  , zoppo  , & contrafàtto, 
qual  trasformato  da  gl  incanti  di  Falfirena, 

viene 


cl^ 

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z$Ì 

viene  in  apparenza  di  bello  a concorrere  con 
gli  altri  all’acqulfto  della  Corona  , ma  difeo* 
verro  poi  per  opera  di  Venere,  ne  riceve  ver- 
gogna & ludibrio  , fi  figurano  le  brutture  de’ 
viti] , & de  coftumi  bcftlali  , nafeofte  dalla  ù- 
mulatione  fiotto  velo  di  bontà  , le  quali  però 
non  fanno , che  gli  ficelerati  non  vogliano  tal- 
hora  ambire  le  dignità , & afipirare  a gli  hono- 
ris maconoficiuti  ( mercè  dei  lume  della  verità) 
per  quel  che  fiono,  non  fiono  le  piti  voltene  ri- 
mangono eficlufi  \ ma  ne  fono  fickermei  dal 
mondo. 


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ARGOMENTO.  ‘ 


1 gratiojì , e nobili  T>on":(eUi 
incorre  alpO’Vagon  di'verfofluolo 

M.O,  merck  del  et  lyl'va  , Adone  ^ folo 
’Ejfitltett»  et  lo  jeettro  injret  ipik  belli. 


— "ELLE Z. 21 A jè  luce,  che  dal  fommo  Sola 
V-i  Difcendc  à rifehiarar  career  terreno, 
-J-J  E*u  vari  raggi  compartir  fi  fucrte, 
dove  più  lampeggia , cdove  meno. 
<Z^anc’hanno  di  leggiadro  attl,ò  parole  , 
"Tratto  è mercè  delTuo  fplendor  fereno, 
dhe  conforme  a quel  bel  ,ch’entro  fi  coprc^ 
le  fembianze  efteriori , e l’opre. 


Gemma  così , che  di  natie  fiammelle 
Sfavilla  , e di  color  vago  s’Inoftra , 
Celain  fue  penaprc  ancor  lucide c belle 
Virtù  corrifpondente  a quel  che  moftra- 
Q^uantunqu-C  il  Sol  jlaLama,claltreftclIe. 
Si^  chiari  oggetti  de  la  vifta  noftra, 
Fanno  a gli  occhi  però  vlfibil  fede 
D’altro  lume  maggior, che  non  fi  vede. 


. La  corporea  beltà  chiaro  argomento  ^ 

Suoldar  di  non  men  bella  alma  gcn^Ic,  ‘ “ 
Per  cento  inditi i dinotando  c cento 
Dì  nafeondere  in  sè  forma  fimilc. 

E quafi  velo  dilicato , dento, 

O’ qual  chriftallo  limpido,  e fottllc,  ’ ' 

Fà  traluccrdi  fuor  gl'interni  lumi 
De  figtiorili  , c canmdi  coftuxiù; 

" Bfi 


i4o  la  corona, 

4.  E fi  come  le  ricche , e nobil’arciie, 

.E levaflcllad’alahaftrojed’oro  . ' 

Non  di  maceria  YÌl  fi  cengon  carchc,  -- 
Ma  di  cofe  pregiare , e di  theforo , . 

E gemmati  monili , & auree  marche, 
Balfami , & ambre  (ol  ferbanfi  in  loro: 

Così  fotto  bei'  membri , e belle  forme 
Chiuder  non  fi  fuol  mai  fpirto  difforme-. 

5.  E come  i rozi  afFumigatitecti,  j 

E le  cafe  felvagge , & impagliare  { 

Non  fon  da  Regi  per  albergo  eletti, 

Avezzi  ad  habicar  logge  dorate:  . . / . 

Ma  fon  villani  e r uftici  ricetti  . * . - 

pibafic genti  ignobilmente  nate,  .a 
Cosìnelnidod’vnafpogliaofcura  . t 

Rade  volte  foggiorna  anima  pura. 

6.  Deh  qual  fi  può  fra  gli  ordini  mortali 
Bifeordanza  veder , che  men  convegna. 

Che  man  regger  talhor  verghe  reali, 
D’aratro  ancor, non  che  di  feettro  indegna? 
Et  horribili  Arpie , Sfingi  infernali 
Coronar  del  diadema , onde  fi  regna, 

E Tozze  fere , e contrafatti  moftri , 

Che  fifeòpron  poi  tali  a danninoftri? 

7.  Fa  ben  faggio  configlio,  e fanoavifo 
Quando  fìiin  Cipro  il  novo  Rege  eletto 
A non  voler  nel  regio  trono  affilo 
Huom  di  laido  fembiante , c rozo  afpctt©. 
Ma  chi  pei^ratia  , e nobiltà  di  vifo 

A sè  trahefle  il  popolare  affetto, 

Si  come  già  de  ramorpfapca  ^ 

- VOracoloimjpa^rai  aecifb  havcal  *• 

L’editto 


4 


CANTÒ  DEÒIMO.SESTO.;  141 

S.  L’editto  intanto  de  la  Dea  di  Gnido 
In  ogni  angolo  eftremo  il  mondo  intefe, 

E poi  de  la  Fama  il  chìaro^rido 
Di  volgandol  per  tut  to,  il  fò  palelc. 

Mi ll’alme  in  quefto  e’n  quel  remoto  lido 
Vano  delio  d’ambitione  accefe  ; 

Nè  dal  contorno  fol  l’Arabo,  e’I  Siro, 
confin  più  ripofti  il  fuon  n’udiro. 

Le  vicine  contrade',  c le  lontane 
L’odon  dal  Tanai  al  Nil,  dal  Gange  al  Betì 
• Region,  nation  non  vi  rimane 
Perquanto^e  fcalda  Apollo,  e bagna Theti.  , 
Carchi  di  turbe  già  Barbare  e ftranc 
Battoli  le  penne  i volatori  abeti. 

Homai  di  Cipro  è ricovcrca,  e piena 
Di  navi,  e pàdiglion  l’onda,  c l’arena 

10.  Può  tutta  in  breve  l’Ifola  vederli  i z' 

Ripopolata  diftranierc  genti, 

La  mifturadc  gli  habitidiverlì, 

E la  confulìon  de’ vari  accenti 
Da  i Mori  i Tliraci,  e da  gl’Iberi  i Perii 
Moftran  quanto!  coftumi  handifFerentI, 
Ingombran  mille  lingue,  c mille  affetti  1 
Di  voci  Paure,  c di  pcnlierii  petti. 

11.  Mentre  a quefto  concorfo  ondeggia  il  regno 
E la  Corte  ne  va  tutta  folTopra, 

Chi  ne  la  propria  tenda,  e chi  sù’l  legno 
Ciafeun  fuo  ftudio  in  abbellirli  adopra, 

E con  vari  argomenti  ufa  l’ingegno, 

Per  far  che  1’  ogni  difetto  copra, 

E U leraurce  fcrmadi  N atura  ^ 

, Con  l’iwiiu  a xiatar  icaltro  procura. 

< ytH,  ìL  h Coisie 


LA  CORONA, 

II.  Come  s’entrar  talhor  cauto  Guerriera 
Deve  a pugnar  ne  la  (barrata  piazza, 

Terge  il  fin’elmo,  impiuma  il  bel  cimiero, 
Guarda  fé  ben  chiodata  è la  corazza  i 
Prova  lo  feudo,  vifita  il  deftriero, 

L’haftato  ferro,  e la  ferrata  mazza , ^ 

La  punta  al  brando  aguzza,  il  taglio  arrota, 
E le  tempre  del  ferro  olferva  e nota» 

jy  Cosi  quivi  d’Amor  piu  d’un  Campienc  ^ 

Sfidato  quali  a militar  paleftra, 

Pria  che  s’efponga  al  perigliofo  agone , . 

Se  llcllb  a i colpi  eflercitando  addeltra. 

La  diligenzai  gefti  fuoi  compone  , 

La  baldanza  il  configlia,  e l’aramaeftra  ; 
Beltà,  ch’à  tanta  imprefa  il  move  c tira. 
L’armi  gli  apprefta,  ond’a  vittoria  afpira, 

A 

J4«  Chi  nodi  accrefceal  crin,  colori  al  volto. 
Chi  da  legge  a lo  fguardo,  c moto  al  piede. 
Chi gratia  aggiu^e agli  atti,e’n s’è raccolto 
Ogni  lor  parte  eliamina.  e rivede. 

E del  tutto  librando  il  poco  e’I  molto. 

Ciò  che  manca  corregge , e ciò  ch’eccede? 

E quanto  c d’huopoiad  emendare  il  fallo 
Inlegna  altrui  l’adulator  criftallo. 

i;.  O vanità  mortai,  gloria  de’folll, 

Che  ti  compiaci  d’unsìfragil  velo , 

Ond’è,  che  tanto  il  cieco  orgoglio  eftolli. 
Neve  al  Sol,  piumaal  vento,  e fiero  al  gel6| 
Tu  d’infana  fuperbiae  ebri  efatolli 
Scacclafti  i più  begli  Angeli  dal  Cielo, 

Per  te  nebbia  de  l’almc  ofeura  c ria 
La  creatura  il  Creatore  oblia. 


Povei^ 


CANTO  DECIMOSESTO,  i4| 

f^.  Poveri  fpecchi,  s’intelletco  haveftc 
V oi,  che  di  tanto  mal miniftri  fiete  « 

Che  pria  vi  fabrìcò  maledirefte  > 

Schivi  horaai  di  veder  ciò  che  vedete 
Come  il  contagio,  oimè  di  quella  pelle  4 
Di  cui  talhor  Tìmprelfion  prendete , 

Del  voftrobel  candor  macchiato  c tetro 
Non  corrompe  laluce,  cromptil  vetro! 

tj.  Parlo  a voi,  di  voi  ftelTì  innamorati,  ^ 

O novell’ Luciferi,  c Narcifi , 

Tanto  dal  proprio  amore  effeminati. 

Che  non  pur  de  le  Donne  atti,  e forrili, 

Mà  v’havetc  anco  homai  tutti  ufurpati 
Gli  ornamenti  de  gli  hablii,  e de’  ' ili. 
Curando  più  che  trattar  fpade,  ò lance. 
Nutrirle  chiome,  e cultivar  leguan:e. 

tS.  E parlo  ò Donne  a voi,  che  tanta  cura 
Ponete  in  llemprar  gomme  , in  ftillar’acquc 
Per  cancellarla  naturai  figura, 

Ch’a  reterno  Pittor  diformar  piacquei 
Vera  beltà  fi  lava  inonda  pura. 

Quella  imagin  ritien,  che  feco  nacque. 

Ogni  lifeio  dUprezza,  e’ncura,  e fchierra 
Quanto  s’adorna  men,  vie  più  diletta.j 

l;p.  Mà  ben  di  cotal’opra  affai  foventc  r 

Come  voftraefraude, è voftro  il  danno, 
Poich’al  fin  quel  velen  forte  e nocentc 
Rodendo  la  beltà,  feopre  l’inganno, 
Ond’alcun,  che  per  vai  ne  Ialina  fentc, 
O’forfe  fentiria  pena  & affanno, 

Mà  tofeo  tal  contaminare  e guafle 
Non  Vlià  per  belle , e noiikvi  tien  percafte. 

j;  & Penlàtd 


144 


• > 


LA  CORONA, 

IO.  Pcnfate  forfè  voi  queft’arLi  ìnduftl’i 

Tener  (dehftolte)  adocchio  accorto  afeofè 
Ben  clafcun  vede  in  quelle  chiome  illuftri 

Qual  fofiftico  il  zolfo  oro  compofei 

Da  qual  giardino  il  volto  hebbe  iliguftri» 

E colfe  a prezzo  le  mentite  rofei 
E qual  pennel  d’adultero  cinnabro  ■ 

Penò  lung’hora  a colorirvi  il  labro.  ' '*■ 

Tentan  coftor  con  artifici  infiniti 
' Di  tefier  velo  a le  bellezze  vere.  ' 

Perche  l’arbitrio  altrui,  còsi  dipinti. 

Sperano  a lor  favor  meglio  ottenere. 

Con  quelle  cure  a la  gran  prova  accinti 
Van  lufingando  le  fperanze  altere,  * 

E contanl'hore  in  afpcttar  di  quella 
Sacra  folen  nità  l’ Albariovella. . 

Zt-  Et  ecco  fuor  de  la  {Iellata  reggia 

Ne  vien  del  Sol  l’ambafciadi  ice,  è figlia, 

I E nel  paterno  fpecchio  fi  vagheggia. 

I Tutta  di  minio  Orientai  vermiglia 

Già  de  la  N otte , mentre  il  dì  lampeggia , . 
Fugge  la  pigra,  e pallida  famiglia  i 
■'  Dela  notte,  che  vinta  dagli  arbori 
j Piagne,  e dal  pianto  fuo  ridono  i fiori.  ' 

aj.  Sorge  nel  mezo  a la  rcal  cittate 

Tempio,  cui  non  ereflc  Efefo  eguale.  ' 
Ha  di  terfi  diafpri  edificate  ' ' ' 

Le  valle  foglie,  e le  fuperbe  fcalc. 

Lallre  di  fmalto,  c tegole  dorate  ' ^ ' 

V ellono  il  tetto  di  ricchezza  talè  , 

Che  vibra  lampi,  e folgora  fpleridori 

De  la  luce  del  Sole  zinicàcori  f 

.v;tò 


■w 


r.4>ITO  C I M OSE  STO. 

tv  NVaàue^otte  maeftrej  a l’altrui  piede 
\l\iwaV cattata,  e l’altra  apre  rufcica. 

L’uuadi  lucid’ or , 1 ’altra  fi  vede 
D’uu^mofo  eil  ferro  rcolpita. 
QueDalaftradaal  per egrin concede 
Di  rofa,  c lofmarin  tutta  fiorita. 

Qu'-fta  lappole,  e dumi  intorno  aduna , 

E difpine,  e d’ortiche  il  varco  impruna. 

1/.  le  vetrlate  di  chriftallo  alpino  ^ 

Moftrano  colorite  a i rai  celefti 
D’Indico  azurro,  e di  vermiglio  fino 
De*Guerricrid’Amor  le  vite,ei  gefti. 

Di  Cimitero  in  vece,  hauvi  un  Giardino 
Nondiciprefli  tragici  e funeftì, 

Màdibei  mirti,  in  cui  canta  Thalla, 
Nè-Ventra  mai  la  flebile  Elegia- 

x6.  Le  fquillc,  il  cui  romor  quivi  rimbomba, 
Son  cetre,  & arpe,  e cennamelle,  e lire. 

Con  fiion  poflènte  a trarre  altrui  di  tomba, 

E sì  dolce  piacevole  ad  udire, 

Ch’a  qual  Guerrier  più  franco  odiar  la  trom- 
Farcbbe,  c depor  l’armi,  e cader  Tire , (ba 

Elafciandodi  Marce  i piacer  fcarfi, 

Del  Delubro  d*  Amor  miulttro  farli. 

17.  Il  campami,  fublime  e noWI’opra,  . 

Forma  un  leggiadro  ottangolo  perfetto 
Et  otto  colonnette  hauvi  difopra , 

Che  di  lazulo  fon  forbito  e netto  j 
B fà,  ch’un  gran  turribulo  ricopra 
L’ultima  cima  ovefinifee  il  tetto, 

E gli  otto  fpatii  voti  hand’alabaftri 
Statue  fcolpltc  da  famofi  madri. 

L i 


IPor- 


14«  LA  CORONA, 

x8.  I Portici  d’intorno , e l’Attio , e’I  ChoiQ 
Son  colonnati  al  l’ufo  di  Corinto. 

De  le  colonne,  e d’ogni  ferie  loro 
L’ordine  a fila  a fila  è ben  diftinto. 

Di  mifchlo  il  butto,  & ha  di  bronzo , & d*or^ 
Ciafcun  il  piè  calzato,  e’I  capo  cintoi 
E le  mura  non  men  tutte  compottc 
Kan  di  marmi  finiflìmi  le  erotte  ^ 

19.  Pria  che  fi  giunga  al  principale  altare* 

Di  mirto  un  ramofcel  con  l’onda  viva 
D’un  fonte  pien  di  lagrimette  amare 
Spruzza  la  fronte  al  pattaggier  ch’arriva* 
Cento  lumiere  intorno  ardenti,  e chiare 
In  aurei candelierfacrealaDiva, 

E tento  appefe  lampe  in  forma  d’urne 
Fregian  di  luce,  e d’or  l’ombre  notturno*  . 

Innanzi  a l’ara,  ove  labella  imago  ' i s 
Sta  di  Ciprigna,un  tripode  d’argcntO'l 
Le  fiamme,  ond’arfer  già  Troja,  c CartagQ. 
Nutrifee  d’odorifero  alimento*, 

E quell’ardor,  che  femprc  vivo , e vago 
Per  volger  di  ttagion  non  è mai  fpento* 

E di  fiumifoavi  innebriailfenfo 

Rofa  è la  mira,  e gelfomin  l’inccniòw . i 

ji.  Là  dove  il luttre  di  materia,  e d’arte  ' 
Gran  lume  il  tabernacolo  diffonde, 
L’amorofe  reliquie  in  chiufa  parte  : •: 
Santuario  profano  in  fenoafeonde,  . 

DI  mute  cere,  e di  loquaci  carte  vT-: 

- Ritratti  vivi,  e lettere  faconde , > j' 

Naftri  di  feta,  e trecce  di  capelli, 

Guanti  odorati,  c pretiofi  anelli. 

• Et 


C’UNTO  I5ECIMOSESTO.  t+7 

ftampe,  Indiche  vene, 
e rol^  «di  «diamanti, 

Auree  ciivte,  c matilgli,  auree  catene,  i 

Vià\  refug^v  de’  devoti  amanti. 

Co/è,  che  fogiion  far  ne  raltrnipene 
Miracoli  maggior,  clae  preghi,  è pianti^ 

£ più  eh’ antica  ò Tervituce  , òfeHe, 

Impetrano  in  Amor  gratin,  e mercede, 

jj.  A/e i’eccelfc pareti,  e’n  quelle, e’n quell» 
Ricche  cornici,  e di  bei  fregi  ornate 
Mille  votive  imagi  ni  e tabelle 
Serban  memoria  de  T altrui  pictatc. 

Cantan  verfid’Amor  Donne,  e Donzelle, 

Che  vago  afpetto  infienie,  e voci  han  grate, 
Guardai! Genio  i lor  chloftri e cuiVin'nqjr 
E Priapo  hortolan  ne  tien  la  cliiave. 

J4.  A gli  egri  afflitti,  a i poveri  Infelici, 
Gh’accattandel  gran  Tempio  insule  porte, 
Donan  le  belle  Ninfe  habitratici 
Sguardi,  rifi,  piacer  di  varia  forte. 

Così  la  lor  pietade  ufa  i mendici 
lUftorar,  e cibar  vicini  a mortci 
Quefte  le  gratle  fon,  ch’a  tutte  l’hotc. 
Comparte  lor  la  cortd'u  d’Ainore. 

35.  A SI  fatta  magione  il  pie  drizzato 
Giunto  il  di  ftabiVito-,  i Giudicanti. 
Memorabil  Giudicio,  e non  mcn  chiaro 
Di  quel  ch’Ida  mirò  molt’auni  avantii 
Se  non  ch’uni? aftorel  non  Va  di  paro 
Con  Senatori,  e Satrapi  cotanti  i 
E fanno  in  parte  differir  reHèmpIo 
Xrà  fuo  fem  verfi  il  bofeo,  e’I  Tempio, 


Del 


Z4*  XA  CORONA,’  - 

36.  Del  gran  Palaggio  a lenti  pafci  ufciròi  ^ 

E con  ordii!  diftinto  in  fila  doppia 

La  città  circondando  in  largo  giro, 

Fcr  di  sè  lunga  linea  acoppia  a coppia. 
Crotali  intanto,  e pifFew  s’udiro. 

Già  fcjuilla  il  corno,  e già  la  tromba  fcoppia 
Strider  fan  l’aure  mattutine  e frefche 
Barbare  pive,  e buccine  more! che. 

37.  Precedon  ne  l’andar  due  tolte  lèi 
Sùbenbarbati,&ottìmi  cavalli 
Leggiadri  Araldi,  & altrctanti  a pici 
Con  nacchere,  bufl'on,  tibie,  e laballL 
Fregiati  i pennoncelli  lian  di  trofei 
Gli  ftrepitofi  lor  cavimetalU*, 

E piarehe  Citherea  nacfjue  da  flutti , 
E’ceruleo  il  color  che  vcfton  tutti. 

38.  PalTan  poi  mille  in  bipartita  lifta  £ ■ 
Armati  Cavalieri  insù  gli  arcioni.^ 

Trà’quai  h cima  tuttaè  fparfa  e mifta 
De’Primaci  del  regno,  e de’Baroni. 

Fan  tra  gK  arnefi  lor  fuperba  vifta 
Stocchi  aurati,  hafte  aurate,  aurati  rproni, 
Mà  de  le  fovrarefti  han  la  divifa 
Pur  colorata  a la  primiera  guifa. 

35».  Con  l’ifiefl'a Kvrea  fuccedon  cento 
' Valletti  eletti,  e nobili  donzelli. 

Baccini  in  una  manportan  d'argento. 
Sanguinofi  ne  l’altra  hanno  i coltelli. 

Fumai!  tepidi  i vali,  &hauvi  dentro 
Diverfi  cori  di  Tvenati  augelli , 

Sacrificio  più  bel,  che’l  Hecatombe, 

Pafl'ere,  e Galli,  cTortore,  e Colombe. 

Due 


CANTO  DECIMOSESTO.  X4^ 

4*0.  Due  fquadrc  indi  accopìate  in  ordlii  vanno 
Di  cacciacrici,  e fagitcarie  Arciere , 

Che  fovra  gonne  di  purpureo  panno 
Vefton  di  bianco  lin  cotte  leggiere. 

Han  gli  archi  al  tergo  , e le  faretre , & hanno 
Di  carboni  dorati,  e parte  Ibere 
Ne  la  candidaman  piena  una  coppa, 

Tutte  fuddate  la  fmiftra  poppa, 

41.  Poi  da  quattro  Leonze  un  carro  tratto^  : 
Alanfuete,  e domeftiche  ne  viene, 

La  dove  un  vafo  aliai  capace,  e fatto 
.A'  guifa  d’incenfier,  le  brage  tiene. 

, Brage  di  facro  foco , in  cui  disfatto 

’ L'holocaufto  amorofo  arder  conviene, 

E tanti  fon  gli  aromatijch’anhela  , 

Che  di  nebbia  d’odor  l’aria  fi  vela. 

41.  Dietro  a querta  quadriga , il  fianco  cinto 
Pur  coiBC’Paltre,  di  turcaflì,  c frece,  ^ 

Con  braccia  ignudo,  c tunichc  fucdnte. 

E con  fciolte,  c’nghirlandate  trecce, 

L’una  con  l’altra  a mano  a mano  avintc 
Verginelle  fclvagge,  e bofchorecce 
V engon  danzando  , e’n  su  le  terte  bioiide 
Han  panieri  di  frutti,  e fiori,  e fronde. 

43,  Movon  dagli  anni  indebolito  elaflb  ù 
Con  lunghimmeftole  a terrartefe 
L’antkhc  poi  Sacerdotefie  II  paffò, 

E foftengono  in  ir.an  fiaccole  accefi:  > 

E con  un  mormorio  languido  è bado 
Tralor  notcalcerandoa  penaintefe. 

In  lode  de  la  Dea  formano  intanto  * 

^ y crii  diveyfii  5 fon  diverfo  canto, 

l»  i Dopo 


44*  Dofo  coftoro  in  hablto  vermiglio 
(E  fon  cento  Vecchioni)  ecco  il  SenatOi 
Perche  dapoi  chc’l  Rè  fenx’altro  figlio 
Sodisfece  a Natura,  e cede  al  fato 
Tofto  fu  d’ordinar  prefoconfiglioj 
In  forma  di  Republica  lo  fiato. 

Vengon  togati  di  prolifl'e  vefii. 

E’I  giudicio  di  fupremo  è dato  aquefti»- 

45.  L’ultima  cofa  è la  reale  ombrella'  ‘ 

D’un  riccio  Sorian  tefluto  a foglie. 

Il  venerando  aftreovien  Cotto  quelfa 
D’aurea  mitra  porapofo,  e d’auree fpogli^ 
Cos'idi  Ciproil Viceré  s’appellaj 
In  cui  pari  a l’età  Cenno  s’accoglie.. 

Quelli  di  doppio  grado  aliai  ben  de^^no 
Regge  U gran  Sacerdodo^e’nfiemen  Regno» 

4^,  La  corona,  e lo  Cccttro  ha  in  raancofiu^.- 
Ch’al  Rè  novello  conCegnar  fi  deve} 

Jdà  però  che  la  forza  è feema  in  lui, 

E’I  ricco  peCo  olire  miCuraè  greve  . 

Di  qua,  di  là , da  dui  minifiri  e dui 
Et  appoggio,  & aita  egli  riceve  }* 

E d’altra  gente  a piè  Barbara , e Grecai 
Gran  turba  popolar  dietro  fi  reca. 

47.  Di  diamante  angolar  da  dotta  lima’ 

Fatto  è lo  feettro,  epiiTche’l  regnGvalci. 

Un  pomo  hàdi  rubino  in  sùlacima,^ 

1 1 manico  è d’IaCpe  Orientale; 

. Jkla  la  corona , c ne  non  trova  fiima^,  S 

Vede  di  sfavillar  di  luce  tale 
’*ìCh’al  mezo  di  piu  chiaro,  e più  lero» 
Lacoronadel  SoIfiamineggiaineiao^  ■ 


CANTO  I^^CIMosBsto. 

48.  In  trenta  merli  <11  fin'or  maniccio 
^ Del bcldiademail cerchio  ^ compartiedj 
Per  l’orlo  cfterior  lerpe  un  viticcio 
Di  e,rofl'e  per  le,  e candide  arricchirò, 

tr^  r\  m 


Con  cui  commcfto  di  lavor  pofticcio 
Fregio  s’attorce  d^altre  gemme  ordito 
Etràlor  quafi  Re,  vie  più  che  lampa 
Smifararo  carbon  nel  mezo  avampa  " 


49.  Havea  l’Or  aeoi  de  la  Dea  d’ Adone 
Quando  pronunciò  l’alta  rilpofra 
Ordinato,  chc’ldìdc  la  tenzone 
Pufs’ella  in  mano  a la  fua  ftatua  pofta> 
S\  ch’en  prova  develVe  a la  ragione  * 
Dicialcun  gareggiante  caer'cfpofta. 
Perche  di  propria  man  la  ftatua iftcJa 
Intefta  il  vincitor  l’havrebbe  meflà 


-o.  d’ Aftreo,ma  da  man  delira  In  fcliierai 
^ Come  colei,  che  fu  del  Kè  germana, 
Vienfene  con  piè  grave,  e fronte  altera 
la  fnperbiadel  Nil  Donna  fovrana. 

Staffi  in  gran  dubbio,  e pur  nel  regno  fpera 
lAìx  contro  il  Ciel  ogni  Tua  Tpeiiie  è vana. 

Spera  però,  fe  novità  Ciiccede, 
pa  farlene  giurar  libera  herede.. 

pel  regio  baldacchin  da  quattro  canti 
^ 1 quatto  aurei  bafton  porran  per  via 

Quattro  i maggior  Prefetti,  eGovernancr 
Che’h  quattro  città  prime  han  lìgnoria.  ^ 
Van  Salamìna,  e Famagofta  avanti , 

Seguono  Pafo  appreflo,  e Nicolìa.  * 
j : ài  numero  commuii  fola  Amathim'ta  " ’ 
^^omecapo  Metropoli,  e difgim^jpa^ 

^ è Qiiini< 


.51  LA  CORONA, 

51.  Quinci  c quindi fann’ala , e d’aniho  ifiancH 
Quafi  cuftodi  de  gli  arncfi  regi, 

Vanno  non  raende’primi  arditi  e franchi 
Altri  duo  groppi  di  Guerrieri  egregi. 

Bianchi  ulDerghi,elmi  bianchi, e cimierbìan- 
Staffe,  barde,  teftiere,  e.freni,  e fregi,  (chi, 
Ogni  propria  armatura,  ogni  ornamento 
De’lor  deftrieri  han  di  brunito  argento. 

53.  Consì  fatta  ordinanza,  e’nqueftaguifa 
Poiché  nel  facro  albergo  entrati  furo 
Tutta  la  bella  ferie  in  due  divifa. 

S’aperfe  inmezo,  cfiritralTe  almuro,  ‘ 

E’I  carro,  ove  dievea  con  l’hoftia  uccifa 
Arder  l’incendio  immaculato,  e puro. 

Col  vafo,  che  d’odori  il  tutto  fparfe. 

Innanzi  al  grand’alzar  venne  a fèrmarfe. 

54.  In  capo  a l’empie  fpatiofe  navi 

Del  nobil  Tempio,  ov’è  tanc’artc  accolta* 
Sovra  quattro  pilleri  immenfi  e gravi 
La  cappella  maggior  curva  la  volta  ; 

E da  quattro  grand’ar  chi,  e quattro  travi  • 
La  fua  mirabil  cupula  è fuffolta. 

Aperta  in  cima  onde  l’eccelfa  mole 
Per  un  grand’occhio  fol  riceve  ji^ole, 

f 

55.  Sotto  quella  tribuna  è l’altar  grande 
ineortinatod’un  trapunto  eftiano, 

E di  crefpo  broccato  intorno  frande 
A quattro  volti  un  padiglion  fovranoi 
E vi  fi  può  falir  da  quattro  bande 
Per  dodici  fcalin  d’avorio  piano. 

Cinti  di  feggi , e balauftri  aurati. 

Dov’han  pofda  a federe  i Z^gUlrati* 


CANTO  OEGiMOsesto 

56.  CLulvi  iii  trono  cmitiente 

Barbaro  drappo  intapezv a,-  * Pompofo 
Siede  d’oro  forbito  c pìerr^r^  incora 
La  ftatua  de  la  Dca,ch‘ivi  «1*  j 
Et  ha  quel  pomo  in  mari  taif. 
Cli’ii^rtiorralmentc  i fuoi  • ^ «mo/b, 
Tuttaìgnuda  fbrmoUaU  *^*^*°*^^ Sonora. 

Se  non  quanto  la  cinge  Ut?vercTlefeó°' 

j7.  Siviva  è quellaeffigie  -.=  )r- 
Che  quafi  adhot’adlS,r  r,  * ‘P“'ante, 

Nè  vi  paffa  Romeo , „è 
Chenonriuianga  ftuoid^ 

E tal  tniralla , che  fnrH  “ '"''"'■‘‘■i 

, di  notte 

E coniarci vo  ardore  ciarla, 

’ «™ce 

Che  come  fuole  acciar  ’ 

Hi  virtù  di  tirar  chi  più 
^Pl?,SP‘P“ve  ineftinguib^ft""• 

?&c;Tp|‘‘rm^^“"«'■-««■ 

Comefeririicorvo^atrra!'"^- 

JJI.  Tofto  ch’l  facro  carro  ivi  f,  pof. 

Ayez|a^r”Fa|i;&tÓ“f“^^^ 

WviciaaaUegreVilifP^ 


LA  CORONA, 

60.  E’I  fino  fpecclno  di  diamante  terfdi- 
Che  rtfplendca  nel  pettoral  d’Aftreo, 

In  cui  fovente  il  popolo  converfo 
Ogni  evento  augurava  ò bono , o reo: 

E quallior  fofco  , ò pur  di  fangue  afperfo 
Rendea’l  color , fecondo  l’ulb  Hebreo, 
Temea  di  morte , ò danno  altro  futuro» 
Videfi  lampeggiar  lucido  e puro. 

61.  Hor  per  l’eburnea fcala  immantenentc 
Pieflb  a l’Idolo  Aftreo  poggiato  folo» 
Piegò  con  humil’atto  e reverente 

La  fronte  al  petto , eie  ginocchia  al  fuolo^ 
E mentre  chino  ancor  de  l’altra  gente 
Nel  piano  infcrior  fremealo  ftuolo. 

De  la  ricca  thiara  i facri  arredi  ^ 

Tolfe  a la  cliioma , e fola  pofe  a i piédir 

éi.  Sovra  l’ultimo  grado  inginoechiofli» 

E vi  fé  varie  offerte  a fuon  d’Araldi, 

De’  coralli  purpurei  i rami  groffi  ^ 

Con  copia  di  berilli , e dijineraldi, 

De’  papaveri  molli  i capi  rofll. 

Cofe,  che  fan  d’amor  gli  animi  caldi, 

Pofe  su  Para  , e poi  tra  mille  odori 
Diede  a le  fiamme  gli  Ibranati  corL 

Offerto  al  fine, e confumato  il  dono, 
Celsò  l’alto  bilbiglio , e’I  popol  tacque,  ^ 
Efattopaufainun  momento  al  fuono,, 
Improvifo  filentio  entro  vi  nacque. 
Allhora  I lumi  folle vando  al  trono,, 
di  affifsò  ne  la  Dea, parto  de  l’acqucj 
E congiunte  le  palme  il  Sacerdote 
J.apiefc  a fupplicai^on  quelle  note  * 


CAMTO  r»EClM  OS  ESTO. 

Lucccicl^erxoCiel , pietofa  Diva, 
n’o<^ai  etVer><i’ognl  ben- foncé  fecondo, 
VÌvS,c  vital  principio-,  onde  deriva 
nuani’bà  di  bel,cj«ant*hà  di-dolce  il  mondo^ 
^edc  tu.a  virtù  generativa 
•oinplV’  aria  yla  terra,c’l  mar  profondo,  . 
Anime  , e corpi,mifti,&:  elementi; 

Lineaina naortal  de’  feco li  correnti.  - % 


,,  Tu,cbe  le  c(^e,ò  venerabil  madre 
' palane  ce  flità , tutte  mantieni, 
p^iecclcfti  > eie  terreftri  fquadre 
^onpur  laCsù,  quaggiù  ftringi,&  affrenf^ 
con  leggi  d’Amor  care  e leggiadre 
jtjoracnto  di  concordia  , le’n  careni, 
^odiiia  , Amathufia , e Cìtherea.. 

^g\na  de’  piacer, ¥ ilo m-idea, 

46.-  qiiefti fiori, e quelli  odorr,e  quelli 

*5acrilici  devoti  in  grado  boi*  togli, 

■g^Vantica  corona , accioche  rcfti 

ploggi  alplùdegnojin  propria  mano  accogli^ 

•Xn  la  dona  a cmai , che  prometteflrì, 

Tu  de’  noftri  penlìeri  il  dubbio  fciogll, 
Scoprine  tud’un  suimero  infinito 
per  noftro  meglio, il  più  da  te  graditOè. 

^•7 . Citta  feniA  fignor , lenza  governo  t 
Cade  qual  mole  Cuoi  fenza  foftegno; 
piacciati  dunque©  con  alcun  fuperno-- 
Segno  moftrarne  a cui  fi  deggia  il  regno* 

O colbel  lume  del  tuo  foco  eterno 
. lliuftrar  tanto  l noftraofcuro  ingegno, 
Cb’dcggcr  iappiaalmenfugaetto,incui 
Sia  la  tua  gloria , c la  JCàlutc  dritti. 

Jacclucj 


ìs'd  L A GORON  Ar  ' ‘ 

68.  Tacque , e’I  Diadema  lucido, e pefantc 
A la  madre  alleo  nò  dèi  cieco  Dio, 

E da  mille  ftforaeini  in  un’inftantc  v 
11  bel  concerto  replicar  s’udio 
Mentrefornian  le  cerimonie  fante,  * 

E de  riti  lollénni  il  culto  pio. 

Stando  tutti  a mirarla  ftatua bella, 

Publica  meraviglia  apparve  in  quella.  ) 

69.  Vidcrlefcritteà  piè  da  tutti  intefe  * • 

Lettre , che  contcnean  quello  concetto.  ' 

Che  mi  torràdi  mano  il  ricco  arnefc 

Per  decreto  fatai  fia  Rege  eletto. 

Novo  lluporei  riguardanti  prcfe 
Quando  quel  breve  fù  veduto, e letto. 

Alza  ognun  gli  occhi , e i gridi  a la  corona. 
Trema  il  Tempio  al  romor , l’aria  fona. 

70.  L’uno  a gara  de  l’altro  allhoi  primiero 
Volea  por  mano  a lafublimc  imprefa. 

Onde  tra  quei, che  pretendean  l'impero, 

A nafcer  cominciò  lite  e contefa. 

Allreo, ch’ai  ben  commiine  havea’l  penficro, 
Veggendo  in  lor  tanta  difcprdiaaccefa. 

Sì  fece  avante , e con  si  fatti  accenti 
IbiJfbigli  acquetò  di  quelle  genti, 

71.  Molto  del  voftro  ardir  mi  meravigliò 
O voi  che’n  van  v’affaticate  tanto, 

Ofando  andar  contro  il  divin  co'nfìglio 
Manifellato  in  quello  giorno  fante. 

Render  à Citherea  gratie , & al  figlìo- 
Devrefte  alzando  al  Ciclo  il  corc,e’Lcanto^ 
Che  degnati  lì  fon  vilibilmentc 

Qn  nairacol  molljaj:  tanro.evid^gtc.  - 

£ voi 


canto 

**'^05Esro 

1.  E voi  co  1 CUI  Cozzate  , 

Dicontraporvi  a In  t>  ^ ^P^'crutnct 


Dicontraporvi  alaR * ^P*'crun 
ConturbarvdiolapÙKir  no/^ra^ 
Quando  si  chiaro';  1 r:.  ^ 


Quj  - _ 

Rabbia  nulla  a volc^^  voler  fi  mofira 
0' la  pollanca , ò la  «credete 

Nobiltà,  fisnoria  , \ofira, 

Scnonvi  o^amaa  ciut*f> 

^Sucrtorccctroilfaco, 

7j.*Nonè  fcrutinio  on,.o. 

In  cui  pofTa  giovaiMfraiiJ?  ’ Baroni, 

Chccin  Frastiche 

Cerchi  di  Tuperar  la  cr^V, 

0’ tenti  altrui  di  Tubornar  conT"** 

Per  ottener  le  voci  a 

^'7 r f™rfovrT.a 

Atta,  àiverfi  fonda*  noftri 


Quando  s\  chiaro  il  ^*JÌetc 

iìiabbia  nulla  a voler  fi  mofira. 


mondo  del  cSnofcetlo  n*è  ap «to. 
Quantunque  il  nome  ancor  no^firivcW 
Habbmoptr  deftin  corta  nte  c certo  , 
^eftycntenxa  in  fomma  i fnoi 

Che  da  la  Dea  fu  fcclto  , e dal  fì^livo^^ 


7^.  E bcn^ch  cgnuii  con  ixnpctoh 
Per  venir  quanto  prima  al  gran  par^i^^ 

Itjonhavrete  però  ne  la  prova 

(S’clla non vcl  concede ^alcu.nvant»*'^^^  ^*3^'* 

tfc  quel  che  cerchÌam,non  f\ 

• O’nonl  ha  ancor  prodotto  bu.rt\àl<^l^ 

VoAro  malgrado  ancora, Kuopo  vi 
fin’a  tanto  alpe  ctar  , chic  nato  ci  ha* 


LA  CORONA, 


7 6.  Sarà  dunque  il  miglior,  che  fi  fopiCca 
La  controverfia  homai,chc  vi  trattiene, 

E che  ciafeuno  al  Ciel  pronto  ubbìdifea. 
Che  sa  meglio  di  voi  ciò  che  conviene. 

Qui  fa  punto  al  parlar , nè  v’hà  chi  ardifea 
D’opporfi  a quel, eh’ ei  configliò  sì  bene. 
Allhora  feco  in  sù  l’aurato  fcanno 
Cento  barbe  canute  a feder  vanno. 


77.  La  baffa  plebe  da  le  guardie  efclufa 

Ne  la  gran  piallale  novelle  arrendei 
E d’ogni  moto  altrui  ( com’è  femp’s’ufa) 
Intenta  a prova , e curioCa  pende  i 
E n’e  Tuoi  voti  garrula , c confufa 
Con  difeorde  parer  tra  fe  contende  > 
Chc’n  ogni  afwr  fententiando  il  vero^ 
Vuol  quafi  Tempre  il  vulgo  effer  primiera 


78.  FùCupidoro Principe  d’Epiro 

Il  primo  à comparir  de’  pretendenti. 
Erano  gli  occhi  d’un  gentil  zaffiro,  . 

Sovra  cui  fi  fporgean  ciglia  ridenà. 

Eran  le  labra  delcolor  dlTiro. 

Sotto  cui  fi  chiudean  perle  lucenti. 
Havea  fguardo  benigno , andar  fiiperb^» 
Fanclul  maturo , e giovinetto  acerbo. 

79.  Ne  la  fronte  pur iffima biancheggia 
Senza  roflbre  alcun  femplice  latte, 

Ma  ne  le  guance, ove’l  candor  roffeggia. 
Con  là^neve  la  grana  inun combatte» 
Elamifturaè  tal , chefi  pareggia, 

Quafi  d’avorio, e porporafien  fattci 
Ma  con  due  d’hor’in  hor  picciole  folle, 
Suole  un  rifp  gentil  farle  più  rofic* 


Canto  decimosesto. 

9 o.  Ondeggiai!  Tago  in  sù  !a  bionda  tefla, 

11  crin  piove  dilfiilo  in  ricca  mafia, 

E del  bel  tergo  a quella  parte  c quella 
Ih  più  ricci  pendente  andar  fi  lafi'a. 

Ceruleo  è il  manto , e la  leggiadra  veftaj 
Chedecofciail  termine  non  palla, 

E d’un  lubric®  rafo,  i cui  reflefiì 
Somigliannel  color  gli  occhi  fuoi  fiefi^ 

Si.  Un  cappel  Serican,  ch’erge  la  piega,  » 
Tinto  di  puro  oltramarino  il  pelo. 

Gli  ombra  la  fronte, e per  traverfo  fpiega 
Piuma  pur  di  color  fimile  al  Cieloi 
E’n  su  la  falda  la  conficca  e lega 
Con  grofia  punta  del  più  fino  gelo 
Di  quella  gemma  un  lucido  fermaglio, 

La  qual  del  fangucfol  cede  a l’intaglio. 

Sz.  L’animato  del  piè  molle  alabaftro , 
Ch’ofcura  il  latte  del  fentier  celefte. 

Stretto  ha  lagamba  con  purpureo  naftr© 

Di  cuoio  azurro  un  borfachin  gli  velie , 

In  cui  dafaggia  mandinobil  mafiro 
Pur  di  vario lavor  gemme  contefte, 

E’n  mafficci  rilievi  effigiate 
Di  fibbie  ad  ufo  imaginette  aurate. 

85.  Tanti  non  ha l’ambitiofo  augello 
N e le  penne  rofate  occhi  d’intorno, 

Quando  quafi  un’Aprile,  ò unÒIel  novelIo> 
Di  cento  nor , di  cento  llelle  adorno, 

De  l’ampia  rota  fua  fuperbo  e bello 
Apre  il  ricco  theatro  al  novo  giorno, 

E’I  thefor  vagheggiando, ond' ella  è piena, 

A fe  medermo  c fpettatore,  e leena. 


Ùo  tA  CORONA, 

84.  Quanti  pien  di  vaghezza, e dibaldanzà 
Il  Garzonettò intorno  a fe  n’accolle, 

Lo  qual  mentre  a l' aitar, che  la  fembianxa 
Tenca  di  Vener  bella  ,ilpièrlvolfe. 

Dì  tutta  quella  nobile  adunanza 
Ufurpando  le  vifte  ,ìcorh  tolfe, 

E tutti  abbarbagliò  di  meraviglia 
Co’  lampi  de  le  gemme  , e de  le  cjgua, 

85.  De  l’Invidia  però  l’occhio  cerviero, 

Ch’n  fpiar  l’altrui  mende,è  Lince, & Argo, 
Di  quello fpatio  inveftigando  il  vero, 

Ch’ai  bel  fonte  del  rifo  è fponda  e margo. 
Pur  venne  ad  ollervar , che  quel  fenderò. 
Che  dividè  le  labra , è troppo  largo. 

E chc’n  fommala  bocca  ov’entro  e nac^To 
Il  tbcloro  d’Amor , pecca  in  ecceflb.  ' 

té.  Uccubo  , a cui  decrepita  l’etate 

Quali  col  mento  havea  congiunto  il  nafo, 
E sì  le  fauci  rotte  e sfabrìcatc, 

Ch^  con  tré  dend  foli  era  ilmafo, 

E le  tempie , e le  ciglia  havea  pelate, 

E calvo  il  capo , ecrefpo  il  volto,e  rafo, 
Vacillante  di  polfo,  e a’intcllecte , 

Trovò  quella  calunnia  ai  Giovinetto. 

87 • Egli  per  l’ampia  fcala il  paffo  fpinfc 
Fin  ch^  pur  di  Ciprigna  a piè  ne  venne. 
Tentò  lepreci,usòIeforze,e  llrìnfe 
La  bramata  mercè, ma  non  l’ottenne: 
Perche  quando  a levarle  egli  s’accinlc 
La  coronadi  man,ftrettala  tenne, 

Tanto  ch’en  dietro  al  fin  con  occhi  balli 
Girò  confufo  , e taciturno  i palfi. 


0 A N T 0 !>£  C Imo  SESTO. 

talhor  tronca,©  caduta 
La  felva  fu  de  le  ramofe  corna, 

y — 1 1 ^ e muta 

Va  e s appiatta,  e’ Il  tana  ermafogglorna. 
Tal  Pavon , che  per  cafo  habbia perduta 
gemmata  corona , onde  s’adorna. 

Sole , e diramando  il  lume 

1 langc  la  povertà  de  le  file  piume. 

° ® P3<r=ggiar  Lucindo, 
mBitinia  ipopoli  governa, 

Ca^  tanta  beltà  Cigno  di  Pindo, 

O piova  Apollo  in  me  vena  fupcrna. 

N on  vide  mai  dal  Mauritàno  a l’Indo 
Piu  morbido  candor  la  làmpa  eterna. 

«en  opimo  di  polpe  il  corpo  eftolle, 

C refciuto  anzi  ft  agión , tenero  c molle. 

? o.  Spunun  «I  piano , oVa’l  bel  volto  hà  metai 
D una  fi  onte  lerena  i puri  albori.  * 

^guono  ingiuriofi  al  gran  Pianeta 
Diduo  beiSolii  mobili  fplcndori. 

Ne  la  cui  luce  amorofettae  lieta  * 

R ofl 'r”  u"'*"  'j"''-?!'!'’ ,h«midi  ardori. 
Rofle  echiomehapm  che  fangueò  foce, 

E fon  le  ciglia  fuc  d oro, e di  croco. 

91-  Quel  che  più  fi  rileva  in.mezo  al  vìfo,  .< . 

il  curva  sì, ma  nel  curvar^  è parco 
E de’ duo  fi ni  cftremi,ond’c  divifb, 
l’un  Rrìlblvc  in  punta,  c l’altro  inarco. 

Serra  cdifTerra  il  labro  al  dolce  rifo 
Di  BnilBmo  cocco  un  plcciol  varco. 

Là  dove  chiuda  Amor  rare  a vederle  * 

diardi  perle. 

‘Bianco 


ile 


tst  LA  COB.ONA; 

$1.  Bianco  damafco  di  diainatitiafpcr{«  . ' 

I ungo.al  tallone , a la  cinturaanffiifto» 

G’hà  d’armelllni  candidi  il  riverlo , 

E fcor^ato  il  celiar , gli  copre  il  bufto> 

E feopre  ignuda  del  bel  collo  ter  Io 
La  neve , ond’anco  il  gel  fora  combuftoj 
Del  medefmoè  il  couiale,  e’I  guernimciit# 
Un  paflàman  di  martellato  argento. 

^5.  Berrettahàdifin’or  cerchiata  in  tetta  ' 

D’un  terzo  pel, che  parimente  è bianco  > 

Et  hauvi  sù  d’un  Agniron  la  eretta. 

Che  le’mpenna  la  rofa  all’orlo  manco. 

Collana  di  rubin  tutta  contefta 
Gli  orna  la  gola , e fimil  cinta  il  fianco. 

Scarpe  hà  nel  piè  d’innargentate  fquaiji^ 

Cui  fan  boccole  d’oro  aureo  ferrame. 

I 

^4.  Rimirato , ammirato  (e  fen’accorgc) 

Efpon  fe  fteflb  a publica  cenfura , 

Ne  la  ftella  d’ Amor  quando  riforge 
In  sù  i principi!  de  la  notte  ottura  ]f 

Tanto  di  luce  al’Hemifperioporge, 
Quant’ein’apporia  intorno  a quelle  murdj 
E nel  primo  apparir  parve  l’Aurora, 

Che  co’  raggi  del  Sol  fpontaffe  allhora. 

Eglièbcnvcro(efolamenteè  qucfto 
Quanto  appor  d’imperfetto  altri  gli  potè) 
Che  fan  con  poche  macchie  ingiuria  al  retto 
Spruzzate  di  lentigini  le  gote. 

Fu  forfè  oprad’ Amor, ch’accinto  è pretto 
A temprar  le  faette  In  sù  la  cote. 

Mentre  l’oro  affinava  a le  favelle, 

^ienefparfe  in  sù’l  volto  alquante  ftille. 

. - ' lilau. 

. j 


CANTO  DECIMOSESTO. 
Mauriffo  3llhor,SindIcacore  accorto». 

Ogninltra  parte  a fpecolare  Intento, 

A lo  fguardo  accoftò  debile , e corto 
^’un  Tuo  limpido  occhiai  l’hafta  d'argento; 
E n lui  languir , ^uafi  fenz’alma,hà  fcorto 
Beltà,  perche  di  grana  ha  mancamento. 

Che  vai  guancia(dicea>ermiglia, e bianca, 
Se  venufta,fe  leggiadria  le  naanca? 


'lei, non  sò  che  tanto  attrattivo, 
Ch  alletta  gli  occhi  e che  contenta  il  core* 
puro  di  Dio , {pirito  vivo, 

Sale,  ond’i  cibi  Tuoi  condifee  Amore. 

In  coftui  non  lo  feorgo , e s’ei  n’è  privo. 
Indarno  alpira  al  trionfale  honore. 

Stiamo  dunque  a veder , fe  la  Dea  noftra 
Conforme  al  mio  parer  TelFctto  mollra- 


58.  In  quello  mezò  inver  l’altar  s’invia, 

E giunto  il  bel  Garzon  viene  a la  prova  5 
Ma  1 pregio  a riportar , ch’egli  delia, 
C^ialunque  sforzo  fuo  poco  gli  giov^ 
Perche  come  con  chiodi  affilTa  lia, 

La  guardata  corona  immobil  trovaj 
Onde  colmo  di  duol, tinto  di  feorno 
Pa  corap  in  alto  gfcefe , in  giù  ritorno. 


Entra  terzo  in  arringo  il  bel  Clorillo, 
Clorilloilbehche’n  su’l  mattin  de  gli  anq|' 
H' entrambe  i genitori  orbo  pupillo 
S’ofirl  per  morte  intempeftlvi  affanni,  * 
Onde  poi  ch’ai  dominio  il  Cicl  fortU\o, 
Che  ténnpr  di  Cirene  i gran  Tiranni. 
Stende  lo  feettro  fuo  per  quanto  d\a.xa 
AI  tratto  de  la  Libica  pianura. 


4^4  LA.  CORONA, 

XOO.  I cadaveri  in  mummie  ivi  rifolve 
La  mobil  Tempre  e cempeftofa arena*, 
riatti  di  fabbia , e turbini  di  polve 

Con  oteura  procella  Africo  mena; 

E chi  s’arrid'hia  a tragittarla  , invoWe 

Tra’  fflobi  ognor  de  kvolubilpiena, 

Stramo  naufragio, onde  fommerfo  huom  pa- 

Nocchiero  iil  terra, e Peregrino  minare,  [re 


101.  Ma  che  non  potè  avidità  d impero  ? 
Ecco  pur  tenta  in  Cipro  altre  fortune. 
Non  è bianco  ilbel  vifo,e  non  è nero. 
Nere  le  ciglia , e le  pupille  hàbrune. 
Due  ftellettc  fmorzate , e due  nel  vero 
Volge  la  fronte  inneccUflate  Lune, 

Di  cui  però(^con  voftra  pace  o ftelle) 
Non  ha  l’ottavo  Ciel  luci  più  belle. 


101.  Brunetta  anco  la  chioma  11  tergo  inonda. 
Un  refehiodi  Leon  gli  fa  celata. 

Gratiefa  la  bocca , e rubiconda 

NèfireftringcalTai,  nefi dilata. 

Moftra  atfabile  afpetto,aria  giocondai 
La  ftaturaè  mezana , e dilicata , 

Sì  che  ciafeun  di  quella  «nte  c quella 
Stupido  inheme , c cupido  ne  rtfta. 

f03.  Lucente  -arnefe  i vaghi  membri  ammanra 
Di  feiamito  argentino , il  cui  lavoro 
Abbordata  la  vetta  hà  tutta  quanta 
Di  girafoli  rilevati  d’oro. 

Et  è fatia  di  gcmmc'in  copia  tanta, 

E sì  chiaro  Iplendore  efee  di  loro. 

Che  potrebbe  abbagliar  la  villa  altrui, 

5c  non  vi  futtc  quel  de  gli  occhi  lui,  . 


CANTO  DECIMOSESTO  i6g 

104.  PIÙ  bello  in  terra , ò più  gentil  compoft* 
A morte  non  potea  nafeer  foggettoi 
E certo  alcun,  chc’l  rimìrù  dìLcofto, 
Giudicollo  celeftc  al  primo  arpetto. 

Ma  quando  poi  s‘a vicinò,  ftitofto 
Conofeiuto  mortale  in  un  difetto. 

Un  fol  difetto  In  lui  trovato  brutto 
Nè  tant’altre  eccellenze  ofeurein  tutto. 

loj.  Io  non  mi  Voglio  già  (diceaScnorre  » 

Un  critico  fottìi,  del  vero  amico, 

Cui  non  gemina  riga  al  petto  feorre 
In  duo  fiumi  d’argento  il  pelo  antico) 

Già  non  mi  voglio  all’altre  parti  opporrei  ^ 
Ma  de  la  man,  fol  de  la  mano  io  dico, 
Ch’oltrc  ch’ella  non  è latte , nè  neve, 

Fuor  del  giufto  decoro  è groffa,  c breve. 

10^.  Tra  quante  dotiinsè  Natura  unifee 
Non  poffiede  la  man  gli  ultimi  honori. 

Poiché  non  pur  col  proprio  bel  rapifee. 

Ma  fa  l’altre  bellezze  anco  maggiori. 

Quefta  qual  vaga  artefice  abbelUfcc 
Il  volto,  e’I  fen  di  porpore,  e di  fiori, j 
E porgendo  oftro  al  labro,  oro  al  capello, 
E’fua  mercè,  quànt’hà  di  beltà  il  bello. 

107.  Perdonimmi  begli  occhi,  e biondi  crini, 
Scafino  l’ardir  mio  labra  odorate. 

Benché  fien  frcfche  rofe,  c ficn  rubini. 

Benché  fien fiamme  ardenti , c fila  aurate? 

De  la  mano  a i candori  alabaftrini 
Io  vò  la  palma  dar  ogni  beltate. 

Cedan  gli  oftri  a le  perle,  e ceda  illoco 
L'oro  a l'avorio,  & a la  neve  il  foco. 

Voi.  12,  id  Ancot- 


^66  CORONA, 

108.  Ancorchetjclle  c ciglia,  e chiome,e  bocca. 
Non  fon,  com’è  le  man,  pegni  di  fede. 

Quella  fi  jjiiran  fal^ quella  fi  cocca  , r 
E può  .felicitar  chi  la  pofliede. 

Da  quelle  Amoi:  ieUuc  facete  Icocca. 

Quel  la-fana  le  piaghe,  ond’egli  fede. 

Qtielle  per  arder  l’almtfaccendonrefca. 
Quella  grincendii  fuoi  tempra  e rinfeefe^ 

ic9-  Tacque  con  quello  dir,  nè  fur  parole 
(Come  il  facto  mollrò)  fallaci  ò falfe. 

Perche  fe  bene  in  cima  al’alta  mole 
Di  fcaglione,  in  fcaglion  Clorillo  falfe. 

A lei  però,  checolafsùlìcole, 

La  corona  di  man  fvcller  non  valfei 
Sì  che  tornato,  onde  parti  pur  dianzi, 
Un’altro  emulo  fuo  li  traile  innanzi. 


iio.  Rodafpe  in  Meroe  nato,  in  quella  vece 
Volfe  q^uantunque  in  van)  tentar  la  forte. 
Publico  fue  fattezze,  e mollra  fece 
DI  jlellearficcia,  e brevi  chiome  attorte. 
Vincon  col  fofeo  loro  hebbeno,  e pece. 
Nari  aperte  e fchiaedate,  e labrafporte  i 
Et  è de’lumi  fuoi  l’orbe  vifivo 
Nero  più  de  l’inchiollro,ondeil  deferivo. 

ni.  Ferve  in  guifa  colà  l’elllva^rfufa. 

Che  quali  incarbonir  gli  huomini  potei 
Onde  porta  ciafeundi  notte  ofeura 
Dal  diurno  fplendor  tinte  le  gotej 
E’I  Sol  vicino  à terra  oltre  mifura 
Gira  sì  baffo  le  lucenti  rote. 

Che  poco  men,  che  con  le  mani  illcffe 
Si  potrebbe  toccar,  fe  non  coceffe. 


Sco« 


i; 

CANTO  O-ECllvlOSESTO.  x6r 

!Si  ’ 

è III*  Scopre  11  caciditlo  dente  adhoua  adhora 
X DWrchietta:or  anata  il  labro  tinto. 

borato  èl’orlo,  e pendòn.  da  le  fora 
1 Cercliietid’or  di  bei  zaffir  diftinto. 

K CQsìlepartì,  ond’ode,  & onde  odora, 

/5  Heggonpendenti  d’indico  giacinto, 
j;  Blunghe filze  d’u-nioni  elette. 

Ricchi  tributi  d’ifole  roggette, 

» 

11}.  Unfrontal  d’E-tbiopico  ainethlfto 
l’aduila Iconte  illumlnandainaura , 

^ Si  che  d’oro,  e di  foco  un  lampo  mirto 
Quandouitorno  fi.  volge,  aventaaTaura, 

E di  qualunque  cor  languido  e trirto 
La  mefticia rallegra  , il  duol  rertaura. 

Gemma  più  cU’alcra  fulgida  e ferena,^ 

Che  quali  occhio  di  Vergine  balena.) 

114.  D’un  farfetto  leggici*,  qual  fi  coftumc 
Trà’Sa'trapl  IndlatlU  è veftito. 

Di  lana  nò,  ma  di  mi  nuca  piuma 
Dì  ftrani  augelli  a lilla  à lifta  ordito, 

Tutto  fquamolo  di  dorata  fpunia, 

E dì  mille  color  tutto  fiorito,  » ^ 

Lieve  tocca  cangiante  in  mezo  il  cinge, 

Che  con  groppo  leggiadro  ìllega,e  ftringc, 

lìt.  Un  de’Padri  coferitu  eraGeiardo,^ 

Già  Duce  in  guerra  , hor  conhgherom  pace. 
Par  quelli  in  vifta  huom  founacchiofo  e tardo 
E tra  cupi  penfierlimmerfotace  j 
Ma  forco  pigra  fronte,  elenco  fguardo 
Vigila  ingegnoarguto,  e cor  vivace. 

Speffo  grave  fembiante,  ebarto  cìglio 
Cela  pronte  dUcorfo,  alto  configllo. 

M z Moftri 


i 


1^8 


LA  GORON  A, 


ji6.  Moftrò  colui  con  ottima  ragione, 
eh’ Amor  molto  non  ama  ofeura  tcorza, 
Peroche’n  fpento  t gelido  carbone 
Scnz’alcun  lume  il  foco  luo  s’ammorxa. 
Il  piacer,  eh’ ad  amar  n’è  sferza,  e fprone. 
Da  color  differenti  acquifta  forza. 

' I^aturafol  per  variar  s’apprezza, 

Da  tal  varietà  nafee  bellezza. 

117.  Ao’'^inngi  poi,  che  racconciato  infiifo 
Queì°  he  duo  fpìragli  a l’odorato. 
Troppo  curvo  e ritorto,  e troppo  oitiu» 
Spalanca  troppo  il  gem  ino  meato-, 

€osì  con  due  rcpulle  alfine  efclulo 
Da  la  Diva  in  un  punto,  c dal  Senato, 
Tutto  avampando  di  fdegnofo  foco 
Parcefi,  e cede  a Lìgurino  il  loco* 


^ ' 


Ii8.  E Lìgurino  al  paragoncomparfe, 

Lavor  ben  dégno  de  l’eterna  mano, 
f Non  so  s’a  par  di  quel  poffa  trovarle 

Bbn  tagliato,  e difpofto  un  corpo  hooianosi 
Venne,  però  che’l  cor  d’indivlda  gli  arte 
L’altero  flato  del  maggior  germano. 
Germano  era  minor  del  Rè  Licaba, 
Ch’avca  fotte  ilfuo  fccttro  Arabia,  c Saba» 


Hi).  Si  vivo  undolce  da’bei  lumi  fpira , 

Che  forza  hà  in  sè  di  foco,  c di  faettai 
E con  tanta  virtù  rapifee  è tira,_ 

Che  ferendo,  & ardendo  anco  diletta* 
Sparfa  di  bella  cenere  fi  mira 
Scolorita  la  guancia,  cpallidctta^ 
pallida  si,  ma  quel  pallore  è tale, 

C h’è  pallore  amoxofo,  e non  mortale*  ^ 


ZIO,  Langue  nel  labro  dolcemente  honefto, 
Una  frefea  viola  alquanto  fmorta. 

Gravi  hà  gli  atti  e comporti,  e nel  modefto 
Sembiante  fignoril  la  gratia  porta. 

E dove  giri  con  furtivo  gefto 
L’occhio  predace  una  rivolta  accorta, 

D’ogni  ribello  a forza  ottien  la  palma. 

Se  non  gli  doni  il  cor,  ti  ruba  l’alma. 

iii.Nèftrìngein  naftroil  crin,nèinbedaappiata 
Ma  pettinato  insù  lefpalleilverfa, 

Di  quelblondor,  c'hà  la  cartagna  tratta 
Del  fuo  gufciofpinofo,  ò l’ambra  terfa. 

Con  fottii’arte  e magifterio  fatta 
L’addobba,  e’nfìno  al  piè  gli  fi  attraverfa 
Frappata  una  giornea,  che  copre  e cela 
Sotto  nero  velluto  argentea  tela. 

lai.  Sovra  l’homero  ftretta,  e larga  in  punta 
E’una  manica,  e l’altra  in  giù  trabocca, 

E fi  dilata  sì,  che  quando  è giunta 
Sù  i confin  de  la  man,  la  terra  tocca* 

Da  la  manica  manca  il  braccio  fpunta 
Per  lo  taglio  maggior,  che  le  fa  bocca, 

E del  ricco  giubbon  feopre  le  trama, 

Ch’è  di  Semplice  argento  in  pura  lama. 

113.  Non  così  bella  a lo  fparir  del  giorno 
Doppo  pioggia talhor  la  d ea  di  d elo 
L’innargenrato  c luminofo  corno 
Trafl'e  giamaitrà  nube  e nube  in  Cielo*. 
Come  tutto  illuftrando  il  tempio  intorno, 

D e l’aria  apperfe  co’begli  occni  il  velo. 

Il  reai  t>  amigello,  il  cui  bel  vifo 

Fca  vifibile  in  terw  P^r^difo. 

M 5 


170 


LA  CORONA, 


■ I > , tv 

114.  FcfegnoCitherca,sìtoftocome  » 

De  la  fcalea  fti  sù4a  cima'afccfo,  - - ' 

Volergli  circondar  le  belle  chiome 
De  l’honoracòedefiaro  pefo,  - 

E fiume  infieme  col  famofo  nome  ^ 

Gran  rimbombo  d’applaufo  intefo  i ' - 
Mà  poich’éflier  dcluloalfin  s’accorfe  , ^ 
Senza  replica  indietro  il  piè  ritorfe.  " 


À-5 . La  centuria  de  gli  Arbitri,  ehe  quivi 
I coneòrrentia  giudicar  s’adur^^ 

Onde  tal  di^favorein  lùi  derivi'  ' - < 

Le  ra2;ion  ricercando  ad-unaàid  una,  ‘ ' ■ 

Alrraimperfettiontrovar  j che  l'privr  ' 
De  la  Ipoglia  reai,  non  sà,fuorch’tf  na.  ‘ 

Un  picciol  neoy  èhg’n  sàia  deftra  gota 
Sparge  tré  nere  fila,  in  lui  fol  nota.  ^ " 

lomfi'i  i-f  CjL  , > - 

116.  Somiglia  in  puro  latte  immonda  mofea. 
Anzi  vago  arbofcéllolfPjSratà  amenoi 
E quantunque'nonfia  chi  nóric'onòfi:a> 
Ch’egli  non  n’è  per  quello  amabil' meno. 
Poiché  sù’lbel  candor  quell’ot^  fofea 
E’qual  lucida  ftella  inf  Ciél  feriiVÒ: 

Ch’elio  é macchia'però  cònvienxh’àecetti, 
Ch’ancorche  belle  uen,  fon  purdifectl. 

117  Segue  Timbrio  in  Snairna,  Infra  i primieri 
Garzon  lodato,  e d’ogni  honor  ben  degno, 

A moldr  l’aurc  in  sù  theacrì  alteri 
Con  la  cetra  bicorne  unico  ingegno. 

Altri  non  fia di  lui,  che  meglio  fperi  V 
Iregiftri  toccar  del  curvo  legno  ' 

Tempra  al  muficofuonverfi  canori , • 

E feiogUendo  gli  accenti,  annoda  i cori.  - 


In 


CANTO  DECIMOSESTO. 

i > 4 

xz8.  In  virtù  di  Tua  vojceeifiidà  vanto 
Cclefte  Cigno,  ailgeiica  Sirena, 

X rar  da  le  felci  intenerite  il  pianto, 
Ivlicigar  de  l’Inferno  ogni  afpra  pena. 

La  melodia  di  quel  mirabil  canto 
Le  fere  ari  etta,  anzi  le  sfere  atfrena. 
Pongon  le  dolci  corde  a i fiumi  il  raorfo , 
Danno  le  dolci  note  ai  monti  il  corìb. 

jip.  A l’arguto ttromentOj, al  vagp  volto^ 

A la  zazzera  ittelfa  ei  feniibra  Apollo. 

Nè  tutto  errante  il  crin,  he  tutto  accolto. 
Quinci  pende  a la  Ipnte,  e quindi  al  collo 
Quelchedopororecchiefua  difciolto, 
Sparfe  allhor  egli  ad  arte,  e dilatollo. 

De  l’altro  ifterfo  e fottiliifim’auro 
Tenero  implica  un  ramofcel  di  lauro. 

150.  E del  color  de  le  medcfnfe  foglie 
S’affibbia  incorno  un’^flectata  cotta, 

La  qual  nel  mezo  infpcfle  crefpc  accoglie 
T utta  in  fodera  d’or  trinciata  e rotta. , 

E tutti  i trinci le  beUe spoglie 
Congly4iti  fon  per  man  leggiadra  e dotta 
Con  branchigli  di  fmalto,  &:  auree  ftampc 
Chefiguran  di  Grifi  artigli,  e zampe. 

I3t.  Il  globo  interior  de  la  pupilla 
Ne’fuoi  lumi  vivaci  è tutto  negro . 

Ma  nei  più  largo  circolo  sfavilla 
Dolce  color  d’un  fior  di  lino,  allegro. 

Efce  de’raggi  lor  luce  tranquilla 
r>a  fanar’ogni  cor  languido  & egro. 

Fuga  ogni  nebbia,  & ogni  lume  adombra, 
E rende  ofenro  il  Sole,  e chiara  l’ombra. 

M 4 


iji  LA  CORONA,  > 

131.  Dal-curvo  de  le  ciglia  arco  fupremo 
Tra  guancia  e guancia  un  bel  profil  fiftcndc, 
A poco  a poco  aiTottigliaco  e fceno 
Dalinea  sì  gentil,  che  non  oAènde; 

Alto  alquanto  al  principio,  e’nver  l’eftremo 
Tanto  s’aguzza  più,  quanto  piùlcende} 

Pe  la  cuibafe  il  termine  più  balTo 
In  due  conche  divide  egual  compalTo, 

133.  Elacontefadeleduc  vicine 

Emule  di  beltà,  grote  diparte,  - 

Limitando  a la  porpora  il  confine. 

Che  colorilce  quella  e quella  parte. 

Rofe  sì  vive,  e frefehe,  e purpurine 
In  quel  vifo  amorofo  Amor  hà  fpart^ 

Che  nonsò  Tela  guancia  hà  più  fiorita 
La  bella  Dea  da  le  roLace  dita.^ 

134*  Cotanto  in  lui  di  maelìà  riluce'  - 
Mentre  drizza  le  piante  al  bel  trofeo^  * 
Che  fé  dalor  la  nobiltà  traluce, 

N on  m olirà  in  alcun’atto  elTcr  plebco.- 
Anzi  nc’gclli  fuoi  l’antica  luce 
Chiara  Icorger  fi  può  delfangue  Àcheo, 

Mà  sì  latti  fplendori  in  parte  imbruna 
Ole  uro  ft ato,  e povera  fortuna. 

155.  Cltre  coftui  fen  venne , e fi  fé  prelTo 
A la  tutricede’fedeliamanti, 

Non  però  punto  meglio  avenne  ad  effo 
Di  quel  ch’a  gli  altri  er’auvenuto  avanti. 

E ben’a  comprovar  quello  fuccellb 
Fù  concorde  il  parer  de’circollanti. 

Che  fra  tante  bellezze  inlui  notato 
L’ordinfolo  de’ denti  ofeuro,  e raro. 


E Se- 


CANTO  DECIMOSESTo.  175 

queVecchioniamfo, 

^ aiiftero. 

Dal  pjedc  al  capocHaminandolfìro , 

Del  mal,  del  bene  elplorator  fevcro 

Ch'o^  s’accorgeflb  al  rifó,  ' 

Ch  denteerà  ineguale,  e nero 

^rche  vide  il  Garzon,  che  quella  parte 
Quando  ridea  tallior,  copriva  ad  arte, 

® P«^  Sonora 

Metro  Ipiegato  da  felice  ftile 

Si  poteflc  ottener  corona  d’oro, 

G.a  tuo  fora  1-iionor,  Timbrio  gentile. 
Soffrirla  m pace,  e de  l’ufato  adoro  ' 

Che  eh1'^“  ‘"««clar  Id  chibm,  humile, 
ne  chi  1 amipe  altrui  regge  col  plettro 

Non  deve  domìhaf  tén  akro  feettro. 

^ Pf ovarfvll  baldauzofo  Evaftp, 

Del  Libano  fignore,  e de  rOronpe, 

E1  alterigia,  onde  va  gonfio , e’I  Fafto 
S avanza  al  par  del  fuo  fuperbo  monte , 

Viene  arrogante  ài  giovenil  conirafto 
Con  le  Ciglia  ballando,  e ton  la  fronte-, 

Di  breve  cor^o,  e picciola  ftatura. 

Mal  audacia  c maggior  d’ogni mifura. 

Pretende  quelli , che  da’fbmml  giri 
Per  quanto  fcorre>  e quanto  Icorge  intorno 
Da  l'Ariete  a*Pefci  altra  non  miri 
Somigliante  beltà  l’occhio  del  giorao, 

L PCTchcOieu  di  tllmì/lì  Aa-(ìir^ 


174- 


LA  CORONA, 

140.  Di  più  color, che  Viride  non  inodra, 

Gli  occhi  hà  dipinti^  e tutto  nero  il  ciglio.l 
La  guancia  com!al  Sol  pomos  inoltra,  ^ 
Dolcemente  gl’ifrcarna un  bel  vermiglio,  . 
Ónde  di  leggiadra  litiga  e gioftra. 

Con  la  rol'a  purpurea  il  bianco  giglioi 
L fovralor  con  lafeivetta^ sferza 
In  cento  brilli  il  biondo  crìn  gli  fcherM. 

141.  filato  d’òro  si  lucente  e bello^ 

Del  bel  mento  la  cima  un  fiocco  impela* 

E del  labro  fovran,fimilfc  a quello 

U n riccamo  sì  fin l’oftro  gVi  vela. 

Che  par  proprio  di  Coleo  il  ricco  vello, 

N è tale  il  T ago  entro  i fuoi  fondi  il  celai 
Per  guardia  forfa di  fue  vive  rofe 
Quelle  produtìe  amor  fiepi  fpinofo. 

141.  Intero  un  zibel  lindi  color  fofeo-  ^ 

E^cuffiain  capo,  e morion  gli  feufa, 

Di  cui  più  fin  giamai  Tartaro  ò Mofeo 
Per  le  fue  balze  di  tracciar  hon  vfaj 
Di  Paradifiper  pennacciounbofeo 
Gemina  v’affigein  or  legata  e chiufa. 

Rara  fra  quante  al  Sol  la  terra  n’apra, 
Gemma,  che  raflomiglia  occhio  di  capra. 

145.  Velie  due  volte  infanguinato,  e tinto 
Del  licor  de  la  murice  Africano, 

E coti  aurei  cordon  da’fianchi  aiuto. 

Un  guarnel  di  fottilc',  e molle  lana  i 
Bottonato  nel  petto,  in  mezo  cinto 
D’una  cintura  a meraviglia  eftr.ana,. 

C he  di  fpoglia  di  vipera  è collrutw, 

E di  gran  perle  inco{oliata  tutta. 


CA.NTO  DECIMOSESTO.  175“ 

144.  Quattro  vaghi  fcudler  gli  alzan  di  dietro 
De  1.1  lunga  faldigia  11  lembo. fciokoi 
Et  altri  duo  d’adamantino  vetro 
Gli  Coftengono^un  fpecchio  innanzi  al  volto. 
Non  guarda  intorno,  e non  lì  volge  indietro  j 
De  le  proprie  bellezze  amante  ftolto. 

Perche  fuorché*!!  fe  Hello , il  giovinetto 
Sdegna  occupar  la  viltà  in  altro  oggetto. 

I4f.  Mà  Melidonio,  che  da  gli  anni  ilfìanco 
Rotto,  fedea  tra  ladifcretra  l'chlera, 

E nel  cui  corpo  eftenuato  e ftanco. 

De  la  mente  il  vigor  fiacco  non  era, 

Mà  lotto'  pelle  crefpa,  e capei  bianca 
Nutria  di  felino  integrità  fincera, 

Piantarofi  allhor  dritto  insù  la  vita. 

De  larugofa  mano  alzò  due  dita. 

*4*^-  Cue  fon  rcccettion  (dille)  ch’io  veggio, 

Per  cui  non  molto  hàc]Ucfti,ondc  preluma. 

La  prima  c quella  che  lodar  non  deggio, 
Quantunque  intempefti  va,  hifpida  piuma: 
Perche  là  dove  hà  primavera  il  leggio, 
E’cjuafi  tra  bei  fiori  horrida  bruma, 

Per  cui  qualhor  s*^acco{la,  c fi  congiungc 
Bocca  a bocca  baciando,  il  bacio  punge. 

147-GU manca  poi  Cquelchevic  più  s’apprezza^ 
L’unità,  che  convienfia  leggiadria. 

E chi  non  sà,  ch’altro  none  bellezza. 

Se  non  proportione,  e fimmetrlaJ 
Hor’ìn  tanta  fuperbia&  alterezza 


Dov’è  quella  vifibile  armonva  ? 

Certo,  che  mal  rifpondano  mi  fembra. 
A sfalsi  penfier  slcorte  membra. 


/ 


LA  CORONA^V 

X 48.  Come  da  varie  fuol  voti  concordi 
La  mufica  a l’udir  ifarfi  foave.  ' 

Quando  avien  che  fi  tempri , e che  s’accordi 
Col  duro  il  molle,  e con  l'acuto  ìlgravci 
Cosi  fé  membra  un  corpo  ha  in  fe  difeordx» 
La  compofition  gratia  non  bave,  ^ 

Da  le  parti  col  tutto  armonizate 
Rifulta  confonanza  a labeltate. 

149.  Così  ragiona,  e sù’l  »ran  foglio  intanto 
Salita  è già  quella  beltà  fuperba  i 
Mà  vede  alfin,  che  la  vittoria,  e’I  vanto 
Da  labella aventuraaltrui  fi  ferba.  . 

Onde  il  tergo  volgendo  al  Nume  Tanto , 

Si  l’Ira  il  vince,  e Lalpra  doglia  acerba. 

Che  fquarcia  i fregi  d’or,  lo  fpecchio  fìrange» 
£ di  rabbia,  e di  duol  folpira  e piange, 

ijO.  Vicn  Luciferno  ildopò  coftui, 

Così  di  Scithia  un  Saracin  fi  noma.  | 

Il  Saca,  e’I  Battrian  foggiace  a lui, 

11  Margo  ha  vinto,  eia  Sarmatia  hà  doma|: 

E la  gloria  rapir  prefume  altrui 
Per  irta  barba,  e per  hirfuta  chioma.  1 
Moftra  ruvide  membra,  offa  robufte, 

Lungo  capo,  ampie  nari,  c ceropie  angofte» 

151.  L’occhio  pien  di  terrore,  e di  bravura 
Infira  nero,  e verdiccio  altrui  {paventa, 

E con  torvo  balen  di  luce  ofeura 
La  fierezza  e’I  furor  virapprefenta. 
Portamento  hàfuperbo  ,eguatatura 
■Si  feroce  & atroce  e violenta 
Che  raffembra  Aquilon  qualhor  più  freme, 
£ col  torbido  Egeo  combatte  infieme. 


CANTO  DECIMOSESTO.  177 

1.  Sù  la  giuba , che  tinta  lià  di  morato. 
Rete  fi  Itende  d’or  fottile  e ricca, 

E con  puntali  par  d’oro  fraaltato 
Gli  angoli  de  le  maglie  inficine  appicca, 
Porta  lotto  l’afcella  il  manto  alzatoj 
11  manto , che  da  Thomero  fi  fpicca, 

ET  lembojche  dal  braccio  a terra  cade, 

Con  lunga  ftrifcia  ilpavimento  rade. 

153.  Di  lavoro  azimInJafcimitarra 
Larga,t)rcve,e  ricurva  appende  a l’anca. 
Dietro  ha  il  carcaflb,  e per  traverfo  (barra 
L’arco  ferpentc  in  su  lafpalla  manca. 

In  forma  di  Piramide  bizarra 
Un  globo  intorno  al  crin  di  tela  bianca 
ErgCjCom’è  de  Barbari  coftume, 
D’aviluppata  fafce  alto  volume. 

154.  Conia  tcft’alta,econle  nariroflc, 

Con  furibonda  , e formidabil  faccia 
Sbuffando  un  dcnfo  fumo , egli  fi  molTe, 

A guifa  di  Leon  quando  minaccia. 

Snudò  le  terga  ben  quadrate  cgroffe. 

Brandi  le  forti, e nerborute  braccia , 

Di  forza , di  vigor , d’afprexza  piene, 
Scropolofe  di  mufcoli , e di  vene. 


155.  Stanno  tutti  a mirarlo  attenti  e cheti , 
DaScommo  in  fuora, un  vecchiarei  ritroCoj 
De*  Satirici  più, che  de’  faceti. 

Ma  carco  il  pigro  piè  d'humor  nodoCo, 

Chi  gli  tien  tra  gli  articoli  fecretl 
De  le  giunture  un  freddo  gelo  aCcoCb» 
Onde  del  corpo  fianco  il  grave inenreo 
Sovra  torto  battone  appoggiain  arco , 


17S  LA  COR  ON  A,  ; 

i;é.  Quefti  il  capo  crollò  , Ie  ciglia  torfc!^ 
Segni  fé  di  difprezzo  ,atti  di  l'cherno. 
Vaccene (diflé)pur  là  focco l’Orfo 
Tra  le  Fece  a regnar  Moftro  d’ Averno. 
Prove  di  gagliardiabifogna  forfè 
Delpaefc  amorofo  al  bel  governo? 

Nò  nò, di  comandar  più  degno  fei 
Là  sù  i gioghi  Arimafpi;  e su  i Rifei. 

157.  Chi  non  ravifa  in  quel  color  ferrigno 
Di  quefto  Cavalier  tremendo,  e forte, 
E’n  quel  volto  tràfcialbo  , & olivigno 
De  le  furie  rcffigic  e de  la  Morte? 

Non  vedete  qual  folgore  fanguigno 
Da  le  luci  faecta  oblique  e torte. 

Con  cui  di  feminar  prende  ardimento 
Trà  bellezze,  & amori  odio, e fpavento?  • 

i;8.  Principe , e Rè, non  dirò  già  di  regna 
Chefpeflo  è dono  di  Fortuna  infanav 
Ma  di  titolo  d’huomo  anco  indegno. 
Vivo  fpirto  ferino  informa  humana. 
Vilpenfier , rozo  cor,felvaggio  ingegno, 
Intefàabafle  cure  alma  villana 
Veggio  nel  tuo  fembiante  infellonito. 
Che  ti  moftra  mal  nato, e mal  nutrico* 

159.  E pur  entrando  a l'honorata  gara, 

Così  ne  vien  fovr*ogni  merto audace. 
Come  fufl'e  lo  Dio , che’Idirifchiara, 

O il  bel  fanclul  da  l’arco , e da  la  face;^ 
Villania  per  valor  non  fh  mai  cara , • 

Piu  gentilezza , eh  e beltà  ne  piace. 

Amor  più  fere  allhor , ch’e  men  feroce, 

£ bellezza  innocente  a0kipiù  noce.. 


A! 


CANTO  DECIMOSESTO.  17^ 

1^0.  Al  fio  di  quefto  dir  gli  occhi  volgend'O 
A l’orgogliolo  Barbaro  infoiente, 

Videlo  da  l’altar  fcender  fremendo 
De  lo  ftrano  rifiuto  impatiente. 

Et  accufando  con  fembiante  borrendo 
La  bella  Dea  d’ingiufta, e d’inclemente, 
Dcteftando  del  figlio,e  fiamme, e dardi. 
Batteva  i d^nti,  e ftralunavai  guardi. 

i^T.  Così  Toro  non  domo  , a cui  le  fpalle  ^ 
Giogo  non  preme  ancor  duro,c  pelante, 
Poi^e  lafciò  nela  diletta  valle 
Il  rivai  vincitore  e trionfante, 

Mugghiando  va  per  folitario  calle 
Rabbiofo  infieme-,  e fconfolato amante, 

E pien  d’angofciail  cor  grave  & acerba 
Abhorre  il  tonte , e gli  difpiace  l’bcrba. 

i6i.  Languia  del  Sol  nel  mar  quali  fommerfo 
Moribonda  la  hicc  , c femrviva, 

E l’orabra.che  coprir Tuoi  l’Univerfo, 

La  gran  fatela  del  Ciel  di  fcolorìva. 

Col  pel  fumante , a difudori  afperfo 
Chini  d Hefperiainverl’eftremariva 
Per  pafeerfi  ne'  prati  Occidentali 
Crinfiammati  corfier  piegava» l’alt. 

^^3-  Smarrita  a le  fue  tende, e poco  lieta  * 

La  turba  giovenil  fece  ritorno, 

E fciolta  Tunion  de  la  dieta, 

Sen  giro  i Vecchi  a procacciar  foggi  or  no* 
Ma  finche  fiiffcil  principal  Pianeta 
SortodalTndo  a lufcìtare  il  > 

Lafclaro  per  timor  de  l’altrui  frodi 
La  corona  a guardar  molti  cuftodi- 


z8o  LA  COJLONA,*^  ^ 

174.  Era  del  dì  la  luce  ancora  acerba, 

E’n  SII  le  raofl'c  il  Sol  del  gran  viaggio. 
Nè  ben  rafeiutte  havca*nc  rhumid’herbaf 
Le  notturne  rugiade  il  primo  ra^io. 
Quando  la  gioventù  vaga  e fuperM, 

E leco  il  Parlamento , eU  Baronaggio  * 
Con  la  medefraa  àncor  pompa  folennc 
N el  loco  ufato  ad  afl'cmbrar  fi  venne, 

Da  capo  incominciò  le  prove  iftefle 
La  fcelta  de’  miglior  quivi  raccolta. 

Ma  neffun  fi  trovò, che  più* facefie 
Di  quel  che  gli  altri  lèr  làgrima  volta. 
Reftan  con  fronti  ftii^ide  e dimefle, 

E quali  loro  ogni  ;fperanaa  è tolta, 

I minifiri  del  regno  '/c  i Senatori, 
Confuti  i petti , e conturbati  i còri. 

Ma  ne  l’Occafo  allhor’  allhora  havea 
Chiufo  il  carro  dorato  Appello  fianco. 
Eia  vaga forella  in Cicl  rompea 
Le  nere  nubi  col  fuo  cornò  bianco: 

Onde  perche  ciafeun  girne  volea 
Nel  proprio  albergo  a ripofare  il  fianco, 

II  Senato  con  gli  altri  ufeia  del  Tempio, 
Quando  v’entrò  d’ogni  beltà  rclTcmpio. 

Il  bell’Adon , che  con  l’oòcultafcorta 
Di  Mercurio, d’ Amore, e de  la  madre 
Tardi , ben  che  per  via  facile  e corca, 
Giunt’eraa  la  Città,che  fu  del  padre. 
Notturno  entrò  per  la  fupctba  porta 
Poi  chc’n  ufeir  le  congregata  {quadre 
Et  a lume  di  lampade  le  cole 
De  la  gran  mole  a contemplai  fi  po^^ 


CAIKTO  DECIMOSESTO.  iti 

In  un  canton  del  T empio  al  fin  dlftefc 
Sovra  il  duro  terrcn  le  membra  laflcj 
E quafi  primain  Occidente  fcefe 
notte , che  dal  fonno  ei  fi  deftafle. 

Oefto  , a la  luce  de  le  hcì  accefe 
Per  mirar  ben  l’altare,oltrc  fi  tralfe, 

' Mentre  i foldati , acconcio  il  capo  al  manto> 
Dopo  lungo  vegghlar  dormlano  alquanto. 

j6 Trovaquivi  Barrino , un  Greco  aftuto, 
Villan  di  ftirpc,huom  vilcjC  fraudolento, 

£t  al  cui  corpo  picciolo  e minuto 
La  malitia  fupplifcc , e’I  tradimento. 

Di  capo  aguzzo,  e di  capei  ricciuto, 

£ lenza  più , che  quattro  peli  al  mento, 
Reffo.ma  d’un  roflb , che  pende  al  fofeo. 

Et  hàfguardo  fellone,^  occhio  lofeo. 

« 

170.  Velie  di  fronte  intrepida  e fecura 
Penfier malvagio, & animo  maligno, 

Nè  mai  cangia  colerla  faccia  olcura, 

^ Che  picchiata  è di  giallo , e di  fanguigao. 
Accoppia  a pronto  dir  lingua  fpergiura. 
Porta  in  core  il  veleno , in  bocca  il  ghigno* 
Diria  per  poco  argento , e per  poc’oro, 
GiovCjnoa  ti  coaofco  , e non  t’adoro. 

171.  Coftui , mentre  che  gira, e che  pafleggia 
Intorno  a i facri , e pretiofi  arredi,^ 

E cerca  come  fi j, che  altri  noi  veggia , 
Alcuna  cofa  tacito  depredi, 

Vifto  il  Garzon , che  come  Sol  lampcgiga 
Prima  il  prende  a fquadrar  da  capo  a piedi. 
Poi  s’accoda , il  falutajl’accarezza, 

£ comincia  à lodar  tanta  bellezza. 


ì 


ife.  LA  CORONA, 

171.  E fcherza,e  dàfcherzando  a poco  a ppctf 
Campo  à Tintention  perfida  e ladra, 

E l’induce  a rapir , come  per  gioco. 

L’aurea  corona  con  la  man  leggiadra^ 

Quali  fol  per  provar,  fe  dal  Tuo  loco 
Mover  la  potè,  e s’ella  ben  gli  quadra  • 

Il  fanciullo  a penfar  molto  non  flette. 
Leggermente  la  piglia,  e fé  lar mette. 

175.  Stupifce  l’altro , e^uafi  a<pen^il  crede, 

E pien  d’invidia , e dliivor  ne  refla , 

E con  finto  ferrilo  a lui'lS'chìède 
Pofeia  ch'alquanto  ei  l’hà  teista  in  teda. 
Semplicemente  Addtì  gliela  concede, 
Barrinfe  la  riponfòtto  lavefta, 

E col  fide  favor  de  l’ombra  of^ùra 
Fatto  il  bel  furto , a gli  occM  flfói  fi  fura. 

X74.  A l’albergo  d^Aftreo  ratttìfch  cétre,  ' 
Che  vuol  con  la  cotona  ilregno  ancora. 

Sorto  era  Aflreo , ch’bgniripofo  abhorrc. 
Prima  che  fufle  ancor  fotta  l’Aùf  orà.^ 

Qui  comincia  la  favola  a comjporre, 

E le  menzogne  fue  si  ben  coiota, 

Che  tutti  quei , ch’ad  afcoltarlo  flanrio, 
Preflano  fede  al  non  penfato  inganno. 

175.  Dice , che  mentre  a l’ultimo  fcalino  ^ 

Là  dove à terminar  vàia  falita,  : . 

A pie  del  facro  trono , in  cui  d’ot  fino 
StàdelaDeal’imaginefcolpKa,  ’ t 

Al  fuo  Nume  immortai  fupplice  e chino  ' 
Chiedea  di  notte  in  qualch’afFarc  aita. 

Si  fenti , fi  trovò , nè  fapea  come. 

Di  quel  cerchio  rcal  cinte  le  chiome. 


Lieto 


CANTO  DECIMOSESTO.  zSj 

17^  Lietoilbuoti  vecchio  il  Ciel  rlngratia,e 
Per  gràn  gloi^dal  cor  lagrimepic.  [ piove 
Prende Barrln per  mai^o,e’J  palio  move 
Per  le  calcatele  ricalcate  vie , 

E fenza  ordini  alcun  vaiTene  dove 
Far  la  prova  deveafii^,  terzo  die, 

Ne  ch’efcail  Sol  da  le  contrade  Eoe 
Attender  cura, e Ifcgue  ogni  altro  Hcroc. 

177*  In  tamo>erg[i  Antipodi  difcaccia  - . 

Le  pigre  iiélle  ìrvincitor  de  l’ómbra, 

E 1 negro  vel,che  la  lerena fàccia 

JDi  Glunon  bella  l^orribiJ mente  ingombra^ 

Apre  co’  raggi  Orientali , e ftraccìa, 

E ie  nemiche  tenebre  d^ìgombra.  ' 

Già  gli  arden^i-deftrier  ,^c  fan  ritorno,, 
Chiamano  co’  nitriti  il  novo  giorno. 

178.  Hor  il  Nuntio del  Ciel, che  ben  veduta 
ILa  fraude  havea  del  mentitori adrone, 

Tpfto  d’efEgiè,  cd’habito  lì  muta, 

E riel  gran  Cónciftor  conduce  Adone. 
Peregrina  lembianza , e feonofeiuta 
D huom  canuto, e ftranier  finge  compone» 
Quivi  I9 guardo  ai  Giudici converle, 

Età  quello  paflar  le  labra  aperfe. 

17 9-  Dunque  huom  perfido  reo  contro  la  legge 
E fatale , e divina  è tanto  audace. 

Che  di  pugno  a colci,cheCipro  regge. 

Ruba  i thefori  con  la  man  rapace  ? 

E pur  non  fi  punifee , anzi  s’elegge 
Qiialregnatorleggittimo  c verace? 

Nè  y’Jià  pur’un  , ch’ai  popoli  delufi 
Cosi  pervecfa  iniquitate  acculi? 


Starna' 


iS4  CORONA* 

180.  Stamane  alIhol*jch*^cbro  di  fonno,c  cicco 
Giacca  lo  ftuol , che  cuftodivailTempio, 
lo,lo,vid’ìo  quefto  donici , ch’è  meco,  ^ 
Torre  il  diadema , e confegnarlo  arempio. 
Così  la  Dea , chc’n  teftimonio  arreco. 

Paria  la  fellonia  mandi  lo  fcempio 

, Com’hà  il  pregio  involato, e fallamcnte 
L'altrui  s’ulurpa,c*n  ciò  che  narra , ci  mente. 

rti.  Ragion  dunque  non  fia,nè  mi  par  ^ufto 
Contro  l’ordin  celcfte,c  contro  il  vero, 

Ch’ei  di  quell’  oro  indegnamente  onufto 
De  le  glorie  non  lue  ne  vadaalteroi 
Età  cni  meritò  d’effere  Auguflo , 

Giudicato  dal  Ciel  degno  d’impero. 

Si  neghi  da’  più  faggi  > c fi  defraude 
L’honor  delamercedc,cdelalaudc. , - 

III.  Ma  perche  fccleraginc  cotanta  ^ 

Sia  nota  a tutti, e’I  dubbio  a pien  fi  feiogua. 
Se  pur  vera  è la  prova , onde  fi  vanta. 
Riponga  al  loco  fuola  tolta  fpoglia. 

Indi  di  novo  ancor  da  la  man  lama 
Come  dianzi  la  tolfe,hor  la  ritoglia*, 
E^'avcrràjche  quindi  ei  non  la  tpicchi, 
Provinfi  ancorai  più  famoff,  c ricchi. 

185.  Ma  ricche2za,e  valorc,e  quanto  dona 
Talhor  con  larga  man  prodiga  Sorte 
Poco  può  rilevar  { crcdoj  a perfon^» 

Che ftella incontri,  il  cuitenor  fiafort?. 
Hor  quando  avengapur,  che  la  corona. 

Per  cui  tanto  in  contraAo  è quefta  Corte, 
Non  fiaper  altra  man  levata,  ò motta, 

V cggiafi  fe  coftui  mover  la  polla.  ' 


L’auto- 


CANTO  DECIMOSESTO.  xtf 

1-84..  L’autorità  de  la  favella  grave  ^ 

Mofle  ciàfcuao , e del  dlvin  fembiante. 
Ciafeun  mira  Barrili , che  tace,  c pavé 
TuttoconfuCo,  e pallido, c tremante. 

Sparfo  allhor  d’ogai  ’ntorno  odor  foare> 

E volto  il  tergo  il  mefl'aggicr  volante, 
Dileguo(Ti,e  difparve  in  un  momento 
Come  fpuma  ne  l’onda,  ò fumo  al  vento. 

i8y.  A prodigio  sì  ftrano  & improvifo 
Aftreo  gridò, pien  d’un  feftivo  xclo. 
Lodatoli  Ciel,queft’c  dèi  Cielo  avifo» 

Chi  può  domar  quelch’èprefilTo  inCieloJ. 
Predo  c Barrino , c Ibigottitoinvifo, 

E pieno  il  cor  dì  timorofo  gelo , 

Sofpinto  à forza  al  grand’altar  s’apprefla# 

Al  ni)  nulla  operando , il  veTConfcUa. 


iS^.  Già  verfo  Adoti  conia  minuta  gente 
Del  Senato  il  favor  concorre  inficme. 

Ma  la  parte  più  ricca , e piò  poflcncc 
Lo  fdegna , ebiarma , c ne  fuflUrra,c  freme. 
Vuol’ Aftreo  jch’ognun  torni  immanteneate 
Nc  la  corona  a far  le  prove  eftrcmc. 

Ma  non  che  trarla  fuor, tentano  invano 
Crollarla  pur  da  la  tenace  mano» 


187.  Hor  di  quanti  quel  dlvolfer  provarfe 
Giovani  di  beltà  competitori 
Più  non  reftava  alcun , quando  compar fo 
Adon  di  tutti  ad  ofeurar  gli  honori. 

Serenò  l’aria  in  apparire,  cfparfe  ^ ^ 

Lume, ch*al  giorno  ingeminò  Iplcndon, 
E nel  paffar  con  glorlofc  palme 
Mille  fpogUeportò  di  cori , C d’alme . ‘ 


LA  CORONA, 

188.  Parve  a vedere  intempeftivarola 
In  bel  cefpo  callior  tra  prumi,  cRccchi, 
Nacacolànelaftagtonnevora 
Quando reftano  i prati  ignudi, e fccchi. 
Rivolti  a la  beltà  raeravigliofa 
Del  novo  aventurier  ,ftupiro  i Vecchi, 
Stimandol  quafi  al  par  de  gli  altri  belli 
Peregrina  Fenice  infra  gli  augelli. 

i8p.  Era  tra  que’  confin  ^pjbe  fa  Tetatc 
Di  fanciullenza  in  gioventù  paflàggip 
Da  le  placide  luci  innamorate 
Ufeia  diunbel  fcren  tremulo  ragerio. 

Ne  le  tenere  guance  1 e dilicate 
Frefca  fioria  la  porpora  di  Ma^io.  , - 
Tra  le  labrain  colofdirofaviva 
Il  forrifodegli  Angelis’apriya. 

J^«.  Di  fin  vermiglio  fi  colora  e tinge 
La  vqfta,e  di  fin’or  fregiata  fplendf. 

Barbara  zona  a mezo  il  fen  le  ftringe, 
Pacofotto  il  ginocchia  il  lembo  feende. 

Di  zendado  un  fcaggiall’homero  cinge. 

Da  cui  fonoro  avorio  al  fianco  pende. 

La  faretra  ha  da  tergo, e1  piede  eburno 
Aureo  gli  copre , e lerico  coturno. 

Non  hà  la  tefta  ignuda  altro  ornamento, 
Nè  pari  a sì  bel  crin  pompali  trova. 

Se  non  di  mirto  un  fil  minuto  e lento, 

Che  fmeraldo  con  or  confonde  a prova. 

Par  ch'egli  giri  un  Cielo  ad  ogni  accento} 

E par  ch’un  Sole  ad  ogni  Iguardo  mova, 

Par  che  produca  ad  ogni  rifo  unfiore, 

£ par  che  calchi  ad  ogni  palTo  un  core. 

Più 


canto  DECIMOSESTO.  187 

1^2..  Più  non  dirò, nè  Caprci  meglio  in  carte 
Tanta  beltà  delincar  giamaì, 

>Jè  di  tal  luce  ombrar  picciola  parte. 

Cieco  da  lo  fplendor  di  tanti  rai. 

Onde  poi  ch’ai  defir  mancando  l’arte, 

Dal  fuggetto  lo  ftil  vinto  è d'alTai 
Induftre  imitator  del  gran  Timantc, 

Gli  porrò  del  hlentio  il  velo  avance, 

1^5.  Ben  tra  color , ch’ai  gran  giudicio  uniti 
Volgon  dubbiofi  opinione  incerta. 

Sotto  veli  poriafalu  è mentiti 
Forfè  giacer  la  verità  coverta, 

Segià  lenz’altre  homai  difpute  ò liti 
Non  la  moftrafle  lucida  & aperta 
Non  ch’ai  faggi  e prudenti, anco  ai  più  fcioc- 
II  chiariflìmo  Sol  di  que’begli  occhi.  [ chi 


1^4. Lo  fplendor  diTjuegli  occhi  ogni  occhio  ab- 
La  bella  bocca  ogni  altra  bocca  ferra,  [baglia. 
Onde  conchiude  ognun, che  non  l’agguaglia 
Veracemente  altra  bellezza  in  terra. 

Cofa  mortai , ch’a  tanto  pregio  faglia 
Chi  cerca  liomai  ( dicean)  vaneggia  & erra, 
Non  fol  per  quanto  fuor  l’occhio  ne  vede. 

Ma  per  quanto  il  pender  dentro  ne  crede. 


Una  Colomba  allhor  , che  fuggitiva. 

Del  (aerato  coltello  avanzo  folo. 

Era  quel  proprio  dì  campata  viva, 

Venne  a fermargli  insù’a  fpalla  il  volo- 
Onde  il  buon  vecchio  Aftreo,che  ne  gioiva; 

E de’  prefaghi  Arufpici  lo  ftuolo 
Vaticinando  aventurofo  fiato, 

Con  lieto  annuntiointerprecaro  Udito. 

Qui 


xU  LA  corona; 

t^6.  Qui  forfè  un  grido  aniverfaljcbe  crebb» 
Di  laude  infieme , e di  letitia  tnifto» 

A lui  folli  conceda , a lui  fi  debbe 
(Trofeo  dc’fijoi  begli  occhilil  dcgno^cquiftt 
E con  plaufo , quai’alcrì  anccì  non  hcbhc. 
Sì  che  da  molti  invidiar  fó  vifto, 

Udilfi  un  mormorio  chiaro  c diftinto. 

Che  diceva  acclamando:Hà  vinto,hà  vinto* 

1^7.  Mentre  che  già  s’apprefla  a l’alta  impi*efa, 
Ecco  il  popol  di  fiior  grida  e fchianas^aa. 

Et  ecco  entrar  molti  iicudieri  in...,  ' - 

Et  ha  ciafcunp  in  man  dorata  mazza» 

Ond’a  la  moltitudine  fofpefa 
D’ogni’ntorno  allargar  fanno  la  piazza 
I nnanzi  ad  un,ch’a  pri  ma  giunta  fembra 
Havcr  belle  &ttezzc,c  belle  membra. 

1^8.  Falfirenacoftui  chiamato  havea 
jDà  remote  contrade , e regioni , 

Dov’ei  la  fignorìa  tutta  reggea 
Di  Pigmei , di  Gatizzl  ,c  (vArcamoni, 
Quindi  il  tralfe  abeiPartc , e Io  Iacea 
Tra  le  gare  venir  di  que’garzoni, 

Pcrchc‘1  regno  ad  Adon  rofl'e  intercetto  [to 
Dal  più  bruet  huò  del  mondo, e più  impertet 

199.  Per  meraviglia  inufitata  c ftrana 
D4  duo  femi  difformi  informe  ci  nacque 
Fùd’un  Can  generato , c d’una  Nana, 

La  qual’a  forza  a Taiilmal  foggiacque. 

Di  Fcronla  cllafù  maggior  germana, 
Fcronia  ch'ai  garzon  tanto  mfplacquc, 

E tanta  già  ncVmàl  noia  gli^crebbc , 
Menti'c  chittfoiivprigion  laMagal’hebbe. 

Clnlfci 


CANTO  DE CIMOSESTO.  ì.tf 

^oo.  Cinifca  cU’liavea  nomerà  la  cui  mano 
Lo  feettro  s’attetiea  dc'Capoadoci. 

Venne  a mercerie  campo  il  ner  Torcano, 
Tiranno  già  de’Tarcari  ferocii 
Ethavenoolaun  tempo  aftrecta  invano 
Con  longhi  afledli,  e con  battaglie  atroci, 
Alfin  pensò  l’inefpugnabil  terra 
Per  froda  conquiftar.  fe  non  per  guerra. 

Trattò  feco  allianza,  e voler  fioTe 
Di  già  nemido  divenir  marito , 

Perluafe,  premile,  elafofpinfe 
Con  lèctre,  e melfi  a credere  al  partito, 

E con  facri  potetti  il  parto  ttrinfe, 

É ttrinfe  il  cqnjugal  nodo  mentito,  ' , 

Per  trovar  via  da  disfogar  lo  fdegnp , 

Et  occupar  con  cal'inganno  il  regno. 

% 

1.01.  Fu  dal  falfo  Himeneo  placato  Marte, 

Onde  a dura  tenzon  pace  luccétte 
La  mìlera  lo  ttato  a parte  a parte,' 

E la  perfona  al  Barbaro  conceflc. 

Mà  dapoi  che’l  fellon  non  sì  nov’artc 
La  Donna  ottenne,  e la  ciccate  oppreflc, 
Schernìconiiigratilfima  mercede  , 

Il  facto  accordo,  e la  giurata  fede. 

40 5.  Nattiva  ei  con  lo  ttuol  di  molti  Alani 
Un  fuo  nero  Molo(l'o,il  più  membruto. 

Il  più  fconcìo , il  più  fier,  che  tra  Spartani) 

O tra  gli  Arcadi  mai  fufle  veduto 
Era  cerror  de’più  tremendi  Cani, 

Et  havea,  come  Lupo,  il  cuoio  hirfuto, 
Gfugnon  fù  detto,  in  horride  tenzoni 
Avezzo  a ttraaeolar  Tigri,  e Leoni, 

V0L  IL  N Hefr 


. 1^0  LA  CORONA, 

J04.  Hor  per  dlfprexzo  a tal  confort  In  moglie 
Sottoporle  il  cimaci  fé  la  mefch^f^, 

E comandò,  ch^jde  le  p^gprie  Cpoglic 
Ignuda  tutta  inffl^nata,  e china 
Preda  jreftallé  a le  sf^e^pe  voglie  . 

Da  l’ijtgord9’lihidjf\?  canina,  , 

E de  le  nozze  patteggiate  in  vece, 
Darofcenoly|a*§lncoprii;ifiifece.  j 

ioj.  Così  polche  più  volte  ella  foftenne 
L’indegna  villania  del  Tozzo  Cane, 

Da  l’iterata  copula  ne  venne 
Ingravidata  a concepirTricane. 

Trican  dal  dente  èi^uefti, il  qual  ritenne 
Forme  parte  canine,  c parte  fiumane. 
Mezodal  cinto  insù  d’h^iomo  hàfembianza. 
Tutto  fimile  al  padre  è quel  ch’avampa 

Dal  dente  ei  de^o  fu,  peroch’aguzza  . 

In  fuor, del  grugno,  & arrota  la  zanna, 

Che  di  fol^iume  fanguigne  il  mento  fpjmzza^ 
A guifa  di  Cinghiai,  gU  efee  una  fpanna# 
Couqucft’arme  talhora  infearamuzza 
Più  che  col  ferro,  altrui  lacera,  e fcanna. 

Parla,  ma  voce  forpiahorrida,&  atra. 

Che  con  ftrepito  rauco  ulula,  c latra. 

zp7-  Volto  affetto  non  hà  nero,  & adufto. 

Ne  candidodel  tutto,  c colorito. 

Crefpo  di  chioraie,&  ò di  tempie  angufto# 
Del  color  d’Ethiopia  imbaftardito. 

Ha  vallo  il  capò,  e pargoletto  ilbufto, 

Col  difetto  rcccelTo  inUeme  unito. 

Fanno  quinci  Erittonio,  c quindi  Atlante 
Un'innefto  di  Nano,  e di  Gigante. 

Confiti 


CANTO  DECIMOSESTO.  tfi 

loi.  Gonfiò  fcn,bracclp:  Uinghe , e cofce  corte, 
Hifpida  barba,  e pclKtti  e pungenti. , c 

Luci  veFmì^Ue,clag^^mo^<^,  e «fórre. 

Sguardi  d’infaufto,  e fiero  foco  ifdenci. 
Fronte  rugofa,  ofcure  guance,  e finorce, 

E Torto  biancbtflàbta  hàbiohdi  denti}' 
Armato  poi  ÌH  man  d’acuto  artigliò  " 

Ben  moftra  altrui,  che  di  tal  beftia  è figU&, 

109.  Agglufife  di  Natura  al’altre  coTe 
Ancor  nova  fciagura  il  calo  ifteflo. 

Quando  del  ventre  fiior  la  madre  cfpofo 

L’horribil  pefo,  e fi  fcontrò  con  cfl'o. 

Dapoi  c’hebbe  con  ftridaafpre  e rabbiofe 
Da  le  vifcere immonde  il  parto  efpreflo. 
Accrebbero  le  ferve,  e la  nutrice 
Cumulo  di  miferie  a l’infelice. 

aio.  La  balia,  ^h’allevollo,  c Tajutante* 

Di  rccargliel(i  in  braccio  hebber  piaócre. 
Raccapriccioflì  nej^vcderfi  avatite  ; ' 

Quelleferabianze  abominande  e fiere. 

Svenne  d’angofcio  e di  terror  tremante^  ‘ 

^ Le  braccia  aperfc,  e Tei  lafciò  cadere,  1 
Ond’ei  portò  de  la  materna  poppa 
U n piè  travolto,  & una  gamba  zopptf;- 

) 

HI.  L’havea  coti  acque  magiche,  e con  vcrfi  j 
V oltolà  Fata  in  un  donzel  sì  vago, 

Ch’a  pena  forco  il  Sol  potea  vederli 
Là  piu  leggiadra  e fignotille  imago: 

E feco  in  paggi  altr’huomiui  converfi 
Parimente  in  virtù  del  licor  mago. 

Pur  de  la  ftirpe  Tua  gente  minuta, 

Hof  ribile,  difforme,  e difparuta. 

N X 


eh’ar- 


é*’ 


tTi  LA  CORONA, 

xu.  Ch’ardicameutead  Amathuutail  picde>  . 
Senza ludùgioYolaeflb  (ella  gli  dille) 

Perche  di  Cipro  ad  acquiftar  la  fede 
Cola  non  croveria,  chefimpedlffe , ,,  \ 

Et  la  palma,  il  trionfo,  e la  mercede 
Verrebbe  a riprovar  de  1 altrui  ride, 
eli  unica  la  beltà  del  mondo  tutta 
Foia  a lato  ala  fua  per  parer  brutta, 

113.  Hor  qua  venia,  da  lei  fofpinto,  e tratto 
Da  fuoi  prppri  delìr  leggieri  e fciocchi. 

Tre  volte  intpjrno  incorno  il  contrafatto 
Torle  caninamente  il  cello,  e gli  occhi. 

Di  reverenza , o di  faluto  in  arto . 

Non  chinò  fronte,  e non  piegò  ginocchi, 

Ivi  a per  niezo  Ipdnol  quivi  raccolto 
Portò  fuperbo  il  portamento  e’I  volto. 

114.  Padà  a l’altare,  hor  ch’è  coverto  il  Cucco 
Sott’altre  penne,  orgogliofettoin  villa. 

Ve  tpdi  pclle.d’indico  Stembucco 
Collctto,  che  di  perle  hà  doppia  Urta, 

Di  preciofo,  & odorato  fucco 

Di  mufehio,  e d’ambjacan  temprata , c mida  ^ 

Damarchina  hà  laftorta  allato  manco, 

E dorato  il  pugnai  da  l’al  tro  Ranco. 

XI 5*  Vermiglio  palandran  vergato  d’oro 
Gli  rade  al  tergo,  e’I  fregio  e d’aurea  trinai 
E d un  tabi  di  limile  lavoro 
Fatta  è la  ralza,  c frallagliata  a fplnat 
Un  cappelletto  di  Ibttilcalloro 
Porta  che  pur  la  piuma  hà  purpurinas 
E guer  ni  to  le  man  d’ Arabi  guanti 
.Vien  ninfeggiando, amoreggiando  avanti 


aKTO  DECIMOSESTO.  19} 

116.  QucftavagaMag,U  durò  Col  tanto, 

Ch’eì  plùdaprcfl’o  a lagt'àn  Dea  comparve* 
Ma  giunto  Innanil  al  umulàcro  Tanto, 

. Si  dileguar  le  metttltrlcl  larve. 

S’aprì  la  nube,  fi  disfé  Tincanto, 

' E la  finta  beltà  ratto  dlfparve, 

Ond’ancor  negli  alianti  a rimprovifo 
Si  trasformò  la  meraviglia  in  rlfo. 

117.  Qual’huom,  che  Cotto  mafehera  nafeofto 
Inganno  altrui  con  habito  mendace , 

Altro,  che  prima  appai*),  polc’hà  depollo 
De  la  non  tua  fembianxa  il  vel  làllace> 

Tal  quel  brutto  homlcclvol  rimafe  tollo 
Che  ne  la  Tua  tornò  forma  verace: 

E Sallcco,  che’nftiraa  era  tra’ Vegli 
Dclplà  grave  Confor,  ne  rife  andh’egU, 

xi8.  Di  quel  collegio  riverito  e fagro 
E^qucflo  Salìceo  trà’principali , 

Manincon  villa,  afifìutto  è magló, 

Mà  Tempre  inbocca  hà  le  fiicctie.ei  Tali» 

E punge  con  parlar  mordace  5c  agro: 

Mà  fono  i motti  Tuoi  melati  llrali. 

Onde  trafige , é gratamente  uccide, 

E fa  rider’altrui.  Te  ben  non  ride, 

Polche  l’arco  collui,  fecondo  Tufo 
De  la  lingua  piccante,  hebbe  arrotar Ov 
TotTe  ghignando,  e forridendo  il  muTo, 

E col  gomito  urtò  chi  gUera  a lato. 

Hor  chi  (dicea)  non  rimarrà  conrufo 

In  rilguardar  quell’atomo  animato  ? 

O 'quale  Sfinge  indovinar  faprla  ' 

Chequalicàdi  creatura  ei  fia? 


^ é 


LA  CORONA, 


aio.  Da  qual  nicchiò  (butò  di  Flegetóntc. 

Un  Granchio  td , cui  par  non  hi  mai  (cortèi 
Conciai  Bertuccia (ì  congiunfe Brente 
Onde  ne  nacque  un  sìftupendo  aborto? 

Se  l’arco  haveffe  in  man,  la  benda  in  froniCj 
L*ali  sù’l  ter^,  e’I  plè  non  folle  torto, 

E’mi  pareblJea  le  mezze  eftrand 

Lo  Dio  d’ Amor  de’T opi,  e de  le  R anc. 


all . A legarti  dei  corpo  io  non  m’oppongo  j 
Se  noi,  gVa'fialfe  alquànto^il  piedeftoj 
E fé  fuiie  un  fommelto  al;Ti?n  piu  longo, 

Per  Gammcde  io  rhavréitoltoin  fallo. 
Sotto^quèt  fuo  cantei  fòmniiglla  un  fongo» 
Avvertire,  alapiutnauti  Pàpa^flo. 

Sembro  nel  refto'^ùha  Gróttclea  a glito, 

O vero  un  Ceroglifìcò  d’Egitto. 

all.  V eraniente  a ragiohbÌa(hiar  non  pòffo 
Sìgentif  per  fona^giò,  bcHànte,  t 

Chefelabafe  è piccióiàal  coloffó 
Il  torfo  è però  grande, e totTegiantc» 
Es’ìoben  miro,  ilndfo  bàco$Vg:oflo, 

- Cheneftàriafornitòun’Elcfonte, 

Benché  di  fchiatta  Elefantina  uh  moftro 
Il  dimoftrino  ancotàil  dènte,  e’I  roftro. 


XI).  Donde  derivi  in  lui  tanta  arroganza  ^ 

V eder  non  sò,  davaw^c  a si  ^t  an  N urne. 
Per  haver  di  Vulcani  Va  fomiglianza 
Forfè  con  Citherca  tanto  prefumc.  ^ 
Mà  dove  manca  la  civil  creanza,  . 

La  natura  fupplifce  al  vii  coftume,  ' 
Poiché  mentre  traballa  hor  alto, baffo, 

. 5uo  malgrado  s’incliaa  à ciafeuu  paflb. 


ONTO  decimo  sesto. 

114.  Màftcol  fafto  ccce^,  con  rorgogUo 

Scucirlo dcgglo,  c perdonar  gli  voglio , 
C’bvcrvpU^  riguardo  a la  rgura, 
IttcmquelyUcor  faggio  in  breve  foglio, 

U fac  gtandeixe  impicciolì  ISI  atura*, 

5’egli  ancor  che  (idrizxi,  e fi  piccino, 

Hor  ebe  farebbe  inginoccHiato,  c chino  ? 

uj.  Habblafi  dunque  inira  a la  corona, 

Pongafidopplaqura,  é doppda  iijicnt^ 

Perche,  mentre*  gli  alt ri‘h,ór^n  tcn^iQtw, 
N^nlarapifca^ Semidio  vaUntej  , ^ 

CJi’eflèn^op^f;fiagion  c^e  la  peilona'  ' 
'5ocome«i,ch’^vi(Ìbilc  a la  gerite,’ 


E de  Ij^Dca^olgoraaap  un  caitiu^vcnia. 

Z17.  Nel  volto  con  tanfi mpcto  battuto 

Fè  dal  piè  de  la  ftatqa  U fozxo  N ano, 

Che  foffovra  in  un  glòbo  andò  caduto 
Di  grado  in  grado  a rotolar  nel  piano. . * 

Quel  piacevol  prodigio  allhor  veduto,  ' 
^itiflì  ilfifo  raddoppiar  lontauo 
Ribombonne  il  theatr o a voce  piena,  ^ 

E chiufein  atto  Comico  la  feena. 


N 4 


Levoflt 


LA  CORONA, 

jii8.  Levoffi  il  Scraican  fuperbo  c rio, 

£ del  publicp  oltraggio  al  C iel  latrava^ 
la  rabbia  paterno  in  fuor  gli  ufcio 
Di  bocca  il  fiel  col  fanguc,  c con  la  bava} 

E bcftenimiando  de  l’alato  Dio 
La  madre  in  villa  minacciofa  e brava  , 

Contro  la  magainiqua,  emaledetca 
Giurò  Covra  il  Tuo  dente  alta  vendetta.  ' 

izj.  Hor  giuntò  al  trono,  ove  fcdea  Ciprigna  ^ 
Gol  vifò  alzato,  col  ginocchio  chino 
Dille  Adon  fupplicante.  O Dea  benigni, 

Per  cui  fcalda  il  mio  petto  arder  divino  , 

S’hai  viriù  di  palcar  ftclla  maligna, 

Se  pende  dal  tuo  cenno  il  mio  deftino, 
Piacciati  (pregò)  a quello  fervo  Indégno 
Come  donallìilcor,  rende  re  11  regno. 

^130.  Fu  villa  qif^  parlarla  Dea  cortelè  ' 
Quali  in  fereno  del  lampo  di  ftella, 
Diflèrrar*^  forrifo,  c’ntanto  fiele 
L’aurea  corona,  e l’adorno  di  quella. 

Nè  cinta  di  bei  ra^gi)  e fiamme  accelc 
Fii  la  fronte  d’ApollSlinqua  ribella, 

O de  le  fronde  del  più  verde  alloro. 
Com’apparve  la  fua  fregiata  d’oro. 

iji.  Mentre  che  tutti  di  conforme  voto 
Son  del  reame  ad  invelHrlo  intenti, 

Con  popolar  tumultuario  moto 
Ecco  nel  tempio  entrar  caca  di  genti 
Antica  Donna,  c di  fembiante  noto 
Prefa  menan  colà  molti  fergenti  i 
E già  grida ciafeun,  mentre  s’apprelTa  , 

Ecco  Allnda,  ecco  Alludo,  è certo  delTa. 

Alinda 


CANTO  de;cim;osesto.  i„ 

151.  Minia  era  co  ftei,  nu.tr  lc«-fìcla 
DUd,ch’  Adone  ingenerato  havea, 

E del  malvagio  amor  eoia:ipUcc,c  guida 
iù^anc  l’opra inceftuoXa  e rea. 
tlkfràtandftracii,  c tante  grida 
Mercè  piegava,  e rafcolcar  chiedea; 

Qni’alc  nu'b;  AftcQo  {lleiicio  indille, 
Allhoiìciolfc  la  lingua,  c così  diile. 

ij;.  Nonbram’io  nò  dal  rnio  canuto  crin^ 
Torcerla  falce,  onde  fia  erotico  iabreye." 
Prij^ipii.òcUè  lontane,  ò che  vicine 
5ien  i’Aore  ulclmc  mic>^nul  la  m’^  gre vc*t 
Venga  boniaipur  (ch’e  già  maturo  ‘ tifine 
De’pocbi  giorni,  cb.e’1  deiiin  mi  deve. 

'Mou  v“òdi  morte  4,9  e di  carenai 
Sciifar’il  fallo,  ò Ccut^r  la  peija, 

154.  lo  di,viec?\tpramqr  nefande  prqcje 
Tradì  Mirrr^  aropir.  4^^  padfc  iddio. 

A ITuga^tna  t^mororo  ardir nai  diede 
Piecàdeliuo  languir?  l’erpor  confedb. 

Ma  fc (filando  dal  male  il  ben  procede 
Suol  pcjidppapfi  pSi^i  pifi  grave  eccedo. 

Ben  può  d’clfecto.l^on  miniera  ria 
Per donpiTieritat  la  Colpa  mia. 

-135.  Lungedalpatrio  Tuoi  (così  la  punfe  . 
Vergognofo  timor)  faggi  tremanrei  . 

Nè  mcdalellungp  camindirglunfe , . 
Sempre  del  vago  piè  fcguace  errante. 

Mifera,  in  tronco  al  fin  cangiata  aggiunlc 
V erdura  a ibofchl,  e nijmero  a le  piante. 

Ma  dal  gravido  fen  (com’al  Cìel  piacque  ^ 
;Sovj*ogp)i^tjfy  leggiadro  un  figlio  nacque. 

W ; Nàcque 


LA  CORONA, 


198 

Nacque  colà  tra  quelle  piagge  apriche  , 
Dove  runico  angel  s’annida  e paCce, 
Che’nccncrite  lefùC  piume  antiche, 
Dr'‘^pa(dre,  & herede,  e muore  e pfcc. 

Al  bel  patto  ap p reftar  le  Ninfe  amiche 
fiorita  cuna,  & odoratefaCce, 

Ch’ove  il  latte  mancò,  nutrito  intanto 
Pù  de  le  ftille  del  materno  pianto. 

137.  Stupor  dirò,  che  l'altrl  fede  avanza. 

Sotto  lapo^pdàlclfiniftro lato 
Il  bel  corpo  portò  fuor  d’o^ni  ulanza 
MirabilnVcriite  i fenciulliniegnato.  ^ 
' D’uiià^fbfa  vermiglia  a la  fembianza 
Purpurea  macchia  vidipinfeil  fato, 

CjiTafi  volefl'e  pur  laDead’Amore 
Dal  carattere  fitti  ftampargli  ii  Èore. 

1)8.  Qtìtfti  in  Arabia  vive,  ove  ancoi^ò. 

Ho  menata  fin  qui  vita  felvagg^a, 

Mà  còme  prima  il  voftro  editto  ufeìo 
Abbandonai  quel  la  deferta  fplaggia, 

Bquà  ne  venni  al  mio  tètren  natio 
Pòfche’n  altrui  l’elettion  non  cangia. 
Noii^ee  giufta  ragion  di  quella  fede 
Torre  il  proprio  retaggio  al  vero  herede 


% 39.  Qui  tacque  ,eLuclferno  il  fiero  Scita, 
Cui  lacerava  il  cot^^crm  fedi  rabbia. 

De  fuoi  feorni  IHegnofo,  che  rapita 
Tanta  gloria  di  mano  un  garzon  gli  habbl^ 
Poche  d'Alindahebbe  Phiftoria  udit^ 

Si  traile  avante  con  enfiate  labbia, 

E {barrando  le  braccia,  alzò  feroce 

In  quefto  fuon  la  temeraria  |oo«. 


Qual 


CANTO  DECIMOSESTO.  15,, 

140.  leg^ierez-xa  , ò «jual  furor  v’aggira, 
Voi ch^dijiQtàv*ufu.r paté  il  nome? 

Equal  hibr  di  ragloii.  ragion  v’infp^a 
Supgpr  (i  frale  appoggio  a sì  gran  forac  ? 

Della- ^lUa,  ch’a  vaneggiar  vitira^ 

Non V* accorgete  homai  canute  chiome  ? 
lorfc  intercile  in  voi  corrompe  hqnorc, 

O’vi  laicivia  a tanto  errore. 

Z4I.  Cofa  dunque  vi  par  degna  di  voi, 

Che  fen  perù  coftui  £l  fatta  preda? 

E che’l  premio  negato  a tanti  Heroi  ^ 

A fanciullo  inelìper  co  Hor  fi  conceda? 

Benché,  s’io guardo  ai  portamenti fuoi, 
Piùtqfto  che  lanciai  femina^  ^ creda. 

Un,  ch’a  gli  habiti,  a gli  atti,  a ia  favella 
Co  vergogna  d’ogni  huomo^huomo  s’appcIIa 

141.  Meglio  faprà  con  <qucl  -fiio  bruno  ciglio. 

Col  biondo  cria,  con  1^  purpurea  guancia 
L’arml  ^doprar  di  Ventre,  e del 
Che  Tesser  feettro,  o.fbfttner  bilancia, 
VièpuTh'e:gipcchvilc  lo  Dio  vermiglio 
Tiàthir§,^4pd^Cj  ove  fi  trefea e^^iancia. 

Con  Satiri  a fcherzar  vani  e leggieri 
Atto  £krà,  ch’a  maneggiare  imperi. 

14V  Pettini,  e fpecebi  imbellì  e feminili 
Ti wti,  alfubbio  ^l'voisa,  a I ago,  al  filo, 

T ella  a Tuo  fenno  pur,  riccami,  e fili. 

Tal  de’fuoi  pari  c l’ efiercitia,  e rufo. 
Stiafipurtràdonielle  e vili 

E del  letto,  e del  foco  In  guardia  chiufo, 

Guardi  i tetti  domeftic*^  e le  mura, 

Màlafci  altrui  4cl  governar  la  cura. 

a 6 Potrà 


;oe  LA  CORONA, 

144.  Potrà  forfè  in  voi  tanto  un  volto  ofccnoj 
Tanta  fia  che  v'acclechi  un  defìr  folle, 
C’habbiate  di  voifteflì  a dar  ilfreno 
A re^gc  il  letto,  effeminato,  e molle? 

E volgente  viril,  dentro  il  cui  feno  ** 
Nobilzelo  di  gloria  avampa  e bolle,] 

Vi  lafcercte  tor  fenza  contefa. 

Quel  che  tanta  coftò  fatica, e Ipelà/ 

14  Che  fovrà  quello  cambion?  che  lena 
Da  reee;er  pefo  tal  che  non  trabocchi? 

-T'  • 'rei.» 

Tremerà,  piàngerà,  lena  eh  apena 

Un  Ibi  lampo  d’acciar  gli  offendagli  occhi. 

Torni  la  mente  homai  chiara  eferena 

Sì  chellimol  d’honor  vi  piingae;tOGchi> 

Facendo'poffeflbr  di  voftra  terra 

Chi  l’orni  in  pace,  e la  difenda  in  guerra. 

a4^.  Prima  che  Luciferno  oltre  feguiflc. 

Strano  prodigio  e repentino  avenne. 

Quella  ftatua  <f’Amor,  che  già  fi  dille. 

Lo  (Irai,  c’havea  su  l’arco  a feoccar  venne. 
Volando  il  crudo  ftral,  rhaftagliaffilVc 
Nel  coflato  miglior  fino  a le  penne, 

Caddej  e giacque  il  mefehin  gelido,  c muto 
Frecciato  il  cor  pafi'atoio  acuto. 

147  Dillupor  jditerrorla.gcntercfla 
A sì  fiero  fpettacolo  coufuTa. 

In  tanto  à tutti  Adon  fi  manìfella, 

E de’propri  natali  il  vero  accufa  , 

E per  provama^gior  fotte  la  velia  » 

Scopre  l’impreflìon  celata,  e chiufa,. 

Dove  l’ultima  colla  apprelfo  al  fianco 
loxfoA  Ì’^(€o  xiuaoi  del  httom^^co. 


;l< 


CANTO  DECIMOSESTO. 

148.  E^crò  che’lRc morto  Kavea  giàfatto  f. 
Paiefe  a tutti  il  ricevuto  Tc  Ke  r no, 

Veggcndoli  ilbclEòr  nel  cor  ritratto, 

E nelviCo  gentU’aerc  paterno. 

Tutto  il  Senati  con  folennc  patto 
Giurogli homaggio,  epofelo  al  governo. 
Sciolta  è la  balia,  c conoCciuto  il  feguo. 
Loftringe,  ilbacia,  c l’accompagna  alrcgno^ 


149,  Pula  Doriibc,  e da>la  madre  Argene 
Condiraoftranzc  afFcttuoTe  accolto,. 
Efebentroncaa’lor  dedr  la  Tpene,  < 
Nonsò  se’l  corfi  confor mavaal  volto, 
Come  del  fangue  al  debito  conviene , 
Nafcotidendo  il  livor,  l’honorar  molto, 
Venne  Sidonio  , c con  aperte  braccia 
Corfo  afeontrario.  Se  a bacciar  in  faccia. 


i50.Smarrito  da  Tinfolito  accidente  ... 

Di  Corte  ogniBaron  gli  s’avicina. 

Tolto  il  popol  concorre,  e reverente 
AfaluiarloRè  ciafeun  s’inchina^  . - . 

D’oricalchi  e diboffi  ecco  f\  fente 
Muhca  Barbarefca,  e .3 

Stracc.lan  Paria  le  trombe  a mille  amìilfy 
£t  aB'ordanoil  ciel  timpani,  cfquillc. 


ip.  falcato  carro,  d nobilmente  inftratto, 

Perche  dal  Tempio  aVrlcgif  albergo  ei  toni 

Vien  da  fei  coppie-innànzi^al  Rè  condotto  , 

Dilxnguermcl  e candidi  Alicorni, 

lavorato  e d’avorio,  & Ha  per  tutto. 

r’àzurrojc  d»oró  i adorni 

E’nsùquattr’archi  eccelli  e trionfali 

Spiega  l’infcgne  de  trofei  leali.  ^ 

' o r 


30t  / LA  CORONA, 

z$i.  De  Mftefla  materia,  c de  Tifteffo 
Lavor  tra  l’aurea  poppa,  e’I  bel  timone 
In  guifaf  ur  di  tribunale,  è raelTo 
Seggio,  che  braccia,  e branche  ha  di  Leone. 
Qui  con  fuoi  primi  Vfficiali^preflb 
Sotto  un  gran  pallio  d’or  s’aflide  Adone. 
PrelTo,  ma  non  deipari  innanii  al  piede. 
Aftfeocon  quattro  Satrapi  gli  fiede. 

i;  j.  L’aurea  corona  tien  su  gli  aurei  crinli 
Ma  però  ch’a  portar  troppo  gU  pefa, 

Duo  fanciulletti  in, forma  d’Amorini 
D’oro,  e d’oftro  piumatiin  man  l’han  prefa, 
E da  tergo  eminenti,  a vicini 
Gliela  tengono  in  fronte  alto  fofpefa. 

Così  pian  pian  trà  la  .-reai  famiglia 
Dritto  al  maftro  Plagio  il  cariifn  piglia. 

X54-  Primi  van  gli  feudier,  coftor  feconda 
Di  Paggi,  e Camerieri  ordind’honore. 

Il  carro  poi  la  Baronia  circonda , 

Doy’hà  di  maggior, Duci  accolto  il  fiore  , 
Schiera  dietro  ne  vien  lieta  e gioconda 
Di  danzatrici  Vergini  e canore 
Altre  ne  fiannoàh,  su  balfioni,c  logge 
Grandinando  di  fior  purpuree  pioggie. 

^I  minlftri  d.el  Rè,  ch'a  plé  gli  fianno, 

Di  paflb  in  pafiò  infra  le  turbe  liete 
De  la  prodiga  man  fpargendo  vanno  , 
Infegno  di  leticia  auree  monete. 

E tanta  forza  hàinsè  l’oro  Tiranno, 

Tanto  può  di  guadagno  avida  fece , 

Che  la  plebe  a raccorlo  intenta  e fifla 

.Cangia  la'  fcfta  in  ftrepitofar  ijLi. 


canto  decimo SESTO- 

Con sVfatto  apparato  itt  &lola,  e^nrlfo 
^^S^anregài  arriva  11  Re  novello. 
PoggjaJÙl’altàfàkeqalvl  aOifo 
St^nicro  attende,  melVa^glet  drappello. 
> benc’hor  da  V ifol  a divi  Co 
Continente,  era  già  vinita  a quello» 

E nove  regni  h^ea  Ceco  riftretti, 

^“^*^córibn  per  tributo  a.  lei  foggetti. 


fondunq  ue  ad  Honorarlo  prefti 
DlWQytreghi  Ambalciadori  accolti, 
^ttVvinga  barba,  e lungo  manto  honeftì., 
E di  ct^cfpl  turbanti  il  <tapo  avolti. 
AbacciargUla  man  ne  vengon  quelli,  ^ 
Pongon  ledèftre al  petto,^a  terra  i volti. 
Ei gli rabcógUé,  é^tinarixi  a Te  per  drltto 
Seder  gli  fa  lovra  origlici  d’Egitto. 


ij8.  L’ambafclataadcfrpor  pi^éfei:  coftoro , 

E idoni  inun  de  tributarli  Regi  ^ 

Cofe  di  cui  nel  Cen  no  n ba  t heloro  ^ 
L’AntMticoNetttm,  ebe  pitiu 

Hauvi  graigpadiglio*^  ieta,ed  oro:, 

Sparfo  divarie  cacce,  , 

D’hiftorieVbà  tape^xaria<realc, 

Arazridaguernlrcamerc , eiale, 

159-  CinnMntaaìlClsm<*i«“^°ffi'nn> 
Dcftriet  cha  i’oTO  Vaan  paramenti,  e felle, 
Vengon  condotti  ^ man  va^hi  e ■gentili 
Da  viè  più  clic carbon  nere  donzelle. 

Robutd  fclùavi  in  su  le  terga  humili 
Portand’argento  ancor  gran  conche  e belle, 

Dov*è  molt  oro  accumulato  e molto 

In  meda^ic  battuto*  e n verghe  accolto. 


m LA  CORONA, 

1^0.^  Poi  da  credenza  un  Barbaro  apparecchiò 
Di  bei  vafi  di  fraalco  ecco  ne  viene, 

E v’ha  tralor  del  più  purgato  e veccbi-i>. 
Balfamo  Orientai  molc’urnc  piene. 

Non  di  chriftallo  nò,  fègue  uno  fpecchlo 
Si  grande,  ch’a  iàtica  altri  il  foftiene, 

Mà  d’un’intcro,  e lifnpido  zaJSìro, 

E di  turchina  hà  la  cornice,  e’I  giro. 

i6i.  Duopretiofianelliinunfichindc 
La  iiobil  pietra,  che  relìftc  al  foco. 

Onde  guil’hà  (benché  Voraci  c chiude) 
Prende  le  fiamme,  e le  faville  a gioco, 

^ gemma  contlèndital  virtade. 

C’ha  di  tofeo  maligno  a temer  poco. 

Perche  fèntendp.ii  rio  velen  ,che  noc-c. 

Ferve,  c s’nfiainuna  si,  che’l  dito  coce. 

x6i.  Un  borri  voi  di  ricche  gemme  adorno. 

Che  quafi  viva  & animata  molle. 

Col  numero , e col  fuon  l’hore  del  giorno 
Segnar  non  pur  mirabilmente  fuole, 

Mà  con  le  rote fue  fi.  volge  intorno , 

Còme  volgonfiin  Ciel  le  ftelle,  c’iSolc* 
Giran  le  sfere,  edi  fin’or  coftrutti 
Movonfi  del  Zodiaco  imoftri  tutti. 

léj.  Temperato  in  Damafeo,  obliquo,  c cornp 
Stocco  vien  poi,  c’hà  di  rubino  ardente 
Le  guardie,  e’I  pome,  e di  diafpro  torto 
Sotto  manico  d’oro  elle  lucente. 

Gravi  di  perle,  àcui  l'Occafo,  ò l’Orto 
Non  vede  eguali,  hà  cintola,  c pendents* 

Di  diamante  il  puntale,  c fmeraldina 

P’un  veid’ofl'o  dipefee  è la  vagina. 


CANTO  DECIMO  SE,  STO.  3^1 

t^4.  Qucftiprefentifur,  cK’ala  prc-Ccnza 
Del  bell’ lonfu^reCentaci  aiVKcra, 

Data  egli  a i mem  alfìn  gra^a  Ecenzaj 
SlritralfcindifparEca  far  dimora. 

Ma  la  madre  d’ Amor,  ciac  viver  fcnxa 
Uaniitìa  fua  non  pUò  cótiteiara  vin’hora, 

Tofto  de’bianchi  augelli  in.  sù  le  penne 
Tacita  e fola  a vUlcat lo  ve  nne  • 

1^5'  Polche  più  volte  racco^licn’z.e  nove 

Partì  col  vago  Tuo  la  H>ea  vcxxofa, 
Pcrch’eraaftrettain  V>reve  a girne  altrove^ 

Ht  cradelfuobeiitrop>po  &clora‘j 
Seco  pensò  di  ricondurlo,  dove 
L’hcbbc  pur  dianzi  in  cliiula  parteafeofa, 
Ondehlaando  Aft reo  regger  fua  v'cte, 
APufatògiardin  tornai  To^^fcce. 

x66.  Fu  Bàrrin  condannato  a gitiftapena, 

Ma  perche  tanta,  osi  fole  nne  fi^a» 

Di  gaudi!  tuttas  c d’alle^'^^®  piena 
Conturbar  non  devea  cola  ranetta , 

Balio  c’haveffc  al  piè  ferrea  catena  , ^ 

S’haver  non  valfe  aurea  corona  in  tetta. 

Ballò,  che’n  càmbio  del  ft^plicio  ettremo 
Trono  un  banco  gii  fufle,  c icettrounremo* 

«<7.  Già  fcintUUndo  in  comptón'ia  d' Arturo 
Hclpero  ufeia  de  la  magi on  dorata, 

BgU l’argento  fuo  candido  epuro 
tuor  de  l'ombre  trahea  la  Dea  gelata. 

Stefo  in  wrraia  notte  il  ve  o ofeuro, 

Aperfe  inCicl  fercnica  * 

B divifo  un  fol  Foco  in  faville , 

Spenfc  una  luce  n&  racccfc  mille. 


4 


1;  ti 


^ò6  LA  CORONALO  ANTO  DECIMOSESTO. 

% 

z(J8.  ' C^ando  nel  letto,  ove  i primieri  ardori  / 
Sfogar  già  dc’l  defir  caldi  e vivaci,  '■ 

Colombeggiando  i duo  lafoivi  cori 

Si.raccolkr  tra  lor  con  baci  c baci.  ■ ^ 

La  bell  a Dea  de’verzzi,  e de  gli  amori 
^ Intefe  a l’amor  fuo  nodi  tenaci, 

E da’begU  occhi  con  fofpiri  ardenti 
Gli  rafeiuga  le  lagrime  cadenti 

• ^ ' iO’ 


269.  Pafee  il  dignih'de  TavidÒ  delire 
Sovra  le  piume  immobilmente  aflifa, 

Ghc’l  piacer  del  mirarlo,  e iqùerma'ftlr« 

'>Di  de  ver  fra  poche  HoPé  irrie  divifa. 

Le  va  con  tanto  dùwl  Palina  a.  ferire, 

E’I  piu  vivo  del  COI*  Ife  ^cca  iii  gullà,  \ ^ 

Che  fuor  difcdubblofà  elbìgottita  ^ * 

N on  sà  prender  pàrìiicb  à la  ^irrita.  ' ■ " ^ " 


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Il  Fine  De  lJPe  clmQjS  es  t o 

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4,'  i ri-  t banUp  t-  ’i  ’’y- 

^55..ì1>  t-inuri  ! -D  shouv^v  ^ '^ 

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'Imi;'., 


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L A'  T>  r P A PL  X I T A 


CANTO  DE  CIMO  S ETTimo. 


P d.lvcdercconcji4^n?apcna,&dif- 

^rwa  L^.^^rnc  del  fuo 
afiC^ godirne^c-q^-^nfibìlc.  P<r  Trito- 
ne ino£Ìto  rri3.iririo,  che  cavalcato 
da  Venere,  Se  alleccaco  da^a  proixicfla  del  pre- 
mio amoro  fo  , di  qu.à.^  cor  larghe  ruote 

trafcorreil  ^gurist  l'Hoomo  fenlualc, 

mczobeftia  quanto  alla  par inferiore,  il  <jual 
poflcduco&:  Ugnoreggiaro  dalla  volontà,  chcgli 
promette  piaceri  Se  dolcezze  inamerfo  dentro  il 
pelago  di  qaefto  mondo  , pet*  elio  del  con- 
tinovo lènza  alctin  ripolo  con  tortuofi  errori 
vagando.  Per  Glauco  , cHe  in  virtù  d un  herba 
mirabUe  , lavato  da  cento  ^ 

diventa  Dio,  fi  dilegna  lo  ft^co  di  eh  en- 

trando nel  gufto  della  vera 

que  de  la  vera  penitenza  purgandoli  dclfcnfo 

pre^eforma^ 

quifia  la  beatitudine  > f-  j-1  mare  rb*ar 

èftadcgl-IddU,  & f fi  oX’4u 

ridono  al  pairaggto  Aella  8 

lalfedmc  edere  a*"*;?®  ,& acrimomaè 

«luella,  che  per  lo  fop  <=  ,, 

provocatrice  della.  Itiil^^^^*  _ 

: ‘ARGO- 


ARGOMENTO. 

jyal  caro  fuo  con  lacrime  e fojpiri 
Vrende  congedo  Venere  dolente^. 

Poi  di  Tritonsìdl  tergo  alter  ameni tj 
Solca  tranquilli  i liquidi  ^ 


Quando  due  alme  innamofate  e fide. 

Si  fcorapagnan  talhor  per  dura  forte 
Morcal’angofcia  ambe  le  vite  uccide. 
Nè  proprio  è la  partita  altro  che  morrei 
E s’è  gran  doglia  allhor  che  fi  divide  : 
L'alma  dal  corpo  fuo  4olce  conforte  j 
Che  fiaqualhor’ad  alma  s'Invola,  , - 

Anzi  in  due  fi  diparte  un’alma  fola. 


l.  Ofcpoteflcinunmedcrmopunto. 

Quando  coppio  che  s’ama.  Amor  diparte, 
Haver  clafcun due  vite,  onde  difgiunto. 

Da  la  disè  più  cara,  e miglior  parte, 

E a ramato  fen  Tempre  congiunto, 

. Senza  giamai  partir,  girne  in  difpartc, 

. Più  lieta  l’alma  al  dolce  oggetto  unita 
Là  dov’ama  vivria,  che  dove  ha  vita. . 

Deh  come  volentiet  torrebbe  un  corc 
Farfi  baleno,  c divenir  fatta, 

Purché  da  l’arco  poi , che  fcocca  Amore» 

Fuflc  aventato,  ove  il  fuo  ben  l’r  f jctta, 

O quanto  invidia  al  Sol  l’aureo  (Splendore, 
Ghe  va  feorreado  II  Ciel  con  tanta  firetta. 

Per  poter  conun  raggio  ardente  e vivo 
Vifiur  l’altro  Sole,  ond’egli  è privo. 

Felici 


CANTO  DECTMOSESTO. 

4.  Felici  augelli,  e fortunati  venti , 

Cui  penne  dà  volar  diede  Natura.  • 

Beati  fiumi,  e rivoli  correnti  ; 

Che  divagar  per  tutto  Hanno  ventura. 
Aventurolc  voi  ftclle  lucenti , 

Ch’ardete  infiamma  dilettofa  epura» 

E fe  cangiate  pur  fiti,  e.  ricetti, 

Vi  vagheggiate  almen  con  lieti  afpetti. 

f.  Mlfero  quegli,  a cui  per  alcun  modo 
Convenga  ^bandonar  delitia  antica» 

Che  come  ò fchiantar  jràmo,,ò  fveller  chiodo 
Non  fi  può  fenza  ftr  epito,  e fatica, 
Cosìfpezxar  rindifCbiùtìil  nodo 
D’un  vero  amante,  e lina  vera  amica 
Se  l’undar^itrpfi  diftacca,  e fcloglie. 

Non  fi  può  fen^a  pianti,  èfenza  doglie. 

6.  Et  egli  a lei  Colpirà,  & ella  alui 
Rifponde  con  (blpir  trónchi,  c tremanti, 

E così  accorda  gli  ftrpmenti  fui 
Amor  con  tuono  cgual  fra  le  fonanti. 

Tai  fon  le  lingue  mutole,  con  cui 
Favellano  tra  lor  l'anime  amanti. 

Con  quelle  care  epiftole  furtive 

Pria  cne  giunga  il  partir,  Fun  l’altro  (criv^ 

7-  Qual’afFanno  credete,  c qual  martiro 
Di  Ciprigna,  c d’ Adon  nel  cor  s’aduna,  ) 
Mentre  per  cccUiTar  le  gioie  loro 
Ofeura  s’interpon  nube  importuna} 

Chi  lontano  talhor  dal  fuo  thelbro 
Fu  coftretto  aprovar  fimil  Fortuna, 

Potrà  benmimrar  con  l’argomento 
Del  filo  proprio  dolor  l’altrui  tormento. 

Gravida 


510 


LA  DIPARTITA, 


3 


8.  Gravina  già  di  luce,  il  vago  feno 
Apria  l’Aurora,  e parturiva  il  giorn^. 
Erano  al  parto  lucido  e fereno 
E l’Aure,  e l’iiore  allevadrici  intorno. 
Theti  in  conca  d’argento  un  bagno  pieno 
Gli  haveadi  perle,  e di  zaffiri  adorno., 

E fafce  d’oro  il  Sole,  e l’Oriente 
Porgea  cunadì  rofe  al  di  ààfcentc,J 

I fieli  amanti, ché?iVÌ%anchi  lini 
Smarriti  nel  color  de  le  viole, 

Havean  fin  prefló^'bl^uftimi  confini 
Spefa  in  vezzi  la  ntìtte,  & in  parole, 

Al  dolce  fuon'de’baci  mattutini 
Deftar  gli  augelli,  e rifvegliato  il  fole.  , 
Sorgendo  poi  da  le  rofate  piume 
Aprirò  gli  occhi,  e gli  preftaro  il  lume. 

10.  Ella,  ch’ai  rito  de  gli  ufati  giyocchi 
Deve  a punto  quel  dì  girne  a Cithera, 

Dove  ne  van  da’circoftanti  luochi 

I fuoi  divoti  ogni  anno  in  lunga  fchier|^ 

E di  vittime  {acre,  e facri  fuochi 
Honoran  lei,  che’n  quelle  parti  impera. 
Parlar  non  ofa,  e non  s’arrifchia  a dir  e 
(O  parola  mortai)  che  vuol  partire. 

11 . Come  fe  vuol  talhor  putrido  dente 
Sveller  con  delira  man  maeftro  accorto, 
I^n  sù  le  fauci  a por  fubitamente 
YadeltenaceCàn  l’artiglio  torto  i ' 

Ma  con  llil  dilicato,  e diligente 

Lo  fcalza  in  prima,  c porge  al  mal  conlbrtòs 
Così  Venere  bella  il  bell’Adpne 
(Preparando  l’afFetco)  al  duol  difpone.  ^ 


CANTO  D^CIMOSETTLMO  jit 

li.  Più  volte  fi  sforzò,  ma  non  fapea 
Come,  ne  doride  rncominciar  deveflc, 

Egli  è ben  ver,  cfee  q,^ànto  adir  havea 

Nc  gli  occhi  fctitto,  e ne  gli  fguardi  cfprefiè, 

£ dal  fanciul,  che  quanto  ella  tacca 

Pur  con  l’occhio,  e col  guardo  intefe , e lelfca 

In  quella  dura  e rigida  partenza 

Chiedea con  vive  lacrime  licenza. 

i5  Conviemnii  dice,  (e  fciolto  il  freno  al  pianto 
Gli  fa  monil  d’àmbc  le  braccia  ai  collo) 
Couvien^i  pur  (^hé  di  baciarlo  intanto 
Può  l’ingordo  defio  render  fatoUo) 

Coviemmi  ahi  lalVa  (c  con  qual  dolo, e quato: 
E con  che  lingua,  e con  checor  dirollo?) 
Convìemmi  hoggi  da  te  far^ipartita 
Idoletti^gentil  di  quefta  vita. 

14»  Per  celebrate  il  di  pompofo  c fedo 
Pafib  a Cithera,  c de  vlen  meep  Amore. 
De’lolenni  apparecchi  il  tempo  è quefto. 
Onde  là  fallì  al  mio  gran  Nume  honorc* 

Io  parto  sì,  ma  fe  ben  parto,  io  redo, 

E mi  fi  parte  in  sù’l  partire  il  core. 
Qued’efl’entia,  ben  mio,  fiera  e crudele 
Altro  per  me  non  fia,  ch’aflentio,  e fiele» 

Breve  l’indugio  fia,  breve  il  foggiorno, 
Che  fai  ben  tu,  ch’io  fenza  te  non  vivo. 

Nè  più  in  là  differir  voglio  il  ritorno, 

Se  non  quanto  fi  chiuda  il  dì  fedivo! 

Tu,  che  movi  cacciando  i pafli  intorno 
De  lafolicafcortain  tanto  privo, 

Deh  non  andar,  dove  l’audacia  figlia 
De  la  follia  ti  gviida>  c ti  configlU, 


Adori 


Jft 


LA  DIPARTITA, 


■W. 


l6.  Adon par  ch’a  quel  (iir  gemendo  voglia 
A favilla  a favilla  il  cor  dlfclorre.  ,, 
•Rifponder  vuol,  ma  Timportuna  doglia  , 
Non  lafciaa  la  ragion  notecoraporrci 
E s’alfin  pur  la  lingua  avien  che  fcioglia 
Il  duolo  è che  per  lai  parla,  e diCcorrc.  ^ 
Forma  rotti  foìpiri, accenti  mozjji,  . 


’r’ 


£ fommerge  la  voce  entro  i finghiozxi. 


17.  Dunque  (dicea)  dunqu’è  pur  ver , che  vuoi 
Peregrina  da  me  torcere  ì palli  : , . . 
Dìdimmi,  e come  abbandonar  mi  puoi 
Romito  habitator  d’antri,  e di  fal&f 
Perche  privarmi  (ò  Dio)  de  gli  occhi  tuoi? 

O Dio,  perche  ten  vai?  perche  mi  lalTi? 

E mi  ladi  foletto,  fe  non  quanto  , 

Mi  faran  compagnia  la  doglia,  e’I  pianto. 


18,  Cara  la  vita  mia,  deh  dimmi,  è vero? 

('Non  più  fcherzar)  qual  fato  hor  ne  dirgiiige 
Ch’io  nè  dafeherzo  ancor  pur  col  penfiero 
Pollo,  ò voglio  da  ce  vedermi  lunge. 

Che  farai?  ^e  rifpondi?  io  temo , io  fpero. 

Ah  che  pietà  di  me  non  ti  compunge. 

V edi  volti  queft’occhi  in  fonti  aii^^i, . 

Che  per  giurar  folevi  elfcrti  cari. 

W*  leggio  hor  ben’io , che  dal  tuo  figlio  avaro 
Qualche  breve  talhpr  gioia  s’ottiene,  . 

^ perche  crefea  al  fin  Io  ftratio  amaro, 

E fi  raddoppi  il  mal,  perdendo  il  bene, 

LalTo,  cim’apcrfe  un  fol  felice , e chiaro, , 

Per  poi  lafciarmiin  tenebre,  & in  pene. 
Prelcll  crudele  a follcvarmi  in  alto, 

•JPcr  fer  maggior  del  prccipitio  il  falco. 

Se 


G 


CANTO  DECIMOSETTIMO.  jtj 

V).  Se  di  votivi  honori  hai  pur  defio. 

Et  a gli  altari  tuoi  cotanto  penfi , 

Non  è forfè  tuo  tempio  il  petto  mio? 

Non  fon  voti  i penfier,  vittime  I fenfi? 

Se  vuoi  dal  popol  tuo  fedele  e pio  ' 
fiamme  lucenti,  e peregrini  incenfi, 

Non  fon  vive  faville  i miei  defiri  ? 

Non  foa  fumi  odorati  i miei  fofpiriì 

au  Etellaalui.  Chi  detto  havrebbe  mai, 

Che  chi  dal  volto  tuo  bear  fi  fente, 

Sentir  deveffe  poi  tormenti  cenai 
• Sol  per  mirarti,  & eflcrti prewnte  ? 

E chi  penfaco  havria,  che  qae’bei  rai 
Mi  devefler  mirar  pictofamentc,  ' 

E non  raffenar  fol  con  la  villa 
Qual  tempefta  maggior  de  l’alma  trillar 

Vedi  vedi  fé  llrana  è la  mia  forte^ 

, C’hoggi  la  mia  lalute  è per  mio  peggio.  . 

Le  tue  luci  leggiadre  eran  mie  ùorte, 

Hor  mi  Tento  morir,  perche  le  veggio. 

Onde  oer  non  mirar  la  propria  morte 
(Ben  ch’altr’alma  c he  te,  non  hò  nè  cheggio j 
Torrci  di  dar  quell’alma, c bramo  almeno 
Per  poter  non  partir,  morirti  in  feno. 

H'  Et  egli  a lei.  Non  sò  perche  fi  lagni 
Chi  procaccia  a fc  llelTa  il  fuo  tormento. 

Per  qual  cagionda  me  ti  difeompagni, 

Sc’l  non  farlo  è in  balia  del  tuo  talento? 

Qual  duro  cor  che  mentre  parli , c piagni. 
Forma  si  meftò  c querulo  lamento , 

Si  come  s’ammolilcc  a lagrimarmì  » 

Non  potrebbe  ammol^u  a non  lafelaiml* 

VtU  Ut  O A che 


514  lA  dipartita, 

z4.  A che  moftrai-tl  afflitta,  e lagrimoCa ? 

Mon  più  piangcr’homal,  che  l pianto  è van» 
Non  lente  palhon  molto  penow,  ^ 

Nè  molto  li  fenfo,  e l’Intelletto  ha  Pano, 
Chiunque  piagne  per  dolor  di  cofa. 

Il  culrimedlo'c  del  Tuo  arbitrio  in  mano- 
Perdonaò  Dea,  fe  troppo  ardir  mi  prendo, 

E fe  per  troppo  forfè  t’offendo. 

Et  ella.  Adon,s*eglimi  t)iace,edolc 
Cangiando  nido,  e variando  loco  ; 
L’aliontanarmldal  mio  vivo  Sole, 

Quantunque  io  fappiabeii , che  fia  per  po  CO 
Comprenderlo  ben  poi  da  le  parole. 

Che  dal  centro  del  cuor  m’efeon  dvfoco* 
Chiedilo  (fe  noi  credi)  a queftilumì, 

Già  ricetti  di  fiamme  hor  fatti  fiumi, 

%(,.  Mà  che  pofs’io,  fe  mi  rapifccemovc 
Violenza  fatai  di  legge  eterna? 

Decreto  incontraftalaile  di  Giove 

il  mio  moto,  c’imio  voler  governa* 
Piaceffe  al  Ciel,  che  per  non  girne  dove 
Hoggi  m’obliga  a gir  forza  fupcrna, 

Stelle  ne  la  mia  man  quella  partita, 

Si  come  ne  la  tua,  ftà  la  mia  vita. 

xy.  Et  egli.  Hor  come  fai  (s’Amor  n’è  fenxa) 
Formar  ragioni  a danni  miei  si  belle? 

Non  è buon  Pegno  haver  tanta  eloquenza 
Quando  di  là  dov’ama  un  cor  fi  (Velie. 

Chi  sà  del  ben’amat®  a la  prefenza 
Trovar  difcoloe,  c quefte  feufe  c quelle. 
Animo  ancor’navijà  bcn’a  baflanza 
» a foffr ir  volcntkr  lo  lontananza. 

Vanne 


CANTO  DECIlVtO  SETTIMO,  jtj 

i8.  Vanne  vattene,  pur.  i>  el  mar  tranquilla 

Kffai  mc^Vvo  potrai  valicar  Tonde, 

Se  PUOI  s\àUcggler  <qucfte  ch’io  fUIlo 
Paint,  quantunque  torb>i<le>  e profon^lc, 
ConccàaU  Cicló-al  foco,  ond’io  sfavillo,  ‘ 
Acque  piane  per  tutto,  aure  feconde. 

Rabbia  ài  te  fortuna,  oy  unque  vai. 

Cara  maggior,  che  tu  di  me  non  hai. 

1$.  Oiraè,  fplegar  ciò  ch’io  fpiegar  vorrei, 

Mi  contende  il  marcir,  che  rfi’addolora. 

Poiché  d’andar  deliberata  fei  > 

Del  po  fcdcl  Co  vengaci  talhora, 

Et  alincn  quanto  prima  a gli  occhi  miei 
Riportai!  chiaro  Sol,  che  gl’inainora. 

0 ti  veggiam  pur  pria  che  la  cruda 

Morte  con  raortalfonno  a me  gli  chiuda. 

» 

}•.  Io  sò  ben’lo,  polche  del  dolccc^  caro 
Ciba  divln,  che  l’anima  nutriva, 

Amor’ingiufto,  ingiufto  fato  avaro 
Per  legge  crudslillìma  mi  priva, 

Nè  vuol, ch’io  pur,d’ un  raggio  ardente  c chia- 
De’begU  occhi  fereni  alnacn  mi  viva.  (ro 
Sò  ch’io  monommi,  e fìa  beata  forte. 

Se  per  te  vita  mia  corro  a la  morte. 

31.  Ma  polche  nulla  il  mio  tornaento  acerbo 
Può  con  s\  caldi,  fulfceratiprieghi 
Il  rigor  di  quell’ animo  fuperbo 
Interic,  Siena  pietà  fi  prie^hl. 

Et  al  duol,  che  ne  l’ alma  lo  diluda e ferbo 
Amor  vuol  d’amor  premio  fi  neghi, 

Vita  del  morir  mio,  piacciati  almeno 
D armi  loco  nel  cor,  fe  non  nel  feno. 

■ - ' - - O i Kott 


*XA  dipartita, 

,1.  -Non cancelli,ò difpcrda onda  d’pbUo 

^ D’un  sì  bel  foco  in  te  la  rimcnaV[c^P«» 

Ma  come  vive  il  ver  nel  p9i;^o  nub,  . 

Ancor  nel  tuoT.e  viva  ombra  e lembianz  » 
Quello picciol  riftor o al  gran  dcfio,  ^ 

Quella 'poca  mercè  Colo  ra’ avanzai 
Quando  albergo  miglior  mi  fia  difdétto^ 

iNje  la  cara  memoria  baver  ricètto. 

u.  5'e’l  giorno  ufcir  vedrai  da  l’Oriente, 

Che  la  gente  confola  ajlUtva^  > 
Stando  lungeda  mejtornitìain^utb,  ^ . 
Che  tu  fol  lei.quel.Soh  cke.mi  rallegra. 

Se  fpiegar  dopo’l  dì  chiarpp^lucpnt^  ^ 

Vedrai  la  notte  la  Pua  benda npgr|a,(  . 

Ricofdatvche  taleancp  m’ingombra  ^ 
Senza  tc  nebbia,  e gelo/horrorì,^  ornbra. 

à.  Se  fior  verhiiglioinp, rato,  ò verdeggiante 
Miri  in  vago  giardino  herbetra,  o foglia. 

Dì  teco'alibof»  Nfilmàp  fedel^ amante 

Altoénobildelip  cp^^gc^'pogha. 

S’incontripeivcapain,fiuroc'Jppàm^^  ' 

Facciati  rammén^ad'  de  la  lala  doghav^ 
Penfando  pur,  che  piùprofpndbf  yiy^, 
Verfan  per  tc  queft’occhle  fonti,  e' vivi. 

5 5*.  Se  dì  perle,  c rubin  ricco  monile, 

O’bcl  diamante  incorno  a te  lampeggia. 

Ti  rapprefentllamiafede  humìlc,  ^ 

Cui  gemma  Orientai  non  ^^-papgg^* 

E fc’n  criftallo  lìmpido  e gentile 
Sì  fpccchìa  il  tuo  bel  volto,  e fi  vagheggia, 
Imaglna,  ch’ognor  l’iraagin  cara 
Nel  mezo  delmio  cor  fplendc  più  chiara. 


t 


canto  decimo  set  timo.  i)7 

5^.  Cosiper  tutto , ovunqu.c  andrai  d’intora^ 
Di  racmai  Tempre  il  (ìinixlacro  finto 
Di  color  viviin  vive  €br  mé  adorno 
Dal cortcTe pender  t.1  fia  dipinto. 

Felice  me,  fc  quando  poTcia  il  giorno 
C^eal’ombrèfiotturne,  e cadecftinto. 

Ti  ftampaile  dormendo  il  TonDO  vago 
La  mia  vagante  e fnggiciva  imago. 

57.  Ma  ciò  non'  fpèrp.  non  può  gìa^al, 

Ghe’l  Tonno,  il  Conno-  freddo,  il  Conno  cic(;o 
Accoftarlì  preCuma  a si  loci  rai 
E venga  tante  fianime  a portar  Ceco. 

Soffrirò  dunque,  e mi  fia  pur’aflai, 

Ch’.io  défproprio  dolor  mi  doglia  mec^ 

E con  lo  Cpìrto  errante  e peregrino 
Pofla  Cemprc  al  mio  ben  Carmi  vicino» 

j8.  tace,  poi  Coggitmge.  Ahi  che  Cerpendo 
Mi  vàper  tutto  il  petto  un  freddo  ghiaccici 
Temo  non  tu  da  me  £atia  fuggendo 
Al  caro  Marte  tuo  ne  torni  in  braccio. 

Se  quello  è ver  di  propria  mano  incendo 
Scior  de  l’amore,  e de  la  vita  il  laccio, 

Crudel,  Ce  non  ci  move  il  mio  cordoglio , 

Ben  Cel figlia  del  mar,  naca  di  Ccoglio. 

j9.  RiTponde l’altra  all hor.  Raro  vien  Colo 
Un  mal  per  aCpro , e per  mortai  che  fia. 

Il  Tepararmi  con  fugace  volo 
Dalatuavifta,edaìa vita  mia. 

Sappi,  ch’egli  non  m’è  fi  grave  duolo,  v s 
Nè  mi  dà  pena  tanto  acerba  c ria, 

Quanto  il.  vederti  piangere , e Centire 
SI  profondo  dolor  del  mio  partire. 

O 5 


Ma 


318  lA  DIPARTITA, 

^o.  MàPudirmi  incolpar  di  poco 

Giò  più  m’affligc.  E credi  anima  ingrata. 
Ch’io  con  lo  Dio  guerriero,  & homicida 
Cangiar  maideggialamia  pace  amata? 

In  lui  fpavento,  in  te  beltà  s’annida. 

Ei  tutto  ferro,  e tu  con  chioma  aurata  i 
Egli  con  fiere  e fanguinofe  palme 
C)  ccide  i corpi,  tu  dai  vita  a i’alme. 

41.  Poi  fegué,  Sé  giamaì  porrò  in  obliò*/  ’ ' 

Del  mio  collante  amor  l’alta  fermezza, 
li  Cicl  di  me  fi  feordij  ò fé  pillalo 
Rimembrar  giamai  deggio  altra  bellezza, 
Deftin  mi  face  ia  ingiuriofo  etto 
Scontar  c6n  mille  affanni  unà  dolcezza. 
Tacciami  accerta  è difpièratji  forte 
Pianger  la  viìa  mia  ne  la  tiiàinof’tc,  ■ / 

4j,.  Et  egli.  S’altroffral  gikmaiitiificdc 
Di  cj^uehch’ufciò^  de^tuoi  begli  occhi  ardenti. 
Ber  cjiuelH  pf atf  ovunque  pofo  Iljpicde, 
Secchm  rherbette  verdi,  e i fior  traenti. 

Se  mai  rivolgo  da  rantìc'a  fede 
Ad  altro  oggetto' i' mi éi'penfieri  intenti, 

T raggamì  iniqua  {Iella  inerme  e fianco 
D ove  mollro  crudel  mi  fquarcì  il  fianco. 

4j.  Con  lamanbcllaa  quellodirlabocca 
Lcggieramente  da  lei  gU  fù  percoffa. 

Hor  quai  (gli  diflèj'Ià  tua  lingua  fciocca 
Bellemmie  infàufte  a proferir  s'è  molTa? 

Sovra  chiunque  un  fol  capei  ti  tocca 
Cader  piùtoflo  il  rio  prefagiopofla. 

Taci,  nè  più  dò  dir  quando  tu  giuri, 

Lenge  da  te  cosi  mal  vagì  auguri. 


• X 


CANTO,DEC1M.O  SB-TTIMO.  \»9 

' ^ 

44-  CIÒ  detto  con  plctofo,  e langvild’atto 
Laco^pi^j^lquanto  W favellar  ritenne, 
EvtiUadopcr  gli  ocelli  11  ài  sfatto 
Pur dacapolW l’altro  a baciar  venne. 

Come  fermar  col  -piatito,  cfàr’il  patto 
Volellerxon le  lagrime  folerinc , 
fconfolando  Vanirne  dolenti 
Suggellar  con  lelabra  l giuramenti. 

4j.  CosUegiolc,  elepnemorle  eftreme  ^ ^ 

Coafoavi acqogllenxe  ip  vari  vari  modi 
Vanno  alternando  6c  Iterando  in  lemc, 

Ereftrm^oii  pl\l\  ^ '* 

Io  fconfola to  Ailpn  1^»^ e gem 

Rlfaettatoil  cor 

Vencr  con  roca  e,  langnida  ave 
Nonpiai^cr  diep^  e loco  piange  anch  elU. 

^6.  Poiché  i vezzi  d' A in?r  r°n^“  * 
RepUcatltrà  lor  molti  fi  . 

Ejochepiara-^rifchUU^^^ 
Pnach’ettafM|^  cale  affetto 

Econtantito^  f> vociii Tuono 

chTbtùt»Tj,uera\"^^^ 

Sacd-àmorc.edÌTÌu^iVaoguife=. 

• iì  <lol  col  chiaro  lume 

47.  Vedi  pur  qnan  \ ^^^ai  con  franco  ardire, 

Circonda  e ?hiedi  j. . 

Giuro  per  Snge  j . aulire.  . 

Nulla  Yimmof'®'  mio  Nume 

falca  immortabca  ^ 

Ch;ogaor  ^„i.nole(ir 

Sollecito  timox  > ^ ^ Làfla 


3B  ' LA^  dipartita;  * 

48.  LalTa  ,percli«  Riviera  avaro  fatò’;  ■ 

Fato  avarÒ^e  cruclcFè'àH  ambo  noi , 

Del  miodlvinó'^f^rkobeatò'  . _ 

Poter^arteitinekar  ne’rhcmbifrtuoi^ 

Sì  che  dì  viver  pdi  ne  fuAV  dato  - 

Com’an’ahin?a  fol  comnmne  a doì?  ' 
Ghebafterebbe^iTuii,  el’ajtr^falma  ' . 
DI  due  fedefì^manti  una  fol’alma/ 

49-  Così  drc’clla,  efhucgU  allhofa  il  nbVo } ' 
Defio  refpón  cohTervide  preghiere. 

Sai  ben,  che  dòpo  quel,  che  ceco  Wprovo 
Sommo  & incom'^^arabìle  piacere, 

Altro  trainili,  che  travagliar  jión  trovo 
~ Con  l’arco  in  rajah  Id  fuggitivi  fere. 

Piacciati  (prego)  almen  per  un  brev’ufo. 

Di  iafciarmi  cacciar  nel  parco  chiufo.; 

50.  UnpardoinCìpro  'havea  chiufo  e fc'creco 
La  Dea  d’Amot  pieh  di  feroci  bèlve. 

Salvo  à Diana  fol,  quivi  è divieto. 

Ch’altro  Paftorc,  ò*  C acciator  s’enfeWe.j 
Humile  animaletto,  manfueto. 

Raro  v’appar,  come  ne  l’altre  felve. 

Da  moftri  norrendi  (eccetto  entro  quel  muro 
Tutto  il  redo  de  l’ifola  è Iccuro. 

51.  Ah  (difl'e  Citherea)  quanto  mipefa 
Irrevocabilmente  haver  giurato. 

Tenta  ftornarlo  da  la  folle  imprefa, 

Tenta  molHrgli  l’animo  oftihàto. 

Ma  può  folo  appagar  la  voglia  accedi 
Lachiefta  gratta  del  piacer  vietato, 

Gratia  Ingrata  a colei,  che  la  concede, 

E dannofa,  c mortale  a chi  la  chiede. 


f 


E per- 


CANTO 'DE.  OI T TIMO.  311 , 

{uEpercK’cUcorgc  , 

A c^ucicaUo pregar  pjoi'te\>^f^  conj^cace,  ., 
\^elai  begli  occVvì  d’aiva  rioÈ^Ta- oW?^oCa>  . 
Evlbr^i^i^Ùo  d'ira  il  raggio  ^deij^e.^3 
Poco  durar  «Ì?gg>  io  fr  oticf^l^egriola  ^ 

l Dlfs’ella.e aoa  mi  calci o4cbìo  pi^ng^ntc, 
Perche,  por  mio , piu  ^oloticier  l-Pppor^fl 
DWcde^^j.colerico,  naorto».  u , : > 


se^ipcSMv 

bffiptaa^è  ha. 

o,  A.  Jiaoi,  ben  mio,  . 


Mà  fe  aoftami  il 
e, 

QCedi  e conconfigUo. 


E {e  tl  caldi  me,  cmf  . T._,  - . . » 


Eie  ticaioi  . ji  a tal  periglio  ' 

Et  almen  1 =lp  ^ ^ 

Cott  ngttaiilo  proe  , 


jit  LA  DIPARTITA, 

ff,  Baftarpur  ti  devrlan  qui  ne  l’aperco] 

'i’antc  pianure,  e collinette,  e piaghe,  ' 
Senzitéittar  per  quel  Serraglio  incerto  ♦ 
Beftie  ìnhumane , indomite,  c felvaggei  - 
Ma  da  che  poco  cauto,  e meno  efpcrto 
Baldanza  pueril  cola  ti  tragge, 

Schiva  fere  voraci,  e non  gir  folo  ,J 
Mà  conduci  dì  Ninfe  armato  ftudlo. 

j7 . Timida  Damrha,  ò fcmpllcetto  Cervo 
Vattene  pur  cercando  in  piano,  ò in  monte, 
Mà  d’alpcftro  animai  crudo  ,e  protervo 
Guardati  d’irritar  le  brame,  e Ponte, 

Cui  nè  punta  di  ftral,nè  tefo  nervo 
Faccia  in  fuga  giaraai  volger  la  fronte. 

Deh  non  far,  vita  mia , che  l’ardir  tuo 
XJ  ccidendonè  un  fol  n’uccida  duo. 

58.  Fuggi  l’hirfuto,  & hifpido  Cinghiale  ' 
Vedi  fpuinante  di  livor  le  labbia. 

Moftro  d’orgoglio,  c di  fierezza  eguale 
Fù  per  per  penfier,  che  l’Africa  non  habblai, 
Schermo  feco  non  giova,ardir  non  vale, 

Che  s’avanza  indifpetto,  e crefce  In  rabbia^ 
Dove  le  luci  minacclofe  é torte 
V olga  talhor,  là  prefio  è pianto  c morte. 

Ne  giovcnil  temerità  ti  fpinga 
L’Ira  a provar  de  l’ìmplacabil  ’Orfo, 

Come  l’unghia  nel  fangue , e’I  dente  tinga 
Rapito  da  ^urorfenza  difcorfo. 

Lagrlmofa  boltà  prego , ò Infinga 
Al  fuo  niorfo  mortai  non  pone  iimorfo. 

Nè  potè  altro  giaraai,  che  Arati o,  c ftragc 
Le  lue  voglie  appagar  cyvide  c malvage. 

Ancor 


CANJO  D’EqilvLO  S-E.T:T1M0.  51} 

6o.  Ancor  d’H,ir  cani  a a la  Cu  p erba  Fera 
Stadia  a turco  porcr  Cotcrartl  lunge, 

Quella  chi  la  per  fé  gne,  afpra  guerrcra 
Schernìirkc  (de’ritclii,  opprime  e punge  , 

Più  del  maritò 'Z.  e firo  leggera 
Velocentence  il  ^gs’^unge, 

Spargcd’ira  le  macebie,  e furia,  c [reme, 

Ch’oguor  de’ cari  parti  il  furto  teme. 


6i.  Nè  meri  A’ogni  altro  l’animal  che  rugge 
Habbifemprc  a Icliivar  pronto  1 ingegno. 
Non  reme  nò,  non  teme  il  ficr,  non  tugge, 
Haha,  ^iedo,  ò fpunton  non  gli  è ritegno; 
Ciòchc’ncontro  gli  vien,  lacera  e ftrugge, 
Ogn intoppo  gli  accrc;rce  elea  a lol'dcgnoi 
FocogUocclii  al  crudcl,  ferro  gli  artigli 
Arma,  e fprexz-a  iracondo  armi , e perigli 

6i.  Dchfepur  fenxa  ne  crederfiaenno 
Si  belle  membra  a si  dubbiolobolco , 
Eàdolce  anima  mia  quant’io  t’accenno. 
Campa  di  quciVi  rai  la  rabbia,  e'I  tofeo, 
Ch’iutelletco  non  han,  nefenno 

. Da  conofcer.e  in  te  quel  eh  loconofco; 

Non  cura  alcun  di  loro,  e non  apprezza 
Gioventù,  leggiadria.  S'vada,  o bellezza. 


é,  Qaal  rofa  oppreda  da  notturno  gdo, 

O’di  pioggia  brumale  il  ciin  diffama, 
Sovra^lePpIne  del  marei  no  lido 

ImpaUidifcc  languida,  e rocch,,r,, 

Ma  fc  Zefiro  torna  , o I A ba  m CieJo, 
Fuor  deWerdc  cappui  Tuo  gemme  acci, fa, 
E con  bocca  odor<aca,  e puipurma 

Sortiie  al  Sole,  a a,  K ala  brina 
‘ vJ  6 


Tal 


Dio“- 


ii4  t A DIPARTITA, 

<4.  Tal  parve  aJ)nnto  Adone, >e  men  crucciofo* 

Il  cììtUo  ferenò  torbido  e criftd'. 

Onde  fialgoreggiar  lampo  amorofo  py 
T rà  ì nrembi  de  lagrime  fu  vìfto. 

Nel  volto  ancor  crà  chiaro,  e-nubilofò- 
Fèdi  rlfo,  edi  pianto  uh  dolce  mifto,, 

E di  duol  vi  dipinfe,  e di  diletto  . 

Coiifufo  il  core  un’indiftiùco  affetto* 

é t.  Ella  il  libacela,  e perche  già  piÙTara 
*■  Vede  l’ombra  del  Cìcìfaufiin  Levante, 

Levali  per  ufeir  con  l’Alba  a gara 
T atta  di  vcxtX  languida  e cafeante. 

Mentre  ch’è  l’aria  ancor  tra  bruna, e chiari 
Sorge,  e forgèr  fa  (eco  il  carojamantc. 

Le  Gratie appella,!  dolci  nodi  rompe, 

E chiede  da  vcftir  l’ufatc  pompe^ 

66.  Giovinette  attrattive,  e vergineHe 
Son  qirefte,  ignude,c’nfottil  velo  avolte,. 
Semplice  liete  e ridenti , e Tempre  belle. 
Sempre  unite  in  amor,  nc  mai  difciolte. 

Di  pari  età]  di  par  beltà  forelle' 

Con  pai  ma  a palma  in  caro  groppo  accoltOj. 
Somiglianti  tra  sè  , moftrano  efpreflo 
Non  diverfo,  e non  uno  il  volto ifteSb.. 

67.  Dìclle  Etinoraia  alaluce , e già  concette 
Del  gran  Diode  gli  Dei,  nacquer  divine. 

De  l’Acidalio  {ancorché  pure  e nette) 

Lavanfi  ognor  ne  Tacque  chriftàlline» 

E fon  tre  fole  al  degno  ufficio  elette , 

Thalia  la  dotta,  Aglaia,  & Eufrofine  i 
Bench’al  numero  lor  poi  Citherea 
Habbla  ancor  Pitho  aggiunta,  e Pafithea. 

Un’altra. 


ile 


è 

4 


CANXO  OSCIMOS  ET  T IMO. 

ii.Uj):alti:a»A»oQ^i  pià  , chc’l  pregio  KàtolBo 
p-oanirara  ecceUaiza^  tutte  collette  , 

Aaincgata  ve  lajè,  non  è m.9lfao  , 

dìruiniani  la  Cpoglla  , e "vefte. 
(]ellar«ppeil3r,c  feén  del  Oiel;  nel  volto. 
PoitaUlMce  , c la  laeltài  celeftci 
Eroltrtancor,  chccorrie  il  Ciclo  è.  bella*, 

^21  favella. 

Éj.  cKci  fapprefenri 

^Kvnfafclvagg*ia,il  fuo  Pallore  alletti, 
O’AolcffcCpriraiin  aniorofiraccenti 
iattaDouna  dvile>  alti  couccxcì, 

O’ialbor  fplcghtin  tragici  la  mente 
KeinalUuìtre,  i Cuoi  pie  t oli  affetti^)^. 

Co^olplrl  non  men*  cUc  con  la  laude 
Chi  ne langue  trafitto  Pd^laudcV 

70.  Tallir  pSaa  dc’theatri  il  ibmmo  honore,, 
ijvvidaa  coftjei'ccde  il  primo  vànto^ 
Ondeveggendo  pur  la  IDea  d’ Amore, 

CbelaÉi  gràtic  diigratia  avanza  tanto 
Kon  Col  degnala  fa  del  lÀio  favore 
Fra  l’altre  nme,edel  commercio  lanto, 
lAà  per  renderin  tutto  al  Cielo  eguaic.v 
Scóapitcrna  1 ha  fatta,  & immonale.  ^ 

Viene  af  filo  cenno  alT bor  i ficome  hàillfc; 
Quando  avièn  che  dal  fonno  ella  fi  feiogUa,. 

Il  drappelietto  nobile  c gentile  ^ 

De  la  camera  facra  entro  la  foglia , 

ILeca  di  bìflb  candido,  e-fottile 
Orlatad’©rb,e  profmnata  fpoglia. 

Di  quella  bianca,  e dilicaca  tela 
Il  no»  mcnbiancoièn  circonda  e vela. 

Gonna 


>:  1., 


,i6  LA  diparti  ^ 

7r.  Gonnadi  feta,  ' 

De  le  NinlVdi  Lidia  opra,  e 1^»  o ^ 

Si  ftringe  intorno,  in  guifa  di 

Seminata  per  tutto  a rofe-d’oro  > 

V efta  ricca  c reali  ma  non  ha.  vefta 
Pari  a tanta  beltà  l’Arabo,  ò II  Moro- 
Degno  foro  a’bei  membri  habito,  e velo 
Riccamato  diftclle,  a pena  il  Cielo. 

73.  Sotto  un’ombrofa , & odorata  loggia 
De’fuoi  rami  intefl'uta,  ella  fedea, 

A cui  dirofe  in  fen  purpurea  pioggia 
Scherzando  adhor’adhor  l’aura  icorrea> 
Età  comporle  in  peregrina  foggia 
La  chioma,  che  difciolta  le  cadea  , 

Tutte  tré  da  tré  lati  accorte  e belle 
Intorno  l’afliftean  l’idalie  ancelle, 


74.  L’una  a delira  le  fiede,  e con  la  delira 
Lucido  fpeglio  le  foftene  & ergej 
L’altra  lo  Iparfo  crin  da  lafmeftra 
Difiniflimo  nettare  confperge; 

La  terza  poi  con  man  fcaltra  e maeftra 
Le  fcarmigliatefila  ordina  e terge , 

E da  lefpalle  con  eburneo  dente 
Ara  le  vie  del  crefpe  oro  lucente. 

■75.  A l’aura  il  crin,  ch’a  l’auro  il  pregio  toglie, 
Si  fparge,  efpandein  mille  giri  avolto, 

E’I  vcl,  ch’avaro  in  fua  prigion  l’acoglic, 
Fugge,  e licentiofo  erra  sù’l  volto. 

Se  fteflblega,  e poi  fc  fteflò  feioglie, 

Mà  legato  non  mcn  lega,  che  fciolto, 

E fi  gonfia,  e s’attorce,  fcherza,  e vola 
Perle  guance  ferpeute,  e per  Ingoia, 


canto  DECIMOSE  TTIMO. 

76.  Spetto  ì la  fronte  candicla,  e ferena 
Qiul  corona  dintorno  aurea  rifplende, 

Hor  fatte  gli  orbi  Cuoi  rete,  c catena, 

Hoi’i  Cuoi  lunghi  tratti  a terra  ftende, 
Tarhor  iìttuCo  in  pretio£a  piena 
QuaG largo  torrente,  aV  fenlc  feende, 

E par,  mentre  fi  ver  fa  in  ricco  nembo, 

Giove,  che  piova  a fua  Danae  in  grembo. 

77,  Màque’Ubcri  errar  frena  e comparte 
L’ingegnofa  miniftra,  e lorda  legge. 

Moki  nelafda  abbandonati  ad  arte, 

Moki  con  moifo  d’or  doma  e correge. 

Parte  ne  chiude  in.  reticella,  e parte 
Per  ottir  groppi,  c cerchi  ella  n’elegga 
E qaaltti  k>r,  e per  emular  l’Aurora , 

Di  fiori  Ingemma,  e qual  di  gemme  infiora 

78.  E mentre  folca  con  dentato  raftro 
Per  diritto  intervallo  i biondi  crini, 

E dal  foramo  del  candido  aUbaftro 
Termina  in  fpacioangufto  i duo  confini:. 

Va  tuttavia  fovr  a leggiadro  naftro 
Intrecciando  gli  ftami  eletti  e fini, 

Dove  con  ami,  e calamiftri  accoglie 
Tremolanti,  cimier,  piumaggi,  e foglie. 

Le  trecce  al  fin  diftingue,  e quella  e quefta. 
Stringeindue  mafie  eguali,  e poi!’ aduna, 

E forma  in  cima  de  la  bionda  teda 
Con  due  corna  fuperbe  aurata  Luna. 

Del  vulgo  de’capei,  che’ntornorefta, 

Parte  non  lafcia  inordinaca  alcuna. 

Ma  ne  fabrica,  e tede  in  mille  modi 
AncUa,  & archi,  e labiriaù,  e nodi. 


Polche 


% 

] 


3%8  . ./  LA:  DIPAI^lITAi 

8q.  Poiché  perfette  ognuna  effer  compi;^d%  , | 

De  lo  ftranio  Iotjw  lei^^erayigUe^  . ,;i  -? 

Altradl  af^yraporlcinwntle'  ’i 

Ghirlandecce^o4qvÀ^cre^^v^|-migli^v'  <-  << 

Altra  a gli  occhii4ue(jucentì  appende-:  . ' ì ii, 

De  le  conchq  E^itro^<jeruIgetìg4c,'fi:  j 

Altra  a l’eburnqa  gola  atfibbia  ig  giro, 

Con  brocche  d’prp  un  vezzo  di  z^ro^  , » , j 

8i.  So»raunU;ij?pdifior^ej|;i^ref;^flira i 

Il  piombato  chi illal,jì(5k'ncavant6rr  ia\ 

Quel  lampeggia  a’£ìpv4ampi  in  quell^^uifa 
Che  fuol  d’Endiiqjqn  Iq bì^ca  amantcj - \~ 

E mentre  ivi  per  entr^j  lumi  affif;j,^ , . ^ ' 

Pur  coiT^^ iC 
Fàde’fregi  :h  3 

Giudice  l’occjvi.Qyje^ptìfigiier  lo  fps§chj^  ,•  J 


A,  lahpccau^pl  cedej^^h'omav 

Appo  ilcaq^do/^§iif,eil'bel  candore, ^ ios’I  a 

Delad(^pia,unionpp,ij4<^r^^^  ni  f 
E'I  puro  pdo^',  che,  ne  le  fpogl^  ehiufo,.,  ? ^ 
Da’figti  Ipavà/IJinii-fà 

83.  Hor  poic^ia  tujtt’j^ut^.^ri?efioie^^^v^ 
Albelv^ggÌ9,ip4fi^^ndOiyalFf,;  . 

E nel’ulcjrt^vagtpcchicelelU  ^ , -P 

Innamora  gli  fterphinl^^mai  {affi.*  Jt  - 
Move  i fembiaqti  A^por,  la^pi^  ?ii  g«ft»  > 
Gratie  le  pianp^ , e macftatcipàllì. 

Così  piauplan  u parte,  e s’incaraina 
Con  Adònlagrimofo  a la  marina. 


Mà-dq^l|:Qp^pt  tr^i^mlo?  rplc^^dpré.  ;eoC> 
Abba^Ua}^ ciglv? ippici  rgif, | . ,fcxr 
Puòde’rubiniil,fylgpraMca^dp?ip.A  ' ' 


TTIMO. 

*4*  Apcì»agìóntì-1k^à  là*veràVi?ivai  • ' 
Fùperinvidrà^ifilé^uar  lcft<:llc. 

Cedon  gli  hòrrori  a i^u'^la'ltìcé  viva, 
Fuggottlt  nebbie,  e Té  procelle. 

Il  Gel  lonUcje’d  Sòl,f?h’allhoraùfciva  >. 
Sifpecchiò  ne.le  luci  àrdenti  e belici 
Onde  pàteS  con  gfeiinò  iplcrulorc , 
Cheduò  foffero  VSSli'i^  due  TÀurorc. 


85.  Come  l-augel,  chè-téTfuc  fpogKc  inferme 
Dentro  rogo  odótiferà  cohluma, 

Poiche’l  riLorto  tf  ’gio vinetto  verme  • 

Hà  riveiVicó  di  novella  pìam a: , , . '>1-  ■ , 

Prodlgiofo  c redivivo  germe  > ' , '* 

Di  purpureo  fplendor'l’ Egitto 'illariia,  ^ 

E ritorna  invcr  le  |>  att  te  piagge/  / 

Lunga-ftrìfeia  d’adgei  dietto  fi.  tragge^  ■ 

85.  Cosi  dovuhèue  il -p^de’i  cl*occHio  gira» 
Rendendo  il  InolÉdrito,  il  Cielfcrcno, 

Mille  Amolriia  Dea  feto  fi  tira. 

Qual  (otto  il  lembo,  e qual  le  vola  infeno, 

E Paere,  py' ella  ride,-  ond’ella  fpira. 

D'anime  tutto  animorofettc  c pieno,' 

Ch’ai  vivo  raggiò,  ond*^è  più  chiaro  il  giorno 
Si  com’atomi  al  Sol,  fcherzano  incorno. 


87.  Scherza  le  intorno  lafcivetto  e folle  • • 
In  mille  groppi  un  nuvolo  d'-Amorij  ■ 
Popolo  ignudo,  alata  plebe  e molle. 

Sagittari  feroci,  c feritori. 

Di  palco  In  palco  van,  di  colle  in  colle 
Altri  cogliendo,  altri  verfando  fiori 
Parte  l’oro  pungente,  e’I  piombo  aguzza , 
Parte  di  vivo  humor  ftille  vi  fc ruzza , 

Qual 


.LÀ  DIPARTITA,  A 

88.  Qual  di  mufico libro  il  grembo  ha  carco. 
Qual  và  con  cetra , e qual  con  arpa  i braccio, 
, €hi  fere  affronta,  c chi  Pattcnde  al  varco, 

Chi  fiamme  acce,  e chi  vi  mefee  11  gliiaccio. 
Un  fcocca  la  faetta,  un  tende  l’arco. 

Un  telTeun  nodo,  un’altro  ordifee  un  laccio 
Quefti  sù  l’ali ftaffi,  e quei  leggiero, 

D’un  Cigno,  ò d’un  Pavon  fi  iadeftriero  . 

S^.Quegli  i’affren^e  quefil  il  fren  gli' allenta 
DunTaltro  ingiuria,  afl'ale,  urta, e minaccia 
Creiti  il  compagno  importunando  tenta 
Di  trarlo  a terra^  e quegli  un  fuga  il  caccia. 
Altri  mentre  fe  fteflo  in  aHoavenca 
Ride  cadcndo,!altri  il  éaduto  abbraccia., 

De  le  cadute^^lor  l’atto  è diyerfo, 

C hi  boccon , chi  fupino,  e chi  traverfoi . ^ 

fiO.  Molti  cercan  ne’làggi  i nidi  afeofii  '1.'’^ 
Dove  Hanno  a covar  le  Tortorcllc. 

Molti  ne’cronchi  de  gli  allori  ombrofi 
Fabrican  ca^e,  e gabbinetti,  eccUe.  ' •’ 

V’hà  chi  di  vinchi,  e vimini  vifeofi  ' . . 

Implica  l’amenifTime  mortelle. 

Nè  manca  chi  gli  augei  caduti  ài  vifeo  > 
Chiude  In  gabbie  di  giunco,  ò di  lentifco. 

$1.  Altri  intrecciate,  c’n  lunga  linea  attorte 
DI  molti  archi  ha  le  corde  inficme  avìncc, 

E poiché  l’hà  d’un’clce  a un  ramo  force  • 
Sofpefe , e l’armi  d’or  depofte  e fcintc,.. 

Quivi  s’affidc,  e più  d’un  fuo  conforte 
Agitando  il  và  poi  con  mille  fpincc. 

Si  libra,  e vibra,  e mentre  in  aria  (balza 
Quali  in  mobile  culla,  hor  cala,  hor  s’alza. 

Alcoa 


CANTO  DECIMOS  ETTIMO.  jjx 

$!•  Alcun  giocando  con  auratè  poma 
Le  bacia,  e gitta  St  la  contraria  banda 
Altri  con  pari  e vincencJevol  foma 
Purbaciandole  p'reilde,  e le  rimanda, 
^cioltaciafciin  di  lor  porta  lachiorhaj 
Acuil’iftdVò  crin  fcula  ghirlanda, 

E le  faretre,  eie  quadrella  loro  ^ 

Parte  fonò  indorate,  e parte  d^òro.  ; ' 

jj.  Amianlajnan di fàceUctte ardenti, 

E fpeffó  avicn,  che  l’un  l’altro  raettij' 

Mà  fenz’ìra,  ò dolor  porgon  ridenti 
A gli  ftrali  arrotati  ignudi  i petti, 

Hanqual  d’òftro,  e quaÌdt‘or  penne  Intenti, 
Varicficònlie  apunt®  han  gli  àugelletti. 

Son  vermigUei  c cerulee,  c verdi,  c gialle, 

E d 'altri  piu  color  fregian  le  Tpalle. 

J4.  Figli  fon  de  le  Ni nfe,  e fon  germani  ‘ • '• 

D’Amor,  d’egual  età,  d’afpetco  eguale. 

Sa  ciafcun  d’eflt  ancor  nc’peitihumani 
Vibrar  la  fece,  & aventar  lo  ftrale  -,  . ' 

Ma  fuorch’alme  vulvari,  e cor  villani, 

Arder  non  fuole,  e faettar  non  vaiò 

Solo  il  Principe  lor  fdegna  trofei 

Di  cor  felvaggl,  e d’animi  plebei,  ' 

Chifìadì  voij  vaghiifahclulli,  e fidi,  ' ' 

Che  trovar  fappla,  ove  Tritóne  alberga? 

E preftaraente  a me  l’adduca  e guidi. 

Perche  quinci  mi  porti  insù  le  terga? 

Ite  a cercarne  i più  ripofti  lidi, 

O’che  per  Tacque  Egee  forfè  s’immerga, 

O’che  tonar  con  la  lonora  conca 
faccia  dei  mar  di  Licia  ogni  fpelonca. 

Premio 


jjx  LA  DIPARTITA, 

^6.  Premiofiadeg.no  a sì  leggiadra  i mprefa 
Nobil  faretra  a nobiParcoaggiunta 

Eccola  là  rovraf^uel,mi|:it9  gppe|à> 

Di  perle  tutta,  e di  rubili -trapu^ja',.  ^ 

pi  canne  armata,  a ciii,  non  yal.t^fera,  . ? 
Canne  guarnite  di  dc^ata  pujata. , . , 3 

p’Indicp  avprio  e d’ Arabo  lavora  n , ^ 

Orli  ha  d’or,  fibbie  d’oro,  e lacci  d’oro* 

57.  Come  affifchlar  ge\  Gomito  fupropiO;  » 
Quando  a la  ciurma  incateni^ta accenna 
Salpar’il  ferro,  & aberrar  il  repaoj 
Stender  laYel£^.p  jpUevar  l’amenna, 

Vedeiì  IL  legno,  c^c  con  sfortpjeftremo 
Tolto  l’ali  p?r  l’ac^ue  il  volo  iippena^ 
Freme  l'onda  p^jcoffaj  il  lito  èj:ì4e 
Mentre  a voga  arrancata  il  mar  dividic. 

r - ^ I ! 

92,  Così  tpfto.che  fciolfe  In  note  tali  ^ » . 
Vener  la  lipgua,  i faretrati  augelli 
Chi  diquàj  cfildi  là  battendo  Pali, 

Si  divìfero  a prova  in  più  drappelli 
E fparfi Intorno  per  gli  ondofi  làli,  rff;  - 
Quelli  confini  invelligando  e quelli,  j 
Tutte  del  mal,  quali  corrieri,  e fpic, 
Ingombrato,  efplorar  l’humide  vie* 

Per  ló  Carpathio  niar  Trltòn  la  traccia. 

Di  Cimothoeritrofaallhor  feguiva. 

Spedo  la  tocca  il  fier , fpellb  l’abbraccia, 
Efiftruggel’acque  infiammavlva. 

Ella  l’horrenda  e fpaventofa  faccia 
De  l’ingordo  feguace  abhorre  e fchiva, 

E timidetta  co’capegli  fparfi 
,Y à trà  larghe  plà  denfe  ad  appiattarli» 


aNTO  DECIMO  S B.TT  IMO.  53J 


ia fludica  dè  le  e eruicc  me  m.\> r a.-  ' 

CcrcadifcÒgUò,  ove  ricopra.  ' * 

Ei,  che  l’altt'à'Heltà  irà  sè  rlmcmb  va,  ^ ‘ 
Sott’acqua  a fiuotb  b^rilTdò  ‘ fifudio  àdopr'aì 

E COnlubricO  ^rniTT.r»  fnrfT3il“  r*rcrf»nrr» 


Airfìftèndéilìivbftri  finirti  àrcofi»;  , ' ' 
Ame,sòqua?il:o  {ì’f9  li4^5ìaondoV^  *'  ' 

Vienne  f gcàfepretta  ^i  hotneri’f^àgRioft  ' 

NevHfià laTtìèV^è lìHèlacicaJ^ 

Ciinothc^A\^I'di‘ fit>ellàlìt^  imita. ' ' 

“Mvib  ic'‘i  r'^r  ' i . v ' ' 3'« 

lo^.Euor  dclgorgo  prpDPJtme , cinaltoafccndc 
i/5emipc^eauhor  torVSxC  - 

laPiftricc’còftt^iiom 
Vela  d’ópdò©^t?À‘Vcj  braccia,  e flcmb^  ' ^ 
Con  doppiti  ccIrAo  biforcate  Torme,.  * \ 
Tre  voftp  Jl:.pcj^b  ^ , 

Giunge  mbiprb^hdÓta'fld.dal  quatto  tratta 

10:'-  - “ ^ ”'.dd 


Gli  ultlmibacl;  c gli  ultimi  commiati.  : 
Core  àX>Vo;,Vitàà  piò  (l;unl’àtó  ; 

3fu  valine  in  pace, ‘c  tu  rimaiafeUte,  '' 


Non'hanpotUto;'éTottLc>  il  nvàr  prbfo.iido 


GiftCf 


3J4  LA  DIPARTITA, 

104.  Giace  fenz’onda  il  mar  tranquillo  il  calma, 
Brilla  l’aria  pacifico,  e ferena, 

Onde  T riton  fe  fteflb  al  corfo  Ipalma 
Da  la  fiorita , é fortunata  arenai 
Era  sì  dolce  e dilettofa  falma  < 

Sottopon  volenticr  l’hifpida  fchiena 
Perche  de’fuoi  fofpiri  in  tal  manièra 
Coglier  Solcando  il  flutto,  il  frutto  fpera* 

I©  j . Quafi  ombrella,  la  coda  ifi  alto  marca 
La  marittima  belva  ambitiofa 
Sq^uallido  il  tergo,  ovcrjfi  preme  e carca, 

Hadi  murice  vivac  frefea  rofiu 
Così  Ciprìgnailmar  naviga  c varca 
Quafi  in  morbido  letto,  ò in  grotta  ombrofa- 
Scorre  i piani  volubili  a feconda, 

E col  candido  piè  deliba  l’onda. 

106.  Già  s’ingorga  per  l’alto,  e già  la  Diva 
Quanto  perde  del  fuol,  de  l’ onda  aquift  a^ 

Mà  qual  cerva  ferita,  e fuggitiva. 

Indietro  adhor  adhor  girala  vifta , 

Nè  da  l’amara,/ofpirata  riva 

Torce  il  guardo  giamaì  penfof^ , ctrifta 

Vorria,  nc  sà  qual  gelo  il  cor  le  tocchi, 

Come  vi  lafcia  il  cor,  lafciarvi  gli  occhi. 

107.  Dc’promeffi  Himcnei  lieto  egioiofoj  ^ 
E de  l’incarco  fuo  Tritone  altero. 

Non  fende  già  del  pelago  fpumofo 
Per  dritto  folco  il  liquido  icntièro , 

Mà  va  con  giri  obliqui  il  campo  ondofp 
Attraverfando  rapido  c leggiero, 

Rapido  sì,  chefuoi  con  minor  fretta 
Sdrucciolar  facteia,  volar  faceta. 


OANlU  l-»fcC.lMUb£,XXlMO.  I3y 

lòS.  ArrUoa  tutti  al  trapaffar  di  lei 
De’regnl  ondofi  j dtcadini  algetiti- 
Alcua  non  è dc’frcddi  humidi  Dei, 
Chcnonfeata  d’amor  faville  ardeati. 


109.  Scorge d^al  fondo  cupo  c criftalllno 
Citando  à fklutarla  ogni  Sirena. 

Ciafcupa  Ni  rifare  ciafìcun.  Dio  marino 
Alcun  moftr o del  luar  preme.  Se  aftrena. 

Cavalca  altri  dì  lor  curvo  Delfino, 

Altri  lubrica  cono  a in  ^rò  mena. 

E tutti  fan  da  quella  parte  e «mefta 
A sì  granpaffaggiera  applautb  e fella. 

no.  Niceuna  tiare,  horribil  moftro  c foixc» 

TcrfordcTOcean,  con  alga  imbrlalia. 

Ligia  un  Montone,  il  cui  fèrocc  cozzo 
Le  navi  9 naviganti  ur  c a,  c Cco  mpig,na, 

Tien  di  verde  Giovenco  avluto  il  gozx 

Con  molle  giunco  P ano  peavcrnu^ia» 

Lcucothoc  bianco  con  rofato  morlo 
Di  cerulea  Lconza  attienfi  al  dorto. 

ni.  ReggeThemifto  a frea  pl§ra  - 

CidippcutiCcco  con  le  fauci  apcrt  . 

Ne  le  latebre  d*una  Sbotta  op^a 

Margarite, e zafir  coglJ^cl^c  Miacolacd 
E à qael  Sol.chc’l  mar 

Ne&votive,  c "‘'“""aat'ondoFoa 

«jrriicK'-”.  " ‘‘“j 


LA  DIPARTITA, 

m.  Sparge  le  chiome  a i zefiri  Anfrlte 
Di  ciottoli  cónfparfe,  e di  corallis 
Con  le  piante  d’argento  Egle  ,e  Melkè 
Fendon  fpumantii  mobili  criftalU  i 
AcIconGalatheavari/:,  partire 
Mena  di  vaghi  e leggiadretti  balli  : 

E fecole Nereide, eleNapec  '*■' 

Vanno,  c cent’altre  Ninfe,  e cento  Dee, 

115.  Eflaco  Efperia  va  cercando  annota 
Per  le  pianure  liquide,  e tranquille. , 
Arethufa,&  Alfeo,  Prinno,  e Licoto 
Spruzran  le  nubi  di  lucenti  ftillc. 

Clìmcne,c  Spio,  Cimodoce  con  Proto, 
Lcucippe,  e Deiopea  con  altre  mille 
Del  gran  Rettor  del  mar  compagne,  c ferve 
Cantan  gli  amori  lor^  nude  caterve. 

Il  4.  Nettuno  fuor  del  cavernofo  clauftro 
Con  Venilia,  cSalacia,  e Dori,  cTheti 
Gaiamente  rotando  il  nero  plauftro 
Sovra  quattro  Oelfin  lafcivi  e lieti , 

E>à  bando  a Borea , impon  filentio  ad  Auftro  j 
Fa  che  placido  i moti  il  fi  ulto  acqueti. 

Di  verae  mufehio,  e d’argentate  brine 
Molle  ha  la  barba,  c rugiadofo  il  crine. 

ii;.  NonraencomeRcina,ccome  Dea, 

La  Aia  bella  confo rte  ha  (ogUo,  c fccttro. 

D à duo  Pefei  deftricr  conca  Eritrea 
Tirata,  Inalza  un  bel  fedii  d’eletto. 

Quivi  anch’ella  al  pafiàr  dì  Citherea 
Canta  le  fiamme  fue  con  aureo  plettro. 
Tingon  le  pure  guance  pftrl  lucenti, 

^on  coralli  le  labra , c perle  i denti. 

" ~ L’habU<> 


C/INTO  DECIMOSEXXIMO  357 

P come  11  mare  ondeggia, 

Difcintille  d’argento  uitlurrie  alluma; 
&aco,ma*l  blaco  imbtima,ilbru  bianchef^gla 
Tal  ch’imita  al  color  l’onda,  e la  fpuma. 

Sovra  I aiuola  chioma  le  lampeggia 

Di  brilli  adamantini  eftranla  piuma, 

Etrecciaa  treccia  inbei  volumi  attorta. 

Quali  groppo  bifee,  in  tefta  porca. 

117.  Incorona  di  gemme  alto  diadema 
La  fronte  tra  fparente  e criftallina, 

A cui  nel  me zo balenando  trema 
Piu  chcfteljb  di  eicl,ftel4a  marina. 

Pende  i;i  duo  globi  da  la  parte  eftrcraa 
D ambe  l’orecchie  gemina  turchina, 

Etal  collo,  a le  braccia  in  doppi  giri 
Fanmonili  j ^ maniglie  ambre  ezaiìrl. 

U8.  Segue  Forba  con  For  co^  c "Nereo  II  priiiio, 
Chentrcccla  ilbianco  crln  di  verdi  herbetee, 
P^r  farle  bonor  dal  fondo  ofeuro  Stimo 
laguna  oftriche  frerchc  , c perle  elette 
Melicertail  fancint  tra  l’alga,  e’Hiino 
Bacche,  e viole  tenere  framecce.^ 

Ino  l’abbraccia,  e mormorando  Infieme 
Palcmon  con  Porcun  rauco  ne  frenie. 

Iij.  Chigiùs’actuffa,  e dai  riforgeagalla. 

Chi  balza  In  aria,  e chi  nel  marfi  corca. 

Altri  portato  è da  una  Foca  infpaUa  , 

Altri  da  una  Pxftr ice,  alcrida  unOrcr^ 

Qual  Covra  un  Bue  marin  crefeando  balla. 
Qual  su  le  terga  d’una  horribll  Porca. 

Quelli  da  un  nicchio  concavo  e condotto, 

E quegli  Immane  una  falena  ha  lotto. 

. Toh  11,  ^ ^ 


110.  Etecco  in  sùcnij:!  punto  uCcir  liifianco- 
ProcheOi  del  del  de  Tacque  liiirnido 

* Protheq^  che’l  gregge  fu©  canuto,  & bianco 
Menar’aifa^fiipafchl  uà  per  coftume, 

, Frotheo  faggipindovlijy  che  talhor  anco 
Si  cangia  In  fterpp,  m faflo/m  fronte, in  fiume 
Talhor  prende  d’augel  me  miro  volto, 

Tailior  fen  fuggeirn  fianca,  è in  aura  fclolco 

111.  Hor  con  l’argento  manfueto  e vago 
Pafee  Giovenco  laTnatejrna  mamma. 

Hor  faltaOrfo  braiV^uto,  hor  ferpe Drago 
Segnatoi!  t?rgo  di  fanguigna  fquamma. 

Hor  vcfte  di  Leon  fuperba  imagp, 

Amando  gli  occhi  di  terribil  fiammaj 

Hor  vieti  Tigre,  fior  Cinghiale, hor  perle  ru- 
Latta  fra  Cani,  & ulula fra’Lupi.  (pi 

111.  Quefii  qualhor  la  notte  il  mondo  adombra 
Arlentrc  il  vento  ripofa,  e Tonda,  e’I  pefee, 

I folcln  azurri  con  ruefehiere  ingombra» 

E I procellofi  campi  agita  e mefcc. 

Mà  torto  ch’a  fugar  Thorrore  e l’ombra 
J^i  grembo  a Thcti  il  Sol  fi  leva  & efee. 
Cercar  fuggendo  il  caldo  hà  per  ufimza 
In  opaca  Ipelonca  ombrofaftanzà. 

iij.  Hor  la  nova  beltà,  ch’ai  Sol  feafeorno» 
Da’cavi  fcogli  a viva  forza  il  traile 
Sì  che  fenza  tener  la  luce,  c’I  giorno 
S’alzò  da  Tacque  più  profonde  c bade, 

E tré  volte  girato  il  carro  intorno» 

A Pritonc  accennò,  che  fi  fcr malici 

Stetter  taciti  i venti,  c Tonde  immote, 

. Mcntr’ci  fciolfe  la  lingua  iu  quelle  note. 

P 


CANTO  ÙECIMOSETTIMO. 

114.  O Dea  prole  del  mar , mifera,  e dove 
M'alguidato  penfier  ti  guida  c mena. 

Dck  qual  vaghezza,  ò qual  follia  ti  move 
Acercar’altro  lido,&  altra  aréna  J 

O quanto  meglio  vòlgcrdti  altrove 
Il  camin,  che  t’addùdé  a nova  pena. 

Tu  dalbell’ldol  tuo  lunge  ne  vai, 

E di  fua  vita  il  termine  non  fai. 

115.  De’givochiCithèrei  vaifpetcacricc. 

Dove  accolta  farai  eon,  feda  c canto* 

Ma  tragedia  funelia,  & infelice 
Volgerà  torto  ogni  tua  gioia  in  pianto, 

Ortìrir  vedrai  (come il  deftin  mi  dice) 

Vittime  elette  al  tuo  grati  Nume  fante? 

Ma  vedrai  pofeia  un  fdcrificio  infaufto 
Di  chi  ti  fé  de  l’anima  holocaufto. 

n6.  Minacciaalbell’Adon  mortai  periglio 
fero  Ciel,  cruda  ftella, iniquo  fatoi 
Nè  molto  andrà  > che’l  Sol  del  fuo  bel  ciglio 
Ha  d’eterna  caligine  velato, 

E di  quel  volto  candido,  c vermigliò 
Languirà  feco  l’un  e l’altro  pratoi 
Giacerà  (parfa  al  fuol  la  chioma  bionda, 
Difangue,  c polve  horribilmcntc  immonda 

117.  Già  veder,  che  tartaglia,  c che  l’uccida 
Il  moftro  formidabile,  e m’avifo; 

Da  facrilego  dente  & horaìcìda 
Vcggioli  il  corpo  rotto,  il  fianco  incID. 

Odo  già  le  querele , odo  le  ftrida , 

V eggTo  fquar ciato  il  tuo  bel  crine,  c’I  vifeu 
Il  veggio  ò bella  i al  vaticinio  credi, 

5e  non  amili  tuo  danno,  indietro  riedL 

[p  X Autlvt&: 


543  LA  DIPARTITA*  ^ 

ii8.  AmlvciVehc^o  il  filo  . 

Procheo  còp  qu.efto 

_..  ..  ---SeVjBnllajfenvg^; 


Sterzato  alkhor  pcj  le  campa^^ut 

Dogllofo.  Ili  atto  lolfpir andò  tacque»  ^ ^ 

E lievcuientè  s’attufto  nePàcc^ue 

110.  Refto  d’alto  fìrtpor  pallida.^  niutaV'-  ’ 
Eperlcvénédh;fréd^ogcìdè(i&rk^  > 

Venere  - t 

Tarlo  di  novklMp'U  cdttJitì%r« 
OnMraTuòifofj^éttì'irrfeCòHttó^;  / . ^ * 
FCid’indléttbMhkf^iti^oU.^  ^ ■* 

Dal  timori  (lai ’dol9r  confiffòtitntì<!>> 

Che  iionTapea-'fe  noH  ai&fi  inp^iWO. 


Ito.  Il  gran  tifnpLdele  pirol.c’ij^^I^ 

Fù  ràetta  mBhtal,  chc[^à‘trafin^  , ‘ 

nr-l  -L UUI-i  vìfff»:^t^bcn  CÓITlPrctC 


L,a  cagion  ai  viWiCi  uu»»»,  w«».  - 

Quindi  il  cQÌ®tkWl«to 

E’n  piecòrdC'fei^afè^fi  , : 

Deh  quàf iiuràh^imhpf ^ 

Conturba  sì,  ch’a  lagiriitót -itìdate?  - J 

itt.  A quella fmorta,'^elà^nmofa^fcI^> 

Al  Sol  di  que’begli  Dcbni’;hor  fetto  ófeuro. 
Chiaro  beri  m*ayegg’idi''^ht^to  tifpi^cciai 
L’alto  ptefag^ó'^def^ratl^  mal  ftiturò 
C’horrlbil  mortè  aF,TCU^Aabn  minateli 
Pria  chefia  dé’vc'ifd’ani]lrl'fipr  maturo, 
j Ma  per  cofeeiamai  grocondè^ò  mcftC;^ 
Alterar  non  £ deve  alma  telette. 


canto  DECIMOSETTIMO.  J4X 

iji.  Ddfovranp  Motor  amata  prole, 

Dispanw  Ainorgp^j^  alta  Rei  ha. 

Che  non  farà»  ^ non  p^ptlrà>f^  Yole? 

Qual  legge  altrmger  può,  rprz.'a'^ÌVini'? 

Facile  ò Deati pi  tuo  gei ’5'^Ìe 
Perpetua  notte ertvp|p  uetìAn  d . ftìna. 

Con  quell’impero,  cUe  ta&u  c’è  tldio, 

Vincer  Natura, & mg^|xp,are  il  faéo. 

133.  Speffoper^ratjaa  Thuàrno  il  Ciel  concede 
Le  fue  fenipre  pferuat  ^aducheè 
Arianna  non  coot^^  R^^.nimedc, 

Ch’a  l’ alte,  Deità  foi>  fatti  eguaH , 

E per  fiacco,  c per^Cjiovc  ancor  fv  vede, 
Chetràie  ftelle|,yivono  immortali. 

L’elTcìnpio  più  vicin  Colp  ti  moftro. 

D’un  noto  cittadin  del,  regno  noftro. 

134-  GlauCo,che  daNettiinoInfrà  loftuolo 
AferittO'  fù de  la  marina  claffe 
Pria  che’ntrando  nel  mar,  lalciaiido  il  Cuoio, 
Fatto  fcagliofo  Dio,  forma  caiigiàfie , 

Era  vii  pcfcatorc,  avexzo  Colo 
A le  reti,  a le  canne,  & a le  naflc. 

Mà  per  Comma  ventura  ottenne  in  Corcc^ 

(Ben  che  mortai)  di  Capei  ar  la  morte. 

I3f.  Sovra  la  Cpiaggia  un  di  del  mar  Beoto 
Veftito  ancor  della  terrena  (poglia 
D’  un’hcrbaeflrana,  e di  vigore  ignoto 
ColCc,  eguftò  miracolofa foglia, 

E naCcerli  nel  cor  di  girne  a nuoto 
Di  Cubito  Centi penCero,  c voglia , 

E’ntucto  uCcito  de  l’humana  ufanza 
Altra  naturapreCe,  altra  Cemblanza. 

P j Muco 


54^  tA  mPARTITAi 

356.  Mutò  figura,  il  corpo  fi  coperfe  ^ 
Tutto  di  conche,  e divenn’algail  crihc^ 
E apena  in  taiguifa  ei  fi  converfe, 
Chefaltò  da  lefponde  al  mar  vicina 
E poich’entro  le  vifeere  s’immerCe 
B e le  vafte,  e profonde  acque  marine» 
l'urgato  II  velo  human  da  cento  fiumi,^ 
S’afnfe  a menfaalfin  con  gli  altri  Numi- 


J37.  Hor’il  pianger  che  vai?  perche^le  ciglia 
Non  volgi  homai  di  torbide  LiT.fcrene  ? 

Ben  lice  a te , chedei  granonib  fcLfiglia  > 

B a cui  felice  ogn’influentià;yicnc. 

Con  fimil  privilegio,  c meraviglia 
Soctrahendo  a,l  gran  rlfchio.ai^co  il  tuo  bene 
Oberar  quel,  <;he  furtidhor.cotìtefio, 

N on  ch'ai  divi  n faVol:s:i.al  cafiji  iftcflb. 

138 . Se  ben  la  Elccrria  crbàcaria  vita 
D ifegna  in  breve  al  giovinettcba^erba, 

» al  debito  cbmmun  puoh  qefeV!a«:^  ^ 

Francarlo  tu  di'quellaincog^t’hetbaj 

E torcendo  alfuofil  linca.ìnfij^ta! 

Mal  grado  de  la  Parca  émpia  e fupe,rba, 

Farlo  paflàr,  pria  .ch’ella  habbla  a ferire 
A Timmortaiità  fenza  moiire, 

J3P.  La  D eaquc’dettiafcolta.chon  rifponcte> 
Mà  tace  alquanto,  eftà  tra  sftpé.ufofa. 

Penfàndo  va,' com^haver  poilbye  donde  , , 

Quella  niirabilherl>aaventurbfa>  > , 

B entro  le  cui  bennate,  e facre'frondc 
Vive  virtù  sì fingolàre  afeofa,  r 

Che  ritrovar  non  sà  via  più  Ipedlta 
p ’aHecurar  la  vita  a la  fua  vita. 


Rot- 


CANTO  DECIMO  SETTIMO.  545 

140.  Rotto  al  fiae  ili  (llcntlo,  ella  lì  chiede 
In  qual  parte hàbbia  Glauco  il  ruofoggiorn® 
E fé  volendoàra  cercarlo,  ei  crede 
Dlpoteila'condarrc,  e far  ritorno,  i 
Tante  che  polla  poi,  cjuaiKi’cgltricdc, 

A Cithera  arrivar  l’tftelliicgiorno, 

Perche  canvien,  che  per  lavia  men  lunga 
Quella  feramedefma  ella  vi  giunga. 


141.  Benché  percurteo  il  mar  (foggiunfeallhora 
Il  Trombetta  de  L’ondc  Uabbia  ricetto , 

Suol  più  clTaltcove  ,:iivpi3rito  ei  fai  dimora, 
E per  quella  càgiò ti  P ontico  òdetto. 

Ma  fenadlhnopo^ , andar -potrenvi  ancora, 

E volar  petcjueft^ictUic  io  ti  .prometto. 
S’haveffc  ancorile  TÓceanalbcrg9> 

Ne  rOeban  ti  porterei  sù’I  *^crgo. 

141.  Purichtftttda-cuì  fol  la  piai^mia 
Può  fahite-  l^ar , mi  prema  lido  rfo. 

Pur  chraffrehat©;  e governato  io  fia  • 

Dasì  foaVèyes^feAioè'ihorfq,  • . .>•* 

Hoggi  sfidar  p3<dA.ce®ùI<iarvlavt  of 
I deftrkt^fdèl*  «brfo, 

E vò  déì'^plà''{[¥fcftH^\i^à-lciggh3ro 
Circondar  de  hatwa  intero. 


14J.  Tace,: 9 tade  pria.  Rifosdsj,  Ifola  dove 
Di  Ciprigna,  e Idfì^Ua, 

E’n  cui  la  faggitof  a naca  Jdàt^  ip.vc 
I primi  altari  haver-grililìodilpiacque, 
Onde  colui , éhtìl’iljViverìJ  move, 

Oro  in  grembo  le  Ipaiie  ih  vece  d’acquc’. 
Ricca  delgran  Coiollb,  Immcrfa  mole. 
Simulacro  del  Sol,  ch'ofRuca  ii  Soie 


Qiiln- 


la  DIP A1^‘TIT a. 


V 


E del  boico  ai  ; -Tr  • o 

E’I  LabirintOrOhd^>i5af(Srf  fi 
Per  infamiai 

lido  refiigio  d lkmfittaCetvS. 


,^c.  AdEglapoi,chbft^poidetta W 

^Dala£sliad’laliftj/rffe^i€^' 

E Teloincontsmj  che  le  prative  ‘ ^ 

De’fini  unguetó  da  >. ; Y 

DeleCalinneléfrdfldo^^^. 

D’ Aftipalea  le  pefi:are(5«c  dteóa  ^ 

Varcai  pur  deV^moriainaw^  .. 

Di  duo  poni  fuperba,  aderta  G nid  . 

_ ¥■ 


U<.  Scopre  NifiW.  »U«1  pefante  ft®J 
De  la  fé  d’  Artemifia 

1 non  lontano  SalrrvacCj  che  n opp 

Porma  duo  fedi  (ofeeno  fonte)  accoppia. 


,47.  Indi  gli  appar  la <i‘^^ettofaCoo, 
per  Hippocratc  chiara, , eper  p > 

Onde  di  ftame,  e di  lavoro  Eoo 

Vengonle  vedi  ^'".tnoo. 

E’ngolfandofi  a pien  nel  mar  Mirtoo, 

Tetre  difeerne,  eregion  no’'=“'-  , 

E fenza  intoppo  alcun  p„„ 

r»thmo,e  Eetiain  on  punto,  Aroot^o,*  Fa 


.ri 


CANTO  DEC  IMOSET  TIMO.  ;4y 

148.  yiè  più  liete,  ch’augello,  ò che  baleno»  | 
To^o.di  Deio  ni  (acro  lido  airlva. 

Vede  d’Orcigia,  ove  fgravanail  Ceno 
Posò  Lawna,  la  felice  olivà. 

Nafto  da^;ieche'tcmpcftai;3i«iTcno 
Cofteggia,  e di  MIeon  tocca  loiriva. 

Quella  i figli  di  Borcaiji  ^réftibo  chiude, 
Quella  d?,Tuoi  Giganti  ha  roll'algnude. 

14J.  Del  Y^gp  corfo  al^Hnpctp  fu^fcé-. 

Forze  raddoppiarle  Siro  attigne,  e Rhéna,, 
Duna  a moribfi  .piòltal  mafcnoafoggìaccy 
L’altra  di  bu/]^j,5di  f^òlcri  è piena» 
VifitaCithpQdi^nilìor  ferace, 

E Sifno,  che» c-djogui  vena; 

E fin  pE€^ft5.crfej^IargtiiLglfa^  * 
DoveJfi  niaSiAittiio.v' 

i;o.  I ver4idg^  j»jffe<)^idiGea*  • ' ^ , ■ 
Ricca d’sifjn;venfc^^(3ri:iÌolfo  ..  I ’ 

Nè  cifd§i-jiÌ5iK'è 
Da  la 

Cariftp^5ft§g’i^Kl^che  Tonda  ^ea,. 

V agheggi^i;^or  no,;^,tjj#paiIàT  s’aitr.etta, 

A cui  bei’marmi  il  Feì^j?,  e l’Africano, 

E paro  iftefl'a  fi  p^eggta  jn  jtjattd* 

rj:i.  Scorre  a Giaro,  ov’ipftglif.<3fl^lhm  bando» 
E’n  cuide’cf^i  la  vorikisfi^neof 
Rode  Taceigro  de,’Caf3r^UafeVa<^o 

Lontano  aljqiuaritoiilfCoIApntorÀc  infame. 
Volgefi  ad  Andro,  e vien  fótte  vibrando 
L’humidc  penice  de  Taifntte  /quame,  ‘ 

E fa  Tcftremo  del  fuo  sforzo  tutto 
Per  fupcrajc  U capri«ciofo  flutto. 

- ‘ t $ n 


LA  DIPARTITA^ 


Xjt.  Fàfenza  indugio  àDollchc  tragitto^ 

Dico  di Pranmo  aia  vinofa  valle  , £ 

E dovunque  la  via  caglia  per  dritto  , ^ 

* Vedi  dH'puma  innargetjtrarfxil  calle  i V 
Eccol  già  dove  cadde  Icaro  atflltto,  ' ^ ■ 

Ecco  clic  Samo  hà  già  dopo  le  fpalle. 

Efeid  già  fi  moftra,  e già  comparl'o  ! " 

11  bel  tempio  s’ammira , ancor  non  arfo.* 

jj3.  Sorge  incontro  ad  Arvifia,  evedeChio» 

Di  generofi  pampini  feconda > 

E Leibo,  che  gli  accenti  cftremi  udio 
De  la  fredda  d’Orfeo  lingua  circonda,, 

E diTenedo  facra  al  biondo  dìo 
Prende,  e poi  lafcia  la  mal  fida  fponda. 

Che  l’hofte  Greca  afeofe  entro  il  tuo  porto 
Per  far’a  Troia  l'uà  l’ultimo  tòrto. 

154.  Trattien  la  bella  Dea  sù  le  ruine  . ^ 

D 'Ilio  le  luci  alquanto  intente  e fife, 

E l'ofpirando  del  gran  regno  il  fine , 

Piagne  gli  error  del  Tuo  già  caro  Anchlf^ 

Mà  quando  mira  poi  Tacque  vicine 
BiSiraoe,  ove  ilbel parco  in  terra  mTc 
D a cui  dee  propagarli  il  £uo  legfiag^io,. 
Acqueta  il  duolo,  e feguica  il  viaggio. 

« 

jjp.  Tant’oltre  il  nuoto  fuo  fpedico,  e prontèi 
Scende  Tritone,  c tanto  innanzi  pafla. 

Che  non  che  de  l’Egeo  de  THerponto 
Il  vafti/fimo  fen dietro  fi.lafl'a*, 

E già  l’altero  corno,  onde  col  Ponto 
Cozza  1 a T raccla,  ad  incontrar  s’abbafl^ 

E de  le  Cianeefprczzagli  orgogli, 

5aflì  guerrieri,  ficanimaùfcogli. 

Sbocca- 


CANTO  DECIMOSETTIMO.  j47 

Jy6.  Sbocca  alfìn  ne  iTufui , ch’a  i raggi  vi , i 
Fiammeggia  de  la  d ca  del  terzo  luàic. 

Et  ella  pria  ch’ala  màggioné  àri  ivi,  • 

Chiede  nov;iilletlcl  ceruleo  Nume. 

Mà  da  malte  fe^de,  che  quivi 

Benché  d’ tifar t-bvèhtti'habbia  coftume, 

Son  móft^àì,  clfd  piiVnon  vl'lBggioraa, 

E rade  vòlte  ad  habkir  Vi  torna. 

JS7  • E la  cagioni  che’l  traggc,  e l’allcntanu 
D al  patrio  loco,  è^ld  belcaull  ScilLiv 
Scilla  orgogHùt'S  Vérgine  Sicana, 

Per  cui  trà  l’acquè  gel  ide  sfavilla.  ’ 

Ei  dachc  la  privÒ'd’ effigie  fiumana 
Magica  mollro  convertilla , 

Là  dove  il  faro  in  gran  tempefle  ondeggio. 

La  vifitaogni  giorno,  e la  corte^pia. 

^ n. 

Sinifu'o  augurio  allhor  Venere  prende 
Che  (là  li  rpémcàl  fuopcftficr  precifa, 

Mà  di  trovarlo  un  ca  1 dcfir  raccende, 

CJ he  rifol  ve  cf’andafrvi  in  bgtiì'f^ullà. 

Tritona  intanto, %e’l  difegno  intende' 

Di  lei,  che  tPd5vsx\  l’ampia  gròppa  affila,, 
Volgelffndie'.f  0 , e fi  raggira,  c guizza, 

E racco  inver  Sicilia  il  camin  drizza.  ‘ 

15P.  Lacoda,ch’ègli invece  u'ia  dibriglia, 

Move  ildeftrier  del  mare,  e’ì  mar  nc  fonaj 
E’cn  poche  fiore  a fornir  vicn  moire  miglioi,] 
Sì  l’amorofo  ftimulo  lo  fprona. 

L’alto  fentier  del  Bosforo  ripiglia , 

E de  l'immenfo  Eufm  l’acque  abbandona, 

E ri  vede  Bizancio,  e non  lontano 

ilCalcedone-lafclaamanci  mauo, 

Corre' 


f 


548 


LA  DIPARTITA, 


160.  Gorre  verfo  Pofidio,  e già  Ifernota 
XaBltinia,  ela^ifia>  e giatravalca  ^ 

Là  Propontide  ^utta,  c Icherza,  e Tot!* 

Con  ftupor  de  la  Dea,  che  lo  cavalca.. 

Di  Cizico,  edl  Laimpfa«>, devota 
Al  fuo  &>zzo  figli  voi , la  (piagna  calca,  - 
E di  novo  ripìtìà  il  varco  Infido 
D’Helle,  che  pianger  fé  Setto,  & Abida* 


i6n.  L Egeo  fuccede,entro’I  cui  flutto  infano 
Thafojc’hà  dùfin’or  vene  feconde, 

E Lenno  vede,  ove  inanticniV ideano 
Officina  di  foco  in  raezo  al’onde, 

E Scirro  ancor,  ch’alGreco  attuto  infanor 
Tra  le  file  falfe  latebre  Achille  afeonde, 

E là  dove  colui,  che  chiara  tromba 
E da  l’uno,  e da  l’altro  ha  polla  tomba.. 

162,..  Lafciafi  a tergo  Pagafe  , & lolcoi 
EPelio,  onde  materia  hebbe  il  lavoro 
Dal  primo  legno,  che  condufle  a Golco. 
Argo  rapace  dela  fpoglia  d’oro. 

Quando  Teppe  Giafon,  trahendo  al  fol^o 
Fertile  d’armi,  d’indomabllToro, 

Et  appannando  al  ficr  Dragpn  le  ciglia,. 
D’Ete  incantar  l’incantatrice  figlia, 

1^3.  Qui  ne  gli  anguttlguadi  entradclmar€^. 
Che  da  l’Abante  iepara  il  Beoto, 

Opunte  in  prima,eThebe  indigli  appare,. 
Dove  i faitti  dal  canto  hebbero  il  moto, 

E Aulidc,  ov’i  Greci  in  sù  l’altare 
L’alta  congiura  confermar  col  voto;, 

E col  rapido  Eurìpo  oltre  fen  fugge 
Al  Sunio  etticmo,.  OYc’lma]:.l»ra^c  mugge^ 


CANTO  DECIM05ET-TIMO. 

1^4.  Sù  l^.dcffira  poi  torna  vcrfo  Athcne, 
Ed’Eaco  ala  gran  reggi  ^ predo  giunge , 

Si  che  può  di  CoriuLO  appo  l^arcnc 
L’Iftmo  veder , ch’idj*QACOttfln  congiungc» 
Spmgcfiad.Epid«iu:Q  ,'8c  a'Erexe.nc, 
EScilleolàfcia^c  lafcia  Ar^o  xialangcì 
EquindìdiMiiea  corre  veloce 
A declinar  la  perigliofafo  ce, 

E lungo,  iljaàr  Lacon  per  le  remote 
Spelonchcj  onde  non  fcnxa  alto  fpavenco^ 
DaTenacoàPlutoa  pattar  fi  potè, 

AMedenia  fi  calaiu  un  momento , 
EfifcaglIadTlà  fino  a le  Piote, 

Cheda’du®  figli  delpiù. freddo  vento  . 
Quandoleguir  Ictrc  Corellcrie 
Hebbero  il  nome  de  le;  foxzc  Arpie. 

i46.  DiZaiintoalbcl  margine  s’accofta, 
Chc’nfpeffibófchTin  méxo  a l’onda 
Nè  molto  da  M-clena  fi  dit'cofta. 

Che' da  Cefalo»  pofeia  il  nome  ha  prefo. 
©’lihaca^  fciilva  lafaflbla  corta, 
lucciolo  feogtio  , e fieri  le,  efcofccfo, 
WàpUiiflefiio  cHlaroxiliice: 

Co&ifola  virtù  gloria  produce. 

Kefta  Dulichio  Indietro  e’n  dietro  rerta 
Dclafamofa  Elea»  la  piaggia  bella, 
Ch’aidcftrierviucitor  la  palma  apprerta 
Onde  il  luftro,  e poi.  l’anno  Olìmpia  appella^. 
Indi  per  colò  dove  afpra  tempcrta 
Le  rive  ognor  di  Ecpanto  flagella, 

Strifeia,  ftrpe,  volteggia,  enei  ritorno 
L!lfi)lc  alifichim  aggira  intorbo. 

, ® raffaiw 


tA  DIPARTITA,. 

j6S.  Pa{Ia?4oper  la  D ea;  . .: 

A quel  oragicomar^EÌvolfe il  ciglio.  . ,, , 

Chedel  fangue  Latin, prima devea,  ■ ^ , ! i - 
E del  Bai-baro  poi  farfi  vermiglio.  , 

O facre  al  crudo  Marte  acque.(dicea) 
Quant’Ira,  qu^t’hqrror,  «guanto  fcompigli<y 
Qiiai  l’Europa  da  voi?  quai  l’ Alia  attende 
Sciagure,  e mali  in  due  battaglie  horrcndeì- 

i6$.  D Ì due  pugne  famofe  e memorande 
Sara^  campo  liatal  piaggia  funeftai 
Per  l’una  celebrar  Roma  la  grj^ide 
Deve  al  fuo  vincitor  trionfo  e fella.  • 
PerPaltraakre  riiine , e miferande 
Bizantio  piangerà n\Ìfera  e meda 
E perquefta,  c per  quella  in  mille  luftri 
Lcucate  fia,  ch’eterno-  grido  illuftri. 

>70.  Quefto  (e  farà:  puf  ver;  ceruleo  flutto • 
Che  die  nel  mio  natal  culla  al  gran  parto,.  - 
Sepolcro  diverràfangui^no  e brutto 
Del  vinto  Egittip  e dej  Sagace  Parto. 

D’algein  vece,  e di  pelei,  havra  per  tutto 
Di  cadaveri  immondi  il  grembo  fpartoy 
E tutta  coprirà  l’onda  crudele 
Di  rotte  antenne,  e di  fquarciate  vele. 

I7T.  Piango  i tuoi  cali  Antonio  , e duoimi  forte- 
Che  t’apprelli  Fortuna  oltraggio,  e dannoj 
Poi  che  quei,  che  t’induce  a si  rea  force, 

E pur  Pautor  del  mio  mortale  aflànno. 

Mach!  potrà,  le  non  tormento,  e morte. 
Sperar  Riamai  del  perfido  Tiranno, 

■Se’n  piu  mifero  dato,  & infelice 

Condanna  anco  a languir  la  genitrice? 


CANTÒ  DECIMaS  K TT X 1 O. 

171.  Tudai’almi  di  Cefare  fcoiifi.cto 
FukI  del  Nilo  a le  dilette  arene»  ' 

Moda  la  ftrage  del  naval  cionflicco 
La  bella  fiamma  tua  teco  nei  vie ne^ 
lo  da  quelle  d’amore  il  càrT  ti^àtìxco 
Porto,  c partendo  (oimè)  lafclo  il 'mio  benci 
Nèsò  fe  per  deftino  ùhq^aa  mi  tocchi 
Cherhabbian  plCida  rìvecAer  cj^Ueit’occhi. 

175.  L’altro  eftetmirno,  onde  eli  por  s’afpetta»  - 
AlTurchefco  furor  morCo  e ritegno» 

Fia  d’IngiurialimmortaV  poca  vendetta 
Contro  il  diftruggitor  «del  mio  oelrcgnoj 
Nò,  nò,  fiiggir  non  puoi  malvagiafecta 
llcaftigpdel  Ciclbcn  gufto  e;  de^no 
D’haver  guadi  ad  A-mor  gli  liorti  fugu  carl^ 
Ecangiati  in  mefcliite  i noftri  altari. 

^74-  "Vedrò  pur  la  tua  Luna,  empm  Idolatra 

Nemico  al  fommo  Sol,  ISdaftin  feroce. 

Pallida,  fr  e dda,  fa ngui nofa , & 

Romperle  corna  in  cquefta-ificftaiQce;- 
Ircini, furia,  minaccia,  arrabbia,  e latta 
Contro  l*lnvitta  e trionfante  Croce. 

Vedrò  con  ogni  tua  fcquadra  perveria 
L’^arraaia  Babilonica  di  fperfa. 

17S-  Grane  al  valor  del  Giovinetto  Iberoj  ' 
Difenfor  de  ritalla>  e <1^  r>de, 
ehcdelCorfar  per  molte  palme  altero 
iiaccherà  i legni , e fpogUera  di  prede; 
Spaventerà  l’Orientale  impero , 
iarà  di  Conftantin  tre  mar  la  fede, 

Lafeiaudo,  Arabi,  e Scithi,  1 bulli  voftri 
'Scherio  defonde,e  pafcoiode’moftri. 


LA  DIPARTITAV 

176.  Qui  tace,  in4i  di  perle  iivhumidl co  ^ 

Col  vcl  s’afciuga^’begl’occhi  il  raggio^ 
Che  le  loviep,  cli&  quel  m?,4?lnio  lìto 
Havra  l’eflequieir^maggi^^^io  jfelvaggio^ 
Quando  arreljian^^jineza  noctei^dieo 
;•  De’navigant.i  éupidl  i^yi^gio,  ’£i 

Farà  lunge  fonar^  gli  Àcroceraunì 
L’ululato  de  Satiri,  e de  Fauni.  ^ 

X77.  Mentre  Venere  bel  la  »i})  flel?ifcittflr  . - . 
Del  doloror^^^mor  guancia, 

Tritone  Attiq^yarcorp^f  ,4aNaupatto 
Verfo  gli  fiora  4’Alcijc^^  fi  lancia.. 

\ Soffia,  e ffiuj[ffi.aiffi/^Ijjq^„5?p  gran  tratto» 

S’apre  la  viacon  panfiiaicì  ìlù 

E tanto.ariàr||Ìf^^^^  ..hO 

Ch  entro  lJo^^fqgj5p^teifi,^cla-.  ; 

*78-  Ed^^^IÌ  efirem^pipi^ni,4;^Ìr^^^  r .481 

Di  lapigla  il  copj^^’^iWpf^o  #err8*n  e1  . 
Scorrendo  W u^go^qgatiqfqglEo 
Tutto  il  gpah  l^lj^a  ferrjl*ii 

quelbr^oo,  oa.cuigià*pariiro 
rondò  crucQoJd^  r 

Quando  con ner  divorti^  a/pm  ipinta» 
Reftò  da  Reggio Vlfoli^ljAffita.  • ir 

yj$.  Giunta  in  Tr^crl^fjnCiprlgqafficlla^ 
Di  Peloro,  e di  Zangleg  Ja>p5^1tiera,*  9 
Colà  dove  la  miCef^O/ià^ila  . .dlb'H' 

Prefa  havea  fopqi^,di.rabbio/4^era , 
dauco  cercandoìn  que|i^;j  iiva,.e’n  qucltaj, 
S’accorfo  in  fommap,oi^h’egli  jloàiv/er^^ 

B le  compagp^  p^i  Ai  Galatheg 
Per  certo  ancor  n’affecurar  la  Dea, 


CAUTO  DECIMO  SETTIMO,  ffi  . 

jSo.  £’vcr  (diceah^cKè^^^he  Circciirfco^ió. 
Mutata  à queftèPNìrifkll^  la  ^ura,  " 

Spcffo?i'narrar  nè  vìfeÀ’e  il  Cuocordodio 
A.rafptafelcejèke  di  lui  riè»tf8ìir^ 
%MapertiWilbli!na  d’oftinacd^rir^'óglio 
PIÙ  tra l’oride  dc’pi'ant^i  ò^^ridé  siudurav 
Pcrmedicàt  quéll’amorola  piaga  ^ 

Ito  è pur  dianstt  a rìtro  vài*  la  Maga. 

i?i.  Ne  la  cofta^  deil  Latici  ^v’eltaiiaflì,  " , 

L’innamorato,  e dc£peracoOÌp^^ 

Molto  notilSià^  cori  ^ctftolofi  pàui  ^ ^ 
Quinci  a pregarllafiippi^e  fen  gio, 

O ch’ai  men  pèrf^m  d^erbe,  e di  fallì  . 

Gli  faccia  il’prc^io  nià’l  porre  i,n  oblio, 

O che  cornarà'a  la  fembianza  antica. 

Render  la  voglia  «t'faoldcfiri  arnica. 

ih.  D’havertaìjto  travaglio  Inyanpérdu!t;& 

Ala  madre d* Amor  fortbripcrebbcx 
•E  delficropronoftico  tcftutó 
L’infàufto  au(pici<y  inlei  fofpétto  accrebbe 
Mà  temendo,  che  troppo  oltre  il  devuto 
T ardi  tornata  al  fuo  cànlin  farebbe. 

Per  ritrovarli  a la  gran  fetta  tempo 
DifFeri  quell’affàrc  a miglior  tempo. 

185.  Impon , che’l  corfo  il  più  che  più  fpedito 
Volga  à Cithera,  al  corridor  guizzante,, 
Ch’elTendo  polla  in  sù  l’ettremo  fico 
Del  paefe  di  Pclope  a Levante, 

Dal  tempeftofo,  e perigllofo  lito 
Di  Sicilia  non  è molto  dittante. 

Quegli  ubbìdifee  , e’n  breve  ecco  ch’alffnc 
Del  bel  loco  le  fpiagge  ha  pur  vicine. 


ÌS4 


LA  DIPARTITA, 


184.  Se  ben  non  pensò  mal  la  Dea  d’ Amore 
Di  far  per  tante  vie  camin  sì  torto. 

Loda  del  moftroil  dìlettofo  errore. 

Poiché  in  men  che  no  crede, c giùtainportc^ 
E con  tanto  paefe  in  sì  poche  hore  ® 

L’Archipelago  tutto  hà  fcorfo,e  fcorto> 

Le  Cicladi , le  Sporadi,  e le  rive 
Pelafghe,  Eolie;^  & Attiche,  & Argive. 

18;.  Per^tjpiffafìi  già^e 


L’Aùrigaimantolucido  diD?lQ' 

Precmitpfb  i corridori  inceda 
Co^mpi;|i  a l’ac^a^  ?,con  le  groppi  al  Ciclo» 
VpdCi^iirar 

Da  le,  narlfcuffaij  np , 

Pmche 

^S6.  In  Giunone 


Stanco  in  lunghi  v<pu^i,hebbj^^ijlelc>,  ^ 
Con  , • 

Sen  giò  nd  p^^ttp.ad  afciugar.Ji/j^fpumG. 

I ^ih  'A  . ; ■ 

Il  Fine  De  ò Ijnio  t^i  mo 


J3 


‘c 


liti 


■ 


LA 


I 


l a.  m q r t e. 


FI  ma  gencrdfitàlòf4*<i^tl:i‘i  rai^o  per  propria 
▼irtiiè  incllfeàctt  tjuellc  li- 
cenze , che  tra^  della  modeftia. 

Nella  morte  d’Adcxne,  uccifo  dal  Cinghiale, fi  fa 
intenderci '^ella^^efla  bru^  cui 

Inuomo  (eguit^la  tracci  a » "e  cagioj^e  della  fua 
perdicionc.  Nel  lianto^^i  v ^caere  fopra  il  mor- 
to gloyane  fifigUra»\^lie  ikt'i  lafcivp  ama- 

tocon  irmoderàriient<S  ^ ninncando,  nott 

tafeia,  fé  non  rcula^^he  fa  il  Por* 

co  con  la  D'téù,  fi  dinota 'ia  forza  della  bellezza, 
che  puòa!léf’'^oIte  coififriovéreglrahrmi  etian- 
dio ferini  & beftialr.  "Mei  tradimento d’ Aurrlla, 
chepentha  finalmente  liccide,  & òda Bacco 
trasformata  in  Aura,{i  effetti  del- 

^ ira,  dell'avaritia  > della  ebrietà , .&  della  legge- 
rezza. , , 


CANTO  T?ECI>10  ottavo. 

..j  r;^  ‘ 


" .rf  Ó O R 1 A. 


ELLA  congiura  dì  Marte , & di 
contro  Adonefi  dà  a cono- 


argcv 


’l3,  ' ì£Ì' ^11  ^ 

ARGO;M^N'TxÒ:'> 

■ . xc?"*  ' IIb  UJIqv  ijj 

} - - ^ '5nfl‘'l  IÌBÌ(i' * 

Spinta  da  Talfifi^na  4W(ìlì'^  tpfida  , ; -f 
J)à  dei  rivai  di  fidar  te  a i^tte  avL/p^ 
Polche  dal fier  Cinghiale  il  vede  uccìjèt 
il  gran  dolor  che  je  fiej[a  t^cf^d^a. 

i,  ^ Oti3uefiaccoleAr<lentlAniore>eSdegno 

Che’nfiammaa  l’almp  di  penqfa  arlura. 
JD  Stanno  ncti:i»re,  e turbano  l’ingegno, 

N c dador  la  ragion  we  f^cura. 

Son  dJegual  forza,  & emijUpel  regno. 

Ma  contrari  jd’effetto,  e di  natura,  v 
L’uno  è dolfce.'traftuUo,  6 dolc?  affetto. 
L’altro  produca  folo  odio,  e difpeito. 

X.  Quando  talhor  quefti  aver&ri  fieri 

Pugnati  tra  lor,  rnuom  ne  lan^itce,  cgena^ 
E’I  cor,  ch’è  plcciol  campo  a due  Guerrieri, 
E feggio  augufto^  duo  Signori  infiemc, 

Da  conflitto  mortai  d’afori  penfieri 
Combattuto  del  par,  folpira,e  freme. 

Quinci  fervida  fcbiuma , e quindi  incanto 
Verfadogliofo  & angòfciofo  pianto. 

j.  L’anima  afflittainsi  crudel battaglia, 
Mentre  a prova  con  quel  quefto  contende. 

Si  come  libra,  le  cui  lance  agguaglia 
Doppio  pefo  conforme,  indubbia  pende  i 
Et  al  gemino  fpron,  che  la  travaglia, 

Hor  m defire,  lior  di  furor  s’accende,  . , 

. Quando  di  là , quando  di  qua  la  gira  " 
Alternamente  ò l’appetito,  ò l’ira. 

Nel 


c;anto  decii#^oottavo.  557 

Ne  la  guerra  però,  che  quellacquefta 
Paffion  dilcordantqji  fanno, 

Vìncitor  le  più  volte  alfìn  ne  refta, 

E ne  trionfa  il  lulinghier  x iranno, 

Ctie’l  graù  cpmpè^itbr  pt?cmee  calpefta. 
Onderà tabWa  ^oi diventa  affanno^ 

E là  dove  pur  diaiizi  era  Reiiw  ,'^■«6' 

Serve  di  èo'tc,‘òv*ci  gli  ftrali  àffiaas^'L 

SovcAte'allhq#? thè  di  e^r^t’àgUbc^ 
Ufindi^piift*kìì»tton  gVLè  permfeffii)  ^ 
Dàrarti’àtiai>el%à^he  nolliamay  e;:è 
5uol  congiurar  fiso 
Amor  lo  Sdegnolin  futì^foccdrfo  <^tóknnay 
Clx’a  la  vehd%!Rltild.9Lun-  &*ilinacoiDadoiM 
Quel  dìfprczzt^h.©  oiin'- 

A congitìtì^E&fii^  «iiàrgli  aiti^  oiilr  j 

Màs’^ieÀ^kfevdkuPIraaiwiufp  > . . 
Amor^ittgg3i*^Uirti»«o^dv‘^£fodcasi»'^l 
Poiche^a¥%fta»^crtc»cUai^»Viar®so  Pa 
Edebcllat^«SÌ:d?att^wilv?d«^,oi'§§3l  a 
Qual 

Nè  registri  j»tqèlbconcedé?ioC> 

Anzi  lo  :to«3tì»p4®baimperóc<ninp 

A difòkià»^i^dk^egnamùìiiU^iert%T 

^ Diquefteiddé^«ftiddicoreiaccc6ti”f  ' vj 
I alfir  ena  Wfalfall«?anwarke^q  *•  ; m • 
Tutta  dSfl  bell’ Adoftb«idiuwiWii»d&)?  c 
Sambr aftolta  Bacoante}òd^PÌ»ultricwtl  - 
1\  modofol  da  vendicar Vpflfela  n 'c  3, 
PenfaccomèdarttiWteal’infelìcci  - 
E fc  co  ndo  il  fur óf,  che  la  configlia,  ifiti 
Hor  queft  e,  hor  quel  pàr^rtócia  ,cripigìla. 


15* 


LA  MORTE, 


S.  Non  cotanti  colpr  cangia  la  piuma>  ** 

Che’ngemma  a lakSòlomba  il  còllo  intorno 
Quando  raoftra'àf  tolui,  che’l  mondo  allunui 
Il  Lìio  vezao  in  vàrie  guife  adorno. 

Quanti  la  paflìon,  che  la  confuraa, 

V a mutando  penfier  la  notte,  e’I  giotnoé  ' 
Alfine  i dubbi,  onde  lapaentc  involte  ) 

In  un  par  tito  perfido  rifolvc.  ’ ' • 

5.  S’Amor  (feco'diccaj  'nonrpuò  giovarmi! 

Se  Infinga,  promelia,  oro' non  gioVà, 

Se  de’ tremendi  mici  magici  carni 
V ana  riefce  ogn’inFatìibil  prova  4 
Se  non  vaglionk‘forze,  | ferri,  c i’ armi*  : 
S’altro  rimedio  un  tanto  mal  non  trova, 

A far’almeno  il  mio  defir  contento 
V arra  forfè  l’inganno,  c’I  tradimento, 

jo.  Aurilla  era  una  Ninfa,  ancella  antica 
De  la  Diva  di  Cipro,  e di  Cithera. 

Bella,  ma  poco  faggia,  e men  pudica. 

Avara  al<|uanto,  e garrula,  e leggiera. 

Bra  coilei  di  Baco  amata  amica 

Piu  ch’altraallhorde  l’amorofafchicra, 

Conofeiuta  coftcì  mobile,  c vaga, 

V olfe  il  fuo  mezo  adoperar  la  Maga. 

il.  Colfcla  quando  incontro  a Cithcrca 
D’alcun  lieve  fdegnetto  era  ancor  calda» 

E’n  tempo  apunto,  ch’afciugata  havea 
Più  d’uua  tazza  del  llcor,  clie  fcalda; 
Wcnovvi  un  raoftro  fuo  la  Fata  rea, 

Contro  cui  non  retto  fede  m ai  falda. 


Così  la  vinfe,  e notttrovò;rltcgno 
Ad  eseguire  li  fuo  crudel  dlfegno. 


» CANTO  E)  E CIMO  OTTAVO.  3f# 

li'  L’interciTsyi  vetinex^  cqu  runcino 
Traile  Tavid^  a.  Óia  rete. 

0 Éime  infame  m^Eallo  fino, 

0 facra  ^ eflec^abil  fece , 

Che  non  maJ^  faj^pUar  ti  hai  per  dettino, 
Ch’ognor  quanto  più.  brevi  , haimen  quiete^ 
A che  non  s£bi;zi  cu  gli  humanl  petti , 
Signoreggiati  da^ùx;an<ù  affetti? 

ij.  Carca  d’oro  ia  manp,  e-d’lra  il  feno,  < 
D’ira,  chiufa  piùyviè  più  sfavilla. 

Cieca  dal  fnmoìdi  quel  rioveleno. 

Che  da’foavi  p4.mpii!Ù  dittilla, 

Di  quanto  far  bifogna  inftruttaapleno 
Daficne  dunque  la  malvagia  Aurìlla , 

E dritto  il  ;p  atto  move  a quella  parte. 

Là  dove  sa,  che  ritrovar  può  Marte. 

14-  Ritrovollo  foUngo,  c come  quella, 

Che  di  pradenz.a  a ff  en  mai  non foggiacquc| 
Gli  fé  con  lunga,  c lubrica feyella 
Cole  udir,  che  d’udir  gii  fpiacque. 

Narrò  gli  amori  de  la  Dea  più  bella  , 

E de’progrcffi  lor  nulla  gli  tacque. 

L’età  del  va  gOj'cda.  beltà  dipinfe,» 

E’n  plùdlfcorfi  ilfiio  parlar  dittinfe» 

15.  Scioglie  la  lingua  baldanzofa  e pronta; 

E non  fenza  alcun  fregio  il  ver  gli  cfponc. 
Gli  afferma  ^ che  per  fargli  oltraggióse  ont» 
JData  s*è  in  preda  aun  raftico  garzone, 

E l’hiiVoria,  eia  beffa  ìndi  gli  conta  ' ' 

Quando  nafeofe,  e fé  fuggire  Adone, 

Che  per  tèma  appartato  alquanto  il  tcnii^ 

\ ^oXricfuamatofubìtarirctmfe.  ^ 

f ^ DicegU 


fSo  LA  MORTE,  : 

xé.  DicegU,  chediluifecofolccta  ' 

Sempre  fi  ride,  e feorni  aggiungea  (corni. . 

G li  (oggiunge  ancor  poi,  che  la  diletta  ^ _/ 
Partita  è dal  fuo  ben  per  qualche  giorni.  ^ : 

E gli  conchiude  al  fin,  che  la  vendettia  ' 

Molto  facil  gli  lìa  pria  ch’ella  tornì.  ; , 

E gl’iafegna,  eglimoftra,e  gli  divKa  * 

Il  tempo illococémrnodo,c la guifa.  ' 

17.  Nelfier  Signor dè le fanguìgne rifTc  * ’ 
Non  era  in  tutto  ancor  fpento  il  fofpecto, 

E da  che  l’infernal  Serpe  il  trafifie , ' , 

Sempre  un  freddo  velen  celò  nel  petto? 

Onde  quando  colei  cofi  gli  dilTe  ^ \ 

, L’agghiacciò  lo  ftùpor’jl’arfe  il  dilpetto.  • 
Tacque,  e’I  Ciet  minacciando,  e gli  elemcixti 
T orle  le  go  ufi  di  r abbia  i lumi  ardenti. 

18.  Qual  ròbufto  talhor  Tauro  fi  mira,  ^ 4^J 

Superbo  Duca  del  wrnuto  armento,  ^ - 
Che  col  fiero  rivale  entrato  in  ira  < > 

Schiuma  &ngue,  a la  foco,  c (buffa  vento  . 
Da  gli fguardiféroci furor  fpira,  1 

N e’tremendi  muggiti  ha  lo  fpavento j - 

Ne  la  bocca,  e ne  gli  occhi  horror  raddoppia 
folgore  che  rofl'eggia,  e tuon  che  {coppia. 


: r 


|o.  Tal  da  gelofi  (li muli  ferito 

Tra  fe  frèmendo  il  Capitano  eterno,  .1 
* Poi  c’ha  l’annuntio  inafpettato  udito,  . / 

Par  furia  a gli  atti,  & ha  nel  cor  l’inferno. 
Fuor  de  l’albergo,  c di  fc  ftclToufcito, 

^ , Il  ferro'ap  pr ella  a vendicar  lo  fchcrno,  ; ; . 
E fpnza  indugio,  cbr9  d’orgoglio  iniàiio»  > , 
fi  giovane  (l?ij:aft^;vuol  di  lua  ^ 


^ CANTO  DXCIN^OOTTAVO.  361 

, 10.  Havca  l’illuftrator  de  ^li  Hemifperi 
Nè  l’Atlantico  mar  la  face  eftinta. 

L’ofcura  terra  havca  dì  vapor  neri 
La  faccia  al  chiaro  Clcl  macchiata  e tinta. 

\ Reggeva  il  Sonno  gli  Kumidi  dcftricri 
De  la  notte  di  nebbie,  e d’ombre  cinta, 

E con  placido  cor  Co  e taciturno 
Volgea  le  ftellc  al  gran  camln  notturno. 

li.  Nclprohibito  altrui  bofeo  fclvaggio, 

Vaftene  Marte  alo  (patir  del  Sole, 

, Ch’alo  fpuntar  del  mattutino  raggio 
Sa  ben,  eh’ Adori  cornar  dentro  vi  volc 
■ Quivi  appoggiato  ad  un  croncon  di  faggi.» 

I De  rhorc  pigre  (i  làm^ncae  (lolcj 
. Quivi  s’afifiAe  ad  aCpectar  la^  lu  :e 
I De  glieirercici  horrendi  il  fomnao  Duce. 

A 

I 11.  PcnGiado  a i corti  Gioì  si  gravi  e tanti, 

[ Geme  in  un  mormorio  flebile  c fioco, 

! Sidlftempraiti  foCpir,  fi  ftillainj>iaan, 

E giace  in  ghiaccio,  c fi  disfoga  m foco. 

Ha  le  labra  di  dei  verdi , c fpumanti, 

Nè  trova  al  gran  marcir  requie,  ne  loco, 

E sì  farce  è l’affamio,  e sì  poflentc. 

Chele  corde  del  cor  rpezzarfi  lènte. 

15.  Mentre  che  con  l’amor  l’ir.1  combatte 
Il  dolor  s’incerpoae,  c dice  al  fine. 

Dunque  di  quelle i ch’io  filmava  intatte. 
Bellezze  di  incomparabili  edivinc 
Poffcdltrici  indegne  (oimè)  fon  fatte  / v 
Roze  braccia  fclvagglc  c contadine? 

Quel  ch’io  bramat  a pena  ofai  lontano, 

• Preda  dlvien  d’un  Cacciacor  villano  ì 
'■  * Vii.  //.  £ 0 


Ut  LA  MORTE.  ‘ 

14-  O vie  più  de  le  paffete  fugaci , 

Che  traimo  il  corro  tuo , vaga  e leggiera. 
Quanto  nc’vezzi  tuoi  finti  e fallaci 
Stolto  è chi  crede,  e mifero  chi  fpera» 

Mi  promifero  quelli  i detti,  e i baci 
De  laboccabiigiarda,e  lufinghicra, 
Quand’io  credulo  a quel , che  mi  giurafti, 
Lafciai  caderci  a piè  tutti  i miei  faltij 

t;.  Chimaitantabeltà  videin  fuggetto 
Si  mobile  inconftante,  e dilleale? 

E in  amante  sì  fido,  c sì  perfetto 
Tatua  difaventura,  c tanto  male» 

Hor  qual  farà  dentro  l'inferno  Alette, 

Se  la  figlia  di  Giove  in  Cielo  è tale? 
Chefaran  l’altrc  Dònne  infami  crcc. 

Se  fcelerate  fon  l’iftcflè  Dee  f 

X6>  Perfido  Ijèffo,  ahi  com’inganna  c mente 
Quellabelfà.ch’a  torto  il  Cicl  ti  diede. 

V olubilc  qual  fronda  à la  tua  mente, 
Inflabilc  qual’onda  è la  tua  fede. 

Io  per  mefperci  più  facilmente, 

Ch’una  fola  fedele  a chi  le  crede. 

Fra  tante  falfe,  ingrate,  c mentitrici. 

Tra  gli  augelli  trovar  mille  Fenici. 

17.  Ma  dov’è  Marte  il  tuo  furore?  c dove 
L’alto  valor,  che  fignoreggia  i ferri? 

Quegl ‘innocenti,  c miferi , ch’a  Giove 
Gndan  mercè,  fenza  piccate  atteri 
Contro  chi  meno  il  meritò  fi  move, 
Talhor  fiior  di  ragion  l’ira  differri. 


CANTO  DECImOOTTAVO. 

«8-  Seituwlui , che  i popoli,  egrimperi 
Mieter  da  le  radici  hai  fì,e(ro  fn  ufo; 

Ter  CUI  la  Parca  inatpatrice  interi 
Votacalroltei rc'^òli  dal  fufo  ■ 

Nou  fe’tucjuei.  c-hai  de  gli  Scithi  alteri, 
el  Gclon,  del  Bifton  l’orgoglio  octufo  ? 
IJictro  al  CUI  carro  invitto  humil  ne  viene 
ilTerror  col  Furor  ftretto  iucatcne? 


Et  hor  l armi , c trofei  ballo  e vulo'arc 
mortai  di  man  ti  toglie, 
Eioffrir  pur,  che  quelle  membra  care 
Mendclitle  communi  a l’altrui  voglie, 
thè  ti  giovano  homai  tante,  c si  chiare 
1 tede.  Palme,  corone,  infegne,  e fpogllc, 
S un  pargoletto  ogni  tua  gloria  uccide, 

E de  trionfi  tuoi  trionfa,  c ride? 


}o.  Se  furie  tuo  rivai  quel  Rè  fupcrno, 

Che  dal  Ciel  move  il  tutto,  c’I  tucto’potc  j 
Se  fiiflc  emulo  tuo  quel  c’hà  in  governo 
i’acque  , c col  gran  tridente  il  monde  Ccoco 
Se  tuflc  quel,  ch’ad  Hecate  d’A  verno 
. Donno  lo  feettre»  ruginofo  in  dote; 

Potrcftl  aìmen  ni  quelVoItraggla  audace 
Darti  con  più  ragion  conforto,  c pace. 

% 

I-  Quella  dcftra  immortale  è forfè  fianca. 

Per  cui  (bVtrcman  Rhodope,  e Pant^'eo? 

E forfè  rotta  quella  fpada  franca,  ° 

Che  già  pcrcoUè  Eucclado,  c Trifeo? 

No,  nò,-I  ufata  forza  in  te  non  manca. 

Fera  dunque  il  donzcl  perfido  e reòj  ' ’ 

E ben  ciicfiadi  divin  ferro  indegno, 
fa  che  col  lànguc  fuo  fpenga  il  tuo  fdeSno. 


LA  MORTE» 

2Z..  Cosi  dolcafi il Càvalkr  àd  CieW 
^ Trafiuo  II  cor  dal  dilViefato  avito, 

E vie  più  fredde  del  notiurno^^clo 
Eran  le  bri’fie,  onde  bagnava  “ » 

Quando  cU.ò  riverita  m Delo, 

M-accloglIfi  inaanzl a l'improvilo, 
E de  gli  udiri  gemiti  feroci 
Rupe  nel  mezo  le  cruccioCc  voci. 


« Che  tal  /sUdlrtc)  il  tuo  tormento  ignota 
A queft’'ombre  narrando  horridec  nere  » 
SenValcun  prò  del  bofeio  ermo  e remoto 
Aflbrdar  raùre,  e rirvegllar  le  tere? 

Altri  gibifce,  e tu  qui  brati  a voto*. 

Altri  ì ripofi  tuoiftaffi  a godere, 

E tu  minacci,  e cohuo  van  lamento 
Tagl^  gran  colpi  a l’aria,. c sfidili  vento. 

Sembri  fchermendo  la  fprczzata  fpadai 
Tiare,  che  dietrò'al  Cacciator  s’afFretta, 
Ma  tracticrw  il  téio  corfo  amczatoiU 
Sù’l  bef  crtftal,  ch’a  vaneggiar  l’allett^ 

E méntre  negbitolVhbada, 

Perde  Va  ^iióle1nfieibe-,e  la  yendetta,  ^ 

Quando  volar  dé^rebbe,  e con  gl’arti§a 
Toalicr  la  vita  a chi  le  tolte  i 


« i 


3£ 

4 


i 

« 


-,  Tu  però  Dio  sì  prode,  e sì  gagliard.0^  j 
Nondeld’un  fanguc  yil  tinger  le  mani.  l 

Potrefti'  (c  chi  no(  sa?)  fol  con  un  guardo  ì 
SubbitTar  queVftóclul,  disferlo  in  brani. 

Per  quella  poi,  che  d'àmorofo  dardo  i 

Ti  punfe  il  core,  i tuoi  dolor  fon  vani  I 

Sai,  che  fermezza  in  lei  può  durar  poco» 

Sendofiglia  del  mar, mogUc  del  foco. 

A coflr. 


a >9  a.  ir  ^ - ^ A'- 


CANTO  DECI  MIO 


AVO. 


)«.  Aconfiglio  midior  volger  al  du  none 
(S’araiofcnnoSra’i)  l’ amino  offe  Co 
Lafeiandoameperquefto,  e per  oualuncuc 
Misfatto  fuo  Ai  caftU^arla  TI  p e Co  i 
Cii’iononhòmcnoìncomrar’ ale!  qualunque 
Per  altro  aff^e,  il  cuor  di  fdegno  accefo-, 

Nedi  temeno  ad  eflctle'  ncxrvT  ca 
M’obligagiuftamentc  ìiiglixrla  antica. 


17'  Quella (opprobrio  del  CieT^i  "Putta  celcflc 
Quando  comparve  al  Tuo  laCcivo  amante 
Sotto  la  calla,  e virglnal  mi  a v efte. 

Sotto  le  forme  mie  pud!  eli  e e ranre. 

Per  ricoprir  con  appare  n-z. e Vio nelle 
P'3sfacciaginfua,^li  venne  avance, 

^ con  le  fue  frodi  in  altro  manto  thitìiè 
P'Upueriljitoplicità  dclùrc. 

Sempre  poi  col  fuo  cyradóin^iarma  mìo 
Vibròla  lungua  temeraria  e fciocca, 

Econparlar’ingiurloro  e xTo 

Spettò  in  cofe  à*honor  poscia  bocca  j 

E benché  interra,  c* n Cicl  nota  Ibn’io , 

I3n  SI  maligno  ardir  troppo  mi  cocca; 
Rlttovarmai  nonXeppe  altro  precetto 
Per  da  medefviatlo  > eccetto  qaefto. 

3^.  Ella  d’ Adonia (ignoria  m ha  toVtCi  ^ 

Che  pronto  era  a Icguir  «li  ftadì  ibìei, 

Mà  con  lunghi  fermo  a pi|T  d una  f 
Da  c\ue\  camiti  lo  diftovìjo  coftet. 

Hcr  per  punir  c^uefla  inrolenzallolta, 

Xo  vò  nocendo  à lui,  nocete  à lei, 

Che  quantunque  Immottàl  l ama  si  forte, 
Che  sò  ch'ella  morta  ne  la  Tua  morte. 

6^  5 Toccar 


^66  LA  MORTE, 

40.  Toccar  quel  fuo  malnato  osò  le  crude 
Armi  pericolofe,  armi  interdette. 

Quelle,  ov’ancora  il  mio  furor  f»  chiude  , 
Dicodi  Meleagro  arco,  e (àette. 

Quelle  (il  giur’io  per  rinfernal  palude)  > 
Dafefteflefatan  noftrevendette. 

Perche  fon  tali,  che  giamai  non  fanno 
Portar’ a chi  le  porta  altro  che  danno. 

41.  Oltra  di  ciò,  quando  a cacciar  dimane 
Riede,  fecondo  l’ufo,  il  folle  Arciere^ 
D’irritar  contro  luì  fuor  de  létanc  . 

Un  mio  Cinghiai  talmenteiofò^pcidlero> 
Che  d'Attheone  alcun  rabbiòfòCanc 
Nel  fuo  Signor  non  fi  moftrò  frficto  j 
Nè  fu  mai  fiero  e forraidabil  tanto 
L’altro,  al  cui  nome 'ancor  trema  Erimantt^ 

4t.  Così  di  Thracia  al  Paladin  tremendo 
.Favellò  Cinthia,ond’ei  l’armi  depofe, 

E più  dillinco  pof  rordinteflèadol  < ' * ‘ 

,De  le  diipoftee  concertate  cofe, 
fteo  infieme  in  guato  ivi  attendendo*^  i 

Finche  venille  il  bel  Canon,  s’afeofe, 
Perdar’effctto  ala  crudcl^engiura 
Tra  i vietati  confin  dLqttelle  mura. 

4j.  Giàdeldifefocrifervato  Parco, 

Poiché  Vener  partilfi,  Adone  ardito 
Non  fol  più  volte  il  pcrigliofo  varco,  ^ 

T entato  havea , nia’n  era  falvo  ufcit?0, 

Nc  mica  per  timor  dlfpiedo,  ò d’arco  . 

Il  lafciatoque’moftri  irne  impunita. 

Ma  perch’a  la  beltà  del  Giovinetto, 

Et  a laDeadcl  loco'hébber  rifpetto. 

Quirici 


I CANTO  DECIMOOT  T.AVO.  367 

I ^4- Qumci  mal  cjwto,  c terrier  ario  accrebbe 

Tant’orgogUo  nel  Col,  tanta  Hda  nz.a. 

Che  prclumando  poi  più,  cVie  non  debbe, 
Diriemrarvi  ognor  preCc  \>a\d.anz.a  5 
Onde  crudo  dcftin,  eh’  allVi  o rria  e n’  h.ebb  c 
D’effegulr  l’ira  tua  campo  a bJà-iianxa, 

I TrafTe’l  mentre  Ciprigna  eralor^taria. 

Tra  rmfidìc^lMarte,  e di  "Diana,  ^ 

45'  Sorgearaurora,  ma  dolente  e meda, 
EconpaU’dafaccia,c  nu\3«lloCa  . 
^dimoftravabcanuntla  funeftà'  o 
QucUi  crudcl  d’ale  una-ln£au  (la  cpfà, 

Portava  de  la  notte  11  velo  In  teda. 

La  ghirlanda  sfrondata,  e (Tangulhofà, 

Onde  il  S’oli  che  ben  chiaro  ancor  noa  erst, 
Pur’allhor  Elevava  , c para  fera. 

•ii- 

44  Qaand*ei^  cK*vma  •rati  cacciali  giorno diaa 
Dentro  il  locomcacfmo^  havcabandlta,  (zi 
PIÙ  d’ana  troppa  a £ar,  ch’olone  s’avanzi 
Di  Cacciatori , c Cacclatrlci  invita. 

I Clitio  il gcnc'^Paftor  ft  tragge  innanzi, 

’ E gli  promette  ogm^cdelclaita, «ì' 
labcllaCitlwreà' pelai  fchepartUl'e, 
Tiiaccommando  il  belVAdon,  gli  dille. 

47.  Tofto  1 piùficrl  e generofiCani, 

DI  cui  gran  moltitudine'adunofG, 

Per  denÈbofehi,  à per  aperti  p^ani 
Pur  da maeftti  lor  gnid?$i;C 
Segufi,  c V cltrl,  c co’  fdroci  Alani 
V ennetvii  formidabili  Moloffi, 
i Tigli  d’ Angliche  madri,  e C or fc,  c Sarde, 

Et  altre  varie  ancor  razze  badardc. 

^ 4 Armali 


la  morte. 


^3.  Armafi  Adon  da  folle  audacia  fpintd> 
Egli  arnefi  malvagi  apprefta  c prende. 
Giade  l’arco  elVecrando il  collo  ha  cinto. 
Già  l’infaufta  faretra  al  lato  appende. 

Il  curvo  eorrio  ha  dopo’l  tergo  avinto. 

In  cui  lo  fmaltoinflù  l'avorio  fplenda. 

Mà  l’avorio  però  candido  e bianco 
Cede  alabcllà  mano,’  & al  bel  fìahco. 

^5,.  Oltre  l’arco,  gli’ftrali'hàne  ladeftra 
Grolla  mazza,  pefantc,  enodcruta. 

Che  fu  rozo  croncon  d’clce  filveftra, 

E ferrata  è da  capo  a punta  acuta. 

Con  la  manca  conduce,  & ammaeftra 
Un  fuo  levrier  , ch’en  ogni  afEir  l’oJta  f 
Nè  movon  mal  difeòmpagnati  il  piédc, 
Con  bel  cambio  tra  lor  d’araol  e.e  fede. 


50.  Quell’era  iloaro,  il  Éivorltoj  c nato  « * 
D’ujaa  Cagna  Spartana  d’uh  Pardo* 

Non  fÌLi  gìamai  sì  lieve  augello  alato. 

Non  sì  rapido  mài  Pàrihico  dardo. 

Non  sì  veloce  Zefiro  ,eh’alatC> 

Al  fuo  pretto  non  fufic  tardo.  ^ . 

Non  corlèun  quali  (nella  ò Damrria,  ò Tigtc 
Ch’appo  quelCan  non  ratte mbraflèr  .pigre. 


;i.  Spirto  vivace  havea,  corpo  benfatto; 
E la  fugi  sì  pronta,  e sì  leggiera,  ^ 

Che  (petto  il  Daino,  e’I  Cervo  agile 
Fermò  col  dente,  e giunfe  a la  carriera. 
Havea  tetta  di  Serpe,  c piè  di’Gatto. 
Schiena  di  Lupo,  e pelo  di  Pantera. 
Saetta  egli  havea  nome,  & era  àl  corlb 
Saetta  sì,  ma  più  Saetta  al  mecfo. 


e rateo 


CANTO  DECI  MO OTTAVO.  36^ 

jz.  Eraa/ collo  U collar  conforme  apunto. 
Ricco  monll  cKe  Tatnorola  Dea 
D’anbclCcrlcobrun  tutto  trapunto 
Di  propria  man  con  fc^tìTa^o  havca. 

E v’iuvca,  noiv  pen  fando,  i n Torce  punt  o 
Hiftoria efprclla  dol orofa  crea. 

DI  Cefalo  la  caccia  e mpia  e fii  ncfla 
(Tragico  augurio)  c in  cjtiel  lavor  conteft.a. 

53.  Cosigucrnito,  con  {ecura  faccia 
Colà ien giò, dove  ¥or caria  il  crad'e, 
Nelafamofi^e  memorabil  caccia 
Il  bell’ Adone  a compàrclr  le  laflfe. 

Già’l  lungopdor  de  la  ferita  traccia 
Seguono  i bracclù  con  le  tefte  balle. 

Già  vanno  i veltri  a coppia  p coppia  intorno, 
Ma  nohfifcntc’àncor  voce,  ìic  corno, 

j4.  Aàondelaforcftail  fitoprefe, 

E’J  cuniultp  in  fvlentìe alquanto  tenne. 

Poi  d’og,ri  in  corno  ben  legate  c refe 
Lunghe  Ugec  di  corda  a tirar  venne. 

Gran  numcro  per  rutto  indi  v’appefe 
Di  colorite,  e tremoianti  penne. 

Perche  delTer  rali^f  molle  dui  vento 
A le  befUe  -felva^  ombra,  e (pavento, 

Giò  fatto,  del  cacciar  l’ordine  dafn  , 

Eia  guardia s’alTégna  ad  agni  ftrada, 
AcciocKe  quando  a dar  l’allalto  haVrafil 
Sen7-a  blfogno  altrove  altri  non  vada. 
Ciafeuu  guarda  ilfuo  pollo,  e tutti  i palli 
Son’homsfi  chiufij  ove^l  camln  (ì  guada. 
Intenti  e pireffl  a cuftodir  agnati 

5tan  ji’Cacciitojd  armati. 

* §L  S 


Qui 


L A MIORT  e; 

56,  Qui  comincia  a Icvarfi  il  romor  gr andc^ 

Di  latrati,  e di  gridi  il  Ciel  rifona. 
Kimbom^tal  moltiplica,  e fi  fpande. 

Che  la  fclva  ftordilce,  c l’aria  intona, 

5 f à per  entro,  a fronte,  e dale  bande 
De  gli  ardori  tremar  l’ampia  corona. 

Et  Eco  rifentir , che’n  ouelle  tane 
Raro,  ò mai  non  rifpolea  voci  hutnarte. 

€7,  Ecco  vulgo  fmacchiar  fuor  de  le  cove 
Di  manfuete  fere,  & innocenti. 

La  Lepre  vile  in  dubbio  il  corfo  move, 

Kc’!  timido  Configlio  i pafTì  baienti. 

• Sparfv  van  quinci  c quindi,  e non  fan  dove 
De’vecchi  Cervi  i fuggitivi  armenti. 

Sola  la  V olpe  attuta  il  pie  fofpende, 

^h'ad  ingannar  ingannatore  intende.  . 

«IL;  Mar  tropp’ ardito  Adon , che  d’havcr  crede 
'Altretanto  valor,  quant’hà  bellezza,.  { 

. Di  fugace  animai  minute  prede, 

, " Quali  indegne  di  lui  difdegna  c fprezza.. 

. Fieramente  leggiadro  andar  fi  vede, 

E a prove  afpirar  d’alta  prodezza 
Bella  ferocità  nel  fuo  bel  vifo 
Afpreggiato  ha  d’orgoglio  il  dolor  rifo, 

5^.  Tal  di  Grecia  il  Garzon,Tlicffaglia  fcórfe 
Del  dì  cacciando  allcgerir  la.noia, 

'E  recar  poi  di  Tigri  uccife,  c d’Orfe 
Al  maeftro  biforme  horridc  cuoia. 

Tal  già  le  felve  fue  ttafeorrer  forfè 
Vide  Cartago  il  Giovane  di  Troia, 

Er  afpettar  con  baldanzofa  fronte 
Se  fuperbo  Leonfeendea  dal  mourc*. 


X 


CANTO  CECIMOOTTAVO.  57* 

(0.  Etalvìd’Iodicam,  e di  cavalli 
Menando  il  gran  LV IG I cletcc  fchierc, 

Talhor  di  Senna  per  1* amene  valli 
Caftigar  l’odo,  c feg^ttar  le  ferej 
E con  l’Invitta  man,  che  regge  i Galli,. 

E ch’è  nata  a donar  g/enti  guerrcre. 

Tra  i lor  covili  più  ripofti  & ermi 
Efpugnar  per  traballo  imoftri  inermi. 

Tjitta  la  felva  di  fcompiglio  è piena, 
chi  tefo  l’arco,  a Caectar  s’accinge. 

Chi  la  rete  racconcia,  c la  catena , 

Chi  la  fune  rallenta,  c chi  laftringc. 

^ Altri  ilcan,chc  fcjuitti{ce,a  forza  affrena 
Altri  fciolto  il  cordon  l’irritacfoin<yc'. 

Quelli  talhor  col  rauco  fuon  la  Sratfida^ 
Quei  Covra  im  faggio  di  lontan  la  fgrida, 

it.  Scorre  Adonia  verdura,  entra  folctto 
Trai  folci  cefpugU,efccndc,  epoggia 
Tanto  che  trova  un  torbido  laghetto. 
Accumulato  di  corrotta  pioggia, 

E s’accofta  a la  colla,  ove  gli  è detto  , 
Che^ran  Cinghiale,  c fpaventofo  allocroria. 
Perche  veder,  pecche  dillruggcr  volc  °° 
.X^uell’animaca,  c Imifurau  mole. 

é).  Hor  qual  ti  mena  a volontaria  doglia 
Fanciullo  incauto,  ò tua  fciocchezza,  ò forcc^ 
De  l’alpro  tefehio,  c derhirfuca  fpogUa 
Non  ^ giamai,  chc’l  bel  trofeo  riportc,. 
Cangia  ^h  cangia  l’oillnata  voglia, 

Fuggi  deh  fu^i  la  vicina  morte. 
D’haver’ttcciu  una  vii  Fera  il  vanto 
Picciolpcemw  fia  troppo  a rifehio  lantty. 

SL  ^ Inarca: 


LA  MOIRTÉ,* 

Ó4.  Parca  qucfte  paroh,  & altre  aliai 

Dlcefl'cr  l’herbe  a lui  d’iiTtorno,  c i fiori  , 

C he  trar  virtù  da'fuoi  fercni  rai  ^ 

' Solcano,  c da’fuoi  fiati  haver  gli  odori. 
Ritornaindictro  ò folle, ovenc  Vai? 

De  lunge  gli  diccan  Ninfe,  c Paftori, 

Ahtorciil  pièdalofpietatoftagno, 

Gridava  Clitio,  il  fuofèdel  compagno. 

^5*  I^Sa*‘  Adoni  fuggi  oimè  (non  eflcr  lordo 
A l mio  caldo  pregar)  la  Fera  horrenda 
Di  Venere  i ricordi  io  ci  ricordo  > 

Non  voler,  che  te  piange,  e me  riprenda; 

Non  far  , ohe  dì  fierezza  un  moftro  ingordo 
Uh  moftro  di  beltà  ftrugga&  offènda; 

Che  tu  vada  a cercar  tanto  periglio 

(Mi -perdoni il  tuòCenio)  io  non  configfio* 

E nulla  intende,  e nulla  cura,  c dritto 
Colà  fenjvà,  dove  l’audacia  il  guida 
Capitaal  fatai  loco,  ov’hà  prefefitto 
Il  fine  al  vive  r fuo  ftella  homicìda, 

Dove  il  minrftrodel  mortai-delitto 
. Per  corre  il  fior  d’ogni  beltà  s’annida. 
Infaufta,  infame,  & infelice  feWa , 

Che  dà  ricetto  a l’arrabbiata-bcWa. 

<7.  Tra  duo  colli , ch’ai  Sol  volgonlé;fpìd.lc 
Dcnfe  di  pruni,  edl  fioretti  ignude, 

Nel  cupo  fèn  d’una  profonda  vaile 
Giace unvallon, che  formahàdi  palludcj; 

E fc  non  quancohà  folo  un  piccitol  calle» 
Scaglio  fa  felce  in  ogni  pa«e  il  chiude. 

Quel  macigno,  chc’l  cerchia,  alpeftro  c terrò 
LaTcia  fol  {bcnch^apguftt^)  ««Tarco  aperto. 


DRGIMOOTTAVO. 

éS.  Qoivi  liti  ifiezo  di  fÌAicfte  fronde 
Ombreg^kto  per  tutto  un  lago  ftagna> 

Che  con  livido  bumor  di  putrì  <i'o>Hdc 
SemprtfierUe,  efozToii  iàflb  bagna* 
Nonbàdkitorho  ^ le  ipùiiofè  fponde 
(Perche fcofceic  Con)  molta  canvpagna> 

J4a  brevcpiaiza  in  sù’ii'enticr  ri-fcerne 
Tutta  dì  greppi  cinta,  e di  caven^ 

65.  Ncnxoccòiiiairabo«iinabU  riva 
(Bencà^affamato,  e firibondo)  armento, 
Chcl’heiba, c Inacqua  feridaje  Hocivte 
D-afl^g^aTj  di  guftar  prende  fpavento  ^ 
NoftCofia  Ninfa^t^auno  ognor  kfchiv^> 
NonfoU’abKorrc  il  Sole, e rodia  li  vento^ 
Ma  dala  gaggia  immonda  & Interdetta 
fnggan  iontaino  xiXAipo,  e la  Civetta. 

7©.  Qaeft^èValbergo , del  Cinghiai  no»  dk»> 
Ma  de  l’ira  del  Ciel,  c he  lo  prodaflè. 

Taccia  pur  Calidoniail  grido  anrica 
Del  flagello  crodcl,  clic  ladiftruffe. 
LAraboìacoltOjò  ilGaramanto^rico 
MoftWD  non  hebbe  mai,  ch’egualglì  fiilfe , 
C^ì  s’accovaccia,  edentro  racqaaneWL 
Staflvoetttf&ta  la^mga 

71.  Nelpantan , che  crrconda  wi  me'zo  inlglio> 
Tràfoiftghc  paluftti  il  ventre  adagia, 
Splc(ndc«eléofco,  e minacciofoci^io 
D^un’horribile  ardor  luce  malvagia, 

Haccola  acedà  par  l’occhio  vermìgUo  , 
Spruzzato  ferro,  ò ftrirtzkata  bragia. 
Callofijhà  il  cuoio-:  il  fianco  , e^i  tOzOWrg» 
Arma  di  dareTece  iy^^ido  a^efg»>, 


CANTO  DECIM  DOTTAVO. 

7^.  Così  falcata  alfìsa  la  Sedia  brutta 
Del  (aogofo  canne tro  oltre  i confini, 

H ftracciataftormir  la  felva  tutta. 

Scote  le  querce,  e rchloma  I faggi,  e i pini, 
Oadepar  che  percoda,  e che  diAruua 
Daproccllofo  turbine  ruini  > 
le  pietre  fchlanta,  c de  gli  antichi  arbufli 
Sbarbai  tronchi  più  £aldi,e  piùrobufiu 

77.  Torce  obliqua  la  tetta,  e con  più  ftizxa 
Ch’ìndoinitaTorel,  grugnlfcee  raugge, 
Emcoitre  invcr  la  felva  il  corfo  drizza , 

Ciò  cime  s’oppon  tra  via,  fbaragUa  eftrugge* 
Vendicar^  però  di  chi  rattizza 
Ancor  non  potè,  ognun  s’arretra  e fogge. 
Senza  pur’adnprar  le  zanne  horrende 
Sol  colcertor  de  gliocchiei  fi  difende- 

7&.  Le  macchie  attraverfando,  c le  bofeaglie 
Altrui  malgrado, infuperbito  paflà. 

Le  doppie  reti,  c le  ben  grofle  maglie 
'Squarciate  a terra,  e dilbpate  lafla. 

Corre , c conl’urto  abbatte  hafte , czagaglie^ 
Spiedi,  e fpunton  con  T impeto  fracafla. 

Se  guata,  o morde,  horrìbile,e  pungente 
Par  lo  fguardo  balen,.fulmine  il  dente. 

79.  Apre  le  turbe  critorte  sferza. 

Nè  v’hàpiùchil’afFronci , ò chil’arrefti 
Ebro  di  l'angue,  il  fuo  furor  inforza, 

E ne  lafcia  in  altrui  fegnii  fìinefti. 

Superato  ogn’incoppo,  e palla  a forza,. 

Età  fuggh  que’Cacciatori,  e queftì. 
Euggono,  c poi  da  quella  rupe,  c quella 
Lanciano  di  lontan  lance,  c quadrella.. 

, JLi 


5l( 


tA  MORTE, 


8o.  Ei  tvà  la  folca  homai  rotta,  e Jivifa 
Travaica  i guadi,  e i colpi  altrui  non  cara> 
Nè  d’un’incacco  ha  pur  la  pelle  incifa. 

Si  fodadi  quel  pelo  è Tarmatara. 

I cani,  che’l  fegniano , Ha  conci  ingu5fa> 
Che  ne  giace  pS  d’un  per  lapianura. 

Molti  Idrucciti  la  fpictaca  zanna 
Nc  lafcia,  altri  ne  fquarta,  altri  ne  fcahna. 


k 


Si.  AdoncHequeUrudelmoftroinhliUmàna  . 

Scorge  cotanta  far  fttagéi  e ruina. 

Non  Cbigottifce  anzi  con  t’afrmi  m mano 

Sen  corre  ad  incontrar  lira  ferina, 

Eccol  giunto  daliioi  tanto  lontano, 

Ecco  tanto  laTera  hà  già  vicina , 

Quanto  da  forte  mah  lentato,  c fcarco 
N’andna  fcopplo  fionda,  ò tratto  d’àréo. 


St.  L’arco  ha  ftretcò,  e lafaéta hà  mofla> 
E fegna , e tira,  e dove  vuol  colpifcej 
Ma  cos^  forte  è.de  la  fcorza  grofla^ 

La  corazza , ehel  cogiiè,  e noi  fenftìr. 

vana  non  folo^  lapercoflà, 

Mfo  rirrica  più  moho,  e rinafprilc^ 

E quel  foror,  c’ità  già  raccolto  infcno  , 
Crdccfonza  riparo,  e lenza 


53.  Irapcrver&  accanito,  inifra  le  gènti 
fifcagiia,  e co'maftin^’azzulfo. 

Le  pùche  de  la  fronte  irte  e pungcnn> 

E de  la  pelle  fctolofa  arruffo. 

De  le  picciolc  kicii  fuochi  ardènti 
Vibra,  s’arricota,  e lì  rabbuffo,  efoutfo* 
Dì  fcintiftedi  fangue  hottidi  lampi 
Par  cjhcfecchiftoifitmii,  ardaijot  eaApi 


-Koa 


pt 


CAI^T;0?JECirviOOT^TAVO.  ^7 

If  Ndn perde  Adon  coraggio,  e dàdi  jJigUo 
AJ  fecondo  evadici , cK’e  'viè  pvù  fitto, 

Efper^ncl  Cinehìal  Farlo  vermi  glio> 

Pcrche’n  Etnau  temp r c>  Fabro  divino. 

Di  Vener  bella  aVtarctr-ato  Figlio 
Tolto  l’havca  per  (uo  peggio r doftitto. 

Onde  nel  fiero,  e furioCo  core 
S’accoplar 0 due  Furie,  Ir^, 

Sf,  Loftral  chtT  miglior  Fianco  al  itiOftró'etoHc* 
D’huraatio àrder i*al  ma  inltumana  aceefe. 
Onde  quand  o al  fan  ci  u-l^^i  occhi  fvvoWc, 

Che  dalungciltr afille,  e non  l^c^fe. 

Vago  del  danno  foo,  non  fit'ne  dolfe^ , 

Mà  per  meglio  miraìrlo  il  'corfoft^lè, 
EtingorduodìbeU-^i  si  V£tfga 
(Aiiracol  novo)  inacerbi  la  pi6§3. 

16.  Chi  dunque  ftvtplri,  *c<hc  del  fratelli 
ArdefféBìbli  coninfatrie  ardore?  ^ 

E Micca^  di  cui  nacq[ue  Adone  iiheilo. 

Ad  amar  s’accencieuc  il-  gc  nìco  re  ? 

Qual  meraviglia  fia,  ebe^guefto  e qùeU'o 
J>er  k propria  Tua  rpecie  innaffimi  Amorc> 

Se  nel  cor  d’nnu  fera  h ebbe  ancor  lodo 
SlviolcHte,e  moflruofofopo  ? 

<7.  L’anlmofo  Gat'WJu  veggendo  il  YvftOf 
Che  gli  fi  gita  intor »® » c gli  ^ accofta. 

Non  tnontaper  falvarfi  olmo,  ne  certo’. 

Non  cerca  perfug&i^^  rioofta, 

Mà  gicca  l’arco,  e de  rnaftato  ferro 
Gli  rivolge  la  punta  luver  la  cofta, 

E 4bvra  llguadoj’ove  da  ^ada  hà-ptelà, 

Intrcpido^fcTitia^l®*^^^*  . 

Frimai 


V*  morte; 

S8.  Prima  il  guinzaglio  al  f«o  Saetta  allenta, 

E la  lafladilcioglic  ornata  e ricca. 

Lo  qual  non  fi  (paventa,  anzi  s’aventa 
Per  l’orecchio  afferrargli,  e’I  falto  fpicca. 
Quel  volge  il  grifo,  ove  la  prefa  ci  tenta, 

E ne  la  gola  il  curvo  oflb  gli  ficca. 

Conia  zanna  difangue  immonda  e Cozza 
Al  coraggiofo  cane  apre  la  ftrozza. 

8^.  Ode  guairc  il  fuo  fedele  e gira  V’ 

Adon  lé  luci,  ov’ei  fi  giace  ucciC^ 

E d’affettogentU,  mentre,  che’l  mira>  ' 

In  forma  il  vago,  e dilieato  vifo.  ^ - 

Corre  pietofo,  ov’anhelando  (pira. 

Ma  voicntier  dal  fuo  Slgnwmvifo» 

'Gli  chiede  aita  con  lo  fpirto  in  bocca," 

Col  muCo  il  lecca,  e con  la  zampa  il  tocca. 

50.  Tanto  fi  dolc  Adon,  tanto  fi  (degna. 

Che  giaccia  eftinta  la  fua  fida  fcorcai 
Che  mentre  vendicarla  egli  difegna,  i c 

Viè  più  l’ardir,  che  la  rapone jl  porta. 

Faccia  fenno,  ò follia,  che  n’avegna,  ^ 

Vuol  che  mora  il  crudel,  che  gHePhà  morta. 
Viver  non  cura , c pur  chc’l  Porco  afiàglia. 
Non  chiede  al  proprio  cor,  (è  tanto  ci  vaglia. 

ji.  Delpcratos’apprefta  a la  vendetta. 

Tentando  imprelà,  ove  volar  non  vale. 

Et  e(]^n  sè,  per  troppo  amar  Saetta, 

Senza  rifeofia  a volontario  male. 

Faffi  incontro  al  feroce,  indi  l’afpetta, 

' Pria  brandifee  Io  fpiedo,  e poi  l’afi'ale.  ' 
Sopra  il  manco  fi  pianta,  c mentre  il  fiede. 
Segue  la  deftraman  col  deliro  piede. 


] vanìU  OfiCIMOOTT  avo.  375> 

fi-  Cojjlatcncra  mano  il  ferro  duro 
Spinge  coptT€y  il  CingKìal  c^uanto  più  potei 
Ma  più  róbufto  braccio,  e piCi  {jccuro 
Penetrar  non  porla,  dov’ci  percote. 

L’acuto  ac  dar,  com'Habbla  u.n  faldo  muro 
Perito,  overo  ima  Icabrola  cote, 
Com’habbla  in  virT ancudine  percoflo, 
Tornafenza  crar  fuor  filila  di  ro(To. 

fi-  Quando  ciò  mira  Adon  , riede  in  fc  ftefl# 
Tardi  pentito,  e meglio  fi  coniglia. 
Pcn/àalofcampo  filo,  fe  gli  è ^ermeflb, 
Eterne,  e dì  i^ggir  partito  piglia, 

Perche  gli  feorge  inirilgnardarleapprcflo  ^ 
Quel  fiero  lume  entro  i horrcnde  ciglia. 
Ciucici  talhor;,  cjuando  tra  nubi  rotte 
Con  tridèlitc  di'  foco  apre  la  notte. 

54»  Fugge,  ma’!  moftro  innamorato  ancora 
PerViftàTo  rentier  dietro  gli  tiene, 

Et  intento  a fegair  cKi  l'innamora 
Per  abbracciarlo  impetuofo  viene. 

Et  ecco  un  vento  a l’Tin  provilo  allhora 
(Se  Marte,  ò Cinthia  fn,  non  sòdirbenej 
Che  per  recargli  al  fin  l*ultima  angofeia. 

Gli  alzò  la  vcfta , e gli  feoprò  lacofcia. 

55,  Tutta  calda  d’ Amorfia  Beftia  folle 

Senza  punto  faper  . tacefle. 

Col  moftaccio  crudcl  baciar  gh  volle 
Il  fianco,  che  vincca  le  nevi  iftell[e, 

E credendo  lambir  l'avorio  molle , 

Del  fìer  dente  la  ftampa  entro  vimprefiTc, 
Vezzi  far  gU  urti,  atti  amorofiegefti. 

Non  Ic’nlSgoò  NT  atara  altri  che  ^uefti. 


Vibra 


l 


tA  Mòrte, 


j6.  Vibra  qtiei  lo  f|>iìntòhe,  e gli  contraila». 
Ma  l’altro  incontr’a  lui  s^àvérita  e férra. 
Rota  le  ialine  infellonito,  crhafta, 

Che  rhapcrcofl'o,  c che’ld^fturba , afferra, 
E Hi  itian  elicla  fvelle,  e far  noh  balla  . 
Adone  alhn,  che  non  fia  fplnto  a terrà. 
L’atterra,  c poi  con  le  férihe  'bisaccia 
Il  Cinghialfovrà  lui  tilttò  fi'cactìa. 


^7.  Tornandoalollevar  la  falda  in  alto. 
Squarcia  la  fpògli'a,  e da  la  banda  manca 
Conarriorbfo,eruinoTo  alto  ^ 

Sotto  il  vago  galon  gli  riiordc  l’anca 
Onde  fi  vede  di  purpureo  fmalto 
Torto  rubihèggiar  la  neve  bianca*. 

Cori  non  lungc  dà  l’amato  Cane 
Lacero  in' terra  il  'mefcblncl  runanTe. 

5R  O come  dolce  fpìra, e dolce  languc, 

O qualdolce  pallorgl’ImbiaBca il  volto;  ^ 

Horribil  nò  ; che  ne  l*horror,  ne’lfangtic  i 
Il  rifo  col  piacer  llafii  raccolto. 

Regna  nel  ciglio  ancor  voto  & clfangue> 

E trionfa  negli  occhi  Amor  fepolto# 

E chiufa,  c IpentaTuna  e l’altra  ft  ella 
Lampeggia,  e Morte  ih  sì  bel  vifo  cbclla. 

Tu  Moraizon,che*coh  colori  vivi 
Moribondo  il  fingerti  In  vive  carte, 

E la  fua  Dea  rapprefentafti , e 1 rivi 
De  l’acque amare da’begliocchi fparte,  • 
Spiraci  grinchloftri  miei  di  vita  ptivi 
L’aura  vita!  de  la  tua  nobirarté, 

Età  ritrarlo  ancor  morto,  ma  bello 
Infcgni  a ta  mia  penna  il  tuo  pello. 


Aifcio 


;DA14TCV  1XECI  M.O  OTTT  A.  VO  3U 

joo.  4r^o  diplctatc  i freddi  fonti, 

Slntcnicrlr  le  dure  cjuprce,  e i pini. 
Efcaturlrda  le  frondofe  fronti 
Lagrimofirufe eliti  glogKl alpini. 

PianCct  le  Ninfe,  Se  ulular  da* monti, 

E da  profondi  lor  got^gl^l  vicini. 

Drladl,  eNapee  ftemprato  lnpiaritoi,lami. 
Quelle,  cV amano  1 bordtl>  e quelle  i fiumi. 


loi.  y*a^cor(c  CUtio,  cal  Co  e cor  fo  Ceco 
Venne,  ma’ ndar no  , intempeftiva  gente, 
eh’ ad  appiattarli  In  Coltcarlo  fpcco 
Sen  gio  la  cera,  e Cparve  Imjnantcncntc, 
Co§\  Lupo  ladron  per  V acr  cicco 
Poic’hà ^el  gregge  inCanS'i^^'^to  “ * 

Ricovcrto  dal  vel  de  fofea 

Serra  ?d  ventre  la.coda>  e U.runbolca 

TOt.  DoveVeiaerebcllA> 

E <Wc,lpn  le  tue  pronvefte  tante 
Qu^o  laC^ncl  regno  de  gli  Det  . 

^cora^o.lblsottttoam^^^ 

TO*  Ecco  com«?  * 

T’I  fiSor  mlrigar  dtftcllafortc 
Mai  Po6  iJt  i»c^  a(nic»afpe«o  gW>j 
Cosi  vuol  chi'l  Bcftm  regge,  e U Softe,,. 

V - ■ - fUrte  lea^  il  mondoènatpv 

So>tP.  s chc%^^’  p^trehe  non  riei, 

fa. 


1 


itt  L A M O R T E , 

104.  Era  fcnza  colui,  che  l*mnamora. 
Ogni  piacer  di  ▼ enere  imperfetto,  ; 
Ch’Amor’egelofiamovcanlc  ogn’ora  , 
Gran  lite  di  pcnfier  nel  dubbio  petto* , * 
A cui  la  notte  ìinaginofa  ancora 
Raddoppiava  timor,  crefcea  fofpctto. 
Però  che  con  fcmbianza infaufta c rU 
Adon  ncTogni  fuoi  Tempre  moria, 

io;.  Fioria  tra  molti,  chen’haveaCithcra 
Un  favorito  Tuo  Mirto  felice. 

' Quefto  di  più  per  man  crudele  e fera 

Tronco  mirò  da  l’ultima  radice. 
Dimanda  il  come , e la  dogliofa  fcluera 
De  le  Driadi  piangenti  alfin  le  dice. 

Che  con  Tartarea  c rigida  bipenne 
L’empia  Megera  ad  atterrarlo  venne* 

S96.  NcThora,  che  calando  a l’Oceano 
Quali  ogni  ftella  in  Occidente  è feorfaj 
Onde  reftando  in  Ciel  folo , e lontanot 
ImMllidifcc  ilguardiandel’Orfa, 

La  bella  Dea,  che  (1  didruggelnvano» 
Da  mille  acute  vipere  rimorfa. 

Dopo  lungo  pugnar  col  Tuo  defio 
Concefie^i  occm  ad  un  profondo  oblio. 

W»  Ht  ecco  in  quelli  torbidi  rlpofi 
Trà  le  notturne,  c mattutine  larve 
Con  occhi  ahi  quant'ofeuri,  e lagrimofi . 
Del  bell’idolo  Tuo  Tombra  l’apparve. 
Cocal  non  già,  qual  ne  giardini  ombrofi 
Quando  in  Cipro  il  lafciò,  vivo  le  parve. 
Sconciamente  ferito,  e’n  villa  clTongue 
^al  bel  Banco  plovea  gorghi  di^angue. 


' CANTO  DECIMOO'TXAVO.  il$ 

loi  Liduoma,iI  cui  fin*or  più  d’iinayolca 
Dclc^ebe de  l’Indo  il  pregio  Kà  vìnta, 
Spllida, bruna,  ebrattamenre  incolta 
L’ufatofuofplendor  le  moftra  eftinto. 
IUifo,ov’o»nigratla  era  raccolta, 
Delanottcd’Avcrno  è fpar£o  e tinto, 

E macchiato  del  fumo  c ci’AcHcrontc 
Ilciùaro  honor  de  la  CiiperV>a  fronte. 

loj.  Poiché  di  lui , ch*Kavea  nel  cor  ritrati# 

La  notaeffigie  riconobbe  a-  pina, 

Ahiqual'altrui  perfidia  ò tu.o  misfatto? 

(Gridò)  qual  fatto  a tanto  dnol  ti  mena? 
Edond’avicn,  che  si  dolente  in  atto, 
CooturbidclmioCieiraria  ferena? 

Sc’tu’l  mio  Amor?  ò da  fall^c'  forme 
DclufoU  triftocor  vàncggl^»  c dorme? 

Ilo.  Dunque  in  preda  mi  l^fci  ^ J>i^uto  eter^pO} 
f^iwquc  iniquo  deftin  tanto  Ha  potuto? 

Ti  rapi  forfè  in  Ciclo  , ò 

Pcramor  Giove,  ò per  invidia  Fiuto? 

ILifpondi  caro  mio , perche  ti  Iccrno 
la  tanta  aflittion  tacito  c muco} 

Dprefon,  mia  dolcezza,  e mio  theloro> 
Uparolc  di  racle,  c i mot ti  d oro? 

«I.  Dove  de  di  occhi  U pietose  . t 

ChcforoiiFaroa  Piltc  , * 

Adoa,  fé  morto  fei,  morto  mi  pi^^i, 

Tue  bellezze  per  me  belle, 

Cotefto  {angue  io  fuggcJ^j?  co  baci, 

Tarderò  co’fofpir  cento  facile,  ^ ^ , 

Pw  che  morto  ancòr  V®/'®*'  V ^P^*^^** 

Haver  h tomba  tua  tra  le  jauc  bracci^ 

KUpoa- 


ik 


384  t A.  MORTE. 

*11,  I^^pondc.  E’queftO)  pimè  crudele  amlcaé 
Qllai^tadal  voftro  amor  Tperar  midcggioJ 
Co$\-?oblia  quciralca  fede  *r 

C'hayrft  maj.fempre  in  quefto  pcttoil  fegg^o? 
V oi  qui  tra  gìoccnU  e balU>  ond’a  fatica 
Vi  tragge  il  Ibnno,  hor’occupata.io  veggio* 

E le  railèrie  mie  curando  poco. 

Più  non  vi  rifoviendel  nofteo  foco» 

iij^Pch  Te  jiQQ  fredda  in  wtto  cmro  il  cor  voftro 
Vive  di  tanto  ardor  qualche  fcintilla, 

E Cc  pur  l’eflcr  Dea  del  terzo  chioftro 
Anaorofa  pietà  nel  fen  vi  ftlUa* 

Volgetevi  a mirar  qual’io  vi  moftro 
La  frccia  un  tempo  già  lieta,  e tranquilla* 

E qual  di  furiali  afpre  catene  ^ 

Duro  groppo  mi  flìingo , e mi  ritienne* 

Poiché  purgai  mio  ftratio  acerbo  & empio 
Negan  l’aita  voftrai  fati  rei, 

E (Togni  altro  amator  mUero  cflempio. 

Più  non  deggio  goder  quelch’iogodei  : 
Tornate  almeno  a riveder  lo  fcempics  ^ 

Che  fe  crudo  Cinghiai  de* membri  miei* 
Pregovifol,  che  non  vogliate  ancora. 

Che  ni  tormento  m’altravoltaio  mora. 

li;.  S’Atropo  ha  rotto  in  sù’l  rotar  del  fìifi» 

Il  fil  del  norc  mie  ridenti  c liete, 

E a Tombre  de  l’Orco , ov’io  fon  chiufo. 
Dato  m’hà  prigionicr,  deh  non  piangete. 
Polche  de’voftri  ampri  ancolagginfo 
Fia  ch’io  Tempre  mi  gloriiin  rivaiLcchc* 

. Httom  più  viver  non  dee  , cui  canto  lice, 
Etnoj«ndo  pc|.wi,iùoio  felice.  • 

A DiO> 


/ CANTO  DECIMO  OTTAVO,  jlj 

11^.  A Dio,  mi  parto,  ir  mi  convlen  frà  l'almo, 
llcuiplantoapietace  alcru.1  non  piega 
Così  dicendo,  le  tremanti  palme 
Tender  fi  sforza,  e*l  duro  ferro  il  nega , 

Ilduro  fèrro,  chcl’indegne  Calme 
Contropp’aCpro  rigor  le  man  gli  lega. 
AcjuclmotOjaqaelfon  di  ferri  fccfli 
Sciolfcfiil  Conno , c CitUerca  deftom. 

117.  Da  quella  vifion  tremenda  c fiera 
Sbigottitaci  leva , e tuilla  parla. 

Bea  fi  confola  affai,  che  non  fu.  vera,  ^ 
DuolfiCol,  che’el  fvani  le^n'z.a  abbracciarla 
Efcelàdove  la  feftiva  fcKlcra 
StàdiraillemiDiftri  ad  aCpettar», 

E mentre  che  le  fan  folta  corona 
le  Ninfe  Citberec , così  ragio^^^* 


m.  Ca  voto  in  qaefta  a 
ZnJagiar  pU\  non  p olTo,  o fi  o > “■ 
Gaiicuftodiaael  mio  ben  «« 

E mi  richiama  a le  ma^io n n A j- 

Troppo  de  Ibltraiinviam  .1  cor  forpec.,. 

Nonmcl  vada  a forar  per  mi^  «e. 

L’onda  del  mal  dà  la 
Dc’ladromd’Amor  non  m aflecura. 

H,.  Volgo  (nè  molto  j»  =*H““ 

Dicettodanno  il  vrido 

Temo  non  habbia  de  la  ‘ 

De  miei  fecreti  le  nido 

E l’orme  già  nel  più  riposo 
Del  mio  depofito  Leo  verte. 

Cipro  di  tante  ben  non  c cap  » 

E’Fmio  crudo  figUvol  tt-opP° 

r,l.  w » U 


L A M O R T E , 

110.  Le  fere  altrove  con  acuto  ftralc 
Il  bcll’Adone  a faettare  intende. 

Qiii,  laflàj  a me  d’antlveduto  male 
Dardo  vìè  più  pungente  il  petto  offende 
Ei  con  veltri  mordaci  i moftri  affale 
Del  cui  forte  abbaiar  diletto  prende, 
l'^di  più  fieri  can  d’afpro  tormento, 

Che  mi  latrano  al  cor,  morder  mi  fento, 

m.  Ahibenncla  ftagion  fofea,  e tranquilla 
Pofan  le  membra  in  sù  Tagiatc  piumei 
Il  cor  non  già,  chefidiftruggeeftilla, 
Povero  d’altro  Sole , e d’altro  lume, 
Alprimo  fuon  de  la  diurna  fquilla 
Le  palpebre  appannar  talhpr  prefume. 
Quando  le  luci,  che  dormir  mal  ponno, 

Al  pianto  aprir  dovrei,  le  chiude  al  fonno. 

111,  E’I  fonno, il  fonnoancor  pietofo  anch’effo 
De  l’amorofc  mie  penaci  cure, 

Qiialche  raggio  del  ver  mi  raoflra  fpeffo  . 
Tral’ombre  lue  callginofe  e fcurc, 

E dal  mio  ben  vifibilmente  efpreffo 
In fanguinofe, e pallide  figure, 

Con  f die  cito  horror,  che  mifpavenca, 
Smulacri  talhormirapprefenta. 

izj.  Giorno  none,  che  coninfaufte  cole 
Mon  mi  minacci  alcun  prodigio  trillo. 

Deh  quante  volte  l’intrecciate  rofe 
Per  fe  fteffe  cader  dal  crin  ra’hò  vifto/ 

E quante  fcatur ir  dal’amorofe 
Poppe  infiemc  col  latte  il  fangue  mifto? 

La  mano  il  petto  involontaria  offènde, 

£ mal  grado  de  gU  occhi  il  pianto  ìcende. 


CANTO  DE  CI  MOOT  TAVO.  38^ 

•4 

Mìfembra  il  lieto  appi au.£o  urlo  fanello 
Eie  cetre  per  me  non.  fon  canore. 

Non  sò  che  d’infelice  , e di  molefto 
Mifcrame,  miprefagìrce  il  core. 

I Col  Sol,  che  forge,  a dipartir  m’apprefto, 
l toppo  lunghe  tiir  c^ue  le  mie  dimore. 

Prima  al  Gìel,che  m’attende,c  poi  girdeggl# 
A riveder  colui,  che  tempre  veggio. 

II).  Detto  COSÌ,  fpal  ma  il  bel  carro,  c poi 
Per  l’aura  Orientai  la  s ferza  feote, 
El’aurcenubi'de'confini  Eoi 
Rompendo  và  con  le  purpuree  rote. 
Màpurlaffa,  in  andando  naverco’fuol 
Travagliati  p e nficr  tregua  non  potè, 
Etondeggiando  ognor  tra  quelli, e quelli , 

, Vola  aliai  più  con  lor>  die  con  gli  augelli. 

Ufi.  OImè  dunque  il  mio  ben  (diceatrav,^ 

Inlochimal  tecuri  e perigliofi 

Adogn’incontra  di  Fortunaria 
Solo , & a mille  rifehi  in  preda  efpofi? 

Hebbi  core , ò mio  core,  anima  mia. 

Di  lafciarti  tra  moftri  empi  c rabbioliì 
Nemici  di  pietà  moftri  arrabbiati, 

Mà  molto  mendi  me  cirudie  fpictatL 

U7-  E forfè  a punto  allhop  intentalo  m’era 
Ne* giochi  a traftullarmi>  c ne  le  felle. 

Quando  deve!  tu,  gioia  mia  vera. 

Con  la  morte  fcherzar  per  le  forefte. 

Ben  mi  ftaria , c’havcfle  alcuna  Fera 
Tinte  nel  fangue  tuo  runghic  funefte, 

Ben  per  un  fallo  inefcufabil  tanto 

1 Gìuftapcttnnùforii  eterno  pianto, 

( ^ fi  2,  Deh 


j8«  LA  MORTE, 

xi8.  Deh  farà  ver,  ch’ancor  tra  qucfté  braccil 
Stringer  ti  ^offa  un’altra  volta  maij 
Degg’io  piu  ribacciar  la  cara  faccia? 
Rivedrò  de’beeli  occhi  i dolci  rai? 

Begli  occhi , ani  qual  timore  U cor  m'ag- 
Vi  troverò  quai  dianzi  io  vi  lafciai?  (ghiacci 
O fpenta  è forfè  pur  la  luce  voftra , 

Si  come  il  fogno  hdrribilemi  moftra? 

iip.  Sofpefa  ftò  tra  lo  fpavento , el  dole, 

N alla  più  mi  rallegra,  il  tutto  io  temo. 
Sùfufoaugellii  accelerate  il  velo, 

C’homai  la  notte  è sù’l  confine  eftrcmo. 
Fugata  Tombra,  crifchiarato  il  polo. 

Torte  à fpccchiarciin  altre  Sole  andremo. 
In  tal  guil'a  illurtrando  il  mondo  cieco 
Venere  bella  fi  lagnava  feco» 

• f 

150.  Così  dubbia  tra  fe  la  madre  Hircana 
Spertb  hà  dc’propri  danni  il  cor  prclàgo» 
Qualhor  cercando  a i figli  efea  lontana 
Torce  il  part  o da  lor  ramingo  e vago. 
Temendo  pur,  ne  la  fartbfa  tana 
Fiero  non  entri  a divorargli  il  Drago, 

O’pur  furtivo  in  tanto  il  pièjnon  mova 
L'Artuto  Armeno  a faccheggiar  la  cova. 

ijr*  GiàdiCitheraala  magioncelcfte 
Labclla  Dea  d’ Amor  fkcea  ritorno. 

Già  di  refe,  e di  perlcinun  contefte 
S’havea’l  crin  bondo,  c‘l  bianco  feno  adorne 
B mentre  il  chiaro  Dio,  chclpoglia , e vcftc 
D'ombra  la  terra,  cdlfplendorcil  giorno. 
Stracciava  de  la  notte  il  bruno  velo , 

L'ultimc  rtclle  accommiatava  UCido. 

L*Aur 


CANTO  BECIMOOTTAVO. 

Iji.  L’Aurora  intanto,  cl\e  dal  Tuo  balcone 
6U  humidi  lumi  abV3afta  a la  campagna, 
Vcdcanhelante,  c moribondo  Adone, 
Ch’ancor  con  ficvol  gemito  (i  lagna- 
Vide,  che*l  duro  fin  del  bel  garzone 
Ogni  Ninfa  con  lagrime  accompagna, 

B che  tutte  iterando  il  dolce  nome 
Battonfi  a palme,  e fquar  cianfi  le  chiome. 

Diceano.  fmorto  Adone.  Amor  dolente 
Horchc  non  piagni?  Il  bell*  Adone  è morto. 
Empia  fera  c crudcl  col  duro  dente. 

Col  dente  empio  c crudel  l’uccifeatorto. 
Ninfe,  c voi  non  piangete?  Ecco  repente 
Adon  vofir o piacer,  v offro  conforto 
Lafciadel  proprio  fangue  humidi  i fiori. 
Piangete  Gratie,  e voi  piangete  Ameri. 

IH-  Giace  Adone  il  leggiadro.  Adone  il  vanto 
Di  quefte  valli  in  grembo  a l'herba  giace 
Pallidetto,  e vermiglio.  Il  rifo,  il  canto 
Lafciatè  ò Mufe.  Amor  fegni  la  race. 
Piangete  Adone,  Adon  degno  ò di  pianto. 
Sbranato  daCingbial  crudo  ©vorace. 

Adone,  il  noftro  Adone  borpiu  non  vive. 
Piangete  ò fonti,  e lagrimate  o rive. 


135.  Pianga  la  bella  Bea  l’amante  amato, 
Sepur  quaggiù  da  la  fuasftrai  lm,ra. 

Non  più Ubacia nò,  non  piu  1 ufato 

Sguardo  foave  in  lei  P.*“°  , ^ .. 

P?ù  del  moftro  homicida  ha  il  cor  lpietato> 
S?-l  caro  Adon  non  piange,  e noiifofpira, 
Stilli  iu  lagrime  gli  occhi  afflitti  e molli. 
Piangete  ò rei  ve,  e rirpondete  o colli. 

° R 3 Miiero 


jpio  ■ LA.MORTE^ 

136.  Mirerò  Adon , tu  pien  di  morte  il  vHb 
V erfi  ranlma  fuor  languido  e ftanco. 

Porta  piagato  a un  punto  .'e  porta  incllb 
Venere  il  core,  il  bell’Adone  il  fianco. 

11  fianco  (oimè)  del  bell’Adone  uccifo 
Più  del  dente, che’l  morfe,  è bello,  c blande 
Raddoppiate  co’ pianti  alto  1 lamenti. 
Piangete  ò fiumi,  c fofpirate  ò venti, 

137.  Cani  infelici,  il  voftro  Duce  caro 
Freddo  sù  l’herba,  e lacerato  ftallì. 

Piangete  Adone,  e di  latrato auraro 
Empiete  i muti  bofehi,  i cavi  falli. 

Bclchi  un  tempo  felici,  hor  per  avaro 
•eftin  rigido  e rio  dolenti  c laflì, 

<3ià  lieti , c chiari,  hor  dolorofi,  e fofchi> 
Piangete  ò fallì  e rifonate  ò bofehi. 

Cosi  piangean  le  fconfolate,  e fora 
Ufeia  d’alti  lofpir  mifto  il  lamento. 

A sltrifto  fpettacolo  l’Aurora 
Stille  versò  di  rugiadofo  argento> 

Com'ella  per  pietà  volefle  ancora 
Piangendo  accompagnar  Palmi  torincnto-5 
E ftupida  d’un  mal  tanto  improvifo 
Subito  a Citherea  ne  diede  avifò. 

Lafcia  ò Dea  {le  dicea)  deh  lafcia  homal 
Di  rotar  l’orbe  tuo,  che  piùnonfplende* 

Non  vedi  tu  laggiù  (feendi,  che  fai?  ) 

Di  morte,  e di  dolor  fembianxe  horrende  ì 
Cingi  U bel  crin , non  più  di  lofc , e rai. 

D’atri  ciprelfi  e di  funefte  bende. 

Tempo  non  è da  far  perla  via  torta 
(Mentre  il  tuo  Sol  tramonta)  al  Sol  la  feorta. 

Non 


CANTO  DECITvlOOTTAVO.  35I 

140.  Noncosì d’Euro  a.  le  gagliarde  fcoffe 
Tremaitiako  Appenniii  piantanovella, 
Coinearannuncio  Korrlt>ile-  fi  molle 
D’accidente  SI  rio  la  "Dea  più  bella 
Fermò  vinca  dal  duol,  cHe  la  per corte, 
Iiruocoribjil  fuo  cercVxlo,  e la  luaftcUa. 

Stupì,  finorl,  fCi dal  naortal  dolore 
Supprelioil  pianto,  e s’ingorgò  nel  core. 

141-  Màpoich’alira  impetri  olà  il  duolo 
Cede,  e potè  del  petto  il  varco  aprire, 

Parte  volta  a le  ftelle,  e parte  al  iuoIo,j 
Piefe altamente  in  c^xicfli  r gulfa  a dire. 
Horqual(vivo  collii,  ebe  reg^c  Hpolo) 

Hebbe  tanto  poter,  terreno  aulire? 

Regnali  mio  fommo  Padre?  ò pur’Infani 
Signoreggiano  il  elei  gU  empi  Titani? 

141*  Rotte  TorTe  le  rtrpi  hà  d’Inarlme 
CouVaVtera  cervice  il  fier  Xifeo? 

DaVefevo,  il  cui  giogo  ancorropprlmc, 
■Rifollevala  frgynte  Alcioneo? 

Da  le  valli  d*  Abili  o ofcure&ime 
Pulrainato  riroro’c  Kor  Briarqo? 

O’d’Ema  in  Cipro  pur  fi  riconduce 
A rivedere  Hncelado  la  luce? 

l4J-Nongià,  no  mi  produfieinbofco^òinfiume 
Di  Deità  plebea  ruftica  fckiatta. 

Siam  progenie  ancor  noi  di  quel  gran  Nume 
Che  del  bxlmine  eterno  il  foco  tratta, 

ChÌ  Tt\\e  ragion  di  violar  prefunve  ? 
OguUegge  del  Ciel  dunque  è disfatta? 

CVre  ftragi  olmè?  che  ftratii  empi  fon  quelli? 
Chiufton  tanto  furor  Talme  celeftl? 

R 4 Ingiù-  , 


LA  MORTE, 

J44.  Ingluftl (fimo  elei,  di  lumi  indegno^ 
Degno  di  ricettar  fol  ne’tuoi  chioftri 
Simili  apunto  acjuel,  c’hoggiil  fuo  fd^gno 
Nel  mio  bene  ha  sdogato,  infami  moilri* 
Tiranni  iniqui  de  l’Ethcreo  regno, 

Ecco  pur’appagati  i defir  voftri 
O quanto  a torte  a voi  gl’incenfi  accene 
Lo  fclicrnito  mortale,  e i voti  appende, 

r.  ^ 

145.  Già  non  osò  con  voglie  a voi  rubelle  r 

Qtiel  mio,  che  collagiu  morto  fi  piagne. 

Per  alfalir,  per  cfpugnar  le  ftellc 
Fabricar  torrì,ò  l'ol levar  montagne. 

Già  non  tentò  con  quella  mano  imbelle> 

Sol  ferc'^fa  a domar  per  le  campagne, 

Sovra  Phi^mana  ambitione  altero 
D’ufurparvi  Phonor,  torvi  Pimpero. 

14^.  Vanne  ai  templi  di  Scitliia  il  tuo  digiuno 
D’human  (àngue  a (bramar  Giove  rabbiofo. 
Qual  fu  la  colpa?  in  che  t’offèfc  ò Giuno 
Quell’innocente  elTangùe,  e fanguinofoi 
Chiedea  forfè  arrogante , & importuno 
G li  abbracciamenti^ del  tuo  ingordo  Spofb? 
Anxi  humilraente,  c fenza  alcuno  orgoglio 
Vivea  romito  infolitariofcoglio, 

147.  MàchegUvalfeoimè  ?nonpuòceIarfi  . 
Da  maligno  lìvor  fomma  beltate. 

Hor  d’ognl  voftro  ben  fuperbi,  e fcarli 
Trionfando  di  me,  lafló  regnare. 

Poich’ella  ha  ouefti  detti  a Paria  fparfi. 

Per  le  piagge  del  Cìel  frefche  e rofatc 
Portata  da  la  gemina  Colomba 
Vclociffimamcntc  a terra  piomba.  * 

Hccub» 


CANTO  DECIMO  O'X"rAV0:  j5>, 

J48.  Hecubacon  tal  In  Troia  forfè 

N’aadò latrando  inFu.rlata  e Folle, 

Quando  lafciar  la  bella,  figlia  feorfe 
Il  Greco  aitar  del  proprio  tangue  molle,. 
Etalniicrcdo  In  babilonia  corCe' 

LaDonna,  che  regnar  j>er  Fraudo  volle, 

Con  una  treccia  fciolca  , e l’altra  avinta. 

Con  una  poppa  avolca  , e l’altra  feinta. 

14^.  Dabngc  udì  del  Giovane  mcfcliino,  | 
EdeleNinfc  laplecofa  voce, 

Ecoltimpii  preciprtoto  c chino 
Gliaugei  corficrl  aceclerò  veloce. 

Magnando  a limi rar  vien  da  vicino 
L’o{)rafpietata  del  ClngUial  feroce. 

Colali  lancia,  Sc  incompoftae  fcalza 
Da  l’aureo  carro  in  sù  larivalbalza, 

J;o.  Salta  da  l’aria,  e vede  apcrcamentc 
Adoncadnro  cernaine  condoctoi 
Vededa  la  lunata  arma  pungente  , 

11  vagp fianco  fulminato  e rotto, 

D’ibel collo  sù  gli  homeri  cadente, 

E la  bocca,  che  languè,  e non  fàniotto, 
E’nveggcndo  ferrar  luci  sì  vaghe 
Sente  aprir  fi  nel  cor  p r ofonde  piaghe. 

||i.  De  begli  occhi  fcrem  il  puro  raggio 
folto  nembo  d.i  lagrime  coverfe. 
p gual’ontaa  le  guanc<e,  o <|ual’oltraggIo 
Fece  aie  cbiotneinnanellatce  terfe: 

StraccioWc  , c del  bel  vifo  il  vivo  Maggio 
Di  vivo  Cangne,  & immorc^^lperfe, 

Etai  caldi  fi>ftir  le  nt^iudo  il  freno 

Coa  il  feno. 


Toft» 


Jjx.  Tofto  fi  gitta  in  sù’l  bel  corpo,  e coinè 
Forfennata,  e baccante  ,il  grido  fciogUc  , 

Gli  difiacciala velie, il chiaaiaanome^ 

Gli  ricerca  la  piaga,  e’n  braccio  il  toglie.^ 
Con  gli  occhi  lava,  e con  le  man  raccoglie 
E da  coftato  i tepidi  rubini 
Terge  con  l’or  de’diflipati  criai. 

ir  La  bella  man , ch’abbandonata  e (lanca. 
Rado  il  Tuoi  con  le  dita,  e i nodi  allenta. 
Dentro  la  neve  tepidetta  e bianca 
De  l’una  e l’altra  l'uà  ftringe,  e fomenta, 

E’n  lei  quel  moto,  e quelcalor  che  manca» 
Di  fvegliar,  d’aiutar  s’ingegna  e tpita. 

Sii  lo  Imorto  garzon  s’inckinae  piega,. 

Lo  {cote,  il  preme,  e di  parole  il  prega^ 


ij4.  L’un  con  muto  parlar  pietà  chiedea 
Profondillìmamente  fofpirando. 

L’altra  con  gli  occhi  pur  gli  rifpondea 
Amarilfimamente  lagrimando. 

Cime,  che  veggio?  è quello  Adon  ì {dicca^ 
Chi  ti  feri?  come  t’avenne?  e quando? 
ChifùNcttarc  mio?  chi  f6.il  crudele» 
Che  le  dolcezze  tue  fparfe di  fiele? 


Qual  crudo  mollro,6imè?qual  mano  ardii» 
Tanta  licenza  a danni  mici  fi  prefei 
Come  ogni  atjprczza  fua,  dolce  mia  vita, 
ilTtc  non  raddolcìfatta  cortefe  ? 

Ahi  che  ferij^uo  petti  una  ferita, 

Ne  la  tua  mbfte  la  mia  vita  ofFelè. 

Quel  tuo  saguc  è mio  fangue,  c quel  torme- 
Ch’affiigeil  corpo  a tó;ac*l!j»lina  io  Tento.  { to 


CANTO  DECIMOO  TTAVO.  35, 

156.  Nontidifs’io  : Oi  (cgu-lcar-dch  laflTa 
Per ’mKoCpicc balie  orme  Ferine? 

Ch’àguila  dibalen,  cHc  vola  e pafTa, 

Correrai  tofto  ad  linm.atu.ro  fine. 

Staro  pur  fufleU  mio  prel'aglo  (ahilaiTa) 
Bugiardo  in  augurar  tante  ruine, 

Ch’elfangue  il  tuo  bel  volto  hor  non  vedrei, 
Miferabile oggetto  agli  occhi  miei. 

157.  O troppo  de  le  fere  afpro  fegiiace, 

E^iconfigli  mìei  credulo  poco. 

Qùant’era  il  meglio  tuo  ftarrenein  pace 
Nc’inlei  giardini,  ov*è  perpetuo  gioco  ? 

Hor’il  trofeo  de  la  rua  caccia  audace] 

Pia  la  perdita  Col  del  mio  bel  foco.  . 
Sventurata  beltà,  come  in  un  punto 
Del  tuo  corfo  vitale  xl  fine  c giunto. 

j;8.  Dunque  andran  quelle  lucliniiaraorate 
Nelfen  di  morte  a furdcar  gli  amori? 

Quelle  man  bianche  , e quelle  ckiome  aurate 
Ad  imbiancare,  ad  indorargli  horrori? 
Quelle  labra  fiorite,  &:  odorate  ^ 

Dentro  le  toinbc  3.  ^ fiori? 

Dunque 'andrà  lo  fplendor  di  quel  bel  vifo 
A portar  ne  gli  Abiffi  fi  Paradiib.? 

fS9-  O miei  veri  rofpctti,troppo  veri 
Sogni  temuti,  hor  ben’il  dubbio  intendo  , " 

Hor  de’pr  pdigi  fpavenrofì  e fieri 
Il  gran  mlflero,  eia  ragion  comprendo. 

Ecco  come  indovini  i miei  pcnlieri 
V etacl  fìir  de  l’accidente  borrendo. 

Ciò  che  previfto  ffi  ciò  che  predetto 
©a  McrcurÌQj  c bapur effetto. 

^ Deh 


11  A M-O  R X 1£j 

Uo.  Deh  qual  furia  mi  trafl’eJ  e qual’errorc 

Mi  fece  ogni  dcvcr  porre  in  oblio. 

Qu  andò  per  vana  ambition  d’ honorc 
Solo  qui  ti  lalciai  nel  partir  mio? 

Quefta  fu  la  mia  féì'quefto  l’amore  ? 

Di  te  dunque,  e di  me  tal  cura  hebb  io? 

Non  s’incolpi  del  danno  iniqua  Sortc> 

Frutto  del  mio  fallire  e la  tua  morte. 

liì.  Adone, Adone,  ò bell’ Adon, tu  giacl> 

Nè  fenti  i miei  fofpir,  nè  miri  il  pianto». 

O bell’Adone,  ò caro  Adon,  turaci, 

Nc  rilpondi  a colei,  ch’amafti  tanto, 

Lafciami  lafcia  imporporare  ibaci 
Anima  cara,  in  quello  fangue  alquanto^ 
Arreda  il  volo,  afpetta  tanto  almeno, 

Che’l  mio  fpirto  ìmmortal  ti  mora  in  fcao* 

Accoda  accoda  al  contrafàtto  volta 
MiferaDea,  la  faccia,  e gemi , c plora, 

E s’alcun  peregrinfpirito  accolto 

Tra  quell'aride  labra  ancor  dimora. 

S’alcun  tepido  bacio  a Morte  tolto 
Ne  la  bocca  gentil  palpita  ancora. 

Coglilo,  e finche’ n pianto  il  cor  lì  dempre^ 
L’imagindcl  tuobenbacia  perfemprc. 

U}.  Con  femirotti,  e finghiozzati  accenti 
La  Dea  del  terzo  del  cosili  dole. 

Ma  tanto  il  duol  s’avanza  infra  i lamenti,. 
Che  le  legala  lingua,  eie  parole. 

Alza  la  fronte,  e i pigri  occhi  dolenti 
Già  vicino  a l’Occafo,il  luobel  Sole. 

Mà  vacilla  lo  fguardo,  c fparge  infiemc 
L’alma  dal  petto,  c quede  voci  eftreroe. 

là.  fogZA 


CA^TO  DECIMOOTT  AVO.  5^7 

1É4-  Pà forza  al  duolo^  ò mìa.  fedele,  eftendij 
la  mano  alquanto  a la  mia  n'ian  (^ledice) 
Prendi cjaeft’a reo  infor curvato,  c prendi 
Quella  Creerà  mìa  poco  felice. 

Poi  l’uno  , e r altra  al  facro  te  mpìo  spendi 
De  la  Dea  bofcliereccla,  c cacciatrice, 
Fàclieteftin  per  Tempre  ivi  fdfpefi  , 

Con  l’arml  ixx&ude  1 ma  1 veftiti  araefi. 

i6j.  Eccomi  al  paflTo,  ove  corwìen  purch'io 
Scenda  la^g^lù  tra  gli  amor  od  Spirti, 
Doppiando  a Stige  ardor  con  l ardor  mio ^ 
CrcUendo  ombra  con  l^omlsra  ai  verdi  milU 
Mà  ciò  V>en  mi  fi,  dee,  clic  fui 
(Eperdon  tene  chegaio  1 ab  ubbidirti. 

Arma  tu  di  coftanxarl  petto  franco 
Meglio  ch’io  non  armai  di  ftraliil  fianco 

166.  lo  polche  da  le  ftelle  è già  preferìtto 
Irretrattabilmente,  e da  gUDei , 

Che  da  crudo  animai  deggip trafitto 

Hoggi  morir  sù*l  *^^^**’ 

Cedo  al  deftin,  nè  in  tale  fiato  afflitto 
■più  (;fe  pot  efll  ancor  1- vi  ver  vorrei. 

E qual  mai  più:  vivendo  havrci  contorte^ 
Se’lmio  caro  Saetta  a piè  m’èmorto? 

i<7-  Mà  pria  che  all  occhi  addolorati  ernem 
Chiuda  a quel  > che  n forte  punto  lovidi^ 
Vòche  l’tatimo  dono  almcntirefti. 

Gli  altri  Cani  ti  lafcio  amati  e fidi. 

Altro  hor  non  hò,  che  quelli  crinVc  quelli 
Prcgoti>  accerta,  e di  tua  man  recidi, 

E ferbagli  per  lui,  che’l  cor  ti  diede, 


ie 


LA  mort;e,‘ 

1^8.  Tu,  fe  vivrà  l’amor  dòpo  la  vita, 

Cura,  che  le  mie  fpoglie  altri  non  tocchi, 

E che  vii  mano  in  alcun  tempo  ardita 
Arco  de’miei  non  tenda,  ò ftral  non  fcocchl. 
Qui  gli  manca  la  voce  indebolita, 

E di  grave  caligine  i begli  occhi 
Opprime  sì  ch’aprir  più  non  fi  ponno^ 

De  la  notte  Fatai rultimofonno. 

Sù’ibel  ferito  la  pietoCà  amante 
Altrui  compiange  e sè  mcdelma  ftruggey 
Efparge  (laflià  lei)  lagrime  tante, 

E con  tanti  fofpir  l’abbraccia,  e fugge. 

Che  par  già  d’hor’in  hor  l’alma  anhelancc 
V oglìa  fuggir , dove  l’altr’alma  fugge. 

In  cotal  guifa  al’irnplacabilpena 
Mentre  cerca  allegiarla,  accrefee  lena* 

17  o.  Furvifte  arboreggiar  l’heibe  minute 
Intorno  a quel  cadavere  gentile. 

Perche  volfe  di  lor  cosi  crefeiute  ^ 
Fargli  la  bara  ambitiofo  Aprile. 

Fama  è , che  l’afpre  querce,  e Pelei  hirfiite 
Incurvato  le  braccia  in  atto  hurailc, 

Dov’ei  fpirava  ancor  t rà  i funerali. 

Spirti  amorofì  almen,  fe  non  vitulu 

*71.  I Cani  iftelh  di  pletate  accefi 
(Raro  eflempio  di  le  doppo  la  morte} 
Preflbil  caro  Signore  a terra  ftefi 
Con  un  flebil  latrar  fi  doglion  forte; 

E d’ogni  atto  amorevole  cortefi 
Ne’cafi  ancor  de  la  finlftra Porte  > 

Emuli  in  ciò  di  Venere  in&lice , 

,Yan  lambendo  a baciarla  cicacrictf  . 

_ 


CANTO  DECIMOOXTAVO. 

yji.  Ma  ceda  Ogni  altro  duolo  a quella  doglia^ 
Ch’ala  bella  Ciprigna  il  petto  punge. 

Ellaa  gli  occhi  d’Adon,  pur  come  voglia 
Compartir  lor  la  luce  ì Cuoi  congiunge. 
El’infcnfata,efetnlviva  fpoglia 
Delbalfamo  d’AmorccmdUcc&  unge , 

B col  volto  di  lui  fi.  ftrlrrge  tanto. 

Che  non  da  loco  a lo  lgm  gar  del  pianto. 

J7J.  Sù  la  guancia  di  fior,  di  fiamme  priva. 

Tepida  vena,  e lagrlmola  verfa, 
E’lcolor,e’lcalor  delia,  e raviva, 
Ch’involando  ne  va  M.orte  perverfa. 

Nonfai  dirs’egU  eftlnto  ò s’ella  è viva,  ’ 
Slpocohumanotrà  lor  forma  diverfa. 

Nè  difecrner  fi  può  qual  viva  e fpiri,. 

Senon  Colo  ne’ pianti,  ne’fofpirìi 

*74.  Chi  vide  mal  di  nube  in  {peffe  ftillè. 

La  pioggia,  che  col  lampo  a un  tempo  cadey 
Tal  temprata  d’humori,  e di  faville 
Imagini  tra  fe  quella  beltade, 

E mentr’apria  tra  mille  fiamme  e mille 
Rufcellettidi  perle,  e di  rugiade , 

Li  atti  melfi>  e gravi  fi  dolca. 

Q«ìA  deve  amante,  e qual  convicnfi  a Dea?. 

*75.  L’humide  luci  in  prima  al  Cicl  rivolfe,. 
Pofcia  atcrrachlnolle,  e’nlui  raffiffe. 

Lo  fplrto  tutto  in  un  tofpiro  accolfe, 

E folplrò,  perche  lo  fpirto  ufcifle, 

Al  fin  la  lingua  dolorofa  fciollc 
In  dolci  note  amaramente , e difle; 

Mlfera,  ma  in  sì  largo  il  pianto  abonda,' 

Che  fiìiniUerge  U voce  in  mezoa  l’onda. 
t : ' Mifera 


ìtionTl'Td 


400  L A M O R;,TE,' 

ic6.  Mlfera  (indi  ripiglia^  & è pur  vero. 

Che  fi  giri  lafsù  ftclla  sì  cruda? 

Hor  godi  invido  Sol,  vattene  altero, 
Che’lbeircmulotuo  le  luci  chiuda. 

Poco  era  in  braccio  al  Getico  Guerriero 
Havermi  a tutto  il  Ciel  moftrata  ignuda, 
S’cn  firana  ecclifle,  e’n  fiero  afpetto  c duro 
Noa  vimoftravi  il  mio  bel  Soie  olcurò. 

J77*  Sei  tu  (dimmelo  Adon),  Tldol  mio  care  ì 
Tant’ofaj  e tanto  può  Morte  fuperbaì 
Dov’è  de  le  ftelle  il  lume  chiaro? 

A che  fiera  tragedia  il  del  mi  ferba  ? 

O già  sì  dolce,  hor  dolcemente  amaro, 
Com*ogni  mia  dolcezza  hai  fatta  acerba  ^ 
Ben’a  Mitra  fei  tu  fimile  in  tutto, 

Nato  d’amara  pianta  amaro  frutto. 

178.  ^ Io  per  me  ^urerei,che  per  difpetto 
Là  nel  foco  di  Stige,  e di  Gocito 
Quell’arco  tuo  malnato^  maledetto 
T emprato  fu  dal  miocrudel  marito , 

E quel  Cinghiai,  che  t’hà  Squarciato  il  pecco 
•Di  Cipro  no,  ma  l’Inferno  ufeito. 

Tutta  entro  a sè  di  Cerbero  la  rabbia, 

E 1 furor  de  le  Furie  io  credo  c’habbia* 

J75>-  Ma  volfc  forfe  la  malvagia  pera  . - 

•Dc’tuoi  chiud  penficr  cpnftanti  e fidis. 

E de  la  fiamma  tua' pura  e (incera 
Cuxiofa  fpiar  gl’interni  nidi. 

Ah  che  farmi  vedere  huopo  non  era 
(Che  eh  a’'o  ognor  ne’tuoi  begli  occhi  il  vidi) 
Per  mofirarnvi  il  tuo  ampr  fccuro  c certo 
$TÌfi;ciatQj^  bel  ij;€0(eapeico» 


CANTO  PBCIMO  OTTAVO.  4<« 

iJo.  Di  non  poter  cangiar  fol  mi  <qucrclo 
ColClcU’AbiffojCn’hò  cordoglio,  &ira. 
Màcomevefto  incorro tiìV>ll  velo, 

Scl’alraa  mia  per  la  tua  biocca  fpira? 
Sclafeliciià,  cVio  godo  in  Cielo, 

Pcndedal  moto,  ch*i  tuoi  lumi  ^ra, 

Eia  mia  Deità  te  Colo  ador^ 

Com’effer può,  ch’io  viva,  e chetumora2 

Ih  0 Morte,  ò dcVluferno  Arpia  rapace, 
Come  Tempre  per  ufo  il  meglio  furi. 

Qualunc^u’ altro ladron  rubando  tace, 

E celai  furti  Cuoi  ne  gli  antri  ofeurL 
Tu  di  tue  prede  alteramente  audace 
Ti  glorile  di  nafconderle  non  curi, 

Anii  ne  fai  con  mill’applaufi,  e mille 
Cantar’hinni,  arder  lumi,  e fonar  fquUIc. 

i8i.  Laflk,  th’iobcn  vorrei  D%lta  rapina 
Torre  aliar  tiglio  tuo  fozzo  & infame, 

E racqaijlarquefta  b^tà  divina, 

Troppo bell’efca  a si  voraci  brame* 

Ma  legge  irrevocabile  detti  na. 

Che  non  s’annodi  mai  fpezxato  ftame, 

É voto'il  fiifo,  c la  conocchia  fcaica, 

11  filo  venir  men  veggio  a la  Parca. 

i85.Gran  Padre  bar  tà,che  sù’l  gran  trono 
Hai  de  le  cofe  unìvcrfal  governo, 

Pofeia  c’hai  tanto  ben  da  me  divifo. 

Rompi  le  leggi  del deftin fuperno. 

L’invida  man,  c’hà  quel  bel  fil  recìfo. 

Perche  Tactorce  a la  mia  via  eterno? 

Perche  perdura  & immutabil  forte 
Mortala!  Hmmorcal  non  può  laMortcr 

O per- 


L A M O H t Ey  ' 

184-  O perche  di  forbir  non  m’è  ccyitimcfTo 
In  cima  un  bacio,  ò in  un  fofpiro  accolta 
Una  morte  medefma  entro  l’ifteffo 
Labro  , ove  l’alma  mia  vive  fepolta  ? 
Impotente  dolor,  poiché  per  elio 
Non  può  dal  virai  nodo  cUer  dìfciolra. 

Ahi  che  troppo  contraria  al  bel  delire 
Quella  immortalità  mi  fa  morire. 

3Ì5.  Con  quel  poco  di  fpirto,  che  gli  rella. 

Di  Ciprigna  i lamenti  Adone  udia. 

Nè  potend’altro,  inflebil  vocecmella] 

Dir  le  volea,  Mia  vita,  Anima  mia. 

Ma  fprigionata  l’anima  con  quella 
Parola  aperfe  l’ali,  e volo  via? 

E da  la  bocca  eflangue  c fcolorka 
In  vece  di  Mia  vita,  ufd  la  vita. 

ìB6.  Ufcl  fdegnol^  c quah  fvelta  a fórra 
De  la  cara  magion  poco  habitata, 

Lafclando  pur  mal  volentier  lafcorza 
L’alma  di  sì  bei  corpo  innamorata. 

Mentre  de’chiari  lumi  il  foco  ammorza, 
Impietofifce  ancor  Morte  fpietata  5 
E fentendo  fcaldarfi  il  cor  di  ghiaccio. 

Per  volerlo  baciar,  Io  ìlringe  in  braccio* 

187.  Yolfe  le  labra  allhorla  belfh  Diva 
Con  labra  compor  pallide,  e fmorte. 

Per  impedir’a  l’alma  fuggitiva 
Forfè  l’ufcita,  chiuderle  le  porte. 

E per  raccor  qualche  reliquia  viva 
Del  dolce,  che  furando  iva  la  Morte. 

Mifera,  ma  trovò  fecchi,  c gelati 
Ne  gli  anheliti  eftremii  baci,  c i fiati. 

Lafci^n' 


tANTO  DECIMOOTTAVO. 

i88.  Lafcìandofi  cader  fra  cento  e cento 
Ninfe,  che’n  mefto  elagrimofo  choro 
Facean  co’gridi  un  tragico  lamento, 

E con  le  palme  un  Are  pi  co  fonoro. 

Da  begli  occhi  fpargea  fila  d’argento, 
Eda’iaccri  crini  anella  d’oro  > 

Nè  per  altra  beltà  fu  glamai  tanto 
Bello  il  dolore,  e pretiofo  il  pianto. 

i8^.  Mille  piccioli  Amori  a trecce  a trecce 
Qiiafi  di  vaghe  peccKie  induftri  eflami, 
Segnando  ne  le  ruftiche.  cortecce 
i’mfortunio  crudel,  gcmontra’rarah 
E faretrati,  e con  fpuntate  frecce, 

Rottele  reti  d’or,  fcioltii  legami, 

Gittate  a terra  fiaccole,  e focili , 

Fanno  ale  trifte  eflc<iule  oflev.piihumUi, 

yo., Chi  de  le  belle  lagrime  di  lei 
aprezza  le  penne,  e cbi  le  labraalpergc. 

Chi  nél’humor  di  quc’begli  occhi  rei 
Tempra  gli  ftrall,  e chi  gli  arrota  e tergcw 
Chi  difdcgnando  honaai  palme,e  trofei 
Da  facella  immortai  dentro  v’immerge*. 

Chi  mcntr’ella  il  bel  crin  fi  fvelle  e frange^ 
Tutto  fermo  in  sù  Tali,  afcolta,  c piange. 

»?i.  Altri  da  terra  le  Tpezzatc  ciocche 
Coglie  de* fottili fiimi  capelli. 

Altri  h’avolge  le  dorate  cocche. 

Altri  ricco  cordon  tede  di  quelli. 

Vanno  a baciar  le  languidette  bocche 
Hor  di  quefta,  hor  di  quel  molti  fratelli.  , 
Ufficiou  ancor  molti,  ^e  dolenti 
Volano  intorno  a varie  cure  intenti. 


LA  MORTE, 


1^1.  Qual  sà  la  guancia  di  fquallor  dipinta 
Scilla  d*acque  odorate  un  largo  fiume. 

Qual  sù  i begli  occhi,  la  cui  luce  tinca 
D’ombra  mortai,  mendica  è già  di  lume. 

Per  fufcitar  qualche  favilla  eltinta 
O di  vita  ò d’ Amor,  batte  le  piume 
Altri  mentr’egU  muore,  & ella  langue, 
Afciuga  a runa  il  pianto,  a Talcro  il  {angue. 

ipj.Con  gli  Amori  piangean  le  Gracic  anch*elle 
Quando  rivolto  in  lor  l’afHitto  ciglio, 

V enere  a sè  chiamando  una  di  quelle. 

Ratto  mandolla  a ricercar  del  figlio. 

Piega  il  ginocchio  Agiaia , e da  le  belle 
Compagne  di  partir  prende  configlio, 

Mà  dubbiofa,  e {bfpefa  il  paflb  move. 

Che  trovarlo  vorria,  nè  se  ben  dove* 

j^4.  Mira,  e rimira  il  Cicl,  la  terra  c’I  marei«^^ 
Poiché  per  tutto  Amor  l’ali  diftende. 

Se  del  fiero  fanciul  veftigio  appare, 

Mà  del  loco,  ove  fia,  nulla  comprende. 

Alhor  da  terra  inver  l'cccelfe  c chiare 
Regio  de  l’Qlimpo  in  alto  afcendc, 

E’I  trova  alfin  colà,  sovra  1 fupcrni 
Poggi  celcfti  infra  i begli  horti  eterni. 

1^5.  Stavafi  Amor  de  Io  {Iellato  mondo 
Sotto  un  mirto  fiorito  entro  igiar  dim, 

£ duo  d’a^etto  amabile  e giocondo 
Coetanei  fanciull  havea  vicini. 

L’ un , che  fu  de  le  nozze  amor  fecondo. 

Di  verde  perla  attorco  1 biondi  crini. 

D’aureo  focco  calzato , craHimenco, 

%Uo  d’Urania,  c di  Lieo, 


CANTO  DE CMOOTT  AVO.  4oj| 

L’al  era  quei,  ch‘al  Regna  cor  Covrano 
Porge  il  licer  divino  in  cavo  trnalco. 
Paceantrèsè  coftoro  un  gioco  cftrnio, 

E moveancon  le  dita  u«  ftrano  afl'alco. 

Morie  palme  ftringea no,  hor  de  Umano 
Gittavan  parte,  e fofteneano  in  alto, 

^quinci,  cquindii  numeri  per  fcherzo 
Ea  Sòrte  a un  tempo  eflcr  citava  in  terzo. 


157*  Era  de  la  conte  fa  arbitro  eletto 
Comò,  Dio  de'conviti,c  de  le  fede, 

Como  inventor  del  ri£b»  e del  diletto. 

Piacer d'ogni  mortai,  d’ogni  celeftc- 
Ets’eran  vari  premi  al  Tuo  cofpetto 
Propofti  già  da  quelle  parti,  c quelle. 

Recata  havea  di  roCe  H.na  corona 
Ir'habitator  di  Pindo»  c d’HcUcona. 

Di  nettare  purpureo  una  capace 
EU  pegno,  cn  aflegnato  hà  Ganimede. 

Amor,  ch*è  nudo,  e fuor  che  ftrali,  c faceìr 
Cofanon  hàxxia  vìve  Col  di  prede, 

Prefo  a la  rete  Tua  dura  c tenace 
Promette  al  vlncitor  c mercede 

Indico augcl, ebe  di  Cmcraldo,cd  oftro 
Hà  fregUta  la  piuma,  c tinto  11  roftro. 

E già  vittorie  tu',  alfinrimafo  ; '‘i 

Pacca  di  gridi  rifonar  le  slcrc, 

E*nCupcn>ìto  di  si  liceo  calo , 

Per  tutte  dibattea  l’ali  leggiere, 
IndipoftofiaboccaUdolce  vaio 
Tutto  votoUo , già  fornìà  di  bere, 

Quando  a lui  s'acccjftò  dogliofa,  c betta 
DiC^tllercaUmcff^^t^le^».a^GeU^^. 

Come 


±00.  Come  le  fu  ne  l’ambafciata  importo. 

In  difparte  il  tirò  da  l’altra  gente. 

Nè  gli  hebbe  a pieno  il  fier  lucceflb  efpofto. 
Ch’ogni  fua  gioia  intorbidò  repente. 

Vienne  (non  più  tardar)  vientenc  tojrto 
A confortar  la  mifera  dolente , 

Dico  la  madre  tua,  c’huopo  ha  d’aiuto, 

O d’ogni  forza  efpugnator  temuto. 

toi.  llfindiqueftodirnonbenfoftennc 
L’impatlente,  e curiofo  Arderò. 

A pena  incomi  iciò,  che  la  prevenne 
Senza  intender  diftinto  il  fatto  intero. 

Et  O (qualTando  per  furor  le  penne^ 

O là,  chi  fu?  non  mi  negare  il  vero, 

Chi  fù  (proruppe)  ardito?  ò chimaifia 
D’addolorar  la  genitrice  mia  ? 

tot.  Contro  il  Ciel,  contro  il  mondo,  e contro 
Armargluro  la  deftra,e  mover  guerra.  [Giove 
divertito  il  farò  di  piume  nove 
Novi  amori  a furar  fcenderc  in  terra, 

Fatollo  ancor  ( fé  punto  ira  mi  move) 

Con  quella  man,  che’l  folgore  diflerra. 

Dagli  ftimuli  miei  punto  & ofFefo 
Gir  folcando  l’Egeo  fott’altro  pefo. 

40  j.  Se  fia  Saturno  del  Tuo  duol  cagione,  ' ‘ 
Vecchio  maligno,  e neghìttofo,  e tardo. 
L’udrai  nitrir frà  i regii  armenti  ,e  fprone 
Al  fianco  gli  farà  queft’aurco  dardo. 
ScdìCilleneil  volatorladronc 
Vela  d'amara  nebbia  il  dolce  fguardo, 

Ecco  in  Athene  hor’hor  tei’ do  ferito, 
NàTaittgli  viuxàde  laCuaPitho.  » 


CANTO  DECIMOOTTAVO.  497 

»04;  Se  daPallade  nafce  il  fuo  cordoglio, 
lacoaVuIcanricopulata  inftemc, 

voglio, 

moftruoro  teme, 
ferrato  il  vano  orgoglio, 
pi  ò Phoijor  per  me  fi  teme, 

c>  ^ cinto  di  diarpro,  e marmo, 

^*a,ch’afcnno  mio  {pedo  il  difarmo. 


canto  danno, 

^diario  induri  nodi  avinco, 

T f^^^^SelIi,  e sferze  Tue  faranno 
de  l’Alloro,  e del  Giacinto, 
jirder  sforzerò  con  pari  affanno 
^ reddo  cerchio  fao  la  DeadiCInto. 
^“ggeràilcor  (fe’I  mio  Furorfi  della) 
^naene  a quello,  Endimionc  a quella. 


°Qoj^^'^^*‘>ch’lfuo  piacer  turbi,  e’I  fuo  gioco 
^ che  di  duo  ventri  al  mondo  nacque* 

2 Ove  ogni  valor  gl  i varrà  poco, 

*iovi  ardori  il  condurrò  per  Tacque. 

P cède  al  mio  Tifteflbfoco, 

‘'de  a madre  fulminata  giacque, 
^^glicolfuo  vino  agita  altrui , > 

®poirocolmio  {frale  agitar  lui».  j 


Scminlftro.raràdi  queftopianto 
l’ondofo  O cean  T hii  mldo  padre, 
C’quel.ch’vn  tempo  Amore  ab horrl  tanto 
Rigido  Réde  le  Tartaree  fquadre, 

'scatenati , c fupUci  mi  vanto 
Di  trargli  a’pic  de  la  mia  bella  madre 
^ermoltrar  quanto  folle  è chi.non  crede, . 
,.€h’a  la  forza  d’ Amor  c ogoi  aitra  cede. 

Cosi 


L A M O R T E. 


to8.  Cosi did'e,  e col  fin  di  detti  tali  ' 

A la  voce  sfrenata  il  fren  raccollci  ^ 

Poi  più  veloce  affai,  ch’un  de’fuoi  ftralib  ^ 
L’impeto  ruinofo  Ingiù  rivolfe,  ^ 

Ecofgeminofibilodel’ali,  f- 

C he  con  rapide  fcoffe  a volo  fciolfe,  ^ 

Lei  precorrendo,  che  tra  via  rimafc,  ^ 

Sdracctolò  ratto  a le  materne  cafe.  ^ 

X09.  Come  adufto  vapor,  fpa'rito  il  Sole,  1 

Che  coniraggio  poUente  in  alto  il  traile,  i 

Di  lunga  srcrza,  c lurainofa  fuolc  i 

Rigar  le  l’aria  le  contrade  balle:  : 

Cosi  di  Citberea  l’altera  prole  3 

Parve  foco,  cfplcndor.fecopartaffc  ' ì 

Quando  in  terra  veloce  a calar  venite  ' ^ 

T atto  ferrato  ne  le  tefe  penne»  i 


ifo.  Chi  può  l*iran«rar,  narrarli  duolo' 
Del  fuperbogarzon,  quand’eglihà  feorto 
Fofeia  chc’n  Cipro  ha  terminato  il  volo  > 
De'duo  l’una  malvivaie  l’altro  morto* 
D'Adon  compagno,  a Venere  figUvolo* 
Lui  fenza  vita,  c lei  fenza  confòrto, 

O come  in  preda  a i defperati  affanni  • 

Si  fquarcia  il  velo,  e fi  Ipennaccbia  i vanni*. 


aii«  QuaraugelUnche'l  dolce  ufato  nido 
Dove  i figli  lafciò,  voto  ritrova. 

Gli  vola  Intorno,  e con  pietofo  tfrido 
Affordandola  valle , il  duolrinovai 
Tal  dagli  occhi  d*Adon , sù  l’albergo  fido» 
Non  sapartirfi,e  nulla  più  gli  giova, 
Piagne  i perduti  f^ardi.  p'n  tutto  cieco 
lanonefferDio  per  morir  lèco. 


Mi 


CANTO  DECIMOO  TTaVO.  40^ 

tu.  Ma  per  non  raddoppiar  l’accrbcpcnc 
Di  colei, che  gli  diede  cll'erc,  e vita. 

L’alto  dolor  diilìmu  la,  c.  ritiene 
Ale  correnti  lagrime  l*uCcita. 

Indi  per  confolar  a leifen  viene. 

Che trahendo dal  cor  vena  infinita, 
Parchepergli  occhi  fuor  voglia  in  tat’ac(|tic 
Verfar  tutto  c^uelmare,  ond'ella  nacque  , 

ir;.  Ella  acuì  per  morir  con  lui  , che  more, 
I^elkr  nata  immortai  molto  rincrcblsc. 

Di  sUerventeSe  efficace  amore 
Eternar  lamemorla  almcn  vorrebbe  , 

E con l’afpra memoria  anco  il  dolore, 

Che  dopo  morte  a gran  ragion  gli  debbo. 
Qnindi  ognor  repecendo  il  caro  nome 
Pace  non  vuol  con  Vinnoccnci  chiome*. 

114.  'Mcacreintorno  cadean  le  chiome  fparte,. 
Meraviglia  gentil  nacque  di  loro. 
Ch’abbarbicate  in  quefta  c’nquella  parte 
Trasformaroin  fmeraldo  il  lucid’oro, 

PreCct  radice,  e con  mtrabU'arte 
L’herba  arriebir  d'un  fignoril  theforo  ; 

E'i  nome  de  la  Dea  lacere,  e tronche 
Serbano  ancor  per  l hunùdc  fpelonche. 

IV  Volca  fuggir’ Amor,  tanta  piotate 
— Va  rt^ofee  materne  al  eoe  gli  venne, 

Ma  de'u.  lagrimettc  innar  ^ntate 
La  .béàb  pioggia  gU  Cpvuazò  le  penuoi 
N è potendo  t ratear  Vali  bagnaec, 
il  volo  a forza  entro’l  bel  Ceurhcnnc, 

X tentò  con  doUUCmi  argomenti, 

ID'acquetar  quelle  doglie,  cque’lamcnti 
m II*  s Tutt% 


419 


LA  morte; 

zi6.  Tutto  pien  di  fc  fteffo  egli  s'apprefTay 
E fparfod’amariffima  dolcezza 
ha  ftringe,  e bacia,  e con  la  benda  ideda 
La  rafeiuga  i begli  occhi,  e l'accarezza. 

Madre  (dicea)  di  confuniar  deh  ceda 
Con  l’altrui  vra  in  un  la  tua  bellezza. 

La  povertà  de  gli  antri  ofeuri  e vili 
Indegna  è di  veftire  aurei  menili. 

217^  Perdona  a l’aurec  trecce,  c ponihomal 
A sì  lungo  languir  mifura,  e frenoi  * 

Nè  più  turbar,  c’han  lagrimato  adai> 

De’duo  Soli  amorofi  il  bel  fereno. 

^ Che  fé  di  Dea  celcfte  opera  fai 

Viva  il  bel  foco  tuo  fembrando  in  Ceno  , 

Il  pianger  tanto  un  ben  caduco  e frale 
Ti  vien  quali  a moftrar  Donna  mortale. 

ti8.  In  trono  mio  dentro  i tuoi  lumi  belli 
Stadi  e’I  foco,  e Io  flral  che  mi  donalti. 

Non  foggiogo  con  altro  i cor  rubelli. 

Qui  fortdato  è il  mio  regno  , c tanto  baiti. 
Non  pianger  più , che  non  fon’occhi  q^uelLi 
Degni  d’eìter  dal  pianto  ofFeli  c guaiti 
Si  fiHla  inquell’humor  Tanima  mia. 

Ch’altri  pianga  per  te  più  dritto  fia. 

j^ip.Che  fia  di  ine,ch’i  miei  per  Tempre  hò  chiuiì, 
Se  da  te  canta  gratia  hor  non  impetro? 
Romperò  l’arn^  mie,  fe  ciò  ricuu , 

A piè  di  quello  tr^agico  feretro 
Se  ben  fon  già  tutti  i miei  di  ali  ottud  , 

E l’arco  ch'era  d’or,  fatto  è di  vetro  , 

De  la  face  l’ardcr  gela,  c s’ammorza, 

£ io  col  pianger  tuo  perdo  oguìfor^a. 

LaiTo 


canto  decimoottavo.  4II 

“e, C‘='>  '“gue Natura, 
icnquafi  a mancar  la  ftIrpenoAra; 

V l^ebo,  che  di  nube  ^fcura 

^ a la  fronte,  e pallido  fi  moftra? 
cnc  ogni  fiore,  c lecca  ogni  verdura 
^{quefta  già  fi  lieta  herbolachioftra, 

Pp!  I ficherzar  vi  luolc, 

cr  altri  fiati  relpirar  non  vole. 

I dolenti  augelletti  ò muti  tutti 
accion  trà’raini,  ò fanno  amari  tcrfi. 

>ra  le  tue  colombe  a tanti  lutti 
om’hanno  i baci  lor  rotti  c difperfi. 

Mirane  la  tua  cura  i £alfi  flutti , 

Crepar  fremendo  ancor  voglian  dolcrfi 
E le  belle  unioni  a te  sì  c^e 
Divengonper  dolor  lagrime  amare. 

^V*  <iuclla  beltà,  che  Tel  mi  porfc 
Ita,  e vigore,  anch'io  morirmi  fento. 
flen  potrebbe  ildefiin  punirti  forfè  , 

Che  chi  nacque  di  te,  per  te  fia  fpento. 

"cl  pianto,  che  fin  qui  cropp’oltre  corfe , 
falche  parte  rifparmla,  c del  tormento, 

^ er  ferbarmi  la  vita  miglior  forte, 

Oper  pianger  la  mia  con  l’altrui  morte. 

’l’l^^egifi,  che  perlai  piangali  le  Dive, 
fonerà  le  miferie ancorbcato. 

Mori  quanto  aia  vita,  a l’honor  vive  , 

^oitalfùll  corpo,  il  nome  immortalato, 
piange  cola  d’Arabia  in  sii  le  rive. 

Micraviè  più  coftui,  che’l  fuo  peccato. 

Amori  in  Cipro,  i bronchi, dumi 
*'muko  pianto  c cosxon  pianto  i fiumi: 


^^2,  L A M o K T E , 

irx  Fu  bello,  ò ver,  non  però  già  d^alciitia 

Grada  (fu  con  la  laa  pace)  V 
Ch’ac^cruaeli  queft’honor, qacftafortUQa 

Ch’enUiggctto  tcrrcn  mai  non  s adon 
Merico  de2;ne  di  divini  amami». 

EqrA’.ma.lcuuDioco&momk^ 

UfàvalctquJchepecfenoavale. 

Il f.  Tu  Tombra  di  colui  piangendo  o&ndi 
Che  felice  ripeta,  e lieto  giace, 

E gode  forfè  entro  gli  abilh  horrend 
/-Inf.  rn  non  hai  quietccpac* 


Le  hamme,  c i darai  . 

Che  cioiuropcretfi,acutc4icori  , • 

?ar  fcn?ir  (fuorch-altuo)  piaghe, K ardori.  _ 
.16.  Cof.  fcoprlva  Amor  nntet no  affetto,  ; 

Evolandoinquelpuntoancovolea 

Per  Inparte  '<'«5"^ i 

Cà  ne’begll occhi, entrardiCithetea. 

' Ma  rcfpingendo  il  crudo  pargoletto 

Conlamanbellal’infelicePea.  _ 

Taci,  taci  (glidiffc)  a che  prefumi 
Baciarmi  il  Wo,  Se  aUiugatmi  tinnì* 

, ,7  Tardi  con  quelli  tuoi  mi  torni innanri 
intcmpeftivlJiomai  vewi,  e conforti. 

Hot  mi  lnfm?hi  ,e'n  contr’a  me  yur  diatiu 
L'arroì  volgefti,  e n'hcbbTmgiutie,  e lott 
Ah  che  di  ferità  le  Tigri  avanti.  _ 

Nè  brami  altro  giamai.che  ftragi,  _e  mottu 

fruaUcolpa.cnonaltrondeufeio 

U foamottc.U  tu»  daoB» , e Ipumomio. 


I Càì^T0T>*EC1MOO 


TAVO.  A'5 

ItiS.  5i7,  su  rat  tene  aW>orco,*afixctT:a  l’ale 
Con  quelli  d’ognWs  e t\  'vedovi  Amorl- 
Recami  preCo  il  p er  fido  ani  m al  c, 
L'ei^piodiftruggiror  de’noftil  Vionorii 
A?cloch’io  con  1 amor  d’og,nl  mio  naalc 
Folf^in  parte  sfogar  tanti  dolori  i 
Ch’almen  con  la  l*ua  morte  a te  s’afpctta 
fardclaVitamiac^ualclie  vendetta. 

1 u^.  UbbidlfceiV  fanciul  -pronto  c fpedito, 

Nc  tarda  a riveltir  gli  uiatl  incarchi. 

Già  va  per  tutto  col  drappello  ardito 

Spiando  ibofcKl , attrav  c riandò  i varchi. 

Luno;e  li  fentc  per  Vlterboro  lato  ^ 

Loftridordclc  pene,  e'I  fuon  de  gli  archi, 
Mentre ciafeun  di  lor  per  latore  a 
Apparecchia  gli  a rnefi,  c 1 armi  sppre  . 


tjo.  Di  faette,  di  fpiedi,  e di  ritorte 
Armato  vi  relVerclto  pennuto . 

Qual  col  elaocchio  a terramcurvail  forte 
O’di  legno,  ò di  nervo  arco  cornuto. 

Qu.1  fìr  coniuvre  U reo  Cmghule  a morte 
Irorbifce  a dura  cor  e il  f<=r  ‘ 

E lievemente  poi.  meotre  1 

Con  reftremoàel  dito  m punta  il  tocca. 


in  Cosi  qualilorda  le  granite  fpiclie 

' seme  stilala  il  metidor  I ar.ftee, 


Scote  su  1 ai  formiche 

ù fnòì  di  lunglie.  e uett  Urte 


Rigmdo  ilfnold 

C osi  tra  lor  flnol  fchietatc e mifte'J 

Partendo,  humoii 

Vanno  a rapire  ^ 

L’apldoratcagUodorat.Horu 


di 


414  LA  MORTE,, 

251.  Già  la  felva  fi  cerca,  c fi  circonda , 

Ciafcuuo  il  primo  aprovaeflcr  s’ingegna.  ' 2 

T rovano  in  tana  al  fin  cupa  e profonda  ó 
La  Fera,  che  del  giorno  il  lume  sdegna,  i 
E con  la  bocca  ancor  di  fangue  immonda , i 
Poi  ch’offefa  hà  colei,  che’n  Cipro  regna,  5 
E colto  il  fior  di  così  nobil  vita,  n 

Quivi  di  tanto  error  vive  pentita.  " 


2JJ.  Tirata  è fuor  del  cavernofo  fafib , 

Altri  la  gola , altri  le  gambe  allaccia.  i 

Chi  sferza  con  la  corda  il  fianco  lalVo,  3 

Chi  datergo  con  l’arco  oltre  la  caccia  3 

Move  tardo  , e ritrofo.  il  piede,  e’I  paflb,  t 
Timida  trema , c fbigottita  agghiaccia  j 
L’orrida  prigioniera , e’n  van  fi feote,  i 

A cuila  Dea  parlò  con  quelle  note.  i 


234.  O di  qualunque  moftro  afpro  c felvagio 
Più  maligna,  e crudel  Furia,  non  Fera 
Tu  fer’ardifti  aquelbel  fianco  oltraggio, 
-Che  de’colf^i  d’amor  degno  fol’era? 

Tu  di  quel  Sol  difcolorar.e  il  raggio 
Che  faceafeorno  a la  più  chiara  sfera* 
Romper  d’un tanto  amore  il  nodo  caro; 
E’I  dolce  mio  contaminar  d’amaro  * 


23 1.  Hor  qual  rabbia infernal?  qual  ira  infana 
Stimulò  sì  la  tua  fpietata  fame  ? 

Com’osò  la  tua  gola  empia  e profana 
Di  tal’efca  cibar  Pavide  brame  > 

Potcfti  efier  sì  cruda,  e sì  villana 
Inaccorciarqueldilicatoftame  » 

O di  tal  ferità  ben  degna provx 
Rea  ventura  dai  del  iovra  ti  piova. 


La 


CANTO  DEC  IMO  OTTIAVO.  41; 

lj6.  LaBcftia  allhor,  cKe  d.*amorofo  dardo 
llfalvatico  corehavea  trafitto, 

Quafimordacc  can,  c*hu.milc,c  tardo 
Riedcal  fuo  correr tor  dopo  il  delitto, 

A quegUarpri  rimproveri  lo  fguardo 
Levar  non  ofa  oltre  mifiira  afflitto. 

Pur  la  ruvida  fronte  aitando  in  fufo 
In  sì  fitti  grugnictti  aperfe  il  mufo. 

^}7*  Io  giuro  (ò  Dea  ) per  quelle  luci  fante, 

Che  di  pianto  veder  carchemi  pefa, 

Per  queftiamori,  e quelle  funi  tante 
Che  mi  traggono  a te  legata  c prefa, 

Ch’io  far  non  volfi  al  tuo  leggiadro  amante 
Con  alcun’atto  ingiuriofo  offefa. 

Màlabeltà,  che  vince  un  cor  divino, 

Può  ben’ anco  domar  fpirco  ferino. 

Vidi  fent’alcun  velo  il  fianco  Ignudo, 

11  cui  puro  candor  l’avorio  vinfe. 

Che  per  farli  al  calor  riparo  c feudo 
De  la  fpoglia  importuna  il  pefo  fcinlc; 

Onde  il  mi©  labro  federato  c’erudo 
Per  un  bacio  involarne  oltre  fi  rpinfc. 

I-alfo,  mafenzamorfo,  e fenza  danno 
L’hil pide  labfa  mìe  baciar  non  fanno. 

Giù  elio  dente  crudel , dente  rabblofo 
D’ogni dolcezza  tua  ffi  l’homicida.' 

Quelle  a le  gioie  mie  tanto  clan  no  fo 
Punlfci,  e di  tua  mano  hor  fi  recida  J 
E come  de  Taltrui  fu  fanguinofo, 

Tinto  del  fanguc  fuo  fi  dolga,  e (Irida; 

Mà  fappi  (òDea)  che  fe  t’ofFcfe  il  dente, 
(Scufiini  Amor)  fu  l’animo  Innocente. 

y 4 


Con 


LA  MORTE, 

Z40.  Con  tanto  afFetto  a l’unica  belcate 
1 /uoi  rigidi  amori  il  Moftro  efprefle, 

'G  he  del  rozo  rivai  mofl'a  a pi  etate  , 

Di  quel  fallo  il  perdon  pur  gli  concelTe, 

E per  ambition,  che  de  l’amate 
Bellezze  un. Moftro  ancor  notitia  haveflc, 
Men  fofco  il  guardo  a’fuoi  fcudier  rivolto  > 
Subito  comandò,  che  falle  fciolto. 

Z41.  Sciolta  l’afflitta  e defperata  Belva, 
Cercando  va  la  piti  ripofta  grotta. 

Vtigge  dal  Sole  in  folitaria  lei  va 

Tra  folti  horror!, ove  mai  fempre  annotta. 

Per  vergogna,  e perduol  quivi  s’infelva, 

E la  zanna  crudel  vi  lafcia  rottaj 

La  zanna,  ch’ofcurò  canta  bellezza,  * 

Contro  que’duri  falli  a terra  fpezza. 

La  federata  allhor  Ninfa  loquace. 

Che  prima  cagiondi  tanto  male, 

Iodico  Aurilla,  che  la  lingua  audace,  ' 

Sciolfe  Adone  accufando  d gran  rivale , 
Pentita  anch’ella,  e non  trovando  pace 
Nel  dolor,  che  l’afledia,  e che  l’allale, 

Scn  fogge  al  bofeo,  Quitta  l’oro  , e dice: 
Vanne  de’cori  avari  eua  infelice. 

1 4?.  Oro  mal  nato,  del  tuo  peflim’ufo 
Previde  i danni  il  Cielo,  e fé  ne  dolfc, 

E qiiafi  in  ftretco  carcere,  lagglufo 

Nel  cor  de’monti  fcpelir  ti  volfe. 

Chi  , che  la  prigione,  ov’eri  chiufo , 
Homicida  crudel,  ruppe,  e dlfcioirc  J 
Del  ferro  ifteft'o  più  crudele  e rio, 

Se  non  che’l  ferro  fù,  che  ti  feoprio. 

E pur. 


CANTO  DBCIM-OOTTAVO.  417 

144-  E pur’il  Sol,  polche  ci  vide  foie, 

Polche  furie  tue  forxe  al  mondo  note, 

Si  compiacerne  di  ce,  del  cug  fplcndore, 

E bel  del  carro  n’indorò-le  i\>te. 

Per  te  polTanza  al  fuo  gran  regno  Amore 
Accrebbe,  e’n  tua  vii  cuce  il  tutto  potè. 
Tufabricalti  i più.  pungenti  ftrali , 

Nè  fa  mal  fenza  re  piaghe  mortali. 

145.  Qual  cor  non  domi2  ò cjual  valor  si  forte 
fia che  fenza  cader  ceco  contraile? 

Qual  s\  ritrofa  V ergine  le  porte 
Non  t’apre  de’penlicr  pudici  e cadi? 
Opeftlfero  tofeo,  ù morbo,  ò morte, 

Ch’i  più  puri  defir  corrompi  eguaiH, 

Ben’è  ragion,  fe  ne’ più  cupi  fondi 
Quafi  per  tema  pallido  t’afcpndi. 

146*  Ma  c^ual  potea  de  1 mio  più  grave  fallo 

Altri  per  tua  cagion  commetter  mai? 

Fù  piu  del  fragilillìmo  criftallo 
La  mia  perfida  fé  fragile  all'ai. 

Per  cupidigia  d’un  sì  vii  metallo 
Innocente  beltà  tradire  olai, 

Forfennato  difpetto,  impetto  flolto,. 

Ch’ala  Diva  de’ cori  Ucore  hà  tolto. 

147.  rcrei  Barbare  Fere,  ingordi  moflri,. 

Ufeite  horride  de’Tigri,  Orfi  no  centi, 
drcite  a divorar  da’cavi  chiollri 
Col  mio  corpo  in  un  punto  i miei  tormenti,. 
Ben  faranno  (crecl’io)  gli  artigli  voftri 
Del  tarlo,  c’hò  nel  cor  meno  pungenti.. 

Ferodi  quella  Fera  aliai  più  pie, 

"Se  fepplcbfo  d^cte  a l’ollà  mie. 

S f Mà 


\ 


418 


LA  MORTE, 


148.  Ma  fe  le  Fere  pur  crude  c proterve 
Per  maggior  crudeltà  trovo  men  ree. 

Quella  man,  cjucfto  (Irai  che  fa?  che  ferve, 
Che’i  fen  non  m’apre, e’I  l'angue  mio  non  bec 
Hor  che’n  me  più  l’inlania  ebra  non  ferve, 
La  ragion  fue  ragioni  ufar  non  dee, 

E vendicar  con  piaga  memoranda 
Di  tanta  fellonia  l’opra  nefanda. 


JSi 


149.  Volgi  a me  gli  occhi,  e mira  i pianti  nnei 


O di  pi  igion  sì  beltà  anima  ufcica  : 

Alma,  che  fcioltaper  mia  colpa  fei 
Dal  bel  nodo  ond’Amor  ti  ftrìnfe  m \xtx. 
Deh  perche  non  pofs’io,  come  vorrei. 
Seguitarti  volando,  ove  fe’gita? 

Sì,  sì  potrò , che  di  queft’anreo  llrale 
Le  penne  per  volar  mi  daran  l’ale. 


B 

'X 

a 


1150..  Quello  mio  fido  ftral  ,che  tanto  afperfo» 
Perlefelve  hàfin  qui  fangue  ferino, 

Pia  che  ncUàngue  mio  tinto,  &:  immerfo 
A si  gran  volol^r’hor  m’apra  il  caminOi 
Sì  dilfe,  e nel  bel  fen  lo  ftral  converfo- 
Sodisfece  al  tenor  delfier  deftino. 

Onde  di  tepid’oftroun  largo  rio 
Torto  a macchiar  le  vive  nevi  ufció. 


. Bacco,  che  la  mirò  dal  vlcin  colle, 

Bacco,  ch’era  di  lei  fervido  amante , 

Raccolfe  per  pietà  lo  fpirto  molle, 

E cangiollo  in  leggiadra  Aura  vagante. 

Hor  cangia“a  anco  in  Aura,  e vana,  e folle;, 
Mobil  (come  fó Tempre)  & incortantcr 
N è tra^  tarmata  in  lieve  Aura  fonora 
Di  gai  rii  certa,  & mormorare  ancora  . 

sfiata 


Canto  DECIMO OT T AVO.  41, 

iji.  Efetta  Auraramlnga  , a tutte  l’horc 
Colàfcn  vola,  ove  l terrcn  fiorifee, 

Equlvi  ilbeirAdorx  mutato  in  fiore 
Moke  co’bacì,e  co^Torpir  nutrifee, 

E dalcbellc  foglie  in  vano  odore 
(Vana  emenda  dal  danno)  almen  rapifee. 

Poi  per  lo  fottiUlHm.0  elemento 
DI  me  dolci  rapiae  innebr  ia  il  vento. 

15}.  Più  che  mai  tardi  da’ profondi  Abilfi 
La  notte  di  quel  d\  nc  l’aria  afeefe  j 
Nc  canto  mai  dapoi  clic*l  Sol  parcifli 
Le  fue  tenebre  ufatc  il  mondo  attel'ej 
Nè  mal  velata  di  pietofe  ecclilfi 
Si  pigra  HeCperoin  CIcl  lefaciacccfci 
E quando  aperfe  lo  TtcHatbpolo  , 

Tutt’altro  illuminò,  che  Cipro  folo. 

Il  Pine  DeI-  Decimoottav© 

C A » Or 


» ^ 


410 


la  sepoltura 

CANTO  DECIMONONO. 

ALLEGORIA. 

ON  la  vifita  de’ quattro  Dei  ami- 
cidi  Venere,  i quali  vengono  a 
condolerfi  con  eflo  lei,  fi  allude  a 
quattro  cofe,  che.concorronoa, 
fomentar  la  lafcivia.  Per  Cerere 
s’intende  la  crapula,  per  Bacco 
l’ebrietà, per  Thetide  l’humor  falfo,  & per  Apol- 
lo il  calor  naturale.  Le  favole  di  Giacinto , di 
Pampino,  d’Acidcjdi  Carpo,  di  Leandro, d Achi- 
le,  & d’ Adone  ifteflb , morti  nella  più  frefca  età 
per  fortunofi  accidenti  & trasformati  per  lo  pià 
in  fiori,  ò in  altre  foftanze  fragili,  fon  polle  ò per 
fio-nificare  natiwralmente  l’effetto , & la  qualità 
dfquelle  cofe , che  foniìgurate  in  elfi , ò per  el- 
primere  moralmente  la  vanità  della  gioventù» 
& la  brevità  della  bellezza,  ^ 


4« 


AKGO  MENTO.  . T 

Uenere  Vènere  piagne,  e /*  lamenta^ 

4.  ’Evtfitatn  da  gli  amici  Dei  , 

Sepolto  in  nobil  tomb^  è poi  da  lei 
il  merto  Adori che  'trago  fior  diventa*. 


I y Umano  ufficio  è veramente  il  pianto,; 
I I E piu,  proprio  d.e  l’iiuom  forfè, cne’J  ri- 
JL  JLPoich’ apena  veftico  il  fragìl  inanto,[(a 
In  aprirgli  occhi  al  Sol,  ne  bagnali  vifo. 
Nonfìdia  nòdiqucft’affecto  il  vanto 
L’animal, chefi  duol  sù’l  corpo  uccifo. 

Formar,  non  fan,  non  fan  vei'far  le  Fere.  . i 

Figlie  de  la  ragion,  lagrime  vere. 


1.  Por  quantunque  a ciafctin  fin  da  la  cuna 
Sempre  quafi  quaggiù,  pianger  convegna,. 
Dovetràmille  ingiurie  diTortuna 
Fuor  che  doglia,  c miferia  altro  non  vegna» 
Sic  fi  trova  caglon  Torto  la  "Luna 

Dalagrimar?cheTiaben  Sìufta,e  degna. 

Qualunque  trìfta,  e miTerabil  lorce. 

Merita  più  pietà,  cede  a Famorte. 


J.  E fe  ben  chiper  noi  volTe  Partire 
U tolfe  l’ago,  e l’ ha  lafciatoil  mele, 
OndefonnS  scappella,  e nonmorii^ 
Quando  Inpace  ripofa  un  cor  fedeles. 

Purfcnzainconfolab ile  martire 

Far  nonfipuò,  nè.Tenzaafpre  querele. 
Quindi  PiftcBa  ancor  parole  di  Dio 
Sovra  l’amico  Tuo  piange  e langmo. 


redefr 


9 


'411 


LA 


4.  Veder,  che  poca  poi  ve,  € fofpir  breve 

T ariti  lumi,  e thelòr  ingombri,  e prema  a 

Grava  altrui  sì , che  ben  ftimar  fi  deve  ì 

De  le  cole  terrìbil  rcftrema 
Chi  fia,  che  come  al  Sol.  tenera  neve 
Non  fi  ftempri  mu'ando,  c che  non  gema, 

Fatto  d’alti  penfiernido  sì  bello 
Seminario  di  vermi  entro  un’avello  ì 


'f,  E che  fia  poi,  fe*n  sài  vigor  de  gli  anm 
Mentre  i lieti  di  l’Aprìlverdeggia , 

Giovane  pianta , e per  più  gravi  danni 
Bella  ancora,  e gentil,  fvelta  fi  veggia? 

Ma  gli  acerbi  cordogli,  e i duri  amimi 
Ahi  qual’angorcia  , ahi  qual  dolor  pareg^a  , 
Di  chi  fterpato  a la  ftagion  piò  verde 
De  le  gioie  fperate  il  frutto  perde  ? 


6.  Quando  per  morte  incenerito  e fpento 
Alma,  ch’avampa,  il  fuo  bel  foco  vede» 

E recifo  quel  nodo  in  un  momento. 

Che  già  Itrinfer  sì  dolce  Amore,  e Fede, 

Non  s’agguagli  tormento  a quel  tormento, 
Queft'è  il  doìor  , ch’ogni  dolore  eccede. 
Materia  amara  da  folpiri  , c pianti 
Non  ch’a  i mortali  amanti.  ^ 


'7.  VENERE  poiché  sù  la  fredda  fpoglia 
Sparfe  lungh’ora  invan  lagrime,  e note  , 
Deh  qual  lenti  nel  cor  novella  doglia 
Al  raggirar  de  le  notturne  rote. 

Quando  tornata  a la  deferta  foglia. 

Ne  le  camere  entro  vedove,  e vote  ? 
E’ibel  Palagio  plcnd’horrorfiincfto  ’ 
3^idefcnza  il  fuo  Sol  folinga,  «nella  ? 


canto  DECIMONO'NO.  4ij 

8.  Quella magion,  che  dal  divino  Artifta 
Fabricatafò  già  con  canta  cura  , 

Lefcmbraahi  quanto  infaufta  alafuavifta) 
Defolaca  fpelonca,  e tana  ofcura. 

Si  la  memoria  per  piacer  l’attrifta 
Cb’odia l’oggetto  de  i*  amate  mura, 
fi  elei  de  ridol  caro,  hor  che  n’c  priva, 
Quafilnferno  noioro,  abhorre  e feniva. 

j.  ComePaftor,  che  tardi  il  piè  ritragge 
Verfo  l’ovile  a parti  corti,  e lenti, 

E trovalo  da  fere  afpre  c Telvaggc 
Tutto  fpoglìato,  ò da  predaci  genti. 

Per  le  felve  vicine,  cper  le  piagge 
Chianib c richiamai  Tuoi  perduti  aimentir 
E da  le  folitudlni  profonde 
Nulla  (^uojxfhe  lavallc)  altro  rifponde. 

' IO.  0 come  Vacca,  a cui  di  fen  rapito 
Habbia  il  picciol  vitel  dente  inhumano , 

O col  maglio  crudcl  rotto  c ferito 
A piè  del  Scro  aitar  rigida  mano. 

Di  dolorofo  e querulo  muggito 
Rimbombar  fa  d’intorno  il  monte,  e’I  pianoi 
Ukima  al  prato  con  dimeffe  corna 
Efce  di  mandra,  & ultima  ritorna. 

11.  Cosi dapoi  chc’l  calò  empio  fuccelTc 
De  l’inlelicc  Adon  la  Dea  di  Gnido 
Baciando  Torme  dal  bel  piede  imprefle, 
Trafeorfe  il  muto,  e folitario  nido. 

Ne  Iattanza, ch’Amore  untempo  eleflc 

Dc’fuoi  dolci  trafìulli  albergo  fido. 

Guarda  il  letto  diletto,  e quivi  afflitta 
Geme , rabbraccia,e  fovra  luifigitta. 


'414.  lA  SEPOLTURA;  / 

II.  SolafoventealbelGiardin  fenriedc, 
Yifitaì*antro  ombrofo,  e’I  poggio  aprico> 
Dove  l’iierba  Itampata  ancor^ù  vede 
De  le  veftigla  del  diletto  antico. 

Parla  a le  piante  fconColate,  e chiede 
Al  fordo  bofeo  il  fuo  fedele  amico.  ^ 
Bagno  di  pianto  i fiori,  ov’ei  s’affife, 

E fcher  zo  feco  dolcemente,  e rife. 

L’aurora  ufeì,  non  già  di  lieti  albori  , 

Mà  di  lagrime,  e d’ombre  afperfa  il  volto  > 

Nè  di  vaghi  portò  purpurei  fiorì, 

Mà  di  brune  viole  al  crine  avolto. 

Seguilla  il  Sol  ^ mà  non  fpuntò  già  fliori> 
Prigionier  frà  le  nubi,  anzi  fepoltoi 
Onde  bendati  difunefto  velo 
Parean  vedovo  il  mondo,  e cieco  il  Ciclo. 

Et  ecco  a confolar  le  doglie  amare. 

Che  le  fan  de’begU  occhi  humidi  i lampiiT 
Vengon  Febo  dal  Ciel,Theti  dimarc» 

Bacco  da’collì,  e Cerere  da’campi, 

£ con  detti  foavi,  onde  già  pare. 

Che  di  pietà  ciafeun  di  lor  n’avampi. 

Si  sforzan  d’addolcir  quell’afpra  pena,. 

Che’l  lor  le  ftrugge  in  lagrimofa  vena. 

Scalza  ne  vien  colei,  che  di  T riquet^ 
L’ifolaregge,  e quafi  è tuttaignuda. 

Se  non  ch’un  drappo  d’amariglia  feta 
Cela  quanto  convien,  che  celi  e chiuda. 

In  cima  al  capo,  e’n  sù  la  fronte  lieta, 
lC’hà  le  luci  infocate,  e Tempre  fuda. 

Serpe  un  lerto  di  fpiche,  einmezo  a.loro4 

.Eabf ìcato  torreggia  un  caftei  d’oro^ 

^ piante 


'CA>rTO  totCl  M.ONONO. 

U.  Punte  d’argento,  c fronte  ha  di  zaffiro 
la  Dea  diqucll*hu.m.or  ,chic  manca,  c crefcc* 
Cinge  fregiata  di  ccr  vileo  giro 
ScagUofa  l'poglla  d’tiipcrboreo  pefce. 

L’ondofa  cmoma  poi  d’oftrl  di  Tiro 
E di  ciottoli,  e concKc  i ntreccia,  e mefc 
II  chriftalllno fcn, clic  ftUla gelo. 

Copre  di  talco  un  traCparente  velo. 

17-  Non  ha  di  piuma  U mento  ancor  veftito 
Cinthio,edi  fcKietco  minio  infiamma  ilvo  ho 
Gli  circonda  Ubel  crin  lauro  fiorito, 

Il  crine  in  bionda  xazxera  difciolto. 

Dì  fila  d’oro  hà  il  ricco  manto  ordito. 

Di  ra<y<ri  d’oro  un  cerchiò  in  fronte  accolto. 
Con  Smanca  foftlen  gemmata  certa, 

E gli  pende  dal  tergo  aurea  faretra. 

IS.  Nel  vifo  il  Lieo  ride  dipinto 

IJÌ  frefea  rofa  un  giovenii  vermiglio . 

Tien  ne  ladcftra  "il  thirfo,  e d’hedre  avinto, 

E d’uve  il  crìa  , che  gli  fann’ombra  al  ciglio, 
DiCaCpia  Tigre  attraverfato  e cinto. 

Che  di  firforo  h à l’un  e l’altro  artiglio. 

Porca  Ubel  fianco,  e l’homero  celclte. 
Rancio  coturno  il  bianco  piè  gli  vette. 

19.  Hor  mentre  tutti  in  una  loggia  ombrosa 

In  cerchio  alfifi  a trattener  fi  danno, 

De  la  Diva  piangente,  e fofplrofa 
Ccrcan  di  mitigar  Tinterno  afFannoi 
B’ntenti  ad  acquettar  l’alma  dogliofa 
Con  le  miglior  ragion,  che  trovar  famio» 

Nel  cafo]  acerbo  del  fanciullo  morto 
Tentano  di  recarle  alcun  conforto. 

Fattc^ 


LA  SfiPOLT0RA, 

mefta  guancia  ella  del  braccio 
S havea  colonna,  e de  la  palma  letto , 

E con  varie  vicende  hor  foco,  hor  ghiaccio 

_ Hor  nel  cor  l’alternava,  hor  ne  l’al  petto* 
Romper  parca  volcffea  l’alma  il  laccio. 

Si  profondi  fofpir  trahea  del  petto, 

Quando  Apollo  il  primiero  a lei  rivolle  ^ 
Gli  occhi,  e la  lingua,  & a parlar  lal’ciolfcl 

11.  Quantunque  fulTo  il  gran  Paftor  d’Ameto 
Colui,  chelpinfc  a tribularla  il  figlio. 

Onde  di  tanto  mal  contento  c lieto 
De  1 effetto  godea  del  fuo  configlio , 
Coprendo  nondimcn  l’odio  fccrcto 
Con  finto  zelo  d’un’affabil  ciglio. 

Come  i grandi  tra  lorfogllono  fpeflb , 

V enne  con  gli  altri  a confolar’anch’efio. 

ti.  La  cagio  de  la  riffa,  e del  difpctto. 

Onde  la  Dea  gli  diventò  nemica. 

Nota  è pur  troppo,  e quel  ch’altrovc  hò  det- 
Huopq  qui  non  mi  par,  che  fi  ridica.  (to 
Vols’ei  però,  celando  altro  nel  petto , 
Dillìmular  la  nemicitia  antica, 

E quali  fcaltro  adulator  di  Corte , 
Compianger  del  Garzon  feco  la  morte . 

xj.  S*è  vero  (eglidicea)  che  nel  tormento 
Spedo  è gran  refirlgcrio  haver  compagni, 
Afcolta  i cali  miei,',  ch’ogni  momento 
Piacer  devrei  viè  più  che  tu  non  piagni. 
Forfè  fe  la  cagion  del  mio  lamento 
Vuoi  contraporre  a quella,  onde  ti  lagni» 
Veggendo  che’l  mio  mal  fft  maggior  tanto. 
Darai  pace  al  dolore,  ò tregua  al  pianto. 

Laffo 


CANTO  DECIMO  M O NO.  417 

24.LaiI(),q^ual’huomo  in  terra,  in  Ciel  qual  Dio 
Fu  mai  di  mcpiùfvcnturato  amante? 

Di  Dafni  non  dirò  che  non  morio  , 

Mà  vive  ancor  tra  le  mie  Caere  piante. 

Nè  parlerò  di  Cipariflb  mio. 

Che  volfc  per  follia  morirmi  avante. 

Conterò  Colo  il  mal  da  me  corti melVo, 
Chomicida  crudelfuidi  me  Itcflb. 

!;■  loftciTo  (ahi  quale  allltor  fofpinfe  c moffe 
Lafciocca  delira  mia  (iniftra  forte?) 

Con  quella  man,  che  l’idol  mio  percolTe, 
Fuiirùnillro  d’unfccmpio  Viorrendoefortej 
£ben  ch’errore  involont  ario  folTe, 

Efenza  colpa  il  colpo,  onci’laebbe  morte, 
Tanto  fùdi  pietà  più  «legno  il  calo , 
Ch’addufle  alamia  luce  eterno  Occafo, 

Una  Tolu  dal  Ciel,  mentre  la  quarta 
ilota  girando  in  giù  lo  fguardo  affifo , 

Trai  verdi  colli  de  l’antica  Sparta 
Veggio  un  fanciullo  in  sù  ThcrbettaalTilb. 
Scultore  in  marmo,  over  Pittore  incarta 
Di  formar  non  fi  vanti  un  sì  bel  vifo. 

S’havefle  U Beltà  corpo  mortale. 

Credo,  che  la  Beltà  farebbe  tale. 

17.  Chi  vuol  l’oro  ritrar  de’crefpi  crini. 

Da  le  Grafie  filato,  e da  gli  Amori. 

Chi  de  le  molU  guance  i duo  giardini,  ^ 

Dove  del  ms-ggioir  verno  hsn  v\tz  i nori  y 
Chi  de  le  dolci  labra,  i cui  rubini 
Chludon  cerchi  di  perle,  1 bei  thefori. 

Chi  de  »li  occhi  ridenti  il  chiaro  lume, 

SpiegafrineCpUcabUe  prefume. 


418  tA  SEPOLTURA,! 

^8.  Giacinto  In  forama  è tal  (cofi  s’appella) 

Che  digrada  , e vaghezza  ogni  altro  avanzOt 
Sc-ion  quanto  gli  fa  l’età  novella 
Superbo  alquanto  il  getto,  e lafemblanza, 

E l’andar  d’arco  armato,  * di  quadretta 
A PoTgogUo  del  cor  crefcebaldanza, 

Ond’è  terror  dc’mottrì,  edelebelvc, 

E piacer  de  le  ninfe  , c de  le  felve. 

ao.  L’altabellezza  del  Garzone  altero 

Subito  apena  vitta,  il  cor  mi  tolfe» 

Me^cè  del  figlio  tuo,  ch’lniquo  c ® ^ 
Sempre  (non  so  perche)  meco  la  volfeij 
E per  moftraifi  più  perfi  tto  Arderò, 

Tanti  alfinm’appoftò,  che  pur  mi  colle. 
Màbetvcbe  d’altri  ftraliei  mi  ferme 
Civetto  fu  il  più  crudcl,  che  mi  trafitte. 

To.  Per  queft'amor , ch’odiar  mi  fé  metteflbj 
E per  cui  nonhavrò  mal  l’occhio  afeiutto. 
Io  mi  feordaì  del  Cipreffo, 

Piante  per  me  funebri,  e fenza  fnitw. 
Leucothoei  che  languir  ini  fé  sifpcffo. 

Di  mente  per  cottui  m’ufci  del  tutto, 
elida, da  cui  già  tanto  amato fui,^ 

A me  voIgeau,&io  volgcami  alai. 

)t.  Per  meglio  vagheggiar  quegli  ocdii  cari. 
Che  m’abbaggliaro,  e m’ingombrar  di  gelo 
Sprezzai  di  Delfo  gli  odorati  alteri, 

Kè  più  curai  le  vittime  di  Deio  i 

E’ifren  de’ miei  deftrier  fulgidi  e chiari 
Lafeiando  l’Hore  a governare  in  Cielo  » 
Rapito  a forza  da’ deliri  accefi,  ^ 

Corfi a l’cfca del  bello,  e’n  teriafccu. 


£ 


CANTO  DECIMON  ONO.  4l|f 

31.  E come  già  f et  paCcolar  armenti 

Venni  d’Anfrlfo  adV\a\>itar  le  fponde. 

E’I  biondo  crln>  che  di  fiammelle  ardenti. 

Era  cinto  laffu  clnh  di  fronde*. 

Cosi  par  far  qucft’occfii  almen  contenti 
V olfi  d’Eurota  ancor  frequentar  bonde, J 
B quanto  foco  la  mia  sfera  ferra 
Portai  tutto  nel  cor,  feendendo  in  terra. 


35.  Un  Sole  (ò  chi  mel  credei)  un  altro  Sole, 
C’havea  duo  Soli  in  fronte,  io  trovai  quivi, 
E vlè  più,  cheT  mio  lume  in  Cìel  non  fuolc  j 
Rawgi  vibrava  sfavillanti  c vivi, 

Inhcmc  ne  fchcr mian  le  valli  fole 
Da  gli  ardori  amorofijC  dagli  cftivi, 

E ne  vider  fovente  in  bei  foggiorni 
Dilli  par  l’horc,  claccrarc  ì giorni. 


34-  Più  d’una  volta  al  Giovane  fù  dato 
Ad  un  de’Cigni  miei  montar  sù*l  dorfo, 
Pliid’una  volta  del  Cavallo  alato 
Premcr’il  tergo,  c moderare  llmorfoj 
B non  fol  di  Laconia,  ov'era  nato, 
L’ampic  contrade  vifitar  nel  corfo, 

Ma  talhora  arrivar  lieve  e fublimc 
Di  bel  Parnafo  a le  fpedite  cime. 


33.  In  folea fpcllc  volteandarnc  fcco 
Del  verde  monte  infrà  i più  chiuli  allorii 
E quivi  a l’ombra  del  mìo  facro  Cpeco . 
Trà  le  dotte  fontane  In  grembo  a i fiori. 
Gran  tradullo  ci  prendea  di  cantar  meco 
Del  noftro  Giove  1 fanciullerchi  amori. 
E io  poftogUln  mauo  il  mio  ftromcnto, 
^rimegnava  a dolce  concento. 


Tal- 

.ji'Xlal-. 


(.sfHrJLsrMi 


LA  SEPOLTUB^A, 

f . Talhora  a tender  l’arco  & a fcoccarlo , 
Ben  eh  alTai  ne  fapelTc  il  giovinetto, 

10  m ingegnava  meglio  amraacftrarlo 
Contro  le  fere  in  qualche  mio  bofehetto. 
Ma  fra  rutti  i piacer,  di  cui  ti  parlo, 

11  piu  continuo,  e principal  diletto 
{Ahi  che  folo  in  parlarne  impallidifco) 

Era  il  giocar  con  la  racchetta,  eldifco. 


che  la  Cagnuola  infana 
la  di  rabbiofo  incendio  arder  l’eftadc. 
Quando  l’agricoltor  con  la  villana 
Stafiì  ne  1 a.ia  a (pigolarle  biades 
Ne  l bora,  che  quaggiù^  da  la  fovrana 

Parte  del  Cielo  a filo  il  raggio  cade, 

E l’ombra,  che  daPindice  difende. 
Dritto  a la  feda  linea  il  tratto  ftende. 


5**  N andamo  un  di  fin  chc’l  mio  carro  il  fcga% 
GuTe  a toccar  de  le  diurne  mete, 

Nel  trincotto  fatai  giocando  un  pegno 
Altre  cacce  a pigliar  con  altra  rete. 

Con  quella  rete,  ch’entro  il  curvo  legno 
T elle  in  (pelli  cancelli  attorte  fetc* 

E dalc  tele,  e ben  tirate  fila 
Fa  percoffa  lontan  balzar  la  pila. 


jy.  Tratticnfiin  prima  a palleggiare  un  poco, 
Indi  meco.s’accorda  ala  partita, 

E mirando  Io  fcherzo  in  vero  gioco, 
Prepofto  il  premio,  a la  tenzon  m’invitv, 
Incominciava  ad^avampar  di  foco 
La  huancia  intanto  accefa  c colorita, 

E le  fuc  vive,  fervide  faville. 

A feminar  di  rugiadofe  i^c. 


Onde 


CANTO  DB.C  IMO  NONO.  4ii 

40.  Ondcdepoftoua  fuoleggicr  farfetlo 
Di  molle  (età, c tinta  In,  oftro  fino, 

Indorò 5 lafciòfcmplicc  c fchietto 
Solde  l’ultima  fpoglla  il  bianco  lino, 
EraifcoprìdcldUicato  petto 

Il  polito  caadorc  alabaftr  i no  , 

Ma  del  mio  corc  aAai  più.  forte  e greve 
Cicfcea  la  fiamma  in.  rirguardarla  neve* 

4r-  le  botte  del  fuo  braccio  erano  tali,  ^ 

Che  quant’ci  n’avcntàv  a ò fcaifc,  ò piene» 
Tant’erano  al  mio  cer  piaghe  mortali, 

Tante  a l’anima  mia  ,, 

Ebcn attender  lacci,  c rcoccarftrali^ 

Per  legar  e ferir  con  doppie  pene, 

Ne  le  luci  tcnca  Ter  ene  e liete 

Vie  pi^  che  ne  l^  naan>  l’arco,  e la  rete. 

/ 

41.  l^retc,ch.c  di  corde  ha  la  treccierà. 

Batte  la  pelle,  che  di  vento  è pregna , 

E^con  la  gamba,  c con  la  man  leggiera 

'Diieguina,  craccorla  ogn’un  s’ingegna. 
Qual  dcftra  è de  le  due  piu  delira  arciera. 
Vince,  e’I  numero  conta,  eT  loco  fegna, 
S’avicn,  che  non  l’invella,  ò che  la  faccia 
Ne  la  fune  incontrar  perde  la  caccia. 

45.  Somiglia  il  gioco,  ond’io  con  lui  combatta^ 
Di  duo  madri  da  fcherma’accorto  allalto. 
Hor  và  per  dritto , hor  di  roverfeio  il  tratto, 
Hor  di  polla , hor  di  balzo,  hor  batfa,  hor  alto 
Hor  il  colpo,  che  vien  rapido  e ratto. 
S’incontra  in  aria,  & hor  s’afpc?  ta  il  lolto. 
JHLor  fi  trincia  la  palla,  & hor  -aduta 
Tra  gli  angoli  del  mur  • ò • ^ iteuta. 


Ho 


LA  sepoltura; 

4+.  Hor  quinci , hor  quindi,&hor  veloce,  hor 
L’cnfiaco  curio  fì  làectaerc«cca.  . (pia^* 
Per  Io  tetto  talhor  vola  lontane^ 

Talhor  radela  corda,  e non  la  tocca? 

E regolato  da  macftra  mano 
Nèierpe  per  fuol,nc  iirimbocca. 

Torto  ch’urtato  vien  da  quella  banda 
SI  rimette  da  querta,  eh  rimanda. 

4;.  Quali  in  duello  (ingoiar  di  Marte, 

L’un’e  l'altro  la  dcftraa  tempo  move. 

L’un’e  l’altro  egualmente  aggiunge  a Patte 
Aftutie,  e finte  ìnàrpettate  e nove, 

SI  ch'accenna  talvolta  in  una  parte, 

E poirlefce.a  Pimprovifo  altrove. 

Con  tanta  leggiadria,  che  mai  non  falla. 

La  fiageilata,  e travagliata  palla. 

45.  Già  fegnate  ha  due  cacce  ognun  di  voi. 
Onde  ftando  del  par  fi  caugia  fuo. 

Fin  c’habbia  il  gioco  al  fin  per  l'unde’dqi 
La  vittoria,  ò la  perdita  finito. 

Ciafeun  fi  ftudia  co’vantaggi  Tuoi 
Schivar  il  falla,  c guadagnar  l’invito. 

Et  a bcn’adoprar  cauto  procede 
In  un  tempo  con  l’occhio,  il  pugno, c’  1 piede* 

47.  Più  volte  c più  da  quella  parte  c quella 
Gimmo,  c tornammo  la  medelroa  a gulUv 
Onde  tra  noi  la  palma  in  dubbio  torta 
A lance  cgual  folpcfa  6c  indlvifaj 
Quahd’cccù  II  crudo  Difeo  (qimè) s’appretta 
ATar  che  fia  la  pugna  alfin  dcciCh. 

Ch'è  di  metallo  ben  mafliccìo,  c tondo 

Toga 


^afi  un  palco  di  fmlfurato  pondo 


48*  Toglie  il  figlio d’Amlcla  11  vafto  pcfo> 
Chepritnaiu  alto  poggia,  e poi  ruina, 

Ttogni  sforzo  ala  graia  prova  intefo. 

L’urfe l’altro  ginocchio  allarga,  e china. 

L'alza  a fatica,  al  fio.  polche  l’hà  prefo,  . 

Con  piè  ben  fermo  e faccia  al  Ciel  fupina 
Le  braccia  allenta  e’I  xorbinc  veloce 
Segue  con  la  per  fona,  e con.  la  voce. 

49»  lo, che  veggio  il  fuo  lancio  andarne  a volto 
Che  poco  in  sufi  leva,  e G.  dilunga, 

E chefatto  più  lubrico  dal  moto  , ^ 

Gli  cade  à piè  priach’a  mez’ uria  giunga, 

Mi  provo  anch’io  , ma  noi  Collevo , e roto. 

Ben  che  del  premio  alto  defi  mi  punga,  ^ ^ 

Prima  che’l  guardi,c’l  t occhi, acciochel  gitto 
ElTendoil  cuneo  cgual,  vada  piu  dritto. 

p.  PoicUcH^nttnim  *hó'ben'ì?Jtlàc,.uco  iigiro,  , 
Tutto  più  volte  lo  miCu.ro,  e libro  , 

E per  far  meglio,  e tr ar  più  lunge  il  tiro, 

La  man  sù  per  V arenalo  frego  e cribro. 

Volgo  in  alto  la  fronte,  e’I  Clel  rimiro , 

E sùlc  membra  mi  bilancio,  c vibro. 

Perche  vò  che  con  fcoppio,e  conrimbomb* 
Saglìaalc  nubi,  c poi  trabocchi  a piombo. 

ji.  Sovra  Sa  mole  del  voi ubil  ferro 

M’inchino  & a CcagUarlo  al  fin  m’ accìngo, 
Infra  labafc,  eT  cufpidc  l* afferro, 

E fortemente  ad  ambe  man  lo  ftringOj 
Con  gran  preftezza  il  dlilcrr®, 

E ciuci  colpo  funeftoavento  eipingo. 

Che  finche  ftian  del  Ciel  le  tempre 
Fia  memorando,  e lagrimaoil  tempre. 

Voi.  llm  ^ Zefiri 


454  LA  SEPOLTURA,  3 

Zefiro  Upeggior  vento,  e’I  più  fellone  . 

DI  quanti  Polo  ne  tien  ne  l’antro  horrendo,  ;j 
Era  in  amat’anch’egU  il  bel  Garzone  ■ 

Già  mio  rivale,  e ne  languiva  ardendo.,]  * 
Ma  fprczzato  da  lui  per  mia  cagione  :: 

Sèlchernìr,  me  Tempre  veggendov  o 

Si  fiera  gelofia  nel  petto  accolfe , ^ ^ 

Che  ili  tutto  in  odio  il  prim’  amor^rivollc*  s 

55.  E ftando  il  noftro  gioco  ivi  a vedere  - ] 

Sli  l’alto  Taigeta,  il  vicin  monte,  > 

Modo  ad  Invidia  de  l’altrui  piacere , i 

Godeadifarglifoldifpetti& onte.  ( 

Hor  gli  ficea  di  ceda  i fior  cadere , 

Hor’  i capei  gli  fcompigliavain  fronte^ 

Talhor  la  vede  gli  tranea  con  rabbia, 

Ecalhor  gli  Ipargea  gli  occhi  di  fabbit. 

54.  E’ben  véiT^lb  talvolta  ih  mezo  a liVtf, 

Ben  che  crucciofa oltre  Tuo  dilc,e  cruda* 

Lo  rpirito  malvaggio  arde, e fopira 
Ib  rilguardando  il  bianco  fen,  che  Luda* 

E mentre  freme  intorno,  e fi  raggira 
Avido  di  baciar  la  neve  ignuda, 

/Dolce  il  lufiuga,  e da’bei  membri  amad 
Mitiga  il  gran  calor  con  fr efebi  fiati. 

<y.  Ma  vido  il  tempo  acconcio  a la  vendetta* 
Cangiala  foffio  crudeU’aurafoave, 

$1  che  di  là,  dove  la  mano  il  getta, 

Torce  a forza  e didorna  il  bronzo  grave* 

E più  Icggier , che  fulmine,  ò faetta, 

Ch’alcun  riparo  a l'impeto  non  bave , 

Con  tanta  furia  per  traverfo  illan  da, 

Che  và  dritto  a fcrkJo  insù  la  guaijpia  • 


43# 


CANTO  DECIMO  ÌSX  ON  O. 

j<.  Sona  la  manca  guancia,  ove  tremante 
Palpita  il  polfo  entro  l-a  tempia  cava. 

Il  globo  impetviofo  e fulminante 
Percoffe  la  beltà,  cK*lo  tanto  amava. 

Cade  a lo  fconcio  colpo  , e*l  \>el  feinbianté 
Scolora,  c foixamentc  il  macchia,  c lava, 

Perche  tofto  ne  fpiccla  in  sù  l’arena 
hi  tepìd'oftro  una  vermiglia  vena. 

57*  Qual  papavere  fuol  da  falce  , ò ventA 
Tronco  il  gambo  languir  pallido,  e chino; 
Tal’era  a punto  il  folito  ornamento 
Sparìa  dal  volto,  c lo  Iplendor  divino,  • 

M.oria  nel  labro  il  bacio  > e giacca  fpenta 
In  fepolchro  difquallido  rubino 
Gli  occhi,  giade  le  Gr  atic  alberghi  fidi, 
Rimanean  cavefode,  c voti  i nidi. 

• 

si,  Tofto  che  cjucl  bel  vifo  io  vidi  tinto 
hcl  fangue  (oimè)  de  la  crudel  ferita 
Corfi  arecarrai  in  braccio  .il  mio  Giaciuto, 

Per  dar  con  herbe  a la  gran  piaga  aita. 

Ma  poi  ch’ogni  opra  alifin  nel  corpo  cftlnto 
Fù  vana  a richiamar  l’alma  fuggita, 

Pianfi  cosi  , che  de  le  ftclle  il  Duce 

Parca  fonte  di  pianto,  e non  di  luce. 

S9-  Giuro  per  la  beltà,  che  sì  mi  piacc^ue, 

E che  portò  d’ogn’altra  in  terra  il  vanto, 

Che  quando  il  mio  Fetonte  uccìfo  giacque 
Non  nii  dolfi  cosi,  nè  pianfi  tanto. 

E ben  giuda  cagione  allhor  mi  nacque 
Di  Ccntir  maggior  duoU  far  maggr\or  pianto. 
Ch’affai  pivi  forre,  c più  mortale  ardore 
Di  quel  ch’ao seù  U inondo,  arfe  \\  core 

TX  pindo 


45^ 


LA  SEPOLTURA, 


40,  Plndo  fel’sà,  s’io  più  cantai,  nc  rifi, 
SalTelo  il  choro  mio  pudico,  c faggio. 
Se  ben  sù’l  carro  d’or  pofcia  m’aflìfi , 


Rotai  gelato,  e ruginofo  il  raggici 
E pailando  di  là,  dove  l’uccifi. 


N el  mio  lublimc,.  e sferico  viaggio. 
Sempre  cinto  di  nubi  arre  e maligne 
Sovra  i campi verfa  i piogge  fanguigne. 


4i.  Voiripcrgloria;fua,pcr  mio  conforto 
Lafciarne  in  terra  una  memoria  bella. 
Cangiai  del  gioco  lo  fteccato  in  horto. 
In  aragna  mutaHa  reticella , 

E feci  un  nobil  fior  dal  cordo  morto 
Pullular’in  virtù  de  la  mia  (Iella, 

Che  con  note  di  fangue  ha  sù  le  fogli» 
Scritte  le  Tue  fventurci  e le  mie  doglic- 


s 

li 

i 

I 

I 


*1 


Produfiì  ancor  sù  le  vicine  rive  f •' 
Gemma  di  qualitàfimile  al  fiore. 

In  cui  pur  di  Giacinto  il  nome  vive,  ' 

E di  porpora,  e d’or  ferba  il  colore.  ■ '• 

E la  forza  del  fulmine  prcfcrivc.  v 

E la  pefte  difcaccia,  e’I  mal  del  core. 

Ri  de  ne’d'i  ridenti , e per  coftumc 
Quand’io  mi  turbo  in  Ciel,  turba  il  fuo lume 


^3,  Qui  conchiufe  il  parlar  lo  Dio  lucente» 
Quando  colui,  ch’a  premer  l’uve  infegna, 
Quella  (incominciò)  che  veramente 


Merita  gran  pietà  feiagura  indegna, 
Rifovenir  mi  fa  d’un’accidcnte 


Peggior  d’ogni  altro,  che  nel  mondo  avegna,' 


Lo 


qual  fin  che  sù  i poli  il  Ciel  fi  gir  i. 
Sempre  m’apporterà  pianti , c folpiiL 


R(ì 


^4'  E fi  come  nel  caCo  acerlao  e reo 
Nonfur  men  gravi  le  ru.ine,  e i danni, 

Coòì  noumen  d’ Apollo  laà  Baflàreo 
Darà  cagion  di  dolorofi  affanni, 

Perche  l’iiifor turno,  onde  cade© 

MiCerom  svi  l’ Aprii  de’più  verd’anni , 

Si  come  anco  in  beltà  non  ne  fu  vinto. 

Così  non  cede  Pana  pino  à Giacinto. 

éj.  Pampino  (ò bella  Dea)  che  fovra  l'ermc 
diveggia  nacque  del  mio  Pattolo, 
Tù<iclaftirpc  de  gli  A-mori  un  germe. 

Fior  di  vera  bcllcxxa  in  tcrrafolo. 
Senonandade  ignudo,  e filile  inerme. 

Porla  raflbmigliarlo  il  tuo  fìglivolo. 

S’egli  non  havea  gli  occhi  , & havea  1 ale, 
Potea  parer* Amor,  nato  mortale. 

ÉÉ.  La  bella  fronte  gli  adornò  Natura 
Di  gentil  maeftà,  d’aria  cclefte. 

Dolce  color  di  fragola  natura 

Gii  frcearoffegglar  la  guance  honcftp 

Ne  la  bocca  ridca  la  grana  pura 

Tra  fchictte  perle  in  doppio  fil  contefte, 

Nè  quivi  haveaia  rofa  purpurlna 
■Prodotta  ancor  la  Tua  dorata  (pina. 

/ 

<7.  La  notte  tenebrofa , il  Ciel  turbato 
Sirifehiarava  dc’begli  occhi  al  lume. 

11  vago  piede  imporporava  il  prato, 

La  bianca  mano  innargentava  il  fiume» 
Qualhor  liev’aura  con  foave  fiato  ^ 

1 Confondendogli  il  crin , (corea  le  piume', 

\ Parca  fpar fo  su’l  collo  il  bel  theforo 

Sovra  un  collo  d’avorio  un  bofeo  d’oro. 

X 5 Che- 


ti* 


4j8  LA  sepoltura; 

£8.  Che  veggio  oimè  {difs’io  quando  ferito 
Fui  pria  da  lo  fplendor  del  chiaro  raggio) 

Chi  è coftui  ì di  qual  contrada  ufeito?  ^ ^ 

Deh  qual  feme  il  produlVe?  ò qual  legnatici  t 
N on  già,  ben  che  tra  Iclve,  ei  fia  nutrito, 

Di  N infa  il  partorì  ventre  felvaggio,  ^ 

T4Ò,  nò,  non  nacque  mal  nel  terrei!  noftio  * 

De  la  fchiatta  de’Fauni  un  fi  bel  moftro.  ^ 

0 

<5.  Eller  non  può  giamai,  che  beltà  tanta  ' 

Di  coli  roza  origine  proceda.  ^ 

Mercurio  è certo  à la  fembianza  fànta  , i 
O’piCi  tofto  Himeneo,  quant’io  mi  creda,  1 
Mà  dove  fon  de  l’una  e l’altra  pianta 
J pennuti  talari?  ov’è  la  teda  ? 

Poi  c’inà  il  crin  d’oro,  efler  dee  forfè  Apollo 
Senza  i^etra,  e fenza  cetra  al  coUo^ 

.70.  O’fc’lgiudicio  mio  nen  è fallace. 

Se  non  m’ingannanle  fatezze  rare. 

Sarà,  ben  che  non  porti  arco , nè  fece  » 

Il  figlio  di  colei,  che  nacque  in  mare, 

Mà  fcufimi  la  Dea,  fia  con  fua  pace. 

Io  dirò,  ch’impollìbile  mi  pare. 

Che  membra  si  gentili,  c fi  leggiadre 
Deggian  Marte , ò Vulcano  ha  ver  per  padre, 

71.  Dimmi  vago  fànciul,  dimmi  chi  fei? 
Tua-progenie  dichiara,  e tua  fortuna. 

Sì  sì,  sò  die  m’appongo  e’I  giurerei. 

Certo  del  Sol  ti  generò  la.Luna, 

Perch’  affai  ti  vegg’io  fimilc  a lei, 

Quand  è ferena,  e fenza  nube  alcuna, 

E tal  ti  mollra  ancor  la  fronte  adorna 
Di  due  sì  belle,  e giovinette  corna. 

Hil 


> 


CANTÒ  DECITA.  OTSTOTSrO.  43^ 

li  Hot  qualunque  tu  Ga,V>cn.  cK’io  (la  Dio, 
fette  mia  Deìtate  11  Ciel  dlCprexxa, 

£ te  mortai  far  pofl'effbr  v o gl'  io 

Di  quanta  hò  colafsù  gloria.  , e grandezzaj 

fero  chefe  celeftcè  il  Cangtic  mio, 

Cclcfte  è ancor  la  tua  Comina  l>ellezza , 
fnvò  di  tanto  ben,  rifiuto  e fclegno 
Detcrne  gioie  del  beato  regt\o. 

t 

7Ji  Non  curo  fenza  te,  da  tc  dlvlCo 
Sulcftellehabitar  l>5u.mc  imtuorcalc» 
fercb’cflìliomi  fora  il  Par  adì  Co, 

Blontan  da  la  luce,  oml>r  a infernale. 

fiu  d’un  fol  guardo  tuo  > ■piu  d un  (orrifo, 
Sèiel  divino  nettare  mi  cale. 

Habbiami,  ò fiafi  in  Cirelo,  ò fiafi  altrove. 
IPurche  Pampino  m’ami)  in  odio  Giove. 


74.  Mentr’Io  così  parlava,  ei  de  la  loda 

Superbiva  ridente,  e baldanzolo, 

E dimenando  la  laf ci  va  coda  ^ ^ 

Dava  feeno,  cKc’l  cor  gioiofo. 

Hor  chiW  che  con  pietà  non  m oda  ? 
Oqual  ha,  che  non  pifng^  > occhio  pictofo, 
Mentfio  racconto  (aln  sfortunato)  altrui 
Le  dclitic,  c i piacer  , c’hehbi  con  lui? 

7,.  Quando  il  merigs'to 

sSza  rabViofo  la  campagna  apnea , 

Nc  raccogUea,  ne  nafeondea  fovcntc 
Tràiombre  denCe  unalelvctta  antica, 

E fcorgeaiie  amboduo  piacevolmente 

llcorpoeffercitar  conia  fatica,  _ 

Lanciando  il  thirfo,  over  la  pietra  in  alto , 
A la  lotta,  a la  danza,  al  corfo,  al  fallo. 


Nè 


LA  SEPOLTURA, 


440 

7^.  Nè  palmcj  ò lauri  eran  le  fpoglle*,  e i preg^ 
De  la  vittoria  ai  duo  felici  Atleti, 

Ma  ghirlande,  e farapogne,  e dì  bei  fregi 
Ricchi  coturni,  e zanii,  e dardi,  e reti, 

Et  oltre  quelli  ancor  quantunque  egregi. 
Altri  premi  più  dolci,  e più  fecreti. 

Le  pugne  eran  fenz’ire,  e fenza  olfele. 

Et  era  arbitro  Amor  de  la  comefe. 

77.  Quelle  bellezze  ruftiche  & incolte. 

Quelle  fue  chiome  fcarmigliate  efpartc 
Aliai  più  mi  piacean  di  molte  e molte, 

Che  polir  fuol  lo  ftudio,  adornar  l’arte. 

Gli  Orfacchini  cacciava  anco  a le  volte,  ' 

E 1 Leoncini  in  quella  e’n  quella  partei 

Et  io  per  le  forelte,  e per  le  tane 
Gli  porgea  l’arco , e gli  menava  il  cane. 

78,  Talhor  ne  Tonde  placide  e tranquille  - 
Seco  feendea  del  fiume  amico  e fido, 

E lavandoci  infieme,  alte  faville 
Traheadal  freddo  humor  TArcier  diGni4o 
Di  gigli,  e rofe , e mille  fiori  e mille 
Si  fregiava  la  ripa  intorno  al  lido , ^ - 

E f.’.cea  con  frefc’herba  in  largo  giro 
Coronadifmeraldo  al  fuo  zaffiro.  . 

Gli  afpri  Egipani,  e i ruvidi  Sileni 
Rompeano  anch’elfi  il  criftallinogelo, 
S’acciiffavan  nel  gorgo  i Fauni  oueni 
Col  capo  a Tacqua,  c con  le  piante  al  Cielo^  / 
E feoprivan  di  fuor,  e curvando  i feni, 

De’rozi  dorfi  il  rabbuffato  pelo.  i 

Poi  de’pefcl  dorati  in  sù  le  fponde 
Trahean  le  prede  da  Is  lucid’onde. 

Irri 


L 


CANTO  DECI  Ni. 44, 

> cK’entro  le  vene 
harvea  celate, 
tdiftondeasùle  purpurc  arene 
Seminatrici  d’oro  acque  gemmate, 
p rilucenti  pietre,  oiid’cran  piene , 
mfeegUendo,  eie  concliiglle  aurate. 

Et  lofemprc  a la  pefea  , al  nuoto,  al  bagno 
belmzoCD  ÉmciuUo  era  compagno. 


*1.  Per  qualunque  di  Lidia  eftrania  riva 
Sempre  il  feguia  con  piè  Ipedito  cprefto  . 
Se  cantava  talhor,  lieto  io  l'udiva, 
Sepoitaceafijion’eraafftitto  e mefto. 

Li  notte  in  odio  havea,  clie  mi  rapiva 
§uel  §0lj  Lenza  il  cui  lume  Hor  cieco rcflo* 
Cosi  pallai,  mentr’liebbi  i fati  amici, 
ColSacirettomio  l’Kore  felici. 


ti.Màvoire  il  Cicl,  che  da  me  lungo  un  giorno 
Sù’ltcrgo  (oimc)  d*un  fiero  Xaiiro  afeefe. 
Diverdi  foglie  un  guerni  mento  adorno 
Per  lo  petto,  cpcrl’homero  gliftcfc. 

Legato  In  fronte  a l'un’  e 1 altro  corno 
Un  fiocco  di  papaveri  gH  nppefe  j 
E a la  bocca  per  frenarlo  al  corfo 
Di  pieghevol  corimbo  ci  fece  il  morfo. 

Ij.  Sovra  la  groppa  di  viole  , e rofe 
Fabricogli.le  bavbe,  clesirelle. 

Poi  su  le  fpallc  floride,  c frondolc, 

Com’a  i dcllricr  s’adattano  le  felle. 

Gli  valTettò  dintorno,  e glicompofc 
La  fua  dipìnta  e variata  pelici 
X’nficme  attorto  con  purpureo  naftro 
Sìfedi giuttchi»  e ferule  unvincaftro. 

" '^5  Poi- 


^4^  la  sepoltura. 

84.  Poiche’lToro  crudel,  ch’Orfi,  e Leoni 
VlnfecU  rabbia,  ecoricio  hebbe  inrai  gui£c> 
Prefeie  a montarlo,  c’n  sù  ì fioriti  arcioni 
Selvaggio  Cavalier,  lieto  s’alfife, 

E a (fildoflo,  e fenzaftaiFe,  ò fproni 
A governarlo  intrepido  fi  mife. 

Così  per  balze  alpeàri,  e pervie  corte 
Sferzava  ìl’luo  uccifor  verfo  la  morte» 

85.  Fin  che  fi  fu  nel  prato  apicn  pafeiuto, 

E nel  rufcello  abbeverato  Intanto, 

Come  intelletto,  e fenno  havefle  hayuto*. 

O fiato  fufl'e  al  fuo  Paftorc  a canto, 

, Soffrendo  il  pcfol’animal  cornuto. 

Cavalcar,  maneggiar  lafciofli  alquanto 
Onde  Pampino  mio  parca  per  Pnerba 
Altra  Europa  più  bella,  e più  fuperba. 

t6.  Ma  perche  forfè  troppo  egli  fen  gìflc 
Di  tanta  gloria,  e di  tal foma altero, 

O perch’invidia  il  vide,  e fen’afilifle 
Cinthia,  c’hà  de’Giovenchi  il  fommo  impelo 
E con  acuto  ftimulo  il  trafiffe. 

Ci  manfueto  ci  diventò  si  fiero. 
Ch’incominciò  per  difeofeefi  calli 
A làltar  folfi  & a crafeorrer  vallL 

87.  Per  l’erte  cime  de  la  rupe  alpina 
Impetuofamente  a guadi  paf&. 

E con  corna  craverla,  e fronte  china 
Ehi,  e roveri  urtandoli  capo  abballa,. 

E porta  ne  l'andar  canta  mina 

Che  pietre  fpezza,  & arbori  fracafla. 

fiamme  da  gli  occhi  torvi  aventa  e fcocca^ 

£ horendibianùù  ha  ue  la  hocco. 

^ .Vedi 


443 


CANTO  DECI'NIO  N OMO. 

% 

M.  Vede  il  Garzon,  cK’ind  o mica  e feroce 
Labeftìa  a traboccar  va  per  laÌDalza, 
t con  la  man  fi  sforza,  e con  la  voce 
Di  placar  quel  fiir  or,  ma  più  l’incalza, 
Cile  rinforza  {buffando  11  pie  veloce. 
Apre  le  nari,  e l’irta  coda  Inelza, 

Torce  lo  fguardo,  e con  o\5li<que  rote 
Lafchiena  incurva,  e la  cervice  IcoceJ] 


Dove,  dove  ten  corrls  arreda  i palfi 
Toto  pcrverfo,  Ineftoral^il  "X  oro. 

. Non  vedi  (oiiiiè)  cVie  era  <queft  afpri  falli 
Miferamente,  e {enz.a  colpa  io  moro? 

Non  far,  non  far,  cliela  crcataiolam 
Tri  pruni,  efterpl  <qvLcda  chioma  d oro>  , 
Quella,  ch’ai  mio  fedel  cotanto  piace, 
Esò,  ch’è  del fuo  cor  n-odo  tenace. 

«0.  Io  t’adornai  le  corna,  e di  bei  fiori 
Lemani  aeoronarti  hebbi  si  pronte, 

E tu  nel  fior  dc-glor  m mici  migliori 
Precipitar  mi  vuol  da  oucfto  montei 
Vedi,  che  fon’ ancU’ io  fimile  ai  T ori. 
Come  la  tua  fai  cara  è la  mia  fronte. 

Sci  pur  miniftro  a coltivar  la  fpica  ^ 

Dela  Dea,  che  di  Bacco  è tanto  amica. 

51.  M^e  dime  , che  troppo  incauto  fui. 
Pietà  non  hai,  nè  curi  un  Nume  famo 
Portami  almeno  al  mio  Signor,  da  cui 
Forfè  havrò  dopo  morte  honor  di  pianto. 
Forma  bumana,  favella , e narra  a lui 
1 Vmola  mia  forte , e miierabil  tantoj 
i c“e Sùauolm!  da  la! divifo, 

tettai:  sì  ciudelmeme  uscifo. 


444^ 


LA  SEPOLTURA, 

C^cfti  efprimer  piangendo  ultimi  accenti 
Gli  udir  le  Ninfe  de’vìcini  colli, 

Le  Ninfe,  ch’a  me  poi  mefte  e dolenti 
Vennerlo  a referir  con  gli  occhi  molli. 

Ma  1 orgogliofoBue,  che  d’ire  ardenti 
Havea  gli  fpirti  infuriati  e folli, 

Non  curando  i fuoi  preghi , ò le  mie  dogUe> 
Trallelo  alfine,  ove  lafciòle  Ipoglie. 

Scotendo  II  dorfo  con  terribil  crollo, 

Pofeia  c’hebbe  un  gran  folto  in  aria  prcfb> 

Do  se  lunge  lo  Ipinfe,  indi  lafciollo 
Sovra  il  duro  terren  battuto,  e llefb. 

Onde  sù  le  vertigini  del  collo 
Cadendo  del  bel  corpo  il  grave  pelo, 

Fiacco  la  nuca , e’n  guifa  il  capo  in£faoic> 
Che  la  rigida  felce  anco  ne  pianfe. 

54*  La.To,  con  qual  querele,  e quali  accufe 
Io  maledilli  aJlhor  le  ftelle  tutte? 

Peniate  voi  poiché  le  luci  ci  chiulè, 

Scrimafer  le  mie  di  pianto  alclutce. 

P A^lì,  e d’ambrofia dolcemente  infufe 
Le  iiedde  membra  e di  belfangnebruttCj, 
Cosi 'tracciato  in  braccio  io  me  l’accolfi> 

£ del  rato,  e più  del  mio  mi  dolli. 

* ‘rnmi  Pampino  mio , deh  dimmi  hot  quale 
I uccile  empio  e crudel  inoltro  iracondo, 

^ Baco  tuo  doglia  immortale, 

Ch’clier  folca  per  te  fempre  giocondo 
Seforfe  ti  fbranò  crudo  Cinghiale, 

La  ria  progenie  eftirperò  dal  mondo. 

Senza  iafeiarne  pur  di  tanto  ftuolo 
A le  facete  di  Diana  un folo. 


Se 


Se  Tigre  acce£a  d’ira,  ebra  d’orgoglio 
De  l’amato  mio  ben  t ù V bomicida, 

Hor'hor  dal  carro  mio  rcacciar  la  voglio  > 
Come  rubella , al  Tuo  Signore  infida.. 
SefierLeon  mi  diè  queito  cordoglio, 

A quanti  in  grembo  l' Africa  n’annida 
Morte  darò , nè  fìa  pur  ch’a  i Leoni 
De  la  gran  madre  Cibela  perdoni. 

Ma  fe  perfido  Toro,  ^maledetto 
De’ tuoi  di  non  maturi  il  filo  ha  mozzo, 

E con  gloria  fen  và  ( coinè  m’handettoi 
Del  tuofangue  gentil  macchiato  e Tozzo, 
Dimoftrar  gli  ben  tolto  io  ti  prometto 
Quato  il  mìo  del  Tuo  corno  ha  miglior  cozzoj, 
O il  mio  thirfo  farà  , ch’a  lafciar’habbia 
Sovra  il  tumulo  tuo  l*^ultima  rabbia. 

jJ.  Perche  non  Ceppi,  che  calcar  lefpalle 
Bramavi  pur  d’uà  Tauro  iniquo  c rco^ 

Ch’ì  deftrier  generofi,  c le  cavalle 
Da  l’armento  Pilano,  e da  l’Eleo, 

E da’prefepi  antichi,  c da  le  ftallc 
Thaurei  recati  del  gran  monte  Idcot 
Patria  del  belfanciul,  da  Giove  accorto 
Sotracto  a lacagion,  che  mi  t’hàmorto,. 

9%  Se  fiati  i miei  penfier  fixflcr  prefaghi t 
Che  per  un  vano  e glovenll  piacere 
Erano  i tuoi  defir  cupidi  e vaghi 
D’effercitar  cavalli , ò domar  fere , 
T’havrei  dato  di  Rhea  sferzar’!  Draghi, 
T’havrei  dato  affrettar  le  mie  Pantere. 

Emo  de  la  Tua  ftefl'a  aurea  quadriga 
T’iiayrcbbc  Apollo  amiariehiefia  Auri 


'44^  LA-  SEPOLTURA, 

jio.  Ahi  l’Oreo  fordo,  dnd’ altri  unqua  no  rledc. 
Mai  non  fi  placa,  e fuo  rigor  non  fraude. 

Nè  mai  rende  Pluton  le  colte  peder 
Per  ricco  dono  di  chi  prega,  e piange; 

Che  s’accettar  voleffe  aurea  mercede, 
Quant’oro  accoglie, e quante  gemme  il  Gage 
Quante  ricchezze  han gl’indi , e gli  Eritrei 
In  cambio  del  mio  Pampino  darei. 

loi.  Deh  che’I  poter  morir  caro  mi  fora 
Per  unirmi  al  mio  ben  nel  cicco  regno. 

Ma  tu  fpiecato  Sol,  che  chiara  ancora 
Portila  luce  tua  di  fegno  in  fegno. 

Perche  di  far  col  Tauro  (oimè)  dimora 
Ne  gli  alberghi  del  Ciel  non  prendi  a fdegnò 
Poic’hàfepolco  un,  Tauro  empio  d’inferao 
V n si  bel  Sole  in  Occidente  eterno. 

•gox.  Fuggano  i Fauni  la  funefta  fponda, 
Piangan  le  Ninfe  la  crudcl fortuna, 
Scolorifca  ogni  fior,  fccchi  ogni  fronda. 
Copra  l’infaufto  Ciel  nebbia  importuna. 
Rompa  l’urna  il  Sangario,  e Tacquabionda 
Del  mio  Patrolo  homai  diventi  bruna, 
Abhorra  Dioneo  con  le  Baccanti 
Le  liete  menfe,  e gli  organi  fonantL 

ìpcj.  Cosìdolcami , c’Ilrozp  ftuol  caprig*® 
Seguiva  «Ito  ululando  i miei  lamenti. 
Giaceva  il  bullo  Iqnallido , e fanguigno,) 

Ma  Icincillavan  pur  gli  occhi  ridenti. 
Ancora  il  volto  amabile  e benigno 
Role  frefchc  nutriva,  e fiamme  ardenti  ? 

Nè  da  le  labra  fmorte  e fcolorite 
£ranl*a^tte  Gratie  ancor  partite» 


Atropo  grida.  Il  fommo  Giove 
Più  non  vuol  (Bacco  ) homai,  che  di  quereli» 
Il  Fato  al  pianger  ttxo  con  gr arie  nove 
DaPuCaco  tenor  diitornai  cieli 
E’I  gran  decreto  a cancellar  fi  move 
De  le  ParcheimplacabilijC  crudeli. 

Onde  malgrado  de  le  ftelle  ree, 
Nonpafferà’Ltuo  amor  Tacque  Lethee;» 

105.  Vive  Pampino  vive, c ben  che  fembrl 
Spento  deTuoi  begli  il  lume  chiaroj 
Vedrai  tofto  cangiati  i vaghi  membri 
Nel  buon  licor  , cl>’ altrui  farà  sì  caro. 

Ti  diè  (sò  che  con  duol  tene  rimembri). 
Morendo  afpra  cagion  di  pianto  amaro. 

Per  dar’ al  mondo  tutto  hor  ch’egli  è mofCt^ 
Oagion  poi  di  letitia,  c di  conforto* 

io<.  Diffc,  e miraeoi  novo  allhorm’appatrci 
Prefe  altra  forma  il  Giovane  infelice, 

Il  cadavere  cflangue  abbarbicarfe 
Vidi  ratto  nelfuolcon  la  radice. 

Et  fatto  lungc  ftipit«,con  fparfe 
Vari  rampolli  poi  da  la  cervice 
Le  braccia  germogli  ar  tralci  novelli, 
Divenner  foglie  1 panni,  uvei  capelli, 

K>7 . Serpe  la  nova  pi  anta , e i rami  ombro^ 
Piet^ando  intorno  Tincurvate  cime. 
Serbano  ancor  ritorti  e fleflUofi 
L’antica  effigie  de  le  corna  prime. 
■Nlutafiàn  vivo  il  fangue,  c fan^uinofi- 
Gli  acini  fono,  ond’el  licor  s’elprimei 
E*<qviella  fpoglia,  ch’infenfata,  e privai 
Era  intatto  m vita»,  in  Vite  viva. 


Tolfo 


44S  la  sepoltura;  If 

lo8.  Tofto  ch’io  vidiil  trasformato bufto  t 

V eftir  del  vago  Autunno  i verdi  honorl  j 

E i tronchi  ignudi  del  vicino  arbufto  i 

De  la  pompa  arrichir  de’fuoi  thefori,  j 

V enni  in  defio  d’all'aporar  col  gufto  i 

De’bei  racemi!  generofihumori,  ^ i 

E da  l’eftinto  autor  de’miei  tormenti  3 

Golfi  i maturi  grappoli  pendente  j 


105».  Premuto  il  dolce  frutto  Infrale  mani>  * 

Stille  n’ufcir  melate,  e rugiadofe, 

E fcaturir  dal  gonfio  fenoi  grani  ; 

Acqua  odorata , e di  color  di  rofc,  - ' 1 

Raccolfermezo  ftupidii  Silvani 
Quelle  porpore  belle,  e pretiofe, 

E con  lebbra,  e con  le  man  vermiglie 
Del  prodigio  elblcar  le  meraviglie. 

310.  Et  in  quando  di  manna  humidi  e gravi  . 
Schiacciai  col  dente  i turgidi  rubini, 

E vie  più  dolci  gli  trovai , che  i favi. 

Di  pampi  fregiar  mi  volfi  i crini} 

Et  ò Pampino  {difiij  ancor  foavi 
Sono  i coftumi  tuoi  piu  che  divini 
Fatto  il  bel  corpo  tuo  frondofo  c verde 
Le  Tue  prime  dolcezze  ancor  nonperde*- 

III.  Certo  tu  vivi,  e per  pietà  l’Infèrno  > 

Rivogò  lafentsnza  afpra  efevera 
Nc  veder  ti  lalciò  nel  ballo  Averno 
L’occhio  fatai  de  lacrudel  Megera. 

Non  diè  la  terra  al  Tuo  ornamento  eterno 
T oraba  commune  ala  vulgàrc fchlcr^ 

Ma  vergognoin,  acofe  vii*  avezza, 

Pinaicoudere  in  ièn  UQca  bellezza. 

Umio  ♦ 


f CANTO  DECIMONONO.  44^ 

Hi.  Il  mio  gran  Padre  in  arbofccl  ferace 
Cangiato  t’hà  per  honorare  il  figlio, 

E del  voi,  che  già  fu  sì  vivace, 

Ti  lafcia  ancora  il  bel  color  vermiglio, 
Efachc’lfucco  tuo  dolce,  e mordace 
Tranquillili  petto,  e raflexeni  il  ciglio, 
Efgombrìdal  penficr  le  nebbicofeurc 
De  le  noiofe  & inapor  cune  core. 

■ II).  Odelitiadcl  mondo,  e dc’mortali, 

Odcl  nettar  celcfte  elTempio  in  terra. 

Spiritofa  bevanda  oblio  de’malì 
E pace  de’dolor,  eh* altrui  fan  guerra, 

Quaifur  mal  per  forze  , ò guai  virtuti  eguali 

A l’invitto  valor,  chc*n  te  fi  ferra  J 

Ogni  altro  frutto  ho  mai  per  te  s’abhorra. 

Nè  tcco  in  pregio  altr’ arbore  concorra. 

J14.  Qual  più  famofa  pianta  infciva  alberga 
Convien  che  ceda  al  tuo  ben  nato  ftelo, 

E che  qual  ferva  tua  , curvi  le  terga 
* Sotto  quel  pefo,  ch’è  fi  caro  al  Cielo. 

Non  fia  giamai,  ch’a  tanta  glorih  s’erga 
Il  Fico,  il  Pruno,  il  Melagrano,  il  Melo, 

Da  Palma  Iftefla,  ancorché  qual  Rcina 
Sovra  falere  trionfa,  a te  s’inchina.  » 

Et  aragion  la  priina laude  havrai 
Da  Fauni,  da  Pallori,  e da  Bifolci. 

Perche  falere  non  dan,  come  tu  dai. 

Diletti  al  fenfo  fi  foavi  e dolci. 

Tupiù  d’ognl  altra  a gli  egri  Ipirti  affai 
I Porgi  riftoro,  e’I  cor  rallegri  e molci. 

\ bangvùCcon  di  te  privi  e balli,  e canti. 

Nè  ion  mai  fcaza  ce  menfe  fcffancl. 

Hor 


Ijf j©  LA  SEPOLTVRA. 

ji6.  Hor  non  cur’io,  pur  che  tu  racco  viva. 
Che  facraa  Giove  uà  la  quercia  antica. 

Il  ricco  pioppo  ad  Hercolc  s’afcriva. 

Di  Febo  il  dotto  lauro  cfler  fi  dica. 

Habbia  Minerva  pur  la  verde  oliva,  - 

Habbia  Cerere  pur  la  bionda  fpica. 

La  bella  rofa  a Citherea  fi  dia , 

Sola  di  Bacco  tuo  la  Vite  fia. 

liy.  ^Tacqui  di  ciò  ddtto>  c ben  capace fofla 
Cavar  feci  nel  faflb»  c ben’agiata , 

E’I  frcfco  fior  de  la  venderainia  roffa 
Riporvi  de  la  ruftica  brigata, 

Onde  da  sè,  non  pefta,  e non  pcrcofla 
Vfcl  la  prima  lagrima  rofata. 

Pur  cominciar  ne  l’apprcftato  bagno 
Col  torchio  a premer  TuvcjC  colcalcagnow 


Ii8.  Ferve  già  l’opera , già  viene  a carpirli 
Il  novo  parto  de’viticci  opachi. 

I Coribanti  infani , e gli  Agathirfi  ^ 

Van  quinci  e quindi,  e i Satiri  imbrisicl^ 
Chi  sfronda  i rami  per  ghirlande  or diru> 
Chi  fvclle  i rafpi,  c chi  ne  fpicca  i vachi 
Chi  n’empie  il  grembo  da  quel  lato  c qucfto 
Chi  n’attende  a colmar  fefcina,  ò cello. 


Altri,  come  talhor  ne  l’aia  ftanno^ 

De  le  biade  ^ufciate  i monti  integri. 

Nel  cavo  vaio  raccogliendo  vanno 
I grani  in  muchi . e megliono  i più  negri* 
Altri  portando  i palmiti , che  fanno 
Oltre  modo  brillar  gli  fpirti  allegru 
Vien  la  gravida  già  madre  de  l vino 
Con  rifi,.e  cancUj[caricar  nel  tino. 

parte 


Canto  deci  monono.  j^ì 

HO.  Parte  poiché  fornito  Hà  di  comporre 
Il  cumol  tutto,  onde  la  cava  è piena. 

L’uva,  che  già  calcata  in  rivi  feorre, 

A vicenda  co’ piè  Ivifccra,  e (vena. 

Già  fpicciail  vino,  e già  comincia  a fcioric 
Ifuoivivi  torrenti  in  larga  vena, 

£ fa  bollir  la  violata  ij^uma, 

Da  cui  grato  vapore  diala,  e fuma, 

tu.  Mugghia  la  turba  intorno  a le  beH’ondc> 
Che’l  purpureo  rurccl  per  tutto  verfa. 

Del  canal,  che  ne  piove  , e fi  diffonde, 

Qiiei  ticn  la  man,  qucfti  la  bocca  immerfà» 
Quei  de  le  dolci  {bilie  , c rubiconde 
Tutta  ha  dentro  , e di  fuor  la  gola  afperfaj 
Quefti  da  poi  che’l  ciottolo  n’nà  pieno, 
V’ateuffa  il  volto,  e fé  n’innaffia  il  fenou 

m.  Chi  ftringe  con  le  dita  entro  la  tazza 
Di  lieti  fiori  incoronata,  il  grappo. 

Che  di  libarlo  apena  fi  folazza. 

Col  fommo  labro,  e chi  tracanna  il  nappo. 
Quel  furor  dolce,  c quella  gioia  pazza 
£à  che  non  curi  alcun  Uno,  ne  drappo. 

Onde  fan  roffcgglar  l’uve  bevute 
L’hifpide  barbe,  e le  nafcelle  hirfate, 

113.  Alcun  ve  n’hà,  chela  virai  rugiada 
Con  un  corno  di  bue  per  bere  attiene, 

E guftata  che  l’hà , tanto  gli  aggrada 
La  foftanxa  del  del  data  a le  vigne. 

Che  forze  è poi,  che  titubando  cada 
Con  luci  enfiate  c torbide,  e fanguigne,. 

E vinto  da  colui , che  mutò  forma, 

Ebro  vaneggi,  e tramortito  dorma. 


'45^  tA  SEPOLTURA, 

I14-  Non  hebbc  forza  l’invcntor  del  mofto  - 
Di  più  dir’altro  a icircoftanti  Numi, 

Che  l’amara  memoria  inondar  rotto 
Gli  fé  le  guance  di  duo  caldi  fiumi, 

Onde  il  fémbiante  in  grave  atto  cqmpofto 
Tacendo  s’afciugò  gli  humidi  lumi, 

E poi  ch’egli  del  tutto  Irebbe  taciuto  , 

Cosi  parlò  lo  Socera  di  Pluto. 

J15.  Ne’voftfi  cafi  (ò  Dei)  non  vi  confolo. 

Che  di  pianto  fon  degni,  e di  cordoglio; 

Ma  chi  langue  d’amor  non  è mai  fblo,  ' 

Anch’io  d’ìafio  rammentar  mi  foglio. 

Taccio  quanto  foifcrfi  affanno  c duolo. 

Che  l’antiche  follie  narrar  non  voglio. 
Narrerò  d’un  ^arzon  tragedia  tale. 

Ch’io  pianfi  piu  l’altrui,  che*!  proprio  male* 

Nè  trovar  fi  porla  chi  farne  fede 
Meglio  di  me,  che  l vidi  unqua  potette, 
Perch’ove  bagna  a la  mia  reggia  il  piede 
L’onda  di  SciUa,  iUcafo  empio  lucceflc, 
Videlo  ancor  coftei,  che  tra  noi fiede, 

E’I  vider  Teco  le  fue  Ninfe  iftette , 

E v’accorfe  pietofa , e fe  ne  dolfc , 

E tra  le  braccia  il  mlfero  raccolfc. 

u-7*  Aci  il  gentile  , un  Paftorel  Sicano, 

Fu  già  di  Galathea  l’unico  foco, 

Galathea  bella , che  feguita  invano 
Era  di  Polifemo  in  ogni  loco. 

Appo  lui  quafiftilla  a l’Oceano  * 

Era  ogni  altra  bellezza  ò nulla,  h poco. 

Onde  ciafcunaNlmfa  empiea d’amore, 

E ciafcun’huom  d’invidia,  c di  ttuporc. 

Cedano 


CANTO  DECIMO  NONO.  4jj 

u8.  Cedano  ì duo, che  qu\lo<lat\  Kan  canto 
DiSemcleilfiglivolo,  e di  Larona, 

0’ qual  maggior  beltà  celebra  il  xanto 
De  le  dotte  lorelle  m "Hlelicona. 

Il  filo  puro  candor  toglieva  il  vaat<» 

A le  bianche  Colombe  di  Dodona. 

Il  filo  dolce  rortor  faceva  oltraggio 
Ai  color  de  l’Aurora,  a i fior  di  Maggio* 

119’  Una  collina,  che  riTporidc  al  mare, 
Vcriunnocon  Nettuno  accoppia, e raefee. 

Per  entro  Tonde  fuc  tranquille,  e chiare , 
Publico  albergo  al  mài  difeCo  pefee, 
Unpavimento  lucido  trafpare. 

Lo  qual  vaghezza  al  va^o  (ito  accrefcc. 

Di  nicchi  fini,  e di  lapilli  terfi, 

Tutti fmaltatl  di  color  diverfi» 

150.  La’vcda  Therba  tremula  indiftinto 
Agitato  dal  flutto,  il  giunco  pende. 

Divario  mufeo  il  margine  dipinto 
Molle  di  frefea  arena  un  letto  ftend©, 

Si  d’alti  CafiTi  incor  o nato  e cinto , 

Che  loffio  d’  Aquilon  mai  nonl’oflcndc. 

Sol  placid’aura  intorno  al  curvo  grembo 
GTincrefpa  Torlo,  c gTinnargcnta  il  lembo< 

131.  Tinta  d’azurro  ne  le  ripe  cftreme 
Par  la  verdura,  e l’acqua,  e verdeggiante, 
Kagionar  punto,  e falutarfl  infieme 
Il  cultor  quinci  e quindi,  e’I  navigante. 

Mentre  Tun  rade  il  lido,e  l’altro  il  preme, 

Han  communi  tra  lor  Taighe,  e le  piante. 

L'un  può  col  remo  cor  Tuve  dal  tralcc. 

L’altro  i coralli  mieter  con  la  falce. 


LA  SEPOLTVRA,  ^ 

Qu\  folca  6alathca,lafciando  Ubali# 

De  Taltre  Ninfe,  e de  le  Dee  marine. 

Dal  ter^o  d’unleggier  Pefee  cavallo 
Sùrafciutto  fmontar  del  bel  confine» 

Et  Acide  le  membra  di  criftallo. 

Molli  di  perle,  Schumidi  i^ì brine. 

Con  mille  caldi  fofpiretti'e  mille 
Gii  rafeiugava  le  cadenti  ftitle» 

ijj.  Vnglornaufcìta  pur  f come  folla)  * 

A fcherzar  per  le  liquide  campagne. 

Venne  il  fuo  amor  per  la  cerulea  via 
Separata  a trovar  da  le  compagne  , 

E difeefa,  ove  fà  l’ifola  mia 
Vnpromontorio  fol  di  tré  montagne» 

Senza  fofpetto  alcun  d’infidia  altrui 
Stavafi  fola  a trattener  con  lui. 

Ij4.  Di  duo  pendenti- d’indi  ci  zaffiri  . ^ 

Gli  havea  guernito  il  deliro  orcccbno  » c 
E circondato  con  minuti  giri  [manco. 
Di  tré  lince  di  perle  il  collo  bianco. 

TcncagU  conlorrifi,  e con  fofoiri 
L’una  mano  alla  guancia,  c’I  aitraal  fianco, 

E dolce  à sé  ftringcndolo,  nutriva 
Dentr o i l gelido  fen  U fiamma  viva* 

ij;.  E baciandordlcea’,  Che  fia  che  fclolga  • ^ 

Giamai  q^uc(loì(ò  mio  ben)  caro  legame? 

Pria  che  u rompa,  ò ch’altri  a me  mi  tolga, 
Yò  che  fi  rompa  ilimlo  perpetuo  ftame* 
Frema|>  fcopul  (fesà}  s'adiri,  c dolga 
li  cerror  di  Sicilia,  U mofiro'jnfame, 

Di  cui  più  fiera  e rpavencoCi  belva 
Non  vivo  la  tana»  e non  alberga  in  felva. 

Iatt% 


CANTO  DECIMON  ONO.  4;; 

i)(.  huoqalpaufaal  vezzi  , e Ce  noncronchci 
Leniate  le  dolclflìmc  caterxc, 

Scgoavan  con  le  pietre,  c corxl  c conche 
Delegiòlelaromnaa,  e de  le  pene. 
Sàlolcogliato  fcolplan  per  Icrpelonclic  > 

Per  la  riva  fcrivean  Covra  Tarcnc 
Suggellando i caratteri  co*baci. 

Acm  Galathea , GalatHea  d*  Aci. 

IJ7.  Hor mentre  incauti,  c Cenz’alcun  pcnficro 

. Stanno  in  tal  guifa  a traft  vallar  fi  i due , 

Eccoviene  ilCiclopo  l\or rido c fiero  j 
A pafcolar  le  pecor  elle  fuc- 
Sotto  la  manca  aCcclla  vxtv  cuoio  intero 
Per  zaino  ticn  di  ricucito  bue. 

Bcnfifcorgeil  crudel  , q^uand’egU  giunge» 

1 folcggiar  siil’irola  da  lungc, 

ij8.  NondlUcvcfiringa , ò di  (ambuca, 

Mà di  mafiiccl  abeti  bà  cento  canne. 

Cento  buche  ogni  canna  , & ^ni  buca 
^ifurato  U Cuo  giro  è cento  (panne, 

Quella  Cuoi, quand’avicn , ch'ci  riconduca 
Ta  greggia  a l’hcrba  fuor,  porfi  a le  zanne  > 

Et  accordar  con  cento  fiati  c cento 
Dc’dìfcguali  calami  il  concento. 

JJ9*  Ti  reco,  ò Galathea^  j da  quelle  rupi  i 
Due  pargoUtic,  c Icggiadrectc  Damme, 

Pur  cne  gU  ardori  ci  piaccia  Interni  e cupi 
Alquanto  mitigar  de  le  mie  fiamme. 

A te  le  dono»  c le  fottrailt  a l Lupi, 
CheletogUeanoale  materne  mamme. 

ce  Lupa  crudel  non  fia  chlo  rcoìpì, 

Ch'afiài  preggio  il  miocor  divori  e ^olpU 

Noi 


4j6  la  sepoltura;  " 

, 140.  Non  mi  fprczzar,  perch’io  di  queftarocd# 

Habiti  l’afpra  c ruvida  latebra, 

Nè  perche’l  lume  mio,  cli’a  goccia  a goccu  ■. 
Per  te  fi  ftilla  appanni  una  palpebra. 

Non  »i  fchcrnir , nè  far  che  sì  mi  neccia 
L’orgoglio,  onde  ten  vai  tumida  5c  ebra.  • 
S’io  séprc  a’cuoi  mlnchino,c  m'inginocchio, 
Abbonir  tu  non  devi  il  mio,  grand’occhio, 

/>  * 4^ ' ® c’habbia  un’occhio  folodo  non  fon’or- 
Il  mio  Guardo  è di  Lince, c non  di  Talpe,  [ho 
. Ben  ti  {coprì  l’altr’hicr  preltb  quel  forbo  ^ 
llbafto  mio,  ch’avanza  Olimpo,  e Calpc, 

, Colfanciul,  ch’io  farò  patto  del  corbe. 

Ad  onta  miafeherzar  Cotto  queft’alpe.  ^ ^ 
Ma  s’altra  volta  il  colgo,  il  mal  fia  doppiai  » * 
#Io  ten  farò,  fencirtofto  lo  feoppìo. 

141.  Così  cantava,  e volea  più  dir-forlc  1 ^ 

Col  guardo  fempreintcnto  a la  marina»  . 

Quand’egli  a calo  inver  la  laida  il  torfe/  ' . 
Che  terminava  la  gran  balza  alpina,  [ ** . 
E de  la  copia  mifera  s’accorfe,  ^ 

La  qual  non  prevedea  tanta  mina,  *’  * 

E d’amor  tutta  cicca,  e tutta  ardente 
Al  periglio  vicin  non  ponca  mente  * 


145.  Ah  che  ben  ti  veggj'io  (colmo  d'orgoglio)  * 
Non  fuggir  Galathea  (diffe  il  Gigante)  ^ 
Ti  veKÌo  c la  vendetta  homai  non  vogU* 
Più  differir  di  tante  ingiurie  ctantcì 

E vendicarmi  vò  con  qucfto  fcoglio, 

Ch’è  del  tuo  duro  col  vero  fcmbiantc, ^ , 
E la  luce  per  te  non  troppo  allegra  ' 

' Segnar  di  qucfto  dì  con  la  pict  ra  negra . 


CANTO  DE  CI  MOiMONO.  457 

♦4-Dcuo,c  fatto  in  an  pu.nto,eccounfracaflb, 
Ond  intorno  il  Cicl  frcm.e>c’  l mal  rimbomba 
E d’alto  inun  precipitato  a baflb 
Mczo  il  gran  monte  impetuoro  piomba. 
Sovrail  mifcr  Garz-on  ruina  il  fàllb. 

Egli  porta  in  un  punto  e mortC,c  tomba 
Sottolarapc,  cKc*l  percote,  c pcfta. 
Fulminato,  c fcpolto  ìndeme  rcfta. 

lonon  so  quaVaftetto  a rimprovifo  ^ 

Più  nel  cor  de  la  Ninfa  allhors’avanzif 
E’ira  contro  UfcUorà,  c'habblarecifo 
Il  bel  nodo,  eh*  Amor  {friafe  pur  dianzi, 

O’ia  pietà  del  Giovinetto  uccifo, 
qual  si  bello  anco  le  giace  innanzi. 

Che  non  con  àlcri  forfè  arti,  c pallori  • 
(Se  poteffer  morir)  morian  gli  amori 

Dunque  per  te  (prorompe  al  fin  gridando) 
Il  fior  d’ogni  mio  ben  languc  diftructo, 

Perfido  Lelirigon,  Moftro  cflecranJQ. 
l'ortcnto  di  Natura  immondo  c brutto? 

Così  grada,  c mercè  s’impetra  amando? 
CosVs*octicn  de  le  Facichell  frutto? 

Non  credo  nò,  nè  fia  mai  ver,  ch’uà  c 3 re, 
R.0Z0C  villano  mgentiUfea  Amore- 

147.  Mà  che?  Ben  pagherai  d*un  canto  tòrto 
La  pena  In  breve,  di  quel  lume  privo, 

Che  quei  terreno  Sol,  c’hoggi  m’hai  morto. 
Indegno  fùdi  rimirar  già  vìvo. 

Ben  che  ituoCdeeno  infano , c poco  accorto 
V til  gli  fu,  per  eflergU  nocivo, 

D*ucclder  tl  credeftT  Acide  mìo, 

£ rivedrai,  che  d'huomPhai  fatto  Dio. 

rw.  11.  ' , V 


Sà. 


45*  LA  SEP^LTVRA, 

14*  . Si  dice,  indi  quel  corpo  amato  c bellòa 
Ch’incapace  c di  vita,  e di  {àlutc,  » 

T rasforma  in  chiaro  e limpido  rufcello  , 

Con  la  divina  fua  farai  virtute-, 

E poic’hà  del  gentil  fiume  novello  ^ ^ , 

Con  le  lagrime  fue  Tacque  accrefciute, 
^Ifàlfo  inu  n col  dolce  humor  confondc>  . 

£ rimefcola  infieme  onde  con  onde. 

149.  Vdifte,ò  Dei,  del  fiero  il  crudo  fdcgno  j 

Non  già  quanto  a feguir  n’hcbbe  dappoi- 
Io*rsò,che’l  vidi,eparmi  ancor  ben  degno. 
Da  ricordarfi,  e raccontarfi  a voi, 
lo’l  vidi , c’I  so,  però  chc’l  vago  it^egno 
Intento  ad  oflèrvar  ne  gli  atti  tuoi  j 
Ciò  che  diirc,e  chefé,  ciò  che  gUavcnnCe, 
Più  falda  impreffion  mainon  ritenne.) 

jjo.  Così  vedrete  alfinj  che  pur’ilcorlc  -i 
Labcftemmiafataldi  Galathea,  l 

0nde quar.t’egli errò,  tanto  fi  dolfc , 
Perdendoli  Sol,  la  forma,  e la  fua  Dea,  . * 
Lasiufta  lesile  del  deftin  non  volfe,  . y 
Ch’impunità  n’andalle  opra  si  rea.  il' 

Sovente  vendicar  le  cofe  belle 
(Come  fimilia  lor)  foglionle  ftellc. 

151.  Quando  del  colpo  iniquo  & inhumano 
Gonfiando  infuperbito  i Tuoi  furori, 

D’haver  morto  il  rivai  di  propria  mano  . 
Vantava  ficco  i trionfali  honori,  • ‘ 

E credea  follemente  il  moftro  inlano 
De  la  Ninfa  gentil  goder  gli  amori, 

Permific  il  Cicl,  che  di  lontan  vcnilTc 
Ad  ingannarlo,  ad  acciccarlo  V lifl'c. . . 

. . . .Cuci 


CANTO  DECI  MONONO.  4;^ 

Giacca  (G  come  femore  liavea  per  ufo) 
infondo  a l’antro  Tuo  icabrofo  e vecchio. 
Havcagli  Uvei  de  la  gran,  lupe  chiufo 
Un  grave  oblio  da  Vun’a  l’altro  orecchio, 
Quando  tra  l’uno  , c’I  Conno  ebro,  e confufo, 
Ihcrfo  de  la  fronte  unico  Cpccchio 
Con  doglia  incomparabile  repente 
fuor  del  concavo  Luo  fvellcr  G fente 

Nonfarlan  tal  romor  Teternerote 
Secadefle  del  Ciel  l’immenCa  mole, 

0 filile  pur,  (ì  come  cCTer  non  potè , 

Da  l’epiciclo  fuo  Cebi  anta  to  il  Sole, 

Con  quale  (Irido,  eftrepido  G (cote. 

Con  qual  farla  il  crude!  s’arrabbia,  e dole, 
Mentr’il  Guerricr  nel  ciglio  il  pai  gli  ficca, 
E’nsù'l  bel  del  dormir  rocchioncfplcca. 

1J4»  QuaG  fin  nel  ccrvel  la  rlgid'iiafta 
De  l’acuto  tÌ7,zon  dentro  gli  caccia, 

E de  la gemm alilo  vivace  e vada 
Impoverlfce  la  cerribll  faccia. 

Quei  con  la  fronte  fanguinofa  c guafta 
PaGmando  diftende  ambe  braccia, 

Poi  fi  leva,  c tcnton  va  con  la  mano, 

Ma  l’aria  ftringc,  e lui  ricerca  invano, 

Jl-  Ricercali  feritor,  nè  sa,  nè  vede 
Dove,  nè  come  al  Tuo  furor  G fura. 

A l’avanzo  de’ miferi  ne  chiede. 

Che  tienfepolti  entro  lagrotta  ofeura. 

Mà  la  voce  cremante  indietro  riede, 

E è tojta  à clafcun  da  la  pavra.  , 

1 1 twon  del  grid® , U picchio  de  la  clava.  ^ 

Tutta  fa  rUemir  Pombrofa  cava- 

■ V t ' Aprendo 


LA  SEPOLTVRA, 


460. 

156.  Aprendo  rufclo  alfiti  del  cavo  foeco,  . 

SI  terge  il  fangue,  onde  la  fronte  e fozza, 

E quando  al  chiaro  Sol  lì  trova  cicco 
Moki  di  quella  turba  uccide  e (trozza. 
Smembra  i compagni  del  facondo  Greco» 
Come  Leon  faria  Lepre,  ò Camozza, 

Parte  alfafl’o  n’aventa,c  non  indugia, 

Ch’un  ne  (brana,un  ne  fcana,  un  ne  tragugla 

157.  Perduto  il  di,  ch’alni  per  Tempre  annottjt» 
Battcfi  ad  ambe  man  l’eftinco  lume, 

E da  la  piaga  de  la  fronte  rotta 
Fa  di  (angue  fgorgar  torbido  fiume. 

Fuor  de  le  labra  per  l’opaca  grotta 
Stillabavefan^uignc,  e nerefchiumc, 

Eiicl  fango  deifuolo,  e ne  b polve 
Se  rtcflb  immerge,  c bructameute  involvc.. 

158.  Del  crin,  che  rabbuffato,  c non  rondato 
Con  lunghe  ciocche  in  sù  le  fpalle  pende, 
Del  mento  incuko,  fquallido,  c barbuto. 

Da  cui  ben  folto  il  pelo  al  petto  fccndc, 

Del  petto  ifteflb,  il  cui  pelame  hirfuto 
Rigido  tutto,  e fctolofo  il  rende, 

Gli  aghi  pungenti , e l’irtc  lane,  e groflfe 
Per  ira,  c per  dolor  fi  (traccia  a»fco(Te. 

15^’  Vuol  pur  trovar,  per  vendicar  l'oSef^ 
Che  gli  (errò  la  lucida  fineftra. 

Sù  l’e latrata  s’alfidc  afpra c fcofccfa^ 

Che  fh  fpIragUo  a la  fpelonca  alpeflira. 

Sotto  la  mazza  attra  ver  fata  c ftefa 
V feir  fa  la  Tua  greggia,  c con  U dcftr» 
Mentre  lachlula (barra inalzale  apre. 

Di  cora9  ia  co^ao  aonovera  le  Cafre* 


1 *ANto  DECIMO  NONO.  4<i 

/ ^Afeiomefapràmaì,  dove  fi  celi 
cauto,  SI  fcaltro,  è ^Tagace. 

Ciùj  uò  penfaii  cVun  vello  ^fconda  e veli 
iMàiotoìvioannator  fix^ace  ? 
Montons’inftn^c,  c mente  i coxxij  e i beli, 
Glipal^^aU  tergo,  ernie!  camina , e tace. 
Cosicoverto  di  lancia  p elle 
Gli  foitiagge,  e paffa  infra  Vincile. 

rti-Hor  ]^oCcia)ehe  non  Col  1* occhio  gli  ha  tolto 
Cohronco  aihccioil  Peregrino  Argivo, 

Ma  da  Vinfame  arena  il  le gno  Icioko, 

Già  da  la  cruda  man  campato  è vivo, 
ìuria,  ondeggia,  vaneggia,  e comeUolto 
Non  mcn  di  tenno,  cKe  di  luce  privo, ^ 
Languendo  a un  punto, c minacciàdoinheme 
Più  delmar,  che’l  produffe,  horribii  freme. 

i6u  “Vfeito  indi  de  l’antro,  arbori  Intere 
Fiaccò  con  Turto,  c con  la  man  divelfe, 

Nè  tra  quell’ire  fuc  fuperbe  e fiere 
Quefto  tronco  da  quel  diftinfe,  o fceUè, 
Sbaib’Ù  CralEni  antichi,  & elei  altere  > 

Speziò  certi  robufti,  c querce  eccelle, 

E furibondo  errò  per  tutto,  e forfè 
Cento  volte  quel  dì  Tifola  corfe. 

i<3.  Cerca  c ricerca,  ovcNcfiun  s’appiatta, 

1 Et  alzai!  grido  fpaventofo  e grande. 

Ma  quel  Neflun,  che  labciropra  ha  fatta, 

Giàper  Tacque  loncan  la  vela  ^ande. 

Nelfun  per  ogni  tana&  o^nl  natta 

Chiama , cT^eflun  rifponde  a le  diraande. 

Fuorché  dal  cupo  fallo  i tre  fratelli. 

Che  batton  sù  Tancttdlnc  i maricllL 

y ^ Vola. 


462.  LA  SEPOLTVRA,  ' 

164.  Volala  nave,  c quafiaugel^  l’oii^c. 

Batte  de’remi  fpedite  penne. 

E nc’fali  fpumantl  il  roftroafconde  - 
Sofplnta  in  alto  da  l’alate  antenne.  . . ^ 

Sù  le  deferte  folitarie  fponde 
In  tanto  ei  con  grand’impeto  ne  venncy 
Dove  fi  fa  pur  nnalmente  accono, 

Che  partito  il  naviUo  era  dal  porto. 

j6s-  Allhor  slgroffarupe,efipefante^ 

Spiccò  dal  fianco  al  gran  monte  vicino,  = 

E con  braccio  feroce  e fulminante 

Lanciol la  dietro  al  fitgitivo  pino, 

Che  pien  di  fere,  c carico  di  piante 

Vnbofeo  foftenea  sù’l  tergo  alpino, 

E feco  per  lo  Ciel  trattando  il  vento 

Traile  col  Paftor  tutto  un’armento. 

j66.  Quali  animato  monte  impofto  a monte.  „ 
In  cima  a l’alto  & elevato  colle  ^ 

-Piantato  il  crudo  in  pièi  l’horribil  fronte 
PrefTo  le  nubi  alteramente  eftolle, 

Hor  minacciando  Ciclo  oltraggi  & onte, 
HorPortuna  appellando  iniqua  e folle, 

Hor  beftemmiandain  atti  horrendi  e fchifi 
Il  vento,  il  mar,  la  vela,  il  remo,  eThifi. 

167*  Quivi  in  sì  fiere,  e sì  crucciofe  voci 
Sue  querele  fpiegó  languide  e mefte,  ^ 

E d’urli  sì  terribili  e feroci 
L’aure  intronò,  le  piagge, e le  forefte. 

Che  fe  ben  de  fuo  moftri  infra  lefpci 
Frcmea  pien  di  procelle,  a di  tempefte. 
Giacer  parve  fenz’onda  il  mar’immoto , * 

E tacer’Eurs.  & Aquilone,  e Noto. 

Per 


CANTO  T5ECIMONO NO.  +<> 

5et  tenore,  e rifpofta  a*fuol  lamenti 
wfpelonche  vicine,  e*l  mar’iftefTo.  I 
Gcner  Gufi  s’adir,  fifchiar  Serpenti, 
wpi  ulular  per  que*  vallon  da  predo. 

Corfer  leNinfca  qucMogUofi  accenti,  ' 
Ncttunoil  gcnitor  vi  corCe  anch’eilo, 
fi  ne  pianfero  in  fuomflebile  c rauco 
Tritone,  e Protheo,  c Meliccrta  e Glauco. 

(dicea)  va  dormi  occV»io  dolente. 
Tu,  cui  tanto  è il  dormir  caro  e foave, 
fi  ira  ftraniera  e traditrice  gente 
pur  il  Conno  tuo  profondo  e srave. 

▼ «I  aormi  va,  ma  intanto  ampio  torrente 
D’infruttuofe  lagrime  tllave. 

Occhio  feiocco, occhio  pigro,occhio  gravolb 
Come  t’hà  concio  il  tuo  mortai  ripoio. 

170.  Quando  più  he  l’inganno, e nel  periglio  ' 
Sguardo  devevl hayer d’Aquila,  & d’Argo, 
Allor  men  cauto  il  £i?cchiofo  ciglio 
Sparger  .ti  piacque  d’infernal  Lethargo.’  1 
Va  dorràhvà  ma  intanto  egro  e vermiglio, 
Verlàdi  fang  uc  un  rio  tepido  e largo, 

Bquefta  folca  tua  vota  caverna 

Chiudi  in  Conno  perpepetuo,in  notte  eterna. 

171.  Laflb,più  non  fperar  gU  alti  fplendorl 
Riveder  mai  de  la  tua  fiamma  antica. 

Nè  piante  verdeggiar,  nè  rider  fiori 
Invaile  ombrola,  òìn  collinetta  aprica. 

Fatta  (tua colpa)  dé’fuoi  chiari  honori 
V cdova  quella  fronte  hoggi  mendica, 

Spento  del  volto  mio  l’unico  raggio. 

Come  farò,  fe  luce  alta  non  haggio  ? 

V 4 I»- 


à 


4(4  lÀ  SEPOtTVRA, 

171.  Indarno,  indatnoò  Sol  per  me  rmaCci  ' 
Poiché  m’ingombra  fempitcìma  fefa. 
Trionfa  pur,  che  negra  b endà  hor  falci 
Del  lume  mìal’inccclillàta  sfera. 

Lieto  homai  Giove  ognifofpetto  lafci, 

Ch^  più  non  ofail  cor,  la  man  non  fpera* 
Mon  fpera  più  con  unmortal  trofeo 
L’opra  fornir,  chc’ncominciò  Tifeo. 

173.  Alcun  più  qui  de  le  cornette  travi 

Da  lungeil  corfo,  ò de’nocchier  nonfpia, 
Cortan  fecurc  pur,  corran  le  navi 
Per  la  piana  del  mar  liquida  via. 

Ycngan  merci  prctiofe  gravi, 

Radano  a lor  piacer  la  riva  mia, 

J£  {piegato per  l’onde  il  volo  audace. 

Senza  (pavento  alcun  pafiìno  in  pace. 

174.  Hor  per  traftullo  ler  fi  com’io  foffi 
Fera  che  giace  incatenata,  e dorme. 

De  le  grand’unghic  mie,  de’miei  grand*oflì. 
De  l’ampio  ciguo,  e de  la  bocca  informe, 
Dc’mcmbri  tutti  linifurati  c groffi, 

Dc'Satiri , c Paftor  feguendo  rormc, 

Verran  le  Ninfe  intrepide  c fecure 
A tor  con  lunghe  canne  alte  mifurc. 

J75.  Et  io,  che  già  si  grande , c si  robufto 
Non  hebbi  eguale  inparagon  di  forza, 

Hbr  che  dd  mio  negletto  inutil  butto 
Caligine  mortai  la  race  ammorza, 

Mercedi  chi  v’affifle  il  remo  adduflo, 

E poi  foggi  fotto  mentita  feorza, 

Mi  rimarrò  per  mio  maggior  tormento 
Fifehio  ala  plebe, Scagli augeirpavento. 


CANTO  DEC  IMO  NO  NO.  I 4^5 

I7<.  DcK quanto  f«  per  me  mifera  l’hora 
Quanto  il  nial  nato  pr.fl'aggicro  Infidoj 
Girò  Iattanza  e combattuta  prora 
Aqucfto  mio  già  dolce  antico  nido. 

Troppo  felice  lo  mio  ftato  fora  > 

Se  d’Etna  il  monte,  c di  X 1* inacria  II 
Scquefterlveun  tempo  amene  diete 
Viftemai  noahayelle  il  Greco  abete. 

*77»  Evcr,cKe  quando  il  traditor  m’aiTalfc  , 
Pcrlafciarmlde  Tocchio  orbato  c fceniio, 
Viibomlcclvol  non  osò  già , ne  valfe 
Mover  publico  affalto  a Polifemo  , 

Ma  con  lufinghe  allcttatrlci  e falfc 
Tefe  l’infidia  del  mio  danno  eftrcnve-,  • 

E Teppe  i fuol  peitfier  perverfi  e rei 
Sibcndiflìm.ular,  ch’io  gli  credei, 

178.  Quanto  vaglia  U-mIo  braccio, e quato  po8a 
Faranne  queft’arcna  eterna  fede, 

Laqual  dìfanguepcr  gran  trattò  d’otta 
Rotteggiar  tutta,  e biancheggiar  fi  vede. 
Sallo  de  l’antro  mio  la  ci^a  rolla, 

Che  pien  d humane,  c di  ferine  prede, 

Hà  ditefchi,e  di  pelli  intorno 
11  negro  muro  horrlbilmente  adorno. 

vj$.  Onde s’allhora  un  picciol  cenno,un*atto 
Scorto  haveTsIo  del  fuo  vlllan  talento. 

Penlar  fi  può,  fe  ftratio  cgual  mai  fatto 
Fu  da  Lupo  affemato  infra  Sarmento. 

O che  quefto  bafton  fparfe  in  un  tratto 
L’hofla  n’havrebe,  eie  minugia  al  vento, 
Oc’havrci  forfè  a l’huom  malvagio-c  rio 
fatto  ;fIyo  fcpolcro  il  ventre  mio. 

V s Nttlb 


4 


J^66 


th  SBPOLTVRA,'V 


180.  Nulla  curo  però  quanto  foffrirc  ' 
PolTa  per  tal  cagione  oltraggi  e torti, 
Nulla  fra  dolorofe  ombre  languire 
In  un  ftato  pegglor  di  mille  morti. 

Quel  ch’ogni  pena  eccede,  ogni  martire, 
Dove  fpeme  non  è,  che  mi  conforti , 

Egl  i è folo  il  penfar,  che  mi  fia  tolta 
La  b ella,  che  dal  mar  forfè  m’afcolta . 


181.  M’afcolta  forfè,  e più  che  mai  mifprczzaji 
E già  vederla  adhor’adhor  m’avifo. 

Ch’addita  con  infolita  allegrezza  - 

A le  compagne  il  mìo fquarciatovifo.  - 
Strana  mlferiamia,  da  la  bellezza, 

Per  cui  piango  e languifco,  eflcr  derifo. 
Bellezza  (oimè  i ch’a  defperar m’induce. 

E priva  di  pietà,  com’io  di  luce.  — 

181.  Hor  goda,  rida  pur , ch’a  me  s’afconda  ’ 
Per  l’altrui  fraude  eternamente  il  giorno  , 
£ che  del  lido  favola , e de  l’onda  ^ 
Fatto  io  mi  lìapcr  quefte  fpiagge  intorno* 
De  l’una  e l’ altra  mia  piaga  profonda 
Poco  il  danno  cur’io,  poco  lo  feorno, 
pur  che’n  rifo  fcl  prenda , e n’habbi^  gioco 
La  foave  cagion  del  mio  bel  foco. 

i8j.  Detto  quello  il  feroce  ,inver  la  cofta 
De  la  montagna  ripida  e fublime. 

Ch’ai  figlio  di  Tiran  già  foprapofta , 

Del  rubello  del  Ciel  le  terga  opprime^ 
li  palfo  move , tacito  s’accoda 
A le  più  rotte,  e dirupate  cime,. 

Quivi  fovraunfcheggionde  la  pendice 
Sitanco  s’aiUde,  e tra  sl^peofa,  e dice. 


CANTO  DE  CI  MONO  NO.  4S7 

'U.  Villano  Cavailcr,  che  con  mentita 
Spoglia  molto  conforme  al  tuo  timone 
ironte  mia  con  la  crudcl  ferita 
Senza  luce  lafciafti,'e  fenza  konore , 

Deh  perche  con  la  yifta  ancor  la  vita  * 

Non  mi  togliefti,  c inun  con  l’occhio  il  core, 
Se  con  gli  occhi  del  cor,  mi  villa  privo 
Veg^o  i mici  danni,  e non  hò  vita,  c vivo? 

185.  lo  vivo,  io  veggiofC  del  mio  ftratio  crudo 
L’afpra  cagionm’è  più  che  mai  prcfcntc, 
Bmentre  un’occhio  folo  in  fronte  io  chiudo. 
Mille  un  cauto  penficr  me  n’apre  in  mente. 
Ch’altro  di  Galathea  novello  Drudo 
Seco  veder  mi  fa  Vifibilmentc. 

Il  vegg’ioben , fe  ben  nottula , e peggio' 
f uorche’l  vedermi  cieco,  altro  non  veggio. 

i8é.  Amor  Nume  poflcntCjAbor  Tiranno  ■ 
Per  aggravar  de’ miei  martir  la  fahna, 

. Quando  di  me  con  arte,  e con  inganno 
L’allaflia  federato  hebbe  la  palma. 

Pur  come  riftorar  volcfle  il  danno 
De  l’acciecato  corpo  a l’afflitt’alma, 
dPer  duol  maggior,  non  per  pietà,  che  n’hebbe 
l.a  villa  raddoppiò,  la  luce  accrebbe. 

187 . Ninfa,  hor  ch’a  me  non  più  vifibil  fej,  * 
Raddoppiar  m’udirai  l’ Jto  lamento. 

Che  la  cagion  s’accrefee  a i pianti  miei, 

E de  la  gelolìa  crcfcc  il  tormento, 

E fon,  non  chede’fallì  humidi  ei , 

Non  che  d’ogni  augelletto,  e d’ogni  vento. 
Non  che  d’ogni  animai' del  regno  ondofo. 
De  glifcogli,  c del  mar  fattogelofo. 


Pefgc 


a6Ì  lA  SBPOLTVR'Ar'^^--. 

■ - *. 

iS8.  Pefce  felice»  e tcviè  più  felice  * ' 

Pefee,  c’hai  e cento  brada  e cento  branche» 
Chi  fovente  non  pur  dapreffo  lice 
Mirar  le  membra  criftailinc  e bianche  > v-  • 
Ma  toccar  le  tàlhor  non  fi  difdice,  . f 
Dal  lungo  nuoto  afiàticare  e ftanche,  ^ ; 

Le  Aringi  in  cento  gulfe  ,in  cento  nodi» 

E di  tal  gloria  infuperbifei  e godi. 

189.  Felice  te,  che  ripiegata  in  arco 
La  coda  incurvi^c’l  tergo  hifpido  e nero» 

E di  ragion  talvolta,  e d»Amor  carco 
Fai  di  te  Aeflb  alci  nave,  c deAriero. 

Poco  ad  Atlante  il  fuo  Aellato  incarco- 
Invidii  tu,  di  più  bel  pefo  altero , 

Qualhor  portando  i vaghi  membri  a gali» 
Mordi  il  (uo  freno,  e la  foMeni  infpalla. 

J5>o.  Cicco  dunque  lonon  {onrbcn'che  fi  veggi» 
L’orbe  di  queAo  ciglio  orbo  rimasò, 

Chc’l  chiaro  Sol,  che  nel  mio  cor  lampeggia» 
TIon  tramontè  nel  mifcrabil  cafo, 

E l’alma  innamorata  ancor  vagheggia 
li  fuo  Oriente  in  qucA*0fcuro  Oc  calo, 

E Jahelcà,  che  più  di  fuor  non  vede,  * 

- A riveder  ne  la  memoria  riede. 

1^1.  Non  èqueAo  non  è,  ch’arde  c sfavilla 
Le  celcAl  varcando  oblique  vie 
IlSol,chek£)li’ombreaprcctranquÌlia 
De  la  mia  mente,  c può  recarmi  il  die. 

Tu  di  queA’occhioml  fià  la  pupilla. 

Tu  fola  il  Sol  de  l’atre  notti  mie. 

S’a.me  volgifcreno  un  folo  fguardo, 

fiafta  ^ iliiuiùiiaxinì  Ujoco, 


CANTO  DEC  IMONONO. 

I i)x.  Perche  piò  contro  il  reo  la  lingua  fcio^go* 

' Pur  troppo  (ahi  làfl'ol  in  Tua  ragione  accorto? 

Equal  prò,  fe  fdcgnofo  al  Cicl  mi  vo^o, 

i Sicoixk’el£abro(la  del  mal,  ch’io  porto» 

I Contro  le  ftcttc  iiwan  m* adiro,  c dolgo, 

Ed’altrui,  che  di  nae  mi  lagno  a torto, 
Sedlhfierocafo,  c (i  fiaiftroJ  ^ - 
lo  fui  Colo  l^^uxor*  Colo  il  miniftro 

Non  fi&v  non  fà  14effun , che  mi  coftiinC^ 
Agir  cicco  c japin,  non  su  fe’l  làu 
Tcr^  quel,  che  la  naia  luce  eftinlè, 
Ettlofplendor  de’tuoi  lucenti  rai. 

Kc  meraviglia  fia,  fc  m’arfc,  e vinfc, 

(lojnecobeu  mi  meraviglio  affai , 
itorat  quando  talhor  mirar  ti  vuole 

CUion  s’acciechi,'ò  nons.’abbagli  il  Sole 

194.  lo, fe  mi diffe  il  pel, chc’^1  mio  perduto 
Lume  per  forte  racquiftar  potefli , 

NÒ  fol  quel  che  mi  toKc  il  Greco  affuto 
Ala  come  un  fol  n^^vea,  mille  n havefli>, 
quanti  di  Giunon  l’augello  occhitKO 
Girar  ne  fuolnc  rampia  rotaimprem, 
QuantilaPama, e quanti  il  Cieln  hà.ieco> 
Mirando  gli  occhi  tuoi  tornerei  cieco. 

J55.  Mifcr,  dun^ea  ragion  m*blfofca  c caggjo 

Ecoslvachilovrafc  prefame  ^ ^ 

Cadde  (com’odo)  il  giovane  malfaggio,> 
Che  troppo  alzò  le  temerarie  piume. 

Cadde  cni  per  lo  torto  alto  viaggio  r 

V oTcfler  duce  del  paterno  lume. 

E qucft'alticr,  ch’ai  gran  Motor  fégucrray 
fulminato  ancor  giace  forteJf 


'470  LA  SEPOLTVRAV^" 

1^6.  Anco  il  Théban , ch’ambi  d’eflcr’elctto  ' ' ^ 
Giudice  de  gli  Dei,  cieco  divenne  * 

Et  io,  ch’a.piii  bel  Sol  con  llolto  affètto  . ' 

De  l’audace  penfer  /piegai  le  penne,  ^ 

N on  mi  dorrò,  fe  sì  sfrenato  oggetto 
La  mia  debile  vifta  non  foftenne. 

Confeflb  de  le  tenebre  il  martire  - 

Eflerpicciola  pena  a tanto  ardire.  ' 

197.  S’aggiunfe  ancora  a quello  lampo  ardente 
Dura  cagion,  ch’abbacinai  la  vi/la. 

De  Targhi  pianti  miei  Tonda  corrente  r ' 

Che  ver  fa  tuttavia'T  anima  trilla. 
Equalpotehtia’malfìasì  poflente?  ^ 

Qual  cerviera  virtù  fiachq  refifta*. 

Quando  infieme  accoppiandbfi'in  eccclTo 
Han  gli  ardori^ , e gli  humori  un  varcoiftello^ 

• * » . « 

158.  A quefta  grave  e mcmorabil  piaga  ^ * 

Medicina  non  vai,  cura  non  giova, 

Nèd’herba  per  guarirla,  ò d'arte  m^a  • 

Virtù  (ch’io  creda)  in  terra hoggi  n trwa,) 
Tu,  c he  m'apprillì  il  cor.  Ninfa  mia  vaga. 

Tu,  che  ferifei,  e che  rifani  a prova,  ° 

Render’aTocchiomio  la  luce  puoi 
Gon  una  fola  lagrima  de’tuoL 

19^.  Folle  come  vaneggio,  ancor  Ti.nfana  • " 

V oglia  a novi  ardimenti  ergo  e fbfpingo? 
Ancor  conlpeme  temeraria  e vana 
Adulando  a me  ftelTo,  il  cor  Infingo?  ’ 

E la  Tigre  del  mar  dolce  & humana  ^ 

Fatta  al  mio  pian  to  al  mio  pregar  m’irffingo? 
Chim  abhorri , mentr’hebbi  il  lume  meco, 
pp,  fpczzar  ) che  m’ami  hór  ch’io  foh cieco» 


CANTO  DE  CIMONONO,’  47T 

100.  tacendo  ro{pira,  indi  dal  loca, 
Dovemefofedea>  lento  riforge, 

E’I  piè,  come  può  meglio  a poco  apoco 
Traheverfo  il  fafl'o,che*n  sù’l  mar  h fporgcì 
E poiché  giunto  là,  dove  il  fuo  foco 
Arder  folca  fra  racque>eITer  s’accorge, 

Conpiù  placido  volto,  c piùfereno 
Cosi  rallenta  a le  parole  il  freno. 

' ► • * * 

101.  Ma  che  cicco  io  mi  fia,  perche  fìa  priva' 

La  fronte  mia  de  l’ornamento  ufato. 

"Nonè  però,  chc’n  me  non  fplenda  e viva^ 

La  face  ardente  del  fanciullo  alato, 

“Nètudi  me  devrefti  effer  sì  fchiva, 

Ne  tanto  havcr’il  cor  crudo , e fpietato. 

Ami  mentre  mi  doglio  in  tua  prefenza. 

Se  m*odiafti  con  l’occhio,  amarmi  fenza, 

aoi.  Cicco  è l’Hcrebo  ancor,  da  cui  ciafeuna 
Traflc  il  principio  fuo  creata  cola. 

Cieca  la  Mone,  ciecaè  la  Fortuna, 

(Poffenti  Dei^  cicca  la  notte  ombrofa, 
E’cieco  il  fonno , c quando  il  Ciel  s^mbfuna 
Pur  lieto  in  grembo  a Pafithea  ripofai 
£ pur  de  le  lue  fiamme  accefe  il  core 
AlafuaPfiche  (ancorché cieco)  Amore» 

103.  Chi  sà  fe’l  Rè  de  l’amorofo  regno  , 

Del  cui  foco  il  mio  cor  si  forte  avampa, . 
Spingendo  di  fua  man  l’accefolegno, 

Smorzò  de  l’occhio  mio  la  chiara  lampa? 
Forfè  ch’amc,  com’afedcl  più  degno, 

V olfe  il  vifo  honor  ar  de  la  fua  Rampa. 
Giuftalegge  ftiraò  forfè  il  protervo. 

Che  s’è  cieco  il  Signor,  fia  cieco  il  fervo. 


47t  tA  SEPOLTVRA,  ^ 

Z04.  Mad’akrapartcachidatameoppreffa.. 

Gravi  cure  d’ Amor  fi  ftruggc  e sface,  ^ 

Che  perduto  ha  col  core  anco  le  fteilo, 

Perduto  ogai  fuo  bene,  ogni  Tua  p acc,  . 

Poca  perdita  fia  perdere  appreffo^  , 

Del  Sol  la  luce,  e cieco  efier  mi  piace. 

Se  quanto  à Paltr ui  vlfta  è di  diletto 
Fora  infeufto  a la  mia  dogUofo  oggetto, 

aor^on  hà  per  queftc  rive  ò trqnco,  ò Cogl  la* 

- l^onpoggio  adorno  di  fioretti,  e d’herbc. 

Che  vifibil’jlmagme^  doglia  , 

In  fc  ftampata  per  mio  mal  non  fc^e>  [ 

E ch’à  queft’occbio  la  cagion  non  foglia  : 

Rapprefcntar  de  le  mie  pencaccrbc,  ' 

Aqucff‘occhio  mefchin,c’hor  chiufocfpcnto  ^ 
Piu  nonfia  fpcttator  del  mio  tormento.  j 

ao<.  0*ch*aqueft’afprarupciologiraffi  j 

O’ch’a  quello  fcolcefo  arido  fcoglio, 
VedeapareanùnegUalpcftrifalfi 
ladure2zadclcor,percuimidogno  , 

j.  Ncdca  nel  mar  qualhor  piu  irato  latti  ] 

11  tuo  fiiperbo  c mioacciofo  orgoglio^ 

E ne  Tonde,  ne  Valghe,  c ne  Tarené^ 

U numero  vedeade  k mie  pene. 

107.  Se d*Allèo,fed’ Greto,  òfcd’HImcra  , 
L'acque  per  rilguardar  volgea  la  fronte, 

Toftoprefcnteilfimulacro  m^era 

Di  quel  ch’io  ver foinetticabil  fronte. 

Se  la  fiamma  feorgea  torbida  e nera. 
Ch'eruttala  voragine  del  ipontc, 

1 miei  folpiri  fervidi  e filmanti, 

% gllMcndU  del  copm'craao  av^u. 


I tANTO  DBCmONONO.  AH 

I uii  MiTefo>e  cjoaxìtc  volte  i trsnchi  vidi 

I Stringer  le  viti,  e l*Kcdcrc  feraci? 

1 le  conche  tràlor  per  qaeftilidi 
^ 1 nodi  raddoppiar  e tenaci?^ 

l EifoUiarimerà  entro!  loT  nidi 

Darfi,  ci  coloxxwi  affettuofi  baci, 

liinvido  (rame  Aifli  fovente, 

Deh  perche  voi  felici,  Se  io  dolente  ì 

W5.  Ma  che  mctnbrar  d* altrui,  <jua(ìnioleftX 

Ognigioia  amorofa,  ogni  atto  eftrano? 

Q^ntc  volte  vid’io  te  lleflà  in  lefta 
Scherzar  col  vago,  8c  10 1x11  dolfi  invatioi 
SalTclo  ilgiufto^o,e  faffel,  quefta 
Del  cotto  mio  vendicatrice  mano , 

Cherotto  il  dolce  nodo,  e fcioltoil  laccio» 
Siteruccife(c  nepiangefti)  in  braccio. 

ire.  Oltredì  ciò  non  poco  io  mi  confolo , 

Che  la  mia  luce  in  tenebre  fi  cange. 

Però  chavezzo  al  pianto  , e natp  al  duolo. 
Altro  nonsò,  che  trar  de  rocchio  un  Gange, 
Hor  l’occhio  ifitefo  ad  un’ufficio  Colo 
Più  nons’occupain  rifguardar,  ma  piange, 

È piàngerà  fin  che  col  pianto  unita 
Stillandoli  per  l’occhio  efea  la  vita. 

MI.  Tempo  che  l’occhio  ebro  fi  volle 

A i chiari  raggi  del  fuo  vivo  Sole. 

Per  l’occhio  entrò  la  fiamma,  il  cor  l’accollé  » 
E h’arde  ancor,  si  ch’efca  altra  non  vole, 
Allhor  l’occhio  fó  lieto, il  cor  fi  dolfc, 

Hora  eioifee  il  cor,  l’occhio  fi  dolc, 

Dolgim  pur,  ragion  ben  fia,  che  quanto 
V’entrò  foco  & ardor , n’cfca  acqua  e quanto 

Porge- 


!F74  t a *$  E P O L T V R AV  ' 

2.11.  Porgemi  ancor  la  cecità  fperanza, 

Che  forfè  fuor  de’foliti  confini 
Con  miror  tema,  c con  maggior  baldanxà’  i 
f>a  hoggi  avante  a me  tu  t’avicìni,  ' 

£ con  Dori , e Leucothoe  in  lieta  danza  .| 
Tudrò  tal hor  cantar fovrai delfini,^  i 

E ben  ch’io  viva  in  tenebre  fepolto  i 

Havrà  l’orecchio  quel  ch’a  l’occhiò  è tolto,  I 

131.  Anzi  tolto  non  già,  ciò  nònfia  vero,  ! 

Siami  il  Ciel  quanto  vuol  crudele>  & empio,  i 
Armifi  pur  l’ingìuriofo  Arderò  j 

A mio  loldanno,amio  perpetuo  feempio.  . ì 
Tor  non  potran  dal  cupido  penficro  i 

Dela  cara  beltà  l’amato  eflempio,  i 

Nè  tanto  è quel  dolor,  che  l’alma  attrifta,  i 
Quant’è  il  piacer  d’haverti  amata^  c vifta.  i 

114.  Vantaggio  dunque  ogni  mio  danno  io  chia-  ì 

Nè  più  quali  mi  cal  di  luce  cfterna,  [mo,  1 
Perche  quella,  che  tanto  io  goder  bramo,  i 

Godo  affai  più  con  la  veduta  eterna,  _ , H 
La  qual  fifa  nel  Sol , ch’adoro  & amo,  , i 

Dove  dianzi  era  breve,  e’  fatta  eterna,  ' i 

Sol  tutta  intefa  al  bel , ch’ella  delia,  a 

Hor  ch’altro  oggetto  più  non  la  defvia.  * . i 

115.  Almcn  nonfia , chcftralein  me  piùfcocchi  \ 

Amor,  ne  ch’io  m’affili  in  altri  rai,  ^ 

Si  ch'accefe  il  mio  cor  da  sì  begli  occlù,  jj 
Di  bellezza  minor  non  arda'mai.  fi 

A nzi  fc  i miei  penfiet  non  eran  fclocchi  . a 
Io  fteffb  il  primo  dì  che  ti  mirai,  1 

Ammorzar  mi  dévea  quella  facclla  * v ìI| 
Per  giamai  non  mirar  cofa  mcnbclla.  11 

Tutti 

te 


Canto  decimonono.  Xyf 

a 1* onde,  ai  venti 

?^tiliacfcìimo,  e l’ode  il  vento,  c l’onda,’ 
NtvtcVi^tx  lafpiaggia  a i mefti  accenti 
'^“^0^t\cc,8cAlcionJ)  rifponda.^ 
fitto  cor  dopo  i lamenti 
^ìiijt’làifpetto  oltre  mitura  abonda. 
^'loVucclder  fcfteflo,  ò nc  l'aperta 
Gola  àc\  mar  precipitar  da  l’ erta. 

«7-  laMnìeroCa  fittala,  ch’aggrava 


Che  fece  a mille  fere  oltraggio  e guerra,  _ 
Citta  lontano,  c con  le  note  eftreme 
In  quella  guiia  fi  lamenta  e geme. 

118.  Fido bafton,  già  mio  compagno  antico,  f 
, Che  mi  foftl  gran  tempo  arme , e foftegno 

Rimantiin  pace  inquefto  lido  aprico 
Hor  ch’io  peggio  che  morto,  orbò  divegno. 
Forfè  ad  ufo  miglio  deltino  amico 
Ti  ferba,  evoltoin  temo,  ò in  curvo  legno, 
Solcando  i campi  del  gran  padre  mio 
Godrai  tu  la  beltà,  cho  non  god’io, 

119.  Nè.più  di  maz2a  homai,  nè  dì  fampogna  * 
Gagliardia,  melodia  vò  che  mi  vaglia. 

Nè  più  d’honor , nè  più  d’amor  bisogna, 
eh’ enfi  mlfero  flato  unqua  mi  caglia. 
Prenderò  dì  me  fteffb  ira,  e vergogna, 

E fe  fia  mai,  che  lamia  greggia  afiaglia 
Lupo , che  per  rubar  venga  dal  bofeo, 
Fuggirò  brancolando  a l’altro fofeo. 


Ma 


Alé  LA  SBPOITVRA,  ' 

»ao.  Ma  che?  feper  mìo  fcampo  io  nò»  ti  réca 
Tra  fere,  e moftrij  c tra  dirupi,  e poggi. 

Chi  guiderà  lo  fventurato  cieco? 

Dove  farà,  che  le  fuc  membra  appoggi. 

Buona  trave  e fedcl  vientcne  meco. 

Da  tcl’uliimo  ofl'equio  kavrò  fbrs’hoggi- 
S’en  vita  al  tuo  Signor  foftl  corte. 

Ben  devi  efcaal  fuo  rogo  efl'er’in  morte» 

ìXt.  V oi  lènza  guardia  intorno,  e fenza  gaida 
Ve  n’andrete  dilperfi  b cari  agnelli, 

Nè  potrà  più  la  voftra  fcorta  fida 
Tergervi  Tunghie , ò pettinarvi  i vclU. 

Sò,  molli  a pietà  de  le  mie  ilrida 

Difdegneretei  pafcoli,  e i rufcelli, 

Mollruofi  formando  c diTufati 
Gemiti  humani  in  vece  di  balatL 

diii.  A Dìo  cari  Molofiì,  e fidi  Alani, 

E voi  Maftini  mici  pronti  e leggieri, 

Del  mìo  pregiato  ovil  carapion  fovrani. 

Forti  cuftodi,  intrepidi  guerrieri. 

Non  più  di  greggia  homai,  non  più  dicam 
Al  voftro  afflitto  Duce  è dì  meftie  ri. 

Nè  piùPaftor,  nè  cacciatorfiad’huopo. 

Che  d’efler  penfi  il  mifero  Ciclopo, 

21J.  Di  cani  huopo.non  m’è , le  non  fol  quanto 
Ne  fio,  novo  Attheon,  lacero  e morto. 

O perche  ne  le  tenebre,  e nel  pianto 
Sia,  qual  cieco,  da  lor  guidato  c feorto.  , 
Lafeio  te  de  là  caccia  il  pregio , c’I  vanto 
Cagna  crudel,  che*!  cor  mi  fbrani  a torco, 
Lalcio  in  mia  vece  pafcolar  contento. 

Il  felicePailor  del  fidlb  armento. 


Vienne 


J <^ANT0  deCIMON  ONO.  47* 

H Vicoat  nctvne  b cr videi  > tvi*  l corpo  lalTc^ 
l ,3|^^'^'i^amauregg,i.>  o conduci 
I lauta  pietà,  da.  c^nefto  iaffo 

S ^^16  vagitvte  a prcciplcio  adduci.  _ 

0?«4'io  tvon  rlca»g,ia  a clafcun  paflo, 
SwjllWCctta  de  le  divine  Ivici, 

conveancoC  cicco  io  ben  difccruo^ 
MtQwforaxlCchlarar  l’inferno. 


‘15.  TacwdUcWlClcl  crudo  hoggigUnega,: 
DA  porgi,  ò^infa,  al  defpcrato  aita 
Klg,idaKmfa, avara  a chi  ti  prega ^ 

De  la  morte  non  tncn>  che  de 

Ahlche  coftdnonm’ode,  e nonfi  piegar 

Perche  la  pena  nàia  mi  refti  iniinitai 
Perche  mi  fia  d’ogni  mlferla  in  fondo 
Mortela  vita,  e vivo  inferno  il  mondo* 

*16.  Hortu,  che  miri  H mio  dcftln  perverC^ 
Fabro  Valcan,  da  le  falfurcc  porte. 

Sedi  chidiè  le  tempre  a l’Oniverfo-  . 

11  fulmine  temprar  t’è  dato  m fortCr 
Prima  ch’io  fia  dal  pelago  foramcrio, 

Pria  ch’io  di  propria  man  mi  dìa  la  mottCr 
Fingi  di  provarn’un  per  aucfto  Cielo, 

£ quel  cnc'lduol  non  può , faccia  U tuo  telo» 

uy.  Ma  ben  cicco  m’hà  fatto,  e ftolto  Inficac 
Il  dolor,  che  travolge  i mlcidcfirl. 

Di  morir  bramo , e uon  fpcrando  ho  fpcnic 
Di  finir  con  la  morte  l gran  marilrL 
Mi  rifiuta  Platon,  forfè  che  teme 
Il  troppo  fiero  arder  dc’mici  fofplrl  » 

Perche  sà  ben , ch’appo’l  tnlo  incendio  g»v« 
E Ugamina  infcrnalfrcfca  e foave. 


'4fti  LA  SEPOLTVRA, 

zi8.  Pictofo  (oimè)  fol  per  mio  mal  diviene  ' '• 
Il  crudo  Rè  de^regniofeuri  ebaflì. 

Nè  vuol,  che  quinci  a le  Tartaree  arene 
Conia  grand’ombra  nàia  morendo  io  paffi. 
Che  £è  dannato  a qucU’eternepene 
Il  pallido  Acheronte  hoggi  varcarti , 

Havjrian  veggendo  in  me  maggior  tormenti 
Qiialcheconrorto  le  perdute  genti. 

Teme  non  forfè  il  tenebrofo  inferno  ' ‘ 

Quefte  tenebre  mie  reijdan  più  fofeo* 

Teme  non  forfè  al  mio  hirore  eterno 
Raddoppi  il  Can  la  rabbia,  e l’Hidra  il  tofeo. 
Teme  non  crefeaalmio  gran  pianto  Averno 
E de  mirti  amorofì  inondi  il  bofeo.  i 

Teme  non  beva,  in  Lethe  un  dolce  oblio  | 
Sì  ch’io  più  non  rimembri  il  dolor  mio.  | 


a.50.  Così  difs’egli  ,c  diè  fi  gran  muggiti , 
E tanti  mando  furor  torbidi  fiumi, 
Chelafclò  per  gran  pezza  impalliditi 
I cliiariafpetti  de’celefti  lum  i. 

Cadde  il  remo  a Caronte,  e fbigottiti 
, Fuggirò  i moftri  a i più  profondi  fiumi. 

Stupir  le  Furie , e del  fovran  Tonante 
. Hebbc  novo  timor  l’arfo  Gigante. 


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5( 


Àji.  Fù  quello  il  primo  dì,  che  trà  abilR  \ 

Vide  Cocito  aperto  il  morte  Etneo,  ^ 

11  gran  Pelerò  in  cento  lati  aprirti, 

E Pachinno  fi  feofle  e Lilibeo,  ^ 

Fremer  Cariddi,  e latrar  Scilla  udirtì> 

Con  Arethufa  fi  reftrinfc  Alfeo,  ^ 


' E lungo  fpacio  ancor  poi  ch’egli  tacque, 
^renu][o  ììldìf  t rimbojnbaroa  Pacque*  k 

/ Piairfe  ^ 


r 


*^ANT0  DECIM.ONONO. 

^ il  padre  , e*l  crudo  fato 

quella  ria  rventura. 

\ ^^'i]^nioiitìccl  fó.  tra  sformato  > 
H'^ltidene ancor  l’alta  ftatura. 

jol  detto,  c*n  tale  ftato 
Wifce  ancor  nel  fen  la  fiera  arfurai 
.tetta  ^ven  di  fiirlofi  incendi 
^tlEilar  tuttavia  rofpii'i  horrendi. 


I *))•  Poic’bà  raccolto  a la  favellali  freno 
I i^Deafeconda,  che  perde  la  figlia 
I Quella,  ch’alberga  a l’Oceano  in  feno, 
k / In  cotal  guifa  il  ragionar  ripiglia. 

I Che  torni  in  terra  al  .fin  ciò  ch’à  terreno, 
Eflèr  certo  non  dee  gtan  meraviglia, 
Morte  al  corfo  morcalltcrmine  pofe. 
Ultima  linea  de  l’huraanecofc. 


Chi  lagrimar  non  vuol,  nè  vuol  dolerli 
Ad  oggetti  immortali  alzi  il  defio, 

■ Ch’i  dolci  ii'utti  fiioi  tienlempre  afperli 
D’araarifllmo  tofeo  il  mondo  rio. 

DI  quefto  hò  tanti  eflèmpi,  e fi  diverfi, 

Che  più  che  Tonde  Ibn  del  regno  mio. 

Se  fia  ch’a  dirne  alcun  la  lingua  .iòfclolga, 
Non  so  ben  qual  mi  lafci,  ò qaal  mi  tolga. 


Tacerò , mémor abili  fra  tutti 
Calamp  e Carpo,  gTinfortunii  voftri? 

Che  non  pur  non  lafciar  con  occhi  afeiutti 
Alcuno  habitator  dc’re^ni  noftri, 

Ma.dier  materia  entro  i miei  fallì fiutti 
D'amaro  pianto  a i più  fpictati  mollri, 

E fer  per  gran  pietà  de’lor  cordogli 
Siagl^zzar  Tonde,  e lagrimar  gli  Icogli. 


48«  LA  SEPOtTVRA^  4 

136.  Super  robli<iuc  e tortuofe rive  ^ ^ 
Dolbcl  Meandro,  e tra’fuoi  ^di  aprici 
Paflavan  lieti  lècald’horeefti  ve  ^ 

Di  pari  età  duo  fanciullectl  amici.  , • ^ 

Simil  beltà  non  li  racconta,©  fcrivc» 

Ch’altrui  d’ell'er  giamai  (Ielle  telici. 

Lafciaco  havrian  per  lor  l’Alba  Orion^  ^ 

E la  Diva  di  Dclo  Endimionc. 

137.  Da  che  la  bella  coppia  al  mondo  nacque,  - 

Mentre  crcfccndo  cntrambo  in  vano  al  paro, 
Tanto  il  Genio  de  l’uno  a l’altro  piacque, 
Che’n  perpetua  araiftà  l alme  legato. 
Scherzavan  dunque  infra Tarene,  e Pacque 
Del  fiume  che  fcorrca  tranquillo,  c chiare^ 
Atcraverfando  con  Tuoi  giri  ondofi 
Quali  fer  pi  d’ar  geato  i prati  herboii. 

138.  Piantato  havean  nel  verde  mar^o  un  legno- 
fi  quivi  appefa  una  ghirlanda  in  cuna 
Propofta  m premio  a qual  de’ duo  quel  legno 
Giunto  fu(Tc  nuotando  a toccar  prima. 
Sforzavafi  ciaCcuo  con  ogni  ingegno 
D'acquiftar  vincltor  la  IpogUa  opima. 

B'n  così  fattUor  giochi,  e traftuili 

Travagliavano  a prova  i duo  fanciullL 

t}>.  Sfiivlllan  l’acquc,  affai  più  belle  c chiare 
Patte  da  lo  rplcndor , che  le  percotc, 

In  cucila  gulfa , che  fiammeggia  il  mare 
Al  folgorai  de  le  lucenti  rote, 

Quando  l'Aurora,  chtfn  levante  appare, 

1^  vel  purpureo  le  rugiade  fecce , 

E'I  Sol,  che  ^ovlnetto  efee  di  Gange, 
Cfllstan  carro  di  friocn  U flutto  frange.  - 

Carp« 


' CANTO  DECIMONONO.  4U 

HO.  Carpo  del  nuoto  cflercitato  e dotto 
Molto  non  è ma  Calamo  gli  è feorta 
Ehorcol  tergo,  hor  con  la  man  difetto 
Agevolmente  lofofticnc  e porta, 

Talhor , pofeia  ch’alquanto  ei  l'hà  condotto 
Per  mezo  l’acqua  flcUuofa  e torta. 
Dilungandoli  ad  arte,  innanzi  palla. 

Indi  l’alpetta,  & arrivar  li  lafl'a. 

*41.  Con  tardo  moto  (à  bello  ftudio)  e Icnto^ 
Bramolb  d’eller  pur  vinto  e precorfo, 

Pian  pian  rompendo  Io  fpumofo  argento# 

Per  la  liquida  via  traetene  11  corfo. 

Ma  per  poter  trovarli  in  un  momento 
Qualhora  huopo  ne  fìa,  preftoal  foccorfo, 

IW  caro  emulo  fuo , che  gli  e davantc. 

Conia  provida  man  lèguc  le  piante. 

141.  Il  giovanetto , che’l  compagno  vede 
Indietro  ri  maner  quafi  perde  ntc, 

Tolto  il  vantaggio  alllror,  che  gli  concede# 
ScorreTliumido  arringo  arditamente, 

E va,  mentre  rapirla  palma  erede, 

Dove  l’impeto  il  crahe  de  la  corrente 
Già  già  ftende  la  man  fuperba  e lieta. 

Tanto  è vicina  la  prefift'a  meta. 

Uj.  Ma  pria  ch’a  torre  il  bel  trofeo  la  fporga* 
Ecco  fiero  e crudcl  turbo,  che  fpira, 

E là  ve,  il  fio  volubile  s’ingorga 
Sofiiando  a forza  lorefpingc  e gira,  , 

E fcnxa  Che  di  ciò  l’altro  s'occorga, 

L’onda  raflorbc , e ncja^ìaia  il  tira, 

Ratto  cosi  ,che  CalamoTbà  feorto 
Sommerger  nói  siàgià  fommerfo , e morté* 
V*mu  X Che 


V 481.  LA  SEPOLTURA,  :à 

144.  Che  fofplrl,  che  pianti,  c che  querele  ^ 

Sparfe  il  inefchin Cu’ldolorofo  lico,  .M 
Quando  chiaro  conobbe  il  fno  fedele  - -i 
Elfer  da  la  vorace  onda  inghiottito  ? . ; 

Fiume  ingrato  (dicea)  fiume  crudele,^  ' 
Che  m’hai  repente  ogni  mio  ben  rapito,  : 

Qiierta  date  riceve  empia  mercede  ì 

Chi  tanta  gloria,  c cant’honor  ti  diede?  - \ 

145. L’Hcrmo,il  Fattolo,  c quai  per  gémc,&  oro 
r^ù  famofo  tra  gli  altri  il  mondo  apprezzi, 
Perdeano  appo’T tuo  pregio  i pregi  loro , . 

Ch’eribenpoirclloraaltrarichczza. 

Quel  ch’atitol  di  Rè,  corna  di  Toro. 

Mercè  di  quell’cftintaalta  bellezza, 

Ben  ch’illuftrc  corona  habbia  d’eletto»  r 
Ti  riveriva,  c ti  cedcalofcettro.  • - 

X 46.  M.à  tu  per  far  più  ricco  amo  il  tuo  fonrc 
Trangugiar  lo  volefti,  avaro.fume,  ^ 1 

Che  U nel  grembo  il  Pò  tenne  Fetonte^  , ( j» 
Tu  raccogli  altro  Sple,&  ihro  lume.  ■. . 
Lallb,  che’l  Sol  Ce  ben  da  l’Orizontc  . 
Cader  quando  tramonta  ha  per  coftumc,  -i 
più  chiaro  pofeia  in  sù’l  mattin  riforge. 

Mal  mio  carpo  apparir  più  non  fi  feorge#  - 

Z47*  'invidia  albel  frutto  (oime^. vifpl*^ 
Naiadl  quanto  belle  inique  e rie?  . * 

Ditemi  chi  d’ Amor  la  luce  efrinfc  ? ' 

Chi  Ivclfc  il  fior  de  le  Speranze  rnie?; . r . > . 
Deh  fé  maidi  pietà  fprza  vi  ftrinfc  a.  , '}  ^ 

Ite,  cercatealtrove  onde  più  piè. 

fuggite,  ove  morendo  giacque  . 

ic  le  ode  fiamme infeno  a 


CANTO  DECIMOMONa 


<48.  Lafciacc  quelli , ove  albergar  folete. 

Del  crudo  padre  mio  fondi  homicidi. 

Nè  ^iii  di  que  cridalliempi  bevete,^ 

Ch'a  sì  rara  beltà  far  canto  infidi. 
Abbracciatemi  in  tanto,  e raccogliete 
Le  tronche  chiome  mie  tra’voftri  lidi? 

E pria  ch'io  caggìa  a ravld’acque  in  prcdi^ 
L’ultima  grada  almea  mi  fi  conceda, 

H?.  Sia  (cpolchroiramorcal  Turna  paterna 
A l’una,  c l'altra  fpoglia  inficmc  unica# 

Dove  a neri  caratteri  fi  feerna 
Quella  memoria  in  ogni  età  fcolplta  ; 

Arfcr  del  pari  in  una  fìaminaeterna 
Calamo,  c Carpo,  c viiTcro una  vita. 
Hebberoalfìn,  nèfpenfe  l’acqua  11  foco, 

Una  morte  coinmun,  commane  un  loco. 

’)i.  Così  dice,  e per  »li  occhi  in  tanto  verfa 
Fiume,  ch’ai  fiume  huraor  novello  aggiunge 
Poi  tace  ,c  con  la  fronte  in  giù  convcrl'a 
Traboccando  dal  M ii;go,  al  fondo  giunga 
Riman  la  coppia  mifera  fommerfa^, 

Felice  in  ciò,  che  pur  fi  conglungc , 

E'nficmc  ottici,  uc  l’ultimo  fofpiro 
Morte  d’argento,  c tomba  di  zaffiro,  • 

J-ji.  Lavaro  col  llcor  gelido  c molle 
11  freddo  corpo  le  forcllc  mede  i 
R*  fiutto’l  pefo  il  genitor , ne  volle 
Tinàie  file  ricettarlo  onde  fimcfle? 

Ma  poiché  vide  al  fine  il  garzon  folle 
Da  forza  oppreflo  di  dcftin  cclcfte. 

Lo  ftrinfc  in  hra'-.cio,  c con  ammiro  lutto 
Cangiò  Calamo  incanna,  e Carpo  in  fratto. 

X t Hor 


4g4*  LA  SEPOLTURA, 

zft.  Hot  pafl'ar’infilentlo  io  dcgglo  forte 
*Di  Leandro  infelice  ilcafo  melto. 

Lo  qual  tanca  pietate  a Pende  porfe,  ^ 

Che  già  ne  piangono  ancora  Abido,  e Sello? 
Spctcacol  mai  più  crudo  ilCiel  non 
Torto  il  mar  non  fé  naai  maggior  di  quello, 

E ben  ch’ellér  pietofo  il  mar  non  foglia, 
L’ucci.e  non  dimen  contro  fua  voglia. 

15  j.  Già  di  quel  foco  il  Garxonet.to  accefo. , 

C he  la  face  d’ Amor  gli  fparle  in  Icno, 

Havea  più  giorno  impaciente  actefo, 

E l’ino'ordo  defio  tenuto  a freno, 

Tra  lunghe  cure  ad  afpettar  forpefo, 

C he  fulleìl  mar  tranquillo,  i l Cicl  fercno  , 

Per  poter  lenza  intoppo , c fenza  impaccio 
^ Ricondurfi  nuotando  ad  Hero  inbraccio. 

1J4.  A i fervidi  ardori  erano  d’Hero 

Le  bellezze  oltrabelle  elea  loave , 

Onde  fpedb  folea  pronto  e leggiero 
Farro  a fc  fteflb  e navigante,  e neve, 
l/angufticattraverfar  diqucl  fentiero. 

Che  tra  l'Afia,  e l’Europa  è portae  chiave', 

E la  fua  nonna  a riveder  veniva 
Sconofeiuto,  e notturno  a l’altra  riva. 

Non  sì  veloce  di  dlfficil'arco 
Al  bcrfaglio  volando  efee  faetta, 

Nèbarbaro  glamai  sì  lieve  c fcarco 
Da  le  molle  a la  meta  il  corfo  affretta, 

Com’ei  pattando  a nuoto  il  picclol  varco  J 
Per  tragittarli,  ove’l  fuo  cor  l’afpecta, 

Vattene , e prende  ogni  procella  a gioco  ^ 

Pfij:  njc;^o  l’acqùà  à ritrovar  il  foco. 

- : . Dolce 


I canto 


OECIMOISI  ONO. 

Polccgli  è fctica,cla  dimora 

rraialanotc,  Se  importuno  xl  giorno, 
«coftrciio  a partirli,  odiai’ Aurora, 

Ju-  follecita  è troppo  a far  ritorno, 
pariitoapena  poi.  di  clafcun’hora 
Contrai  momenti,  c gira  gli  occhi  intorno.^ 
q^^rnarvorr^bloe  a la  magio n telice, 

c tra  le  dice., 

, «nfbtfe  per  gli  sferici  fentien 

«tc£i  del  Ciel  fenapre  rotante? 
atlRettor  del  di  xoppi  » deftnen?  . 
Chioiato  è il  carro  fuo'licve  e votante  ? _ 
ri  tó  VcccKio,  che  vanni  ha  si  leggien, 
SUtà  ceppi  le  fpedite piante? 

ChcfanVancellelvie  rapj^e  e prete, 

ebenonianftetta  al  paflagger  celete. 

«8.T«,cl>tivonmcn  del  Tempo  Amot'hai  l’ali 
* E fc)  de'  Sol  viè  più  pofle  nte  Dio- 

Pongi  i pigri  ‘ori'<=>^  <=  °r  rr  ’ 

. • Ch4ni  minuto  è fecolo  al  defio. 
pur  c'&’abV.afin  co-curbm.  mfernali 
Quefto  avortio,  e qaeft’e  fd.o  mto, 
^nfarvclocii  oiorni,  e 1 bore  corte 
Bjamo'ame  tetto  accelerar  lamorte.  . 

^,5.  Codlangulfce.efetK  volte  il  Sole 

% e’lidi  IbeTl  ha  già  tuf&to  .1  raggio, 

E,  circondando  Uterrena  mole, 

Aitretanto  è tornato  al  gran  viagpo, 

I Ca  che  piangendo  .1  giovine  fi  . ole  [g.o 

i ControilCiel.controil  mardelgraveoltrag- 

\ che  vede  In  nebbia,  c-n  pioggia,  e|nfiaraa,e  n 

Turbato  il  mare,  e nuotefo  il  celo.  g^ 


LA  SEPOLTURA,.  - 

Preme  la  fpon6a,c’n  sùlo*fcoglio  afcendcj 
Che  la  V ergin  ibmmerfa  ancora  infama. 

La  cruilelcà  del  pelago  riprende. 

Le  ftclle  inique,  iniqui  i venti  chiama,  > 

Et  accufa  Nettun,  che  gli  contendcj  x 
La  villa  di  colei , che  cotant’ama,  "i 
Kè  potendo  appagar  gli  oc, chi,  c i dcfir!  » 
Go’penlicr  laconeggia,  e co’lblpiri._  , \ . 

i6i.  Tuttofolcttoinsùlaripaalfifo  *■  , J/; 

V agheggia  di  lontan  gli  amaci  lidi, 

E rivolgendo  a l’alta  corre  il  vilb  , ; 

Co’muggici  del  mar  confonde  i gridi. 

Perche  color  (dicea)  che  non  divilb  . 
Coneiungc  Amo  ^ Fortuna  empia  dividi/ 
Perche  non  lafci  m si  leali  amori 
1 corpi  unir,  come  s'unlro  i cori  ? 

1(1.  Ben  raccoglier  devria,  fol’unaterrft.  •-7 
Due  alme,  che  fon  anco  una  forarmi* 

Finir  devria  la  procellofa  guerra, 

E 1 travagli  del  mat  compor  la  calma.  ■ 

Chi  mi  vietali  paliaggio?  c chi  mi  ferra 
In  parte,  onde  nocchicr  ft^gno  non  fpalmat 
Qual’invidia  del  Cicl  per  intervallo 
Un  muro  trànoi  pollo  hàdi  criflallo? 

Che  peggio  far  mi  può  ? qual  ria  fventura 
Fu  glamai , ch’agguagUafle  il  mio  tormento?- 
Sì  lungo  tempo  una  procella  dura 
In  un  u variabile  elcmentoi 
L’in {labilità  del  mar  cangia  natura. 

Perde  per  me  Tua  leggerezza  il'  vento. 

, TQucl  ei  e non  hebbe  mai  fermezza  avance, 
rovòfol  per  mio  mal  fatto  collanìe. 


CAKTO  X^ECIMONOMO.  4»7 

/ aW  (mando  fia,  che  tanta  rabbia  cefli 
‘^^/wAjjaueftc  ingorde  fallaci 
tó»  mante  , òdepredar  m’appwffi  . 

, che  far  parian  gnUeili  , 

' ^.niicclcftidWenir  rapacii  ' 

L degni  ch’altri  per  Aubblo(aftraaa 
pilà<&®i^rc  aconquiftar  gli  vada. 

Barbaro  Spirto , che  di  neve  fparw 
* ÓcioelaioGelone  i monti  agghiacci , 

Equalbor furiando  efei  del*  Arto  ^ 

i’IIfiilmat.cTomU  Cuoio  . c'I  C.el m.„aca. 
Sola  camion,  perch’io  di  qo  a non  p r , 
SfiÒcUlC  clvc  dal  mloben  Itufcacc, 
Padiembanàociaeftv 

CofiOttcdofolncontf  a me  «rdcgni! 

SeU  eLinaà-iltheuc  accefo  .1  «tto. 

C2uando  Ubcl  foco  tuo  tnP’  i -.i  , 

turbo  latua  oVola,  c*l  tuo  d;l«to? 

Chi  uà  le  dolci  allhor  'f/j 

Per  mctod’ariaal  volo  tuo  pp 

a«7.  DeHplacailtuorigor. deh, prego) homai 
più  moderato,  c manluet  p ^ ^ 

Softieu, ch'io  rada,  f V°’ 

Non  poftaindi  parar.  sf»S'  P".  ^ ‘f»- 
I O’fe  Iti  mio  dolor  pVc«  . 

1 1$:,  Ih.  «1  ti»<"  “""""•'ga. 


^8  hA  SlPOLTr.KA; 

i68.  Quefte  voci  il  mefchin  pregando  in  Tatù 
Sparge  inutili  a l’aria,  e fenzo  effetti, 
Perch’Aulirò  Cordo,  & Aquilone  i detei*  -i 
>Je  portari  viarlmormorandoi.detti. 

V olumi  d’otide  per  Tinllabll  piano  v 

S’urtan  l’un  l’altro  in  minacciofi  afpetti 
Onde  l’ali  di  Dedalo  delia  ^ 

Per  uattar  l’aure,  Se  accorciar  la  via. 

«65.  Giil’HclleCpontOje  THcmiCperio  cntt* 
Copre  la  notte,  horrenda  oltre  l ufama. 

Ci  elee  l’ira  di  Borea,  e pur  del  flutto 
L'impbcabile  orgoglio  ognor  s’avanza.  ♦ 
Egli  allhor  più  non  vuol  lido  afeiutto  < 

La  fpeme  trattener  con  la  tardanza; 

E ^unto  da  lo  ftral,  che  lo  percote. 

Piu  Coffbrir  quel  differir  non  potè. 

x70.Lo  ftral,  che’l  cicco  Arcier  nel  cor  gli  avfta 
Gli  è iprone  al  fianco,  ond’apparir  s^ccingc. 
Tre  volte  del  gran  gorgo  i guadi  tenta, 

E tré  le  fpoglie  fi  difpoglie  e feinge; 

Tré  volte  poi  ne  l’onda  entrar  paventa, 

E tre  de  Tonda  l’impeto  il  rcfpingc. 

Cosi  d’eCporfi  in  dubbio  al  gran  periglio. 
Non  sa  ne’cafi-fiioi  prender  configlio. 

Ma  su  la  vetta  in  tanto  ecco -ha  veduta 
La  fiacco  la  d’ Amor,  ch’a  fe  l’invita. 

Onde  rinfranca  la  virtù  perduta , 

E nel  rifehio  mortalla  rende  ardita. 

In  lei  ferma  lo  Cguardo  , c la  làluta, 

Come  nuntia  fedcl  de  la  Tua  vita, 

£ contemplando  quella  fiamma  aurata. 
CouCcogUe  la  lingua  Innamorata. 

Ecóo 


CANTO  DECIMONO*NO.  4«^ 

171.  Ecco  ne  ^^gno,  ò luminofa , ò fida 
Scorta  a’mici  dolci  errori  , ecco  ne  vcgt'®» 
Non  pìùccmoil  furor  d’Eurohomicida> 
Non  più  del  crudo  mar,  curo  lo  Tdegno. 

• Tu  fol  per  quefte  tenebre  mi  grida. 

Mentre  m’apprcfto  ad  ubbire  al  Tegno, 

Se  ben  mi  favoreggia,  c mi  conduce 
Altra  Hella«  altra  lampa  , & altra  luce. 


17J.  Ancorch’io  per  la  tua  Incida  traccia 
Segua  quel  Sol,  che  folo  è mio  conforto» 

Son  dal  lume  però  de  la  tua  faccia 
PIÙ  che  dal  tuo  fplendor  ,•  per  1* ombre  fc(^* 
Gli  occhi  Tuoi  fono  i l polo , c le  flxe  braccia 
Sono  il  mio  dolce  e defiato  porco. 

Arianna,  Califto , He  lice,  Arturo 
Non  rilbhlaranno  canto  il  ciel  ofcu.ro.  ^ 

1% 


174.  Non  vanti,  nò  Tarn bitiofo  Egitto 
11  luolucentee  celebrato  Faro, 

Ch’afl'ai  più  da  naufragio  il  core  afHitto 
Aflccuraquel  rasiffio  ardente  e ctiiaro.’ 
E quantunque  talbor  nefia  trafitco. 

Il  languir  ra’è  (bave,  H ^ ^ oaxo. 
Sarei  con  clTo  di  paflar  . 

L’onda  di  Flegecontc,  c di  oocito. 

175,  Tali  accenti 

Dilperfiinun  con  ^ molle  a 

ChJruttoignadoiu  .. 

Depon  le  vefti>  c s ^nrzo  a la.  1 

i daino  frnrm  al  cor,  s(otxozl^  1 


Txrrva» 


''atJXQtov 


f ‘ raVcX".bri  1 

La  fagaalcorfo.  Se  f .rprabacta^j- 
La  dove  fanno  i flritcì  ^ fca^lX  » 

Gon  audacia  infaicc  al 


49®.  *LA  SEPOLTtURA,  ' 

i7ó.  Sclcgnafi  force  il  mio  marito  altero, 

Ch’ci  lo  difprezzì,  e tanto  ardir  gli  fpiace,. 
Onde  col  Rè?  ch’a  fovra  i venti  impero,  ^ 

Fà  lega  per  punir  l’infaniaaudace, 

Lo  qual  difciolto  il  fuo  drappcl  guerrierò> 
Per  far  guerra  maggior  fàfeco  pace . 

E l’un’e  l’altro  indomito  Tiranno 

Con  congiura  crudel  s’arma  a fuo  danno.- 

277.  Noto  ne  vlen  d'a  l’Auftro,  e’I  fcn  di  brine  j 
Carco  l’ali  d’humor,d’horror  la  fronte,  ^ 

E ftillantedi  piogge  il  mento,  e’I  crine  '■ 

< Spezza  le  nubi  e fàdel  Ciclo  un  fonte,  i 
Vien  dal  nevofoe cplido  confine’  “ * 

Borea  di  Scithia,  era  delmare  un  monte  ^ 
Indi  il  ragguaglia,  e i mobili  criftalli 
Spiana  in  campagne,  poi  gli  abbafla  in  valW 

Sorge  da’Nabachci  contro  coftoro. 
li  torbid'Euro,  e l’Oriente  Icore,  ' 

N e raen  fuperbo  c rigido  di  loro  ■ 

Con  horribilfragor  Fonde  percote. 

Macoli  più  corvo  afpetto  il  crudo  Corp/ 
Leva  da  l'Ocean  gorme  le  gote. 

Piove  tonando,  e folgorando  fiocca  • ■ 
L’hiriuta  barba,  e la  tremenda  bocca.  • »- 

XJ9-  Da  tai  nemici  combattuto  il  mare:  • ^ 

Con  tumido  bollor  rauco  ftridendo 
Mar  più  non  già,  ma  diventato  pare 
Di  calìgini,  e d’Urli  Infèrno  borrendo. 

E bero  il  Cicl,  ma  fiammeggianti,  e cbiàrc' 
Le  faecte,  ch’ognor  feendon  cadendo, 

Fanno  per  l’aria  più  che  pece  bruna. 

De  Icficllc  l'ufficio,  e de  taiLunat  >>■ 


CANTO  DECIMÒNONO.  491 

x8o.  Nudidi  foco  gravide,  edigelo^ 

Portate  a forza  da  feroci  venti 
Scoppiando  partorifcono  dal  Cielo, 

Lampi  fangui^ni  e ^mìni  ferpenti, 

E mandan  giu  dal  tenebrofo  velo 
Un  diluvio  di  laghi , e di  torrenti. 

Havcr  fembra  ogni  nube,  & ogni  nemboi. 

1 fiumi  nò,  ma  tutti  i mari  in  gremboi 

z8i.  Per  lo  ftretto  canal,  che’n  sì  gran  zui{à. 
Incapace  di  fe,  fi  frange  e freme. 

Va  brancolando,  cfi  contorce  cfbuf& 
llnuotator,  ch’ai  cominciar  non  teme. 

In  fe  fteffb  fi  libra,  indi  s’attuffa, 

E le  braccia,  e le  gambe  agitainfiemc, 

L’acque  batte,  e ribatte,  e da  la  faccia 
Col  loffio,  c con  la  man  lunghe  la  (cacciai 

Serpe  a.  lo  frrifcio  al  volo  augel  fomigliar 
Battello  a i-  remi,  e corridore  al  morfo. 

Hor  Pafcelle  agilmente  a meraviglia 
Dilata  c ftende,  hor  le  ripiega  al  corfo>  ■ 

Hor  fofpefo  l’andar,  ripofo  piglia, 

E volge  verfo  il  mar  fupino  i dorlb* 

Hor  forge,  e zappa  il  flutto,  &an belante 
Rompe  la  via  co’calci.  e con  le  piante.  . 

zS).  Scorrendo  va  con  fmifurati  balzi  ■ i 
L’impctuofc  eformidabii’onde. 

La  cui  piena  poffentc  hor  fàche  s’alzi 
Preffo  a lenubi  hor  tutto  in  giù  i’afcondc;. 

Ei  d;e.  imbraccia  ignude,  de’pièfcalzi 
Con  fpeffo  dimenar  Pòrdin  confbndej 
E ben  che  fia  nel  nuoto  habile  e deftroy 
Non  gli  giova  de  l'arce  eflcr  maeflro. 

X 6 Beni 


4^  LA-  SEPOLTURA,  _ 

^84.  Ben  conofce  il  fuo  ftato , e sa  ch’eri  brcVc 


X 


Al  petto  laflb  per  mancar  la  forza, 
-Perchedeiralfo  hamor  gran  copia  beve,  ^ 
L’I  vigor’ abbattuto  innan  rinforza. 
Homaide’membri  a galla  il  pelo  greve 
Softener  più  non  vai,  le  ben  n sforza, 

E,  lafpirto  languente  il  corpo  infermo  i - 
Move  a gran  pena, e non  può  far  più  fchermq 


i8  Mentre  che  co’marittimì  furori 

Gioftra,  e cerca  al  morir  refogio  e fcampo,. 
L’alto  fanal.chctràgliombroli  horrori 
Mollra  il  camin  di  quel  volubil  campo. 
Ratto  Iparifce  e i vigilanti  ardori  c.  . , 

Soffiato  eftingue  del  notturno  lampo,”  ■ 

Ond’qi  fmarrito,  e defperato  e cieco 
Del  fuo  fiero  deftin  fi.  lagna  Ceco. 


%i6i  E di  fiati  rabbiofi  ecco  veloce  ■ 

Novo  groppo  l’affale,  e lo  circonda,  ; .c. 
E’n  un  punto  medefmo  in  sù  la  foce-,  i t 

Per  lo  mezo  fi  rompe  un’arce  d’onda  . ' 
Che  foffogandoilgemito,e  lavoce  II 
Dentro  quel  cupo  baratro  l’affonda. 

Due  volte  a piombo  il  trahe  l’onda  vorace^ 
Sorge  due  volte,  & a la  terza  giace.  . . 


^87.  Ma  pria  chc’n  tutto  abbandonato  c ftan€' 
Tra  que’globi  fpuraofi  involto  pera 
Mentre  mira  il  Ciel buio, e che-vien  manco 
,^De  l'amato  balcon  l’aurea  lumiera, 

Trahe  ndo  pur  de  l’affannato  fianco  f ::l 
lldebil  grido,  efprime  burnii  preghiera^ 

E , mandafiochi , e fievoli,  c dòlenti  . _ 'i 
A cc  madre  d’ Amor,  queffilasirea^»  i 

Dai 


CANTO  iDECriMONONO.  459 

lii.  Diva,  che  nata  fei  di  quefte  fpumc> 

Deh  affiena  il  furor  de  l’oiide  irate, 

Epoich’è  fpento  già  il  cortefe  lume  > 

Ch’à  quelle  mi  feorgea  rive  beate  , 

Al  fuofvanir  del  tuo  benigno  Nume 
Blaluce  CuppliCca  e la  pietate. 
Nonconfentir,  ch”uccitlan  Tacque 
Un  fervo  di  colei,  che  di  lor  nacque. 

Ma  fe’l  mio  duro  fin  fcricto  è nel  fàto> 
Sc’n  qucft’onde  morir  pur  mi  conviene. 

Fa  ch’almen  fia’l  cadavere  portato 
Innanzi  a la  cagion  de  le  mie  pene, 

A quel  terreo  felice  e fortunato, 

A quelle  dolci  un  te  mpo  amiche  arene. 
Onde  mi  dian  col  pianto  alcun  riftoro 
Quegli  occhi,  pcrcuiviffi,  e per  cui  moro. 


150.  D i qoeft^eftremo  dir  languido  e mozzo 
Incerto  ilfuono,&  indiftintoudiffi, 

• E fepolto  con  l’ultimo  finghiozzo 

Rcitò  nel  mal,  chc’n  fin  dal  centro  apriflv 
Il  marein  vifta  fpaventofo  e Cozzo 
Ix  fàuci  apri  de’fuoi  cerulei  abiffi, 

E {palancando  profonda  gola 
11  corpo  tracanao  con  la  paiola» 

ajT»  Hor  chi  può  d*Hero  fua  narrar  la' doglia? 
Come  ftraccioffi  il  crin,  ftraccioffi  il  volto 
Quando  da  la  finefira  inver  la  foglia 
Lo  fguardo  al  novo  giorno  hebbe  rivolto, 

E vide  a i rai  del  Sol  la  fredda  fpoglia 
Del  fuobcl  Solecftinto,  & infepolco? 
GktofiI  in  mar  la  mifera  fanciulla, 
£repoltuiafiu.f(Lla  tua  culla» 

i. 


494  la  SEPOLTVRA^*  - 


191.  D’ambrofa  pietà  colmi  i Delfini 
Lo  fventurato  accompagnar  fur  viftU- 
I mergini  de  gli  fcogli  cittadini  4 

Con  gridi  il  circondai*  flebili  e ttiftii  * ' 3 
Glifer  refl'ecjuie  i popoli  marini  . ( ì 
Di  NcreidijC  Tricon  uniti  e mirti  > T 


E io  lo  trasformai  nel  fior  d’un  herba,, 

Che  di  Leandro  ancora  il  nome  ferba.  . / 

193.  Ahlmaperchenonnarro,edovclaflì> 
D’Achille  mio  lo  sfortunato  finej 
L’hirtorie  altrui  racconto,  e taccio  e pa(Io<' 

Le  mie  proprie  fventurè,  c le  ruine. 

Scoglio  sì  duro,  e di  sì  rozo  faftb  * > f A 
Non  ricettano  in.lèn  Tonde  marine, 

Che  quando  hebb’io  quel  merto  annuncio' 
Non  fi  furte  a’miei pianti  intenerito.  £ii$lito 

*9-4.  Tutti  voi  vi  lagnate  afflitti  Dei,' 

Tanto  d’un  van  piacer  può  la  membranza , 

Se  pianger  volct’io  quanto  devrei, 
Coin’havrian  mai  quert’occhi  acque  a baftazai 
Tanto  han  vantaggio  a i voftri  dolor  miei. 
Quanto  Natura  na  più  ch’Amor  portanza, 
Perch’a  Tamor,  con  cui  s’amano  i' figli. 

Amor  altro  non  è,  che  s’^artbmi^. 

Ì95.  Giove  il  gran  padre  tuo,  madre  d’Amorc^ 
Hebbe  un  tempo  di  me  Tanima  acccfe, 

Madel  deftino  udito  il  fier  tenore,  <> 

E de  le  Parche  la  Temenza  intefà, 

Perche  figlio  di  lui  molto  maggiore  ' 
Generarne  temca,  lafciò  Timprefa, 

E così  Pcleo  a cotai  nozze  eletto. 

Principe  di  Thcrtaglia,Jhebbeilmio  letto. 


c ANT  O D E C I M;  O N O N O.  4,^ 

Tra  molti  mici,  di  qualità  mortale, 
SimiUalgffnitor,  peoni  produtti, 

Che’nvecc  di  purgar  la  parte  frale, 
Reftardalfoco  in  cenere  diflrutti, 

L’olcimo  che  campò  l’ince  ndio,  c’I  male,. 

Fu  più  vago  e gcnt4l  de  gli  altri  tutti. 

Di  crin dorato,  e d’uua  tal  bellezza. 

Che  ne  l’aria  feroce  havea  dolcezza. 

157.  Mà  l’oracol  di  Themi,  i l cui  coufiglio-,. 
E’decreto  fatai,  m’atterri  forte. 

Predille,  c’honor  fomnvo  a quello  figlio  ^ 

E fomma  gloria  promcttea  iaSorce, 
Màchesù-’l  fior  de  gli  anni  alto  periglio- 
Gli  minacciava  a tradigìon  la  morte, 
Pugnando  in  guerra  , e di  cotal  tenzone 
Dcvcabeltà  di  Dònna  eflcr  cagione. 

zjS . lo  per  alfecurar  l’amato  infante.  • . 

E da  fpadc,  c da  lance,  e da  làette, 

Ne  l’onda.  l’attufEai,  che  fiamegglante 
Le  rive  innaffia  al  gran  Pluton  foggeitc», 

E quivi,  fc  non  fol  fotte  le  piante , 

Ch’io  tenni  per  le  man  fofpefe,  e ftrette,. 

Del  corpo  in  guifa gli  afiatai  le  tempre, 

Gh’ei  neiu  pofciaimpenecrabìlfcmpre. 

Ciò  fatto  io  lo  condufiì  al  buon  Chirone^ 
Che  di  Filata  nacque  e di  Saturno 
Colui,  c’hor  freggiaà  l’horridaftaggione 
I>i  fette  c fette  ftellc  al  Ciel  notturno. 

Hor  quelli  ad  alloaj:  prefe  il  Garzone 
In  folitario  albergo  e taciturno  , 

, "Là  dove  Pelio  di  tremende  belve 
l;.e  file  fpcloflchc  oiabf  ofc.  empie , c IcicI  ve> 


V 


%^6  LA  SEPOLTVRA, 

% 

o.  Nè  d.’alUncnto  cUlicato  c molle  ' 

^°Nutrilloil  languid'ocio,  e’n  vii  piacere. 

Latte  di rIgid’Orte,  arpre.midolle 
Di  Leoni  il  pafccanoj  e d’altre  Fere. 

Effeminarlo  in  quell’età  non  volle 
T rà  delitie  foavi  e lufinghiere, 

Ma  gli  facea  per  la  montagna  alpeftra 
Spedire  il  piede , effcrcitar  la  delira. 

^oi.Hor  Levretta,  hor  Cerbiatto, hor  Caurivolo 
Gl’infegnava  a pigliar  per  la  forefta, 

E quando  il  mio  magnanimo  figlivòlo 
Ne  riportava  ò quella  preda,  ò quella. 

Il  fido  fuo  governator  non  folo 
Il  ricevea  con  allegrezza,  e fella', 

Mà  con  gran  lodi,&  accoglienze-amiche 
Il  premio  gli  porgeade  le  miche. 

jot.  Di  miei,  di  poma,  ò pur  <f  uva  naacura 
Gli  apjpreftava  al  ritorno  il  grembo  pieno, 

E per  fargUfi  egual  ne  la  Aatura, 

Le  ginocchia  piegava  in  sù’l  terreno, 

E chino , cballo  con  paterna  cura 
Quefte  cofe  gl’offria  dentro  il  fuo  ftnow 
E^giovane  prendcaftandogli  al  pari 
Dal  cortefe  cuftode  i doni  cari. 

jo  j . Mà  fe  talhor  per  cafo  in  lui  feorgea 
Immodefto  coftumc,  atto  villano, 
Sevcrilfimamente  il  correggea 
Col  ciglio,  con  la  lingua, econ  la-inatro. 

Et  citerror  de'gran  guerricr,  tenvea 
Del  Vecchio  inerme  un  ceno,  un  guardo  cftra- 
E quella  dcftra,  e che  poi  vinfeHettorre,  Jno 
Alaverga  cemuca^iva  a fuppor  re. 


©Ine 


CANTODICI  MONONO.  4S7 

¥1  ^ nc  l’axmoHÌa  fonerà 

li  decreto  Centauro  ivi  finftruire. 

Oc  le  piante,  e dc*femplici  calhora 
A dimoftrargU  lauùrtù  s’induffe. 

Volle  a la  fcherma  ammaeftrarlo  ancora, 
Accwch’cfpcrco  in  armeggiar  poi  falle, 
montar  fu’l  proprio  dorfo, 
^addeftrava  al  maneggio,  e fpello  al  corfo. 

lOf  - Mentre  fotte  tal  guardia,  e’n  tale  fcola 
Lalto  fanciul  ladilciplinaaprcndc. 

La  temeraria  vela  ecco  vola, 

*E  1 mio  Kquido  fen  per  mezo  fende? 

Ecco  Paride  rùo,  ch’ad  Argo  invola 
La  bella,  ond’Ilio  alte  mine  attende, 

Dico  colei,  che  f6  già  da  te  ftefl'a, 

DePaureo  pómo  in  premioa  lui  promeflà. 


}®«TornommI.  allhorail  granprefagioamÉt» 
Dnde  volfi  impedir,  che  non  venifle? 
EProtheo  il  confermò,  che  parimente 
^ando  il  vide  paflàr,  gran  mal  predilTc. 
Tot dunqucl'efca  a queU’incendio ardente 
Erorlgin  troncar  di  tante  riffe, 

Che  rapir  mi  devean  l’unica  prole , 

Io  m’ingegnai  con  opre  e con  parole. 


Vommenc  ratto , ove’l  mio  fpofo  alberga, 
E 1 prendo  a fupplicar,  che  mi  conceda, 

Ch’io  ^uclnavilio  in  mar  rompae  difperga, 
Ulurpator  de  la  mal  colta  preda  , 

E che  col  fallo  adulteto  fbr^merga 
La  rea  del  bianco  augel  figlia,  e di  Leda 
Ma  sì  duro  ritrovo  il  molle  Dio, 

Ch’cfiaudir  nega  in  tutto  il  pregar  mio. 

Fofeia 


4^  lA  SEPOttbKA, 

308.  Pofcia  cK’io  fon  dal  Rè  de  l’acque  erdu{a 
Che  violar  non  può  la  legge  eterna, 

Nc  vuole  al  fato  opporfi,  e gir  ricufa 
Contro  l’altro  Motor,  chc’l  del  governa,. 
Torno  fotto  color  di  nova  fcilfa  • - • 

Del  Theflalico  monte  ala  caverna , 

Quindi  a Chirone  il  carro  allievo  io  tolgo^ 
£poi  fubito  a Scirro  il  piè  il  rivolgo. 

jop.  Al  Rè  di  Scirro  il  diedi,  e fotto  paiuxi 
Finti  nafeofto  di  reai  Donzella, 

11  pargoletto  Heroe  pafe?Tt]ualch*anitt  ; , 
In  compagnia  di  Deida'mia  la  bella, 

A cui  feoprendo  poi  gli  occulti  inganni^ 

Che  la  froda  chìudea  de  la  gonella , : 

Per  cer t ezza  del  ver  feco  fi  giacque. 

Onde  il  fiimofo  Pirro  al  mondo  nacque» 

jflo.  La  tromba  intanto  del  Troiano  Marte  ’ 

Suona  per  tutto,  e l’univerfo  Sede, 

E’I  giovane  fatai  van  con  grand’arte 
Cercando  intorno  Ulific,  e Diomedci 
È poich’inveftigata  hanno  ogni  parte,. 
Giungono  a la  magion di  Licomede. 

Quivi  prefentan  poi  diverfi  doni'  «r 

A Tancelle  di  Corte  i duo  Baroni. 


jij.  La  turba  de  le  vergin  le  voglie  ; 

Volge  dc’bafli  oggetti  a l’efca  vile, 

E qual  cembalo,  o thirfo,  e qual  fi  togEe 
Gemmato  cinto,  ò lucido  monile, 

Pelide  fol  celato  in  altre  fpoglie 
Diflìmular  non  può  l’effer  virile, 

E difprezzando  do  ch’a  Donna  aggrada 
Tofto  a Telmo  s’avanta,  &a  la  fpada. 

L*afbt- 


CAN'TO  DEClMOl^ÒNO. 

L’aftuto  efplorator,  che’l  ferro  terfo 
Havea  tra  di  altri  arnefi  ftudio  paltò, 

Con  un  fcalcro  forrifo  a lui  converfo , 

Del  mentito  vcftir  s’accorfe  torto} 

Onde  4i  quella  larva  il  ver  difpcrfo, 
L’habico  tcminile  alrtn  deporto, 

• incitato  ad  armarli  al  campo  Greco 
Con  faconde  ragioni  il  traflè  feco, 

J.  D’altè  prodezze  Tue  , l’opre  loda  te,  ' 

Di  cui  la  fama  iuiìn’al  Ciel  rimbomba. 
Taccio,  perche  Taraano  in  altra  etatc 
Nobil  foggetto  a laMeonia  tromba} 

Onde  de  l’offa  illuftri  & honorate 
Solo  il  mirar  la  gloriofa  tomba 
Invidi  farà  poi  aitanti  pregi  '■ 

Stupire  i Duci,  e fbfpirare  i Regi. 

J14.  Quc’valoroli  égenerofi  gefti,  ’ n 

Materia  degna  di  si  chiari  carmi, 

Si  tutti  voi  già  raaniferti,  ’ 

D ingrandir  con  encomii  huoponon  parnu» 
Teftimoni  chiam’io  Numi  celeftì,' 

V oi  rteflì  fol  di  quantici  fé  ne  l’armi , 

Poich  alcun,  che  prefentc  horqul  m’afcolta^ 
In  quell’affedlo  ancor  fudò  talvolta. 

313*  Saffelo  il  mio  Ncttun,  che  l’alte  muta 
Peno  molto  a guardar  ch’ei  prima  creile. 
A^llo  noftro  il  sa,  che  con  Iciagura 
Di  contagio  mortai  gli  Argivi  opprelfc, 

£ 1 fai  ben  tu,  che  fpello  di  paura 
Tremarti  già,  cli’Enea  non  uccideflc} 

Nè  quella  »ucrra  fu  men  de  le  ftille 
Sparfadel  iangue,chedclmio  Achille. 

L’ingio* 


fét  LA  SEPOLTURA, 

316.  L’IngiuftiflrmjaofFcfa  io  non  ridico. 

Nè  voglio  altruirimproverarquel  corto. 
Con  quanta  fellonìa  dal  fier  nemico. 

Con  qual  perfido  aiuto  ei  mi  fu  morto. 

Per  non  crefeer  nov’odio  al*odio  antico. 
Dove  il  mio  intento  è di  reca  r conforto. 

Non  sù  però  da  qual’invidìa  moda 
L’ira  in  petto  divìn  cotanto  poda. 

317*  De’corfieri  immortali  altero  tanto 
Nulla  gli  valfe  il  governar  le  brìglie. 

Non  gli  giovò  d’aver  tra  gli  altri  vanto 
D’unico operator  dì  meravìglie, 

Nè  che  Tonde  per  luì  Scamandro,  e Xant9 
Portader  del  Troian  l'angue  vermiglie. 
Impediti  apalTar  ne  l’Oceano 
Da’corpi  uccifi  folper  la  Tua  mano. 

318.  Dopo  Thaver  lafclata  al  campo  Achcò 
De  l’amato  Patroclo  alca  vendetta, 

Quando  a Brhcida  fua,  dolce  trofeo 
Di  fudor  tanti , efièr  congiunto  afpetta. 
Ecco  ufeir  d’arco  difpietato  e reo 
Avelenata^  Barbara  faétta, 

Che  memr’ti  dadi  inginocchion  nel  tempie 
Colpo  in  luì  fcocca  inudiofo  & empio. 

31  fi-  In  quella  parte  inferior  del  piede. 

Che  nel  fuolo  dampar  fuol  levedigia. 
Quella,  ch’a  i ferri, a le  ferite  cede  , 
Perche  tocca  nonè  da  l’acqua  Stigia, 

L’alfal  di  furto,  e di  lontano  il  fiede 
Con  dral  pungente  il  rioPador  di  frigai, 
Lada,  e veder  mi  fa  fpentae  fparita  • 

. La  mia  fperanza  in  uncon  la  lua  vita, 

' Evegg»' 


canto  DEC  IM  O isr  ONO. 

|J«.  E veggio  a un  tempo  la  vermiglia  veda 
D orribiroftro,  c fang  uinoCo  immonda, 
Qifclla,  che  di  mia  man  fu.  già  conceda 
l^clcpiùfine  porpore  de  l’onda. 

Sguancia iinpalUdlr,  cader  la  teda, 

Perla  polve  drifeiar  la  claioma  bionda, 

E i begli  occhi  languir,  cui  gelid  ombra. 
Dimorcal  nebbia  étcrnameiue  ingombra. 


$•1 


Ofpicndor  de’PclafgKi,  ò del  Troiarw 
Valor  flagello,  c de  l’orgoglio  hodilc, 

^cra  ne’ lati , cKe  cader  per  mano 
Dcvelfi  effeminata,  e non  virile, 

Perniano  (oimè)  di  tal,  diedi  lontan® 
Vsllc  folca  ferir  la  plebe  vile, 

Quanto  migUor’almeno  il  morir  t’era 
Ucclfo  de  l’Amazona  Guerriera? 


ili.  Soverchio  è raccontar  l’angofce  iutern^ 
Onde  in  quel  punto  addolorata  io 
Oltre  ch’a  dir  le  lagrime  materne 
Cns'ifacilnon  è , come  l’alcrui. 

per  quede  d’iiumor  fontane  eterne 
l^ntto  il  mar  dcftlllar  deggio  per  lui, 

^ per  lui  giudo  è ben,  che  tanto  in  pianga» 
Che  nulla  ih  lor  d’humidità  rimaneva. 

}i|.  Devrei  quanti  ricetta  entro  il  fuofen® 

Il  profondo  Occan  torrenti  e fiumi 
Tutti  ne’trilli  miei  raccorre  a pieno 
Già  de  la  cara  luce  orbati  lumi 
Nè  sò  come  difciolto  a fonde  il  freno, 
Trgtcmpede  di  duol  miconfuml. 

Btjuante  ha  perle  in  conche  ogni  Tua  riva 
Non  didempri  per  effi  inpioggia  viva. 


LA  SEPOLTURA, 


5^1 

314.  Ma  che  giovar  porlanoi  pianti  amati, 
S’irrevocabil  perdita  è la  mia? 

Nel  mal,  ch’ò  certo,  e che  non  ha  ripari  - 

Il  non  cercar  tiraedio  il  meglio  fia. 

T rà  brutto  c bel , tra  nobili , e vulgari 
Differenza  non  fa  la  falce  ria. 

Tronca  il  fil  del  Paftore,  e del  Monarca 
Col  ferro  ifteffo  una  mcdefma  Parca- 

31.J.  Strania  legge  diFato,  c diNatura, 

C he  de  l’humane  tempre  il  fragil  miflo^ 
Congiunta  habbia  al  natal  la  fepoltura, 

E fvanifee  quel  fiore , a pena  vifto. 

, Pur  col  nov*anno  il  fiore,  eia  verdura 
De  bellezze  fiic  fa  novo  acquiftoi 
Mal’huom  poiché  la  vita  un  tratto  pcr<M> 
Nonrinafee  più  mai,  nè  fi  rinverdc. 

jié.  GosiTheti  ragiona,  e la  Dea  bell» 

Lf  dolci  ftille,  onde  le  guance afpcr^c* 

Poiché  vede,  ch’alcun  più  non  favella. 

Con  un  candido  vel  s’afeiugaeterge» 

Indi  il  bel  volto,  c Puna  c l’altra  ftella,  ; 

Che  tenea  chine  al  fuol,  folle vo  8c  erge. 

Et  a la  voce  inferma,  & impedita 
Da  fofpir,  da  fingiti,  apre  V ufeita. 

Dolci  gli  effempi , e dolci  e belle  in  uter# 
Sonic  ragion  (difs’ella)  Alme  immort^ 
Con  cui  cercate  agevole  c leggiero 
R endcrmiil  fafeio  di  si  gravi  mali.  . 

Ma  di  tcmprar’in  vece  il  dolor  fiero. 

Voi  l’inafprite  con  pungenti  ftrali,^ 

Che'cl  rimembrar  dc’voftri  antichi  danni 
4^doppU  foia»  a I cuci  pr cfeiicl  affanni. 


I canto  DECIMONONO. 

|M'  LalTanon  più  del  Clel  chiaro  Pianeta, 

Non  più  fon'iod’ Amor  ma<ire  gioconda. 

Non  farò  più  la  Dea  ride  ore  e lieta, 

Madi doglie,  e di  piane!  Hidra  i^condà. 

Quello  mio  cinto,  ch’ogni  {degno  acqueta, 

^0  cheli  cangi  in  Vipera  iraconda. 

^0  che  di  rote  invece  il  biondo  crine 
^▼Cigano  a cerchiar  triboli,  e fpine. 

Diverranno!  bei  mirti,  i vaghifiori 
Ntriciprefli  homai,flccchi  pungente.  ' , 
^gracicanaorofetcc,  e i grati  Amori 
fwiecrudeli.&horridi  Serpenti.^ 

Cornici  infaufte,  c nuntie  di  dolori 
^-cfcmplicl Colombe.  & innocenti,  i 
Simile  ai  Corvi  veltirà  ciafeuno 
DcnùclcandidìCi^^ni  irabito  bruno. 

o 

Ji®-  Dchpcrchcdalamandi  Radamanto 
Ricompra  non  pofs’io  l’amato  Amore.» 

core,  c l’alma  io  pagherei  col  piant» 
Qif^ndo  nonfiiffer  faoi  Tanima,  e’I  core, 
j’erchenon  potè  almeno  Impetrar  tanto 
Daldcftlnrigorofo  il  mio  dolore. 

Che  fe*n  terra  trà’fior  giace  il  bel  Velo, 

^ràicftclIelofpirtohabitiioCielo?  ‘ , 


^hchc  mcntr’ei  laggiù  languc  in  martiri, 
h nongodrò  lafl'ù  diletto  interno. 

Saran  fiamme  T artar  ce  1 mici  fofpiri, 

^ mia  mifera  vita  un  vero  inferno, 
ha  Flcgetontc  il  foco  dc’dcfiri, 

Sarà  Còcito  il  mio  gran  pianto  eterno, 

^ perche* n queft’Abiflo  io  mi  confami, 
MGmcher  à Lcthe.  fol  U.Ì  althilumi. 


>oy[c< 


À 


LA  SEPOLTURA, 


35*.  • Nò,  nò,  non  fia  glamai , ch’onda  d’obli# 
Spenga  fiamma  si  bella,  e sì  gradita. 

Nè  lalcerò  con  tutto  il  dolor  mio 
D’adorarla  lepoUa,  e’ncencrita 
E poi  chc'lCiel  non  vole,  e non  pofsT# 
Rilufcitarlo,  e rendergli  la  vita. 

Col  rogo  , e col  fepolchro  almen  fia  gtufto 
Conlblar  l’ombra , & honorare  il  bufto. 

555.Non  può,qualhor’avlen,  che  Morte  feioglia 
Il  vical  nodo  a gli  huomini  infelici, 

Moftrar  maggior  d’amor  fegno,  e di  doglia 
La  vera  fe  de’più  perfetti  amici, 

C h’accompagnando  la  caduca  fpoglia 
Con  fiacre  pompe,  e con  pictofi  uffici. 

Con  l’honor  de  l’eflequie,  c dello  folla 
Dar  quiete  a lo  fipirto,  albergo  a l’olla. 

354.  Pelo  dunque  di  Toi  fiaràben  degno 

Meco  impiegarvi  à fabricar  l’avello,  -, 

B tal  fia  de  la  febrica  il  difiegno,  , 

Qual  convienfi  a coprir  corpo  fi  bello, 

E poiché  la  man  voftra,  c’ivoftto ingegno 
Data  havrà  quella  gloria  a lo  fica^ello. 

Con  pompofo  apparato  a lento  pano 
Vifitar  meco  il  fortunato  fallo. 

W'  Tace  ciò  detto,  c fienza  altra  dimora  j 
A l’opra  egregia  altro  principio  dalli , 

Prende  a toccarle  dolci  corde  allhora  t 
Apollo,  c sforza  a feguitarlo  i falli»  . > 
Che  tratti  già  da  l’armonia  fonore,  ^ 
Danno  fipirito  al  moto  à i palli. 
Corronvelocialadivinacetra 
^Frigia  felce,  cl'Africina  pietra.  ^ 


I CANTO  DECI  MONONO. 

E dì  Sparta,  c di  Paro  11  marmo  corre  i 
Oiniracoldi  ìuon)  Forza  <ii  verfi, 

Oadclì  vedein  unbalcn  raccorrc) 

Gran  quantità  di  porfidi  di  verfi» 

E mentre  vicafi  il  camulo  a comporre 
Jmcominciaao  a far  politi  e cerfi. 
Glaceutofabri  aprova,  e cento  maftd 
Scgandiafprì,  ainnano  alab  altri. 

)T7'  Mercurio  allhor  da  la  feconda  sfera 
Pw dar’efecto  a’fuoi  penfier  leggiadri  • 
D'i’l’arti  belle  vi  menò  la  IcHiera, 
l^cl'induftria  gentil  nutrici,  e madri. 
Vcuneviancor  delCiel  l’alca  ingegnic  :a,  , 
De  modelli  maeftr  a,  e de  ^li  fquair  i 
Palude  dico,  ad  opra  sì  fblenne 
Da  Mercurio  chiamata,  anch’ella  vc  i ìc, 

1)1  Taccian di  Cariai  celebri  Obeli(:hI, 
CcdandiMeafi  altera  i Moaumeiuì, 

Che  ncTecoli  antichi  a i Regi  prifehi 
P«  raem uria  drizzar  barbare  genti..  I 
DI  color  verdi,  e rolli , azurri,  e mife  i 
Si  varie  fon  le  gemme  J esilucenti 
Tai  fon  de  l’artifi-cio  i bei  lavori. 

Che  rendon  grati  i funerali  horrorì. 

i’*)  Sovr’ otto  alte  colonne  j c lotto  un  cerchio 
Ripiegato  in  mez’arco , un’arca  giace 
Che  la  ftatua  d’ A.mor  tien  nel  co  verchio 
Piangente,  c’n  atto  d’ammorzar  la  fac.'. 
Nulladi  fearfo  c nulla  ha  di  Ibvcrchio 
Per  effer  d’uncadavere  capacci  • 

Et  è dì  pietra  lucida,  mabruna,  > 

Semplice,  fchietta,  e feuza  macchia  alcuna. 
y»L  II,  t t>ì 


jo6  LA  SEPOLTVRA, 

340.  Di  qua  di  là  la  machina  fanefta 

Ha  d’uiia,  e d’altra  parte  un  nicchio  voto- 
La  Morte  in  quella , e la  Fortuna  in  qaefta 
Scolpite  fon,  c’haver  fembranoil  moto. 

Ne  l’altro  fpatio  inferior,  che  refta, 

Altri  duo  n’hà-,  ne  l’uno  cfprcira  è Cloro, . 

Cloro,  che  piagne,  e rhorridclbrellc 

Par  che’n  trocaudo  un  iìl , piangano  anch’ clic 

3 41  Oincortroaqiicfte  hauvi  legratie  incIi^^ 

^ Che  volte  a rifguardar  le  Dee  crudeli. 

Da  le  vedove  chiome  al  Tuoi  recife 
Stracciali  dolenti  le  ghirlande,  e 1 veli» 

Lo  Seul  or,  ched  hà  finte  in  cotal^uifc, 
pà  che  ciafeuna  pianga,  e fi  quereli , 

E per  farla  fpirar  , dona  e comparte 
De  riftefla  Natura  il  fiato  a l’Arte. 

341.  Vago  feftone  a le  cornici  altere 

Tcfie  ferpendo  intorno  intorno  un  fregio, 

E v’hà  di  Cani  fenici,  e v’hàdiFere, 

Di  dardi,  c lalfe  un  magiftero  egregio. 

In  cima  a l’arco  Adon  lipuò  vedere 
Sovr’aurco  trono,  c di  mirabll  pregio. 

V na  gloria  d’ Amori  alto  fi  fo  ftenta. 

Et  al  vivo  l’effigie  il  rapprefenta. 

34’v  Pofaal  piè  ne  la  bafe,  e de  le  braccia 
Curva  insù  l’anca  l’un  tien  la  figura. 

L’altro  appoggia  a lo  fpiedo,  & hà  da  caccia 
L’arco  a da  fpalla,  il  corno  a la  cintura, 
Ebentalnel  fcmbianre,e  nclafaccia 
Del  geniilfimulacro  è la  fcultura. 

Che  dal  parlar’in  forc,  ond’egli  è ^rivo<  ^ 

Nulla  quafi  hà  dclfinto,  c tutte  è vivo. 


CANTÒ  DECIMO  N ONO. 

IH-  Prelloalapianta,  a piè  <3 e l’alta  cada 
Toctodelbel  garzone  il  doppio  ovatoj 
Dimezo  intaglio,  c di  Ceni  tura  bada 
llnatal  conlaiuortcè  rilevato  ; 

Q^JÌnci  Mitra  fi  vede  afflitta  elad'a 
Frondofo di  venir  legno  odorato, 

2 dopo  lun^oaifanno  alfìn  TofFcrto 
llfeuciullo  Cucciar  dal  tronco  aperto. 

H5-  Quindi  fi  mira  il  fior  d*  ogni  bel  tate 
Quando  dal  fier  Cinghiai  morto  rimane, 
Ecoinedalc  zanne  aCpre  e fpictatc 
^ccife  refta  ancor  l’amato  Cane. 

N:  de  l’ìftelVo  Can  Tofla  ho  notate 
Hinno  molto  a giacer  da  lui  lontane,  ' 
Cii’a  piè  di  quel,  ch’c  Tacro  al  ino  Signore 
Ctcieneanch’caiiun  cumulo  minore. 

£3 

hcotal  forma  il’?  iflrcmence  adorno 
De  lagran  tomba  è il  hel  lavor  fcolpico, 
E’idrappello  del  del  la  notte,  c’I  giorno 
Travaglia,  accioche’n  breve  eifia  compito, 
Animacflrai  m,acftri,e  cura  intorno, 

Chefia l’ordin  divlnbcn*cdegiiito 
Con  l’artefice  dotto  11  ClUenc 
^’architcttrice  Vergine  d’Achcnc. 

Hi-  Vtima  che  da  le  tnan  celcftì  e fante, 
fufie  in  colmo  fornitaopra  sì  bella, 
Novc.voUc  Lucifero  in  Levante 
Precorfe  al  gran  camin  l’Alba  novella 
® murato  dcftriero , anco  alcrctantc 
Guidò  Notturno  la  più  bada  della. 
CoinparfoU  nono  Sol , comparve  in  cutt* 
^‘Hdificio  fuperbo  a pica  codrutto. 

r a Is 


JOS  LA  SEPOLTURA, 

348.  Ne  l’uklmo  mattin  dì  tutti  i nove 
Per  celebrar  PelVecjuic  al  caracftincQ> 

La  figUovola  vTaeftillìnia  di  Giove  ^ 

Sor^c  col  crin  coufufo,  c l fcn  difcinto  ^ 

E con  gli  amici  Dei  valienc  dove  ^ 

- Giace  ancora  il  Tuo  ben  di  fangue  anco. 

Et  ha  l’urne  de  gli  occhi  homai  si  vote 
ChfC  geme  si,  ma  lagrimar  non  potè. 

,49.  Comedi  pictraabbafttlnseteifa 

Statua  q;entil,  cheliouidi  thefori 
Di  vivo  argento  In  vaga  conca  verta, 

S’avien,  elVadufta  fia  daiìcri  ardori , 

O’che  non  ficn  talhor  da  man  perverta 
Rotti  i canai  di  crlftallini  humori> 

Seccafi.e  negaal’horticel,  che  l’angue. 

Tronca  le  vene , il  fuo  ceruleo  languc, 

ifo.  Così  coftei,  che’n  caldo  humor  la  vita  > 
(Ben  che  immortale)  ha  diftillata  tutta, 
NonpiagncpiCi,  mareftainftup’KVita, 

Ne  l’ccceflo del  duol  fontana  alcmtta. 

Onde  la  bella  guancia  impallidita 

Difcolora  i Tuoi  fior,quafi  diftrutta. 

Non  però  già , fé  bene  il  pianto  manca 
D* addolorarla  il  fuo  dolor  fi  fianca. 


2 fi.  Horperche’l  corpo  del  garzo  ndelunt  0 
^ Fin  ne’più  clnufi  penetraliinterni 
Già  tutto  olcza  imbalfamato  unto 
De’pretiofi  aromati  materni, 

Mentr’al  mortorio  in  un  medermopunto 
Apparecchian  la  pompai  Numi  eterni. 
Con  la  ruina  de  la  felva  impone 
La  pira  accumnlarfi  al  mono  Adonti  - 


' CANTO  DECIMONO'NO.  jcf 

!)»■  Vanfi  a troncar  de  la  fbreiTa  annoia 
I-cpiancegià  per  lunga  età  vecufte. 

Cominciali  a sfrondoTar  la  chioma  ombrofa, 
Tremano  le  radici  afpre  e robufte. 

Score  la  vecchia  rovere  noclola 
Diroze  ghiande  le  gran  braccia  onufte, 

Tper  colla  dal  ferro,  e da  la  mano 
Si  diftacca  dal  ceppo,  e cade  al  piano. 

ili  L’clcc  fuperba,  cT  platano  rubllme 
Trabocca,  e’I  fragglo  verde,  e I orno  nero, 
Incbinaìl  dritto  abete  al  (Tuoi  le  cime, 

E precipita  a terra  il  pino  altero, 
Alafcure,che’lfiede,  e che  ropprimc. 

Cede  abbattuto  il  fr  aitino  guerriero  , 

E corron  col  mortifero  ciprelTo 
Anco  il  cedro,  e Talloro  un  fato  iHeuo . 

H Fuggon  le  Fere  d a’ c ovili  u fati, 

Abbandònan  gli  auge!  timidi  i nidis 
Abbraccianò  partendo  i ■tronchi  amati 
le  ninfe  allieve  con  lamenti  c flridi. 

Et  ululando  i Satiri  fcacciati 
lafciano  a forza  i lor  ricovrì  fidi , 

Si  ftraccia  Pale  i crin  lunghi,  e canuti, 
Epiagneilbuon  Silvan  gli  otii perduti. 

Ili-  Gemcla  terra  intorno,  e 1 bofeo , eh  era 
Si  ricco  dianzi  di  verdure,  e d ombre, 

Impoverito  di  (ua  pompa  altera  , 

Concede  altrui  le  vie  libere  e fgombre  i 
Erifcbiaraiido  lacaliginnera, 

Hor  che  raro  arbofcello  ha  che  1 adombre. 

Senza  invidia  del  prato,  c fuor  de  l’ufo 
Scopre  a di  occhi  del  Sole  il  grembo  chiufo. 

‘ ^ r j I» 


JÌO 


LA  SEPOLTURA 


356.  Intanto  pria  ch’a  fepelir  fi  porti, 

Il  Icttofi  compon  luoubre  e mcfto.^ 

L’infima  parte  bàfovrarami  attorci  • 

Di  verdi  ftramà  un  piumaccivol  concedo. 
Di  fovratien  de  più  bei  fior  de  gli  borei 
Moke  orditura  il  thalamo  fanerto. 

L’ordin  fupremo  e poi  di  gemme,  e d’ori, 
E di  glebe  d’incenfo,  c d’altri  odori. 

357.  La  coltra,  che’l  ricopre,  è cofi  grande 
Che’ntorno  giù  dal  letticivol  trabocca, 

E da  capo , da  piedi,  e da  le  bande 

Con  le  faldi  cadenti  il  terrei!  tocca, 

E d’un  bruno  broccato  , il  <|ual  fi  fpande, 
Sovra  tela  d’arg-nto,  e fi  disfiocca, 

E d’un  fregio  di  perle  ad  or  commifte 
Riccamato  ha  il  gran  lembo  a quattro  li/ie. 

3 j8 . Son  de  l’ifteflb  i morbidi  ori  gl  ieri  , 

Dove  il  morto  fanciul  la  certa  appoggia , 
Han  pur  di  fofea  fetai  fiocchi  neri , 

É fon  trapunti  a la  medefma  foggia. 

Sparla  in  sù’l  volto  i faretrati  Arcieri,^ 

Gli  hanno  di  refe  una  vermiglia  pioggia, 

E gli  bàia  piaga  del  coftato  horrcnda 

' Falciata  Amor  con  la  fuapropria  benda- 

Et  ecco  il  rame  già  curvo,  e forato 
Con  lugubre  muggito  alto  rifona, 

E chc’n  cominci  l’ordine  fchicrato 
De  l’eflequiea  partirfi,  il  legno  dona , 
Primiero  il  vecchio  Aftreo  vien  col  Senato 
Trai  miniftri  maggior  de  la  Corona’ 

E tra  col^or  Sidonìo  armato  viene, 

E con  Dorilbe  in  nera  verte  Argenc. 


Sci 


/ CANTO  DEC  IMO  NONO.  ;xi 

)to,  Sei  quadriglie  <\*Aral<il,  c eli  nTrombcjiri 
Ivano  imianii  a Thor  rido  fe  retro, 
AcaidiCavalicr  fra  gli  altri  eletti, 

Due  lunghe  file  poi  tic  ve  ni  a n dietro. 
QuelfovraVbini,  c cjuefti  in  sùGiannetti 
Di  pel  conforme  a l’armi  oCcuro.c  tetro 
Erauchi,  e fiochi,  c‘langu.idi,  cfoavi 
Sol’piravano  1 fiati  a i loronxi  cavi. 

In  Alicorni  a Icgier  morfo  avinti 

Ben  cento  coppie  in  armeggiar  maeftrc* 
Conpoppe ignude 5 Se  liabiti  fuccinti 
D'Annaioni  leguian  la  turba  equcftre, 

Non  già  dardi  dorati  > archi  dipinti, 
iWà  brunite  lagaglie  ar  man  le^deftre. 

Le  fofche  chiome  innanellate  a l’aurc. 

Vergini  brune,  e Giovinette  Maure 

)6i.  Bianche  altretante  poifeguon  le  negre 
Afuon  di  Cordi  timpani,  e taballi , 

Piene  d’incenfo  in  tefta  han  conche  integre, 
urne  in  mandi  limpide  crifiallì, 

Vefton  gonne  fguernite,  e poco  allegre  , 

E fon  cervi  frenati  i cavalli , 

Di  gramaglie  coverti,  & ogni  corno 
D’aride  fronde , c fcolorice  adorno. 

Succedean  de  laCc)rtedi  Canopo, 
Attraverfatl  di  fanguignabanda 
Gli  feudieri  davante , i paggi  dopo, 

E di  notturni  fior  cingean  ghirlanda, 

Di  quel  color,  che’l  torrido  Et  hiopo 
Da  la  fervida  2onaa  noi  gli  manda. 

Cotte  haveandi  cottone  ala  Mor^ca, 
Tuttidi  pari  età  giovane  e freCca. 


Purpu- 


LA  sepoltura, 

3^4,  Purpureo  carroalfin,  ch’a  biga  abiga 
Sii  rote  d’oio,  e d’hebeno  contcfte 
Traheau  venti  Elefanti  In  doppia  riga. 

Le  due  Donne  portava  afflitte  e melte, 
Sovrafiedc  a ciafeuno  un  Mano  auriga, 

E sù  1 capo  Là  ciafeun  piume  funefte, 
Hnmidi  gli  occhi,  e pallidii  fembianti, 

E tencbrofi,  c lagrimofi  i manti.  ! 

3éy.  L’illufiratordegrintellettiravggi , 

L'eterno  theforier  de  l’aurea  luce 
Senza  fronde  ale  tempie,  e fenza raggi 
Succede  a quefti,  e’ipopolfuo  conduce. 
Cìngonlo  quinci  c quindi  ancelle,  e paggi> 
Come  Signor  d’ogn  altro  lume,  e Duce. 

Le  Stagioni  co’Mcfi,  il  Tempo,  e l’Anno  , 

E la  Notte  col  Dì  dietro  gli  vanno. 

366.  SÙ  la  mole  portatile d’un  monte, 

Vicn  quei,che’a  Dclo,  e’n  Delfo  bàia  Tua reg- 
E di  bel  lauri  in  sù  la  doppia  fronte 
Di  quel  finto  Parnafo  ombra  verdeggia. 
Quivi  per  arte  è fabricato  un  fonte , 

Lo  qual  d’argento,  e di  criftallo  ondeggia; 

E preflb  Tonde  affai  firaile  al  vero 
V’nàdi  rilievo  il  volator  deftriero 

367-  Non  confenti  la  Poefia,  che  fuflc 
Priva  di  lei  la  compagnia  follenne 
E tutta  feco  la  famiglia  adduffe, 

Fuor  la  comedia  fol,  che  non  vi  venne  , 

E tutti  neri  gli  habiti  coftrufl'c, 

I Cigni  iftefli  nere  hebber  le  penne. 

Le  bianche  panile  co’purpurci  rcftri 
Tutte  eran  tinte  de’ più  puriinchloftri- 


Con 


CANTO  DECI  M.O  N ONO.  515 

Con  gli  occhi  molli,  c languidi,  c dimclt 
LeMuleafflucc>  c con  turbata  faccia, 

Cinteli  din  di  mortelle  , c di  cipreflì. 
UMgranLka^i'or  tirano  abraccia, 

SegQon  d’abfmthio  incoronaci  anch’cffi 
Cento  Poeti  la  medefoaa  traccia, 

Idi  dogUolc  c c^ucrule  elegie 
lanuo  per  tutto  rlfonar  le  vie. 

)<9.  Mercurio  col  drappcl  de  lo  Dio  biondo 
Yolfe,  ch’anco  il  Tuo  ftuolo  unico  andaflc, 
E’nfiiuilttodoun  numero  fecondo 
D’altrctanti Oratori  in  fchicra  tralìèj 
Evi  raccolCc  di c^uant’Arci hà  il  mondo 
liberali,  e mccaniche  ogni  clalTe. 

Che  di  Minerva  con  otlequio  iacro 
Prccedeauo,  e feguiamo  il  fiinuiacro. 

570»  L’imago  ancor  > qual  l’adorò  già  Roma, 
Tra  mille  palme  eli  Imeral do,  c d’oro, 

V’-erade  la  Virtù,  cinta  la  chioma 
Di  verde  oliva,  e d’immortale  alloro. 

Reggeano  altre  in  siVl  tergo,  imraenfa  fona 
Un  caduceo  fovrhuman  lavoro , 

Tutto  d’argento  fmifurato  & alto. 

Salvo  le  fcpi  iol,  ch’eran  di  fmalto, 

J71.  Dopocoftorconlofquadrondi  R'hcti  ‘ 
Tabernacoli  argentei,  e criftaUlni 
Portano  ftatuehortibili  di  Ceti, 

Foche,  Piftri, Balene,  Orche,  c Delfìni, 

E chiufi  in  groffe  gabbie,  c’n  deppie  reti 
Gran  Capidogli,  c gran  Vecchi  marini.  ^ 

Hauvi  Rofmari  ignoti  agli  occhi  noftri» 
Hippoianùioui)«i^i,&  altri  mollai. 


LA  SEPOLTVRA/ 

371.  Da  volubili  ordigni  indi  fon  tratte 
Per  meraviglia  d’ineffabil’arte 
Navi,  c galee  con  fommainduflria  fatte. 

Che  le  vele  han  d’argento,  ed’or  le  farte  > 
Ignude  ilfenpiù  candido  che  latte, 

V engon  Nercidi  con  le  treccefpar te, 

E vibrali  con  le  man  lucide  e bianche 
Arbori  di  corallo  a cento  branche. 

573.  La  Dea  del  mar  tra  Ninfe , e tra  Garzoni 
Sovraun  carro  di  chiocciole  procede, 

Qiici  forma  han  di  Sirene,  e di  Tritoni, 
Quefta  hà  di  verde  limo  algofa  fedc  > 

E van  facendo  ftrepitofi  fucni 

Mentre  con  lento  andar  movono  il  piede-, 

E tra  battute  e ribattute  conche 
Fan  le  voci  languir  tremule,  c tronche. 

3,74.  Segue  colei , che^l  dono  altrui  difpenfa* 
Con  lar  ga  man  de  le  granifte  arifte. 

Van  di  (piche  dorata  in  copia  lmmcn(a, 
Spargendo  nembi  le  fue  Ninfe  trifte. 

. Conducon  parte  in  (patiofamenfa 
■Vaiit  vivande  accumulate,  e mifte. 

Quanto  apporta  la  terra,  e l’aria,  e’I  mare. 
Quanto  il  foco  cond’fce,  entro  v’appare; 

•^5i  Reca  de  l’abondanza  il  fcrtll  corno 
V p’altra  parte,  di  fin’or  coftrutto , 

C’  h à di  biade  mature  il  grembo  adorno, 
Edifemi  iècondi  è colmo  tutto 
Squadra  gli  vàdi  contadi  intorno 
Con  armi  proprie  a coltivar  quel  frutto 
Vomeri,  c zappe,  e falci,  e cribri , c pclc 
Cpnquamo  de  lajivfi'c  a.  Popra  vale. 

^1  « AcconiL 


CANTO  DECIMONONO.  51J 

^6.  Accompagnan  di  Cerere  gli  adufti 
Dal  Sorardeucc, e ruftici  cultori 
Icuftodi  de’pratìjdcgliarbufti, 

Pomona  con  Vercun,  Zetìr  con  Glori  j 
Et  han  cancftri  d’auree  poma  onufti, 

E verfaii  pieni  calathi  di  fiorii 

Et  a qucftcj  & a quelli  il  crin  circonda. 

Di  Ciparillb  la  funerea  fronda, 

}77*  Trahc  pofeia  del  licor , che  brilla , c fuma 
La  gente  lua  lo  Dio  giocondo  e frefeo. 
Giovani  fcelti  di  novella  piuma 
Portano  avanrcla  credenza,  e’idefco. 
Ciafeuno  ha  in  mad’un  bel  rubin.chcfpuma, 
Vafel  d’oro  diftinto,  c d’arabefeoi 
E per  tutto  il  camino  a quando  a quando. 
Vanno  à prova  bevendo,  e propinando. 

378.  Di  verde  mitra  adorno,  hauvi  Filifeo, 
Sacerdote  di  Libero,  c Poeta, 

Con  tutto  quello  ftuol,  chc’l  fccol  prifeo-  1 
Appellò  Mimallonide,  e Maceta- 
Qnal  di  fimilace  il  crin,  qual  di  lentifco. 
Cerchia,  deporta  ognifembianza  lietai 
Evan  tutti  vibrando  horribilmentc 
Chi  coltello,  chi  thirfo,  e chi  ferpente. 

I79.  Vnplauftro  a quattro,  e sì  leggiadre  , 
Ch’invidia  fanno  al  carco  de  l'Aurora, 

Nifa  conduce  in  raezoa  quefte  fquadrc. 
Nutrice  di  colui,  che  Thebe  adorai 
E1  letto  genial  ,dove  la  madre 
Giacque  col^ran  Motor , conduce  ancora  i 
E del  medelrao  la  corona  pdfta 
Di  viti,  cd’hcdjc  inbbnchcfafce  attorta. 

X 6^  eia- 


51^  LA  SEPOLTVRA. 

380.  Cinquanta  dopo  cjueftaeb ri  Sileni 
Sovr’alineUi  manfueii  e pigri,  ^ 

Cantando  tuttavia  vcrfi  epiceni. 

Gran  cuoia  gonfie  in  braccio  hanno  Tigri, 

E vcrfanfone’calicij,  chepieni 

Tengono  in  man  di  bianchi  humorl,  c nlgri. 
Da  gli  otri  il  vin,  che  fi  diffonde  e cade  , 

Di  dolci  filile  ingemmano  le  ftradc, 

Sovra  un  bel  foglio  d*or  preme  Lie©  - 

La  Fera  , ch’idolatra  è de  la  Luna. 

Laconico  e il  vcftir  d’oftro  Eritreo, 

Il  cui  vermiglio  la  viola  imbruna. 

Intagliata  nel  feggioè  diPenteo 
La  dolorofa  e tragica  fortufìa. 

Un  Satirin , che  fiede  a piè  del  trono 
Gonfia  un  corno  caprin  con  rauco  fuono-. 

jSx.  Piangendoanch’ei,  del  gcnitor  Dionigi 
Cinto  di  menta  il  gran  capo  vermiglio. 

Senza  la  falce  in  man  fegue  i vefiigi 
Il  fuo  barbuto , il  fuo  membruto  nglio. 
Cavalca  un’aniraal  pur  di  que’^bigi 
Con  lunghe  orecchie,  e tiendimeflbil  ciglio 
Va  con  le  vene  al  collo  enfiate  e groffe  , 

Col  nafo  accefo , e con  le  luciroffe, 

383.  Tinti  d’ebuli,  e morii  volti  informi,  ; 

Dopo’l  cultor  de  gli  horti  Lampfacet 
Armenti  di  bicorni,  e di  biformi. 

Gregge  di fc mi  capri , cfemidei« 

Satiri,  Fauni,  & altri  a lor  conformi , 

N i:mi  efclufi  dal  Ciel,  rozi  c plebei, 

So  fpmgon  da  cent’argani  tirato 
■Vn’lmmenfo  Coloflo  c finifuiato. 


Eorma 


(iANTO  DECIMONONO.*  51^ 

)I4.  Forma  hà  d’immenCo  c Gigantco  colaffo 
D’oricalco  dorato  un’lth-ifallo, 

Cento  cubiti  lungo,  e venti  grolTo, 

S'ichc  ftridc  al  gran  p cGo  il  piedcftallo, 

E nel  mezo  del  vertice,  clic  rodo 
Inneftato  il  rubino  Vià  sù’l  metallo. 

Sì  chiara  fcintillar  fte  Ila  Ti  feorge, 

Che  Lucifero  par , quando  il  Ciel  forge» 

Non  vide  Roma  infra  le  fue  colonne  . , 
Mai  miracolo  egual  piantato  c dritto. 

Ne  tra  Quante  più  v afte  edificonne 
Piramide  maggior  celebra  Egitto. 

Và  de  le  Verginelle,  c de  le  Donne 
DiCithera , e di  Gnido  il  choro  afflitto , 

E cantando  per  via  mefte  canzoni , 

L’incorona  di  fcrci,  e dì  fedoni. 

m 

jtó.  Pafsò  poi  de  la  Dea , che*n  Cipro  impera. 
Tutto  il  correggiole  con  diverfi  incarchi. 

Di  ceftto  Sagittari  armata  fchicra  ^ 

Veniva  innanzi  con  turcaffi,  & archi. 

Di  brocchieri  lunati  a la  leggiera, 

E di  lievi  loriche  adorni  e carchi, 

Senz’elmi  in  tefta,  c con  corone  aurate, 

E l’armi  erano  azurre,  c d’or  &egiate. 

387.  Sccondarrano  ì primi  anco  altri  cénto 
Gravile  deftre  di  fpadoni,  e d’azze, 
C’iiaveandi  puro,  eben  forbito  argento 
Le  celate,  le  targhe,  c le  corazze. 

Seguiva  alfin  per  terzo  un  reggimento 
D’hafte  ferrate,  c dì  ferrate  mazze, 

E vario  di  color  da  l’altre  truppe 
Nerigli  arnefl  barca,  noie  le  giuppe.  : 

Al 


LA  SEPatTVRA, 

588»  Al  tergo  di  col^r  cento  Arieti 
Con  cento  Tauri  di  color  limili 
Moveano  il  palio  tardi  c manfucti 
Con  tcfte  chine,  e con  cervici  humilL 
Haveano  in  doflb  l'erici  tapcti, 

Aurei  frontali  intorno,  aurei  monili. 

D’appio  feco  le  corna  inghirlandati, 

E di  vermiglio  vel  gli  occhi  bendati* 

j8^.  I Sacerdoti  ancor  fon’altrctanti 
Di  coltella  forniti , c di  fecuri. 

Con  cui  di  forma,  e d’habito  eleganti 
Con  donzelli,  c’hanno  i volti  ofcuri, 

Splche  di  nardo,  foglio  d’amaranti , 

E calami  di  cafia  eletti  e puri  ^ 

Portan  con  lento  piè  premendo  il  calle 
Dentro  vali  gemmati  in  sàie  fpallc. 

Fanciulle  arrecan  poi  di  candide, e bionde 
Di  lagrime  di  mirra  altre  vafella  , 

E foftien  del  licor,  ch’entro  s’afcondc, 

Mille  dramme  di  pelo  ogni  donzella. 

E non  menchei  primier  , fon  le  feconde 
Guernitedi  livrea  rplendidaebella 
Vermiglia  han  di  quelli  inlìn’a’pìè  la  vcftc^ 
Scorciate  in  bianca  tunica  van  quelle» 

Vn*altra  legion  pur  di  pedoni  ’ 

Segue,  e fon  cucii  inermi,  e tutti  hallatu 
Qui  Nubi,  e Garamanti,e  Nafamoni, 

Et  altri  Negri  in  Ethiopia  nati 
Van  con  denti  d’avorio,  e con  tronconi 
^t)’hcbeno  in  man , di  porpora  addobbata 
Vibrai!  molti  di  lor  ricchi  incenlìeri, 

Molti  follengon  d’or  lampe,  c doppieri- 

Se  bell: 


CANTO  DECIMONONO. 

Sebcn  non  venne  a que’pompofi  uffici 
Per  le  note  cag\on  la  TDea  di  Cinto, 

Non  però  Cacciatori,  cCacciatrici 
L^fciato  già  d’accompagnar  l’eltinto 
Cni  trahe  per  man  da  le  Rlfee  pendici 
Pardo  leggiadro  a ricca  corda  avinto 
Chi  da  le  rupi  de  la  Cafpia  foce 
Tigre,  ò Pantera  indomita  c feroce. 

p).  Chi  fier  Leon  da  l’Africana  arena, 
ChifuperboCervier  dalbofco  Thracc, 
Chi  l’Orfo bianco,  diRuffia  vi  mena. 

Chi  di  Scithia  il  crudcl  Grifo  rapace. 

Chi  d’Hircania,  ò d’Epiro  a lo  carena 
Conduce  Alano  alcicr,  Molofib  audace, 
Chi  con  bracco , ò levrier  tratto  a la  laflà- 
Odi  caria,  ò di  Creta  in  moftra  palla. 

394.  Hauvi  di  Falconieri  altri  drappelli 
Con  Giraffe,  e Canncli,  e Dromedari, 
Ch’entro  eburnee  prigion  fomc  d’augelli- 
Portan  sù’l  dorfo  peregrini  c rari, 

Quanti  iTndi  Cicl  n’habbia  più  belili 
Tumidi  piuma  differenti  e vari, 

E volar  d’hor’in  hor  ne  lafcian  molti 
Sol  co’piedi  legati,  il  rcfto  fciold. 

JJ5-  Ecco  la  bara  alfin , che  ben  compofte 
Con  vari  emblemi  intorno  ha  varie  imp 
E d’armari  ^ucrrier  tiene  a le  cotte 
Di  qua  di  la  due  maniche  dittefe, 

E con  mirabil  ordine  difp^)tte 
Lumiere  illuttri  in  ogni  parte  accefè,. 

E de’torchi  lucenti  anco  la  cera 
Situile  intuito  al  paramento,  è nera.- 


LA  SEPOLTVRA, 


396.  Le  Ninfe  <U  Ciprigna,  e le  donzelle 
Circondan  quinci,  e quinJiil  cadalctco  > 
E foftengon  tra  via  le  braccia  bel  le, 
Ch’accennan  di  cader,  del  Giovinetto. 
Hauvi  anco  altri  valletti , e altre  ancelle. 
Che  dolenti  nel  core,  e nel’afpetto 

La  cuccia  de’bei  membri  horrido  alberg< 
• (Pefo  dolce  e leggier)  port  an  sù’l  ter^o. 

397.  Vltimaa tutti  i neri panmavolta 
Venere  bellail  funcral  coochiude, 

E con  viTo  graffiato,  e chioma  fciolia 
De  le  ftelle  fi  lagna  invide,  e crude, 
Battendoli  con  mane  anco  tal  volta 
11  bianco  petto,  eie  mammelle  ignude. ^ 
Turba  di  ferve  hà  dietro,  c d’atrio  ilari 
La  fida  guardia  de  gli  Arcieri  alaci. 

398.  Giunta,  ovc’l  bel  cadavere  difegna 
In  preda  dar  de  la  funebre  arfura, 

E dov’c  già,  d’uB  tanto  dono  indegna  , 
Edificata  la  catafta  ofeura. 

Fa  Citherea  depor  fovra  le  legna 
Il  letto  à[piè  de  l’alta  fepoltura. 

Indi  fuppofta  la  facella  a l’efca. 

Fa  che  dello  dal  fofto,  il  rogo  crefea. 

J99-  Già  sùle  prime  fronde  a,pcnaàpprc6> 
Si  dilatan  gl’incendii  in  un  momento. 
Sonan  le  gemme  de  fregiati  arnefi, 

E fuda  lojo,  e fi  disfa  l’argento , 

Stillan  fucchi  d’Arabia  1 rami  accefi 
Che  giàgrimpingua  l’odorato  unguento 
Stride  feoppiandoin  liquefarli  al  foco 
li  na^do,  U collo,  il  cinnamomo  é’I  croco 


CANTO  DECI  MONONO. 


♦80.  Più  nobil  fìamma  in  terra  un^ua  non  arie 
Nè  ccncr  mai  più  ricco  (ì  corsole. 

Chi  di  candido  latte  urne  vi  Iparfc , 

Echidi  negro  viti  taxxc  ipumofe. 

Altri  le  mani  ancor  non  havea  fearfe, 

Di  biondo  mele,  edi  più  rarecofe. 

Altri  del  {angue  de  gii  uccifi  armenti 
Abbeverava  le  faville  ardenti. 


401.  Verfanvielacci,e  rctij&archìjcftrali 
Volando  intorno  ì lagrimofi  Amori. 

Le  vaghe  penne  fvellonlìdarali, 

Eie  fan  cibo  de* voraci  ardori. 

Le  tré  Eunomia  ancor  figlie  immortali 
yi  gittan  dentro  i lor  monili,  e i fiori. 
Vener  le  trecce  d*or  troncar  fi  volle, 

Età  le  fiamme  in  vhtiina  donolle. 


401'  Indi  il  bel  rogo  ancor,  fecondo  II  rito. 
Prende  da  manca  a circondar  tre  volte, 
Etinchinando  il bufto  incenerito, 
Lebcllcxxe  Calura  in  aria  fcioltc. 

Ma  poiché  già  V ulcan  languc  fopiro , 

E l’offa  amate  ha  in  polvere  rivolte, 

DI  propria  mano  il  cenere  rimafo 
Raccoglie  e ferra  cntro’l  marmoreo  vafoi. 

40}.  Serrato  il  vafo  , in  cui  chiudcafi  quanto 
Natura,  c*f  del  di  belle  unqua  creato, 
Araor,  che  ftava in flebì l’atto  acanto 
Quali  cuftode  al  cimicerio  caro , 

Cercava  pur  d’intenerir  col  pianto 
' L’afpro  rigor  di  quel  fepolchro  avaro,  , 
E con  la  punta  del  dorato  ftrak 
Vi  fcolpl  Covra  un’cpitafio  tale. 

O pere- 


ftt  LA  SEPÒLTVRA, 

40  j.  O peregrln,clie  paflì,  arreftailpaflb 
Al  marmo,  fe  non  hai  di  marmo  il  core. 

Giace  fepolto  Adone  in  qucfto  fallo, 

E giace  leco  incenerito  Amore. 

Nel  cener  freddo , c nel  fepolchro  baffo  ^ 
Spento  il  lume  è però  > non  giàl’ardorc- 
E che  lìa  ver,  tocca  la  pietra  un  poco. 

Che  fenz’altro  focil  n’ufcirà foco. 

40 4.  VI  fu  fofpefo  in  un  gran  fafcio  involto 
L^arco  iniìemc  con  l’hafta,  c con  i’alcr’arini> 
E’I  dente  de  la  Fera  anco  raccolto 

Rdlò  trofeo  di  quc’medefm.1  marmi, 

F ù poi  con  lìmil  cura  il  Can  fepolto 
E Febo  agglunfe  a gli  altri  honori  i carmi. 
Che  sù  l’avel  de  Tanimal  trafitto 
La  memoria  lafclò  di  quello  fcritto. 

405.  Qui  ftà  Saetta  , il  Can,  la  cui  bravura 
Le  Fere  fpaventònon  folo in  terra," 

Ma  quali  a quelle  ancor  pofe  pavra , 

Che’l  Zodiaco  nel  Ciel  raccoglie  e ferra  , 
Pluton  per  far  la  fua  maggion  fccura. 

In  guardia  de  l’Inferno  il  tienfotterra. 

Che  poic’Hercol  dilcefeia  quella  Corte, 

Fidar  non  vuole  a Cerbero  le  porte. 

406.  Polciache*!  nobil  marmo  incorai  gulfà 
Ha  già  d’Adon  le  ceneri  coverte. 

La  meda  DealaVc  la  pietra  incifa 
Del  depofito  caro,  il  pie  converte; 

E fiata  alquanto  immobilmente  fila 

Con  gli  occhi  in  alto,  e con  le  braccia  aperte 

Trangofeiando  più  volte,  alfin  fifeorte, 

£ romper  il  fuo  tacer  con  quelle  note. 

Dolci 


CANTO  DECIMONONO.^ 

407- polcl,mcntr’al  Ciel  piacque, amate  fpogllc 
Giadolci  un  tempo  , Hor  quanc’amatc  amarcj 
Poiché  negano  Tacque  a tante  doglie 

Fatte  le  luci  mie  di  pianto  avare. 

Prendete  quelti  Eori>  e quelle  foglie, 

Yliimi  doni  a le  reliquie  care  , 

E’nveccdclc  lagrime  dolenti 
Gradite  quelli  baci,  8c  quelli  accentL 

408-  S’invido  fato,  avaro  Cicl  mi  toglie 
Diftcmpi^.r  gli  occhi  in  lagrimoio  mare, 
Dlqueltatomba  le  funefte  foglie 
Nonmitorrà  con  gemiti  baciare. 

Se  colei,  ch’ogni  fior  recide  c coglie, 

Recifo  ba  il  lìor  de  le  bellezze  rare, 

Lolpirto  almen,  ch’afcolca  i miellamenti, 
Giadifca  quelli  baci,  c quelli  accenti. 

40^.  L’urna  gentil , che  le  beirofla  accoglie, 
Sarà  de’ voti  mici  perpetuo  altare, 

L’altc  faville  de  Tacccfc  vogli» , 

Là  dove  il  cor  lacrificato  appare, 

11  foco  de’ Colpir,  che  Talma  fcloglic, 

Sanar  fiaccole,  e fiamme  ardenti  e chiarct 
Ombra  felice,  fé  mi  feorgi, c fenti, 

G r adì feij  ciucili  baci,  e quelli  accenti. 

4ro.  Qui  tace,  c chiede  del  fuo  core  il  corc, 

E gli  c recato  al  primo  cenno  avante. 
E'A’havea  già,  quando  il  Sabeo  licore 
Le  vifccre  condì  del  caro  amante. 

Sterpato,  fvelto  inlìn  dal  cento  fore 
Del  bel  jSanco  fparato  11  cor  tremantci 
Indi  il  ferbò  tra  pretiofe  tempre 
Di  celefti  profumi  intatto  Tempre. 


Tolto 


la  SEPÒLTiatlA> 

411.  Tolto  inmanoquelcor , gli  occhi  v'affìtte, 
£ contcraplollo  cori  pietofo  affetto, 

Et,  O del  più  bel  foco  (indigli  difle) 

E del  più  puro  ardor  nobii  ricetto , . 

Che  d’aver  rifcaldato  unqua  s’udiffc  - 

In  Cielo,  ò in  terra  innamorato  petta. 

Così  fuor  di  quel  fen,  ch’era  tuo  leggio, 
Lacerat0,&  appetto  (oimè)  ci  veggio? 

411-  Forfe  molhar  mi  vuoi , che  non  contento 
De  Tamor,  che  'avendo  in  te  bolliva, 

Dopo’l  cener gelato,  e’I  rogo  fpcnto 
Serbi  ancor  la  tua  fiamma  accela  e viva. 

Ahi  ben’il  veggio,  anzi  in  me  ftefla  il  Tento, 
Che  ben  che  del  mio  ben  vedova  e priva, 
Ancor’eftinco  de’begli  occhi  il  lampo. 

In  pari  ìnceRdio  immortalmente  avampo. 

4i3.Hor  con  qualdegnò  honor,fnor  che  di  baci 
Sodisfar  peno  ad  oblighi  sì  cari? 

Ond’havrò  per  lavarti  acque  vivaci. 

Secca  la  vena  dc’miei  pianti  amari? 

Chi  mi  darà  le  Inminofe  faci , 

Spenta  la  luce  di  que  lumi  chiari? 

Fuor  dei  bel  volto , ove  faranno  i fiori  ? 

Senza  i ^ati  foavi,  ove  gli  odori? 

4h-  Deh  cheferò?  Per  quanto  almen  mi  liccj 
Io  voglio  al  mondo  pur  con  qualche  fegno 
Lafciar  del  noftro  amor  poco  felice 
Grata  memoria , & honorato  pegno. 

S’a  gli  altri  Dei  ciò  far  non  fi  dimice,  . ; 
Scaltro  mortai  fó  di  tal  gratia  degno, 

Per  qual  caglon  non  potrò  farlo  anch*io 
O perche  non  l’havrà  Fidolo  mio? 


Farò 


CANTO  DECIMONONO.  515 

Farò  dunque  al  mio  ben  MOelIb  honorc. 
Clic  fece  Apollo  al  lùo  laaclullo  u cUa, 

Che  non  fti  certo  il  mio  gentile  ardore 
BiGlaciaco  metibcl  » ne  di  NarciCo. 

Epoich’ci  fu  d’o^ni  bellezza  il  fiore, 

E di  fiori  hebbe  adorno  il  feno , c’I  vifo> 

E mi  fiu  colto  in  sù  l*eta  fiorita, 

Vò  che  cangiato  in  fior,  ritorni  in  vita* 

4t«.  Trai  Sori,  ò fiore,  il  primo  pregio  havrai, 
Torrailo  fccttro  a la  mia  rofa ancora. 

Vinti  faran  da  te  «quanti  ^lariwi 

dori  interra  ne  Cparfc,  lu  Cicl  TAurora, 

Ornamento  Immortai  ile  mie  rofai, 

Perpetuo  Korvor  de  la  vezzodaFlorai. 

Nova  pompa  del  prato,  e del  terreno. 

Novo  fregio  al  mio  crine,  & al  mio  feno. 

417.  Farò  Tempre  di  prò,  che  d‘anno  in  anno 
. De  la  Parca  malgrado,  e de  la  Sorte, 

Sirinovelli  col  mio  duro  affanno 
La  rimembranza  di  si  cruda  morte  » 

E i miei  devoti  ad  imitar  verranno 
Con  folcnne  dolor  piangendo  forte, 

Come  fec’io  quando  il  mio  ben  perdei* 

La  trifta  pompa  dc’laraenci  miei. 

418. -Quefto  fiume  vicin , chogiàfi  tinfc  ^ 

Del  nobil  fanguedel  buon  Rò  Ciprigno, 

Nel  giorno  ifteflo,  cheTCinghiall'eftinfc, 
Col  corno  rottocorrerà  fan ^uigno, 

Qucftq  medermo  mar  clieT  lido  cinfc  • 

Dove  l’opprcflftil  rio  deftjnmalig  uo 
Nutrir^  pefee  tal  nqlgrcmbointcrnQ^ 

Che  xiccirà  d‘ Adone  il  nome  cterw».  , 

Poiché 


LA  SEPOLTVRA, 

4ip.^  P oiche  così  parlò  di  nettar  fino,  ^ 

Picn  di  tanta  virtù  quelcorc  afperfc , 

Che  torto  per  miracolo  divino 
Forma  cangiando,  in  un  bel  fior  s’aperlc» 

B nel  centro  il  piantò  del  fi\o  giardino  ' 

Tra  mille  d’altri  fior  fchieredLvcrlc. 

Purpureo  è il  fiore,  & Anemone  è detto. 

Breve,  come  fó  breve  il  fuo  diletto. 


Rivolta pofeia  al  fido  ftuolo  amico 
De’fervi  Amori,  c de’compagni  Divi , 

Fù  Tempre  (ripigliò)  cortume  antico 
D’honorar  morti  quei,  che  s’amar  vivi. 
Oflervatti  ben  tu  l'ufo,  c h’io  dico , 
Accopiando  al  dolor  giochi  fedivi 
Bacco,  quand’empia  Morte  Ofelte  uccilc. 
Così  fece  il  mio  figlio  al  padre  Anchilc, 

*411.  Quefto  ritofeguir  dunque  m’aggrada 
Ne  le  (acre  d’Adon  pompe  funefte,  • 

Io  vò,  ch’ogni  anno  in  quefta  mìa  contrada 
S’habbiauo  a celebrar  tragiche  feftei 
E vò  che  vi  concorra  c che  vi  vada 
Spettatrice  non  fol  turba  cclefte , 

M à del  mar,  de  la  terra,  e de  l’Abiff o, 
Editrèdllo  Ipatiohabbìan  prefifio.  ■ 


411.  Còsi  ragiona,  c l’immortal  brigata  * 

Il  pietofo  pender  commenda  c loda. 

Onde  ilgranbanditorde  l’ambafciata, 
L’autor  de  l’eloquenza,  e de  la  froda, 

Sù’l  capo  impon  la  cappellina  alata,  ’ 

Alate  al  piè  le  tallonicre  annoda,  ■ fi 
Nè  p«r  gli  Dei  del  del  convoca  c cita,  * 
Mà  quanti  il  mondo  n’hà,  tutti  grinvita. 


S^l 


CANTO  DE-CIMONONO. 


4M*  Eperpofar  rxc  le  ccru.lee  piume 
Già  varca  Intanto  il  Sol  l*ondemarinc, 
• E già  fi  lava  entro  le  £aircfpume 
L’humida  fronte,  c*l  povcrofo  crine. 
Vedefi  tinto  il  del  d.’ ombre, e di  lume 
Ncltenebcofo,e  Incido  confine, 

E’a  sè  far  mezo  chiara,  e mezo  ofeura 
Dcla  notte,  c del  giorno  una  mlllura. 


^>*  Eine  Dei.  Dscimonono 
C ▲ M T 9 . 


GLI  SPETTA  CO  Li 

V 

< t * 

CANTO  VENTESIMO. 

ALLEGORIA. 

Givochi  Adonli  inftituiti  da  Vc- 
nere  ncireflcquic  d’ Adone , fono 
I per  farci  intendere  , che  quegli 

amici , i quali  veramente  di  cuo- 
re  amano , non  lafciano  con  tut- 
te 1 - ufficio  fc  dimoftràtioni  poffi- 
bili  d’honorarc  etiandio  dopo  la  morte  la  me- 
moria di  colorò , che  hanno  amaci  in  YÌca.NelIa 
gioftra»  che  dopo  il  tirar  dell’arco , il  ballo,  la 
iotea,  & lafcherma  de’duc  precedenti,  è lofpct- 
tacolo  del  terzo  & ultimo  giorno,  oltre  i Ca- 
Talieri Barbari,  che  v’intervengono , fono  ad- 
ombrate molte  fàmigUe_principall  d’Italia.Trà 
le  Romàne  ve  ri’hà  primieramente  quattro,  che  ^ 
vengono  da  Pontefici,  come  Farnéfi,  Pcretti,  '- 
Aldobrandini,  & Borghefi.  L’altre  ,chcfeguo- 
no,  fono  Qolònnefi,  Orfini,  Conci,  Savellì,Gae- 
tani,  Sforzi,Ccfarini,  Cefi,  Grcfcentii, Frangipa- 
ni, Molari,  Cafàrelli,  Sancacroci,  & Mattel.  Vi 
fi  aggiunge  di  più  il  giovanelpofo  Lodovifio  ni- 
pote di  Papa  Gregorio  il  Dccimoquinto , con- 
giunto ultimamente  in  matrimonio  conlaGc- 
Ivalda,  Principefia  di  Venolà.  Per  la  perfònadi 
Sergio  Carraia  s’intende  ilPrencipediStlglian» 
che  così  fper  quanto  dicono)  fi  chiamò  il  primo 
capo  di  quella  caia,  Ne’tiè  firacelli,  che  vengono 

' apprefloi 


ipptdfo , fi  figurano  i tr  è figW-v  o\l  Gscolari  l Sci 
ftnifl^o  Duca  di  Savola..I_*vino  è detto  Dorcfìo 
. dei. Piemonte  > ralcroAlpino 

J Alpi, predo  allèc^viali  è 11  dominio  dique* 
/^^^*^F*^^^^5?'Z-o;Lcuclppo,  cKc  vuol  dire  Caval- 
tóoiaiKjo',  ikjualeèla  divlCa  atitlcadiquellcAl- 
ttziclduc,  cK^  fono  gli  tilt  imi  a comparire^ 
^*pprcfentar\o  Spagna,  Se  "Francia-  Auftriafino- 
®iiu  la  Guerriera  , cVi’èil  cognome  deH’unai 
namraadoro  il  Cavaliere,  ciò  ò Oriflamraa,  eh’ 
fi  hiftoria  nota  dcilo  Ccndò  dell'altra  A quella 
ttianno  , & il  F.eonc  Se.  V A-cj^nila  5 l’uno  per  efl'cr 
larmc di  Caftiglia,  l'altra  per  la  poiTelfionc,  del- 
l’Imperio , Se  i’ntvo  Se  l’altra  , come  geroglifici 
Wla  magnanimità.  A.  <qu.cClo  danno  il  Giglio,  & 

& il  Gallo.,  IViinò  per  ligniftcare  iirudcttcfcud.# 
ialtro  petcVie- allude  al  nome  della  Gallia, &è 
«Icdicatò  à M.arte,cVic  predomina  quella nationc. 
Nella battaerlia  , ciac  paffa  crà  lóro  j fi  accennano 
le  guerre  pafTatc  yl£*  negli  amori,  che  (accedono 
traamendac  -,  Ci  dinotali  maritaggio fegulco tra 
nucfta  Coróna  &c  emacila-  H proaollico  d Apollo 
lopra lo  fendo  dWulcano  , contiene  le  lodi  del 
KèLodoyico,8c ^ ia  breve  compendio  tutti  i prò. 
^ei£  della  gnerist  moda  contro  gli  Ugonotti. 


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AB.GOMENTO. 


Dopo  l'ejfequìe  nobili  e pompo 

Venero  injUtuifce  i giochi  efiremù 

E compartiti  a i 'vincitori  ì premi. 

Il  'vel/ifqaarcia  Or  le  future  cofcj 

T ecco  pur  dopo  camlii  si  lungo 

E Scorge  la  meta  il.mio  corfiargià  fianco 
Onde  co  maggior  frettalo  sfer zo,e  pugo 
Al  pigro  ingegno  il  travagliato  fianco. 

Già  la  voce  vien  men,  ma  mentr’io  giungo 
Prcfl'o  a lefiremo, augel canoro, c bianco. 
Vorrei  purgando  il  rauco  fpirto  alquanto. 
Far  viè  più  dolce,  e non  mortale  il  canto. 

Qual  volubile  ordigno,  il  cui  volume 
Mifiiraquel,  che  dà  mifura  al  moto , 

Giunto  al  tocco  de  l’hora,  oltre  il  coftume 
V eloci  i giri  accelerando  io  roto. 

Quali  lucerna,  in  cui  s eftingue  il  lume, 
Quando  il  vafcl  d’o^ni  alimento  è voto. 
Svegliando  il  vigor  languido  mi  sforzo 
Raddoppiar  lo  fplcudor , mentre  Taramorzo, 

3 . Somiglio  peregrini  che’fermo  e fioco 
Trafeorfa  già  quella  contrada  e qucftaj 
Del  patrio  tetto , e del  paterno  foco 
Scoprendo  i fumi , i voti  al  tempio  apprefta. 
Sembro Hocchier , chefatto  untcmpogioco 
Per  l’immcnfo  Ocean  de  la  tempefta , 

Torto  che  de  la  riva  arriva  al  ft^ho. 

Ripiglia  U iUTkOi  e da  la  fpiaca  ai  legno. 


CANTO  V 'E.ìSIT:  "E.  SlMd. 

^ leandro  novello  > à cui  trà  l’ondc 
Moftra  lucida  lampa,  cccclfa  rocca. 

Ma  mentre  da  vicinL  mira  le  fponde, 
Mentre  eh’ adhor’adlnor  la  terra  tocca, 
gui^aIl  mau’horrlb>ile  il  confonde, 
CKe^U  manca  tremante  il  fiato  in  bocca, 
Eiafciar  teme  pria  cK’attinga  il  lido, 

Tra  gli  {cogli  lommer  Ce,  il  debil  grido. 

Pur  tale,  e si  benigna  è lamia  Tcorra, 
Sichiara  fplcnde,  c si  Terena  c bella. 

Che  dal  polo  reai  mi  riconforta 
In  SI  dubbio  fa  e torbida  pròcellaì^ 

Ne  tcm’jo  già,  ebe  mi  da  fjpcnta  ,o  morta. 
Perche  mai  non  tramonta  Artica  {Iella} 

E-  può  più  tofto  il  Sol  perder  la  luce, 

Che  cj^uel  raggio  imm.ortal,che  mi  conduce. 

Dunque  che  fai  ì rinfranca  & avalora 
A.hi  Icnton  vocator,  le  forxe  opprellc. 
Ben’hà  tanto  il  tuo  ftU  cU  lena  ancora, 

• Che  ci  bafta  a compir  l’altc  promellé. 

Beco  già  defta  in  Ciel  forge  l Aurora, 

Sorga  la  MnCa  al  bel  lavor , che  celle. 

Già  con  1’u.lclmo  fil  f ebo  la  chiama 
De  la  o-f  aifi  cela  a terminar  la  trama. 

7.  La  Ninfa  d’O  rientc  aprendo  il  grembo 
Trà  nuvolctcl  candidi,  c vermigli. 

Dolce  verfava.  & odorato  nembo  • 

Di  pura  rnanna,  e di  celelli  gigli. 
Garriano  intorno  al  ru^iadofo lembo 

I dipinti  de  Tarla  alati  figli,  ^ 

E per  Tampio  feren  Favonio,  c. Glori 
Scoteano  i vsuani,  c precoriean  gli  arbori. 

£ X Sereno 


GXI*  SPETTACOLI, 


8.  Sereno  ii  elei,  d‘ un’aurea  luce  viva 

Fregiava  Paere  puro  e criftallino,  ' ' 

Et  d’odormolli,  mentre  il  Sole  ufeiva,  ; 
Seminava  le  vie  del  ino  caminoi  ^ . 

Et  a la  funcral  pompa  Feftiva  ^ . 

Apria da  l’ufcio  d’oro,  e di  rubino 
Da  mille  trombe  falutato  intorno,  i ' : 

Di  millelampi  incoronato  il  giorno.  , ' 5 i 

p.  Tranquille»  il  mar,  de  Fonde  fue  facca,'. 
Senz’ai cun  monte  una  pianura  eguale, 

E quafi  una  gran  tavola  parea 

Tinta  di fchiettoazurro  Orientale;  u 

E come  in  Cpccchio  dì  zaffir,  v’ardca . • : T 

In  tal  guifa,  del  Cìel  l’oro  immortale , - 

Che  detto  havrefti , O che  nel  mar  profondo 

Sommerfo  è il  Sole,ò  c’hà  duo  Soli  il  mondo 

lo.  Verdeggiante  la  terrà,  e di  bei  fiori 
Veftito  il  prato,  c di  color  nelli, 

Ricchi.amava  ridendo  i fuoPaftori  , 

A le  ghirlande,  ai  pafcoli  gli  agnelli. 

Spande?  list’ombre  il  bofeo  , e fpcttatori, 
De’bei certami  i venti,  egli  arbofcelli 
Taceano  intenti  al  nobile  apparato 
Fermando  il  moto,  c fpofpendendo  il  fiato* 


ji.  Tratta  i Zeffiri  a volo,  e l’aria  feorre 
Del  celeftc  Senato  il  mefló  eterno; 

E non  fa  fol  le  Deità  raccore, 

C’han  de  la  terra,  ò c’han  del  cicl  governo. 
Ma  chiamata  vi  tragge,  c vi  concorre 
Del  pelago  la  turba,  c de  l’Inferno. 

Sol  Marte  irato,  e fol  V ulcan  dolente  ; 

Non  volfc,  a i propri  fcornl  efier  prefente. . . 

k... 


CANTO  VENTESIMO.  5}J 

II.  Ad  honorar  le  dolorofe  fefte, 

Infticuìce  al  funeral  d'Adone  , 

Da  lo  ftcllance  Tuo  crono  ccleftc 
Col  conforce  ìmmorcal  fcefe  Gianonc. 

Per  si  nove  mirar  pompe  funcfte 
La  cicca  reggia  abbandonò  Plutone. 

E per  far  quell’honorvièpmfollennc 
11  gran  Giove  de  l’acque  anco  vi  venne. 

ly  Oltre  Cerere,  e Bacco,  oltrela  madre 
Del  forte  Achille,  e’I  figlio  di  Latona, 
•D'altri  Dei,  d’altre  Dee  u’hà  varie fquadrc j 
Berecinthia  con  Cinthia,  Ifi,  e Bellona, 
ThemI,  c Verta  vi  fon,  nè  men  leggiadre, 
Iride,  & Hcbe,  e Flora  euvi,  e Pomona. 
Giano,  Como,  Thalaffio,  indi  s’aflìde 
Tra  gl’imraortali  immortalato  Alcide. 

14.  'L’ordin  non  fi  confonde,  a ciafeun  dafli 
Secondo  il  proprio  merito  lafédei 

E Mercurio  il  mazzier,  difpon  le  claffi, 

E d’honor.pari  al  grado  altrui  provedè. 

A tutti  gli  altri  Dei,  che  ftan  più  baffi, 

Con  l’aua  Spola  il  gran  Motor  precede, 

E più  deporto  il  fulmine,  tra  loro 
Eminente  fi  moftra  in  foglio  d’oro. 

15.  Dopo  colui,  che  l’  Vniverfo  regge, 

Ponfi  il  Signor,  che  fovra  l’ondc  regna. 

A i Principi  minor,  c’han  da  lui  legge, 

Loco  non  lunge  inferior  s’alfegno. 

Tien  prelibai  gran  Nettun  le  prime  leghe 
Nereo  conForco,  e gente  altra  più  degnai 
Stan  con  mill’altri  poi  cerulei  Numi 

De  gli  humid’antri  ufciti,i’vecchi  Fiumi. 

Z } Suege 


■£ 

> 


554  . GLI  SPETTACOLI, 

J 6 . Segue  terzo  la  ferie  il  Rè  profondo , 

Genero  de  la  Dea,  che  n Etna  impera, 

E fecohà  cjuella,  che  dal  nofti  o mondo 
Diìcefc  ad  liabitar  la  Città  nera,  . ^ 

Succede  fecolofo  , e rubicondo 
Lo  Dio  d’ Arcadia  con  la  roza  fcbiera. 

Corna,  c piante  hà  falvatiche , e caprigne, 

E di  minio  le  guance  ognor  fanguigne, 

17*  V’e  di  ferula  cinto,  edi  gineftra 
Silvan,  de  l’ombrc  l’arbitro  canuto. 

Che  Pale  a manca,  & hà  Vertunno  adeftra, 

D intorno  un  foltoelfercito  cornuto, 
Rufticagioventù, ulebelilvertra,  . * 

Il  Satiro  lanofo,  c’ì  Fauno  hirfuto; 

Epreflo  at^ucfti  in  nonfublimefcanno 
Cerni,  Lari,  Cureti  alTiiì  ftanno.  

18,  Gran  piano  innanzi  a la  fuperba  entrata  ^ ^ 
Del  bel  Palagio,  ove  Ciprigna  alloggia, 
Spatiofo  veftibnlo  di  lata 
.Sotto  l’aire  fineftrc,  e l’ampia  loggia. 

Che  s’allarga  e diftcnde  in  piazza  ovata, 

<^a(I  di  circo,  ò di  theatro  a foggia.  ^ 

Hà  la  t eia  nel  mezo,  e come  s’ufa. 

Di  palancati,  c di  bertefche  è chiufa. 

19-  Scena  e di  lieti  giochi,  e par  (leccato 
Fatto  per  diffinir  riffe,  e duelli, 

Trà  ben  falde  colonne  incatenato 
Di  graticci  per  tutto , e di  cancelli} 

Et  hà  da’capi  a l’un’e  l’altro  Iato 
Due  porte  con  barriere,  e con  rallelli, 

Per  cui  paffandopoi  denno  i campioni 
Rapprcfentarpacifiche‘tenzoni. 


^ * 


Non 


CANTO  VENTESIMO. 

10.  Nonfoldi  Cipro i popoli,  e Ivlciai 
Sono  a Talto  fpetcacolo  prefenti , 

Màda  viè  più  remoti  altri  confini 

Vi  convengono  ancor  ftraniere  genti  * 
Paefani  non  mcn,  che  peregrini, 

Stansù  li  balconi  a le  bell'opreintenti. 

Parte  occupano  intorno  i catafalchi. 

Le  (barre  il  vulgo,  e’I  baronaggio  i palchi, 

11,  Poiché  già  pieno  il  campo  in  ogni  parte 
Scorge  la  bella  Dea  nata  di  Giove, 

Appretta  i premia  i giochi,  e gli  comparte 
Per  difpenfargli  a le  future  prove. 

Fa  varie  fpoglie  Tue  por  re  in  difparte, 

E tutte  rare,  e pretiofe,  e nove, 

El  lnalza,  e fofpendc  accioche  Iproni 
Siano  de  la  virtute  i guiderdoni. 

11.  In  alto  tribunal  ftattene  afliifa 
Per  poter  più  Ipedita  haver  la  vifta , 

E mentre  ingiù  lo  fguardo  intenta  affifa. 
Giudicar  meglio  chi  più  loda  acquifta 
Intanto  con  rinfegna  a la  divifa 
Dì  porpora,  e d’argento  in  lifta  a llfta, 
L'Araldo  con  tre  fuoni  intima  il  bando, 

Poi  publica  il  cartel  cosi  gridando, 

13.  La  Dea  del  terzo  Cielo  in  rimembranza 

Del  morto  Adon,  c’hà  tanto  amato  in  vita, 

De’facri  honorilapietofaufanza 
Per  tré  giorni  continui  ha  ftabilita. 

Roggi,  ch’è  il  primo,  a l’arco,  & a la  danza 
Con  bella  pugna  i concorrenti  invita. 

Ne  gli  altri  duo  vuol  che  fi  vegna  in  moftra 
A la  lotta,  a lafchcrma,  fica  la  gioftra. 

Z 4 


,53«f  GII  SPETTACOW 

14.  Ben  fian  de  la  vittoria  i pregi  tali,  *T 

Che  non  faranno  invan  fparli  i fudori,  ^ 
Nè  poveri  di  palme  trionfali  ^ ' ’ ■ '*  ' 

Invidia  havrannoi  vinti  ai  vincitori.  '' 
Chiunque  in  guifa  ìndrhzerà  gli  ftrall^ 
Che  riporti  in  colpire  i primi  honorii  ; 
O’pci  volare,  ò per  Fortuna  avegna , " 
,Ricompenfa  de  l’opra  havrà  ben  degna.  ^ 

15.  Quella  faretra  havrà,  che  colà  pende, 

E di  fagvi  vermiglio  ha  l’ornamento. 

.Con  quell’arco mbpflb,  a cui  rifplendc’j 
L’un  capo, e l’altro  dì  polito  argento. 

Chi  pip  vicino  al  primo  il  fegno  offènde 
D’uu  nobil  dardo  rimarrà  contento. 
D’hebenoè  l’hafta,  e’I  ferro  è di  tai  tenipre. 
Che  qual  tal  volta  ferifee , uccide  Tempre. 

K.  Daraffi  al 'terzo  d’immortaréalloro>'r  . : - 
Degna  non  pur  d’Arcier,  ma  di  Poeta,*  I 
Ghirlanda,  che  le  fronde  hà  meffed’oro  » 
Attorta  a un  cordoncci  di  verde  fera,  ' ; 

Pia  pofcià  di  colui , c’havrà  tra  loro  ’ 
L’ultimo  grado  in  accettar  la  meta^  ' ' 
Spiedo  di  duro  e noderofo  ccrro , t*‘ 

Ch’arma  la  puma  di  luccnteferro»  ; i'.  1 

a?.  Qui  tace,  c rifonar  fanno  l’agone 
Cent’altre  trombe,  e nacchere,  ecornette. 
Allhor  quivi  legato  ad  un  troncone 
Lontano  alquanto  un  Caurivol  fi  mette. 
Quefto  per  ordin  de  la  Dea 5’impohe, 
Ch’efler  deggia  bcrfaglio  a le  factte.  ' 

Et  ecco  al  faettar  delira  c leggiadra  - 

Arciera  in  punto,  c frretratàfquadra. 

Tempo 


CANTO  YENTESIMO, 

18.  Tempo  diftruggicor  d’ogni  bell’opra, 
Ch’atfondi  i iioini  entro  Tofeuro  oblio. 
Conlcu;a  il  tuo  rigor , ch’io  narri  e feopra 
I più  degni  trà  lor  nel  canto  mio. 

O Fama  e tu,  ch’impero  cu  rno  hai  fopra 
Le  forze  invitte  del  Tiranno  rio. 

Tu  mel  rammenta,  e dal’etate  avara 
L’oifìilcate  memorie  a me  riichiara. 

19.  FaflI  avante  Arabi n , che’n  Gubanacquc> 
De  l’Arabia  petrea  nobilcittate, 

Ma  per  le  lelve  eflcrdcar  gli  piacque 
Contro  le  fere  la  robufta  ctatc. 

Vien  Silvanel,  che  colà  dove  Tacque 
Sen  va  col  Tigri  a mefcolar  TEufrate, 
Crebbe  in  Apamia , avezzo  a ferir  folo 
Le  foliche  del  mar,  che  vanno  a volo- 

30.  Havvi  Forefto,  il  Troglodito  Arderò, 
Che’l  deferto  per  patria  Irebbe  nafcendo> 
Selvaggio  cacciator  più  che  guerriero, 

A gli  Elefanti,  & a i Leon  T remendo. 

V’e  Ferindo  d’Arfacia,  il  Partirò  fiero. 

Che  combatter  non  sà,  fé  non  fuggendo, 
E’I  cavoarnefeal  tergo , c’n  pugno  l’iirco 

Di  faettame  avelenato  ha  carco. 

« 

"31.  Ermanto  v’hà>  di  cui  giamai  più  dotto 
Non  Irebbe  in  quel  meftier  1‘lndica  terra;. 
E Fartetc  il  P'gmeo , che  fu  prodotto 
Ad  haver  con  le  Grù  perpetua  guerra. 

E v’è  Fulgcrio  ancor,  ch’è  Cipriotto, 

E di  mille  un  fi>l  colpo  nnqua  non  erra. 

E’I  iuperbo  Medonte  il  Battriano , 

Che  d’acciaio  lunato  arma  la  mano. 


55»  GLI  SPETTACOLI,' 

S’accinge  a l’opra,  e cinge  al  fianco  Ordaurc 
Pien  di  ferrate  penne  aureo  turcaflb.  , 

Il  figlivolo  d’EurIppo,  il  gran  Centauro,  , 
Tal  gloria  ambifcc,  e’I  Sericano  Urnaflb.  | 

è men  di  lor  Briraonte,  & Albimaiiro  ■ 

La  brama,  Hircano  l’un,  l’altro  CircalFo. 
Chiedela  aprova  UcciufFo,&  Anav:.-  -bo,  ' 
Quegli.è  di  Thracia allievo  , e qucrà  Alarbo 


55 


•.t 


E TI  finto,  e Filino,  i duo  fratelli,  . 
Moftran  d’entrar  nel  numero  deliro. 

Nati  in  Thell'sglie,  e di  ferine  pelli 
V efliti,  e molto  efperti  a ben  ferire. 

V oglion  cento  e cent’altri,  e quelli  e quelR 
Del  primo  gioco  al  paragone  ufcire. 

Vuol  per  accrefcer  liti,  Amor’iftellb  ,, 

A la  prova  de  l’arco  efler’ammellò.  . 


54.  Hor  per  celTar  gli  fdegni,  onde  doleriti  -* 
Sol  de  la  Sorte  poi  deggian  gli  efclufi,. 

Scriver  fà  Citlierea  nomi  diverfi , 

® urna  d’or  ferrati  e chiufi»' 

E poich’ivi  per  entro  alfindifpcrfi 

Son  con  piu  d’una  fcofia,  e ben  confulìy 
Ad  un'ad  un  da  l’agitato  vafo  ; • 

Per  la  man  d’un  fanciul  fà  trarrli  a calo. 

55.  Dentro  l’urna  il  fanciul  la  manaafcofe  . 
£ Mitrane  n’ufci  nel  primo  fcritto. 

Mitrane,  che  lafciate  lià  le  famofe 
Sponde.del  fiume,  onde  s’impingua  Egitto* 
Fatto  è l’arco,  che’itien,  di  due  ramole 
Corna  d’un  cervo  di  fua  man  trafitto. 

Et  ha  nel  mczo  le  divife  punte 

Con  bel  manico  eburneo  infieme  aggiunte. 

D’u 


ACANTO'  TBN  T E S IMO.  yj? 

|{,  D’an  Dragone  Afrlcan  nnacchiato  a ftclle 
VotofcogUoiquamoro  lià  per  freccierà, 
Efeansherando  rhoxrìde  mafcelle 

o O 

lltefchiolerpcncin  gli  Fa  baviera. 

Scalze  bàie  piante,  e coii  la  bionda  pelle 
Delapiùbravac  gcneroCaFera, 

Tra  quante  n’hà  Geculia*unquaprodutte, 
Ammanta  il  refto  de  le  membra  tutte.. 

}7)  Ponfi  per  dritto  filo  Incontro  al  fegna. 

La  faretra  llaccia,  eia  dille  rra  , 

E trahendonc  faora  alato  legno. 

S’abbatta, e pofaun  de’ ginocchi  in  terra. 

Lo  fqnattra intorno,  e con  induftrie  ingegno. 
In  un  punto  con  V arco  il  ferro  afferra 
la  cima  il  tenta;  et  afta  pria  fc  punge 
Indi  al  cordone  il  calamo  congiunge. 

Ticn  ne  la  manca  il  corno,  e lo  faetta 
Con  l’altra  mano  in  sù  la  fune  incorda. 

Tratte  fin.alàcftro  òrccccHio  a forza  ftretta 
Colgroffodito  , e l’indice  la  corda, 
Ctt’un’angolo  divicn  di  linearetta, 

E i’occttio  in  tanto  conia  mano  accorda, 

E da  l’arco  incurvato  in  meza  sfera 
Pà  per  l’aria  volar  l’hafta  leggiera. 

39.  Liberatala  canna , ancorché  fofle  .t 
La  tetta  ita  à ferir  del  Carrivolo, 

Però  ctt’impaurito  il  capo  ei  moffe  , 

Di  ed*  alto,  c pafsò  viarapida  a volo. 

11  tronco  nondimengiunfc,  e percoffe, 
.'Dove  lo  ritenca  ftretto  il  laccivolo 
E si  forte  ad  entrarvi  andò  la  firccia, 
gli  refiò  neJa  corteccia.  . 

• ;r  Z Fè 


54®  GLI  SPETTACOLI,  ì 

40.  Fù  per  force  U fecondo  Arconte  Armerà  q 
Che  la  man  pueril  da  l’urna  traile,  y 

Di  fero  latte,  & a le  Fere  in  feno  i 

Nacrito  in  riva  al  Sagittario  Aralfc  , i 

LàvcNifated’afprefelvepieno  ti 

Volga  la  fronte  alpeftra  al  gelid’alle,  ij 

E de  l a Tigre  il  fremito  dolente 
V edovata  de' figli,  ode  fovente.  ;;j 


41.  Rafo  il  mento,c  la  chioma, e bruno  ilyoìtp  ^ 
Lunga  ha  là  giubba,  e d’un  tabi  cangiante, 
Sferico  lino  in  larghe  fafee  involto.  j 

Gli  celie  intorno  al  capoampio  turbante,  u 
Difeaglic  d’orò  intarfiatoe  fcolco  " tc 

L’arco  ha  d’horribil  vipera  fembiante, 

Serpe  ralVcmbra,  c’n  quella  parte, e’n  quefta 
.Chiude  reftremicà  gemica  cella,  ^ 

41.  Grolla  canna  Indiana,  acconcia  In  modo  {| 
Dì  vagina  agli  ftrali,  in  campo  tratta, 

D’un  fol  boccivol  da’un’a  l’altra  nodo,  ) 

Da  l’ilicfla  Natura  ad  arte  fitta.  l 

Prende  il  fu  j pollo,  e ben’accuto,  e Ibdo*  \ 

Tu  ne  feieglie  tra  molti,  e poi  l’adatta.  ! 

D’un’anel  d’oflo  il  maggior  dito  cinge,  1 

Indi  iiixalce  v’appoggia, e Parco  llringe» 


Stringe  col  pugno  manco  il  legno  torco> 

Col  dritto  a pui  poter  la  corda  tira, 

L’un  piede  ind  etro  , e l’altro  innanzi  fporto> 
Curva  gli  horaeri  alquanto  in  sù  la  mira,  j 
$crra  il  lume  fin’ Uro,  e Palerà  accorto  \ 

Sù  1 balla  aguzza,  eli  braccio  al  fegcio  gira. 
Sbarra  alfin  l’ateo,  e quel  caccia  lo  ftraU, 

Ir  emoao  intorno  iJauxcyC^lchkft'l’^*^ 

XicYé 


CANrrO  VEMTBSIMO  541 

44.  Lieve  più  che  lyaleii  » fendendo  il  Cielo, 
Loilraluel  C?iprio  a fcimcclolar  fen  viene. 

Noi  Sede  già,  oc  pi^r  gli  tocca  il  pelo. 

Ma  nel  canape  dà,  clie  prefo  il  tiene , 

Viene  ne  la  corda  ad.  incontrarli  il  telo, 
Efàtrcmar’il  cor,  gelair  le  vene 
AlaFera,  che  tenta  a’i'u-oi  legami 
Romper  in  tutto  i gì  à sfilati  ftami. 

4J-  Septoniì alhor  gl* imbofTolati  brevi, 

E n’e;jfcpa  dao,  L*  un  p r lana , e l’àli  ro  dopo.  ' 

Frizzardo  èl’nn,  con  le  cj^uadrel la  lievi 
NCp  a clvlvvs’ occtù  ad.  affiroatar  lo  feopo  y 
Natio  ùc  V.arCo,  e no^n  da  pioggie,ò  nevi 
Rinfiefeato  giamal  clima  Erhiopo,  | 
là  dove  d’acque,  e d’ombre  ognor  mendica 
Soggiace  ai  primo  Sol  Siene  aprica. 

46-  Gotta  hà  Imbelle  , e -tutto  ignudo  il  bullo,. 

Sol  ciuco  ih  naexo  di  11  Itati  Uni. 

Tu)ge  la  chioma  arficcia,  e 1 pelo  adullo' 
D’odoriferi  unguenti  e purpurini. 

Tien.  di  piunae  vermiglie  il  capo  onulto^ 

E di  folte  facttc  impennai  crinij 
E di  coronata  di  sì  flrania  creila, 

E ’far<etra  a ViArcicr  la  propria  tefta, 

47-  I^’uUii»o*èDardircn,lànel’arena 
Nato,  ov.e  nafee  il  folitario  Oron»e. 

La  cui  ferpentc  c fleflhofa  vena 

Hà  ir  a’d  Libano,  e*l  auro  il  primo  fonte  t 
Gar^ojn  di  crcfpo  crin,  diaria  fere  ma. 

Di  vifo  grato,  ©41  modella  fronte , 

Non.fol  finiidlò  a guerreggiar  con  l’arm^ 
madlto  dc’fuonl  anco , e de’carmi.  * 

Dnp 

ono 
IO  ouo 


^54t 


GLI  SPETTACOLI^ 


48,  Duo  archl^  un  da  le  corde,  un  da  gli  ftrall  , 
Ufa,con  l’un  e l’altro  egli  ferifce. 

Quello ftampa  inalcrui  piaghe  vitali , 

Quello  dà  morte  a chi  sfidarlo  ardifce 
E dc’corpi , e corri  hà  palme  uguali 
E la  dolcezza  a la  fierezza  unilce. 

Sembra  di  doppio  arnefe  ornato  il  collo> 
Con  la  faretra,  e conia  cetra  Apollo. 


45>.  L’arco  guerrier*  che  l’arma,  e per  trarerCo' 
Da  l’homero  gli  pende  al  fianco  cinto, 

E’di  tallo  cornuto , aliai  ben  terfo, 

Con  purpureo  carcalfo  infieme  avinto. 

Di  vario  finalto,  e di  color  diverfo 
Si  com’ Iride  in  Ciel,.futtoè  dipinto^ 

Iride  sì,  però  che’n  guerra  ò in  caccia 
Sempre  pioggia  di  ftrali  altrui  minaccia. 


50.  Con  lieto  mofmorio  , con  molte  e molte 
Voci  d’applaufo  il  nome  altier  fi  lelTe, 

Perche  lapean  le  turbe  intorno  accolte 
Quanto  in  quell’arte  il  giovane  valelTe , 

Sapean,  che’l  nibbio , e Paghi  ron  più  \ olte 
Fè  ch’araez’aria  in  su’l  volar  cadellei 

E c’havria,non  che’n  Cicl  giunto  ua’aiigello 
Divilò  con  lo  Arale  anco  un  capello. 

51. Prende  allhor  l’arco  in  man  prima  Frizzane, 
Ch’è  fabricaio  del  più  bianco  dente, 

E da  la  felva,  ond’è  crinito,  un  dardo 
Svelle  qual  più  gli  par  ?.ildo , e pungente. 

Il  fegno,  e’ilìto  cll'amina  «ol  gnar^. 

Et  al  vantaggio  fuo  volgo,  la  mente. 

E arco  in  mezo  foftien  conia  finiftra. 

Conia  deftra  U quadrelgUibaiiniaifira. 

■ ■ T lacoc- 


CANTTO  VE  TSTT  E S imo; 

Incoccato  cK*ci  l*Ha  pria  che  Io  fcocchi , 
Pria  che’l  forbito  avorio  al  larghi,  cftenda, 
Pigliala  mira,  ftudia  l>en  con  gli  occhi 
Dove  l’undrlxx.1,  e coiiae  l'altro  fplenda. 
LadiftaaxamlCura,  acciochc  tocchi 
In  parte  l’animal>  ch.*eg,li  l’offcttda. 

L’occhio, libraccio  ,Ia  manoin unra(Tetta> 
L’arco  a tempo  j la.  coitela,  c lafaetta, 

jj.  Tragge  ilgomito  indietro,  e la  pennuta' 
Verga  verlb  la  poppa  accolla  inheme. 

In  tondo  il  fennicircolo  fi  muta, 

Vautvo  ahaicdarfi  le  dua  punte  eftreme,.  ; 

SldlCciavala  noce  > c l’hafta  acuta 
Salta  e ronxa  per  l’aria,  e fogge  c freme. 
L’alco  il  fuo  fedo  alfin  ripiglia,  e torna 
Già  rallentata,  a dilatar  le  corna. 

/4-  Ch’arreftaffe  la  Fera  alquanto  II  motoi, 
UEthlopieo  A-rcier  non  ben  foftenne, 
Qnd’ellaalUior,  ch’ai  fibilar diNoto 
Senti  del  novo  ftral  batter  le  penne. 

Fatto  sforxo  maggior,  non  folo  a voto 
Fu  caggion,  che  la  freccia  a cader, venne* 
Mafpcxiato  il  capeftro,  ond’era  avolca. 
Perla  piazza  faggi  libera  e fdoka. 

j5.  Per  rabbia,  e per  dolor  la  delira  fclocca 
Si  morde  11  Negro,  che  quel  colpo  ha  fatto. 
M.a  Dardircn,  cheli  dardo  ha  sù  la  cocca. 
Piti  nonafpettaafcaricarcil  tratto. 

Senx’ altro  indugio  a fe  tirando  il  tocca, 

E lafcia  andarlo  impetuofo  e ratto. 

Per  l'aria , che  qual  folgore  divide, 

* Stxifcia  lo  Arale,  c ftrepitofo  Aride, 


j44  gli  'S e T TT  a d o 


56.  Da  l’arco  Sorian  la  Fre.ceia  uFcica 

fi  dalaman,  che  Vinapeco  le  * 

Vn  Ifl  Fera  trovar- - 


^‘iiipeco  le  diede 
Valafcra  trovar,  che  Ihicrottira 
Movc,giàrotco  il  laccio,  in  fucr^  n , 

E la  raggiunge,  e di  mortai  ferEl  ^ P»ede, 

Per  lohancolmiftro  il  cor  j * 

FI  colpo,  onde  di  fangue  il  ca^^’ 

Con  lieti  gridìi!  popofe» 

'-compagna. 

T-:^  : -11 1-  _ 


' - X — *■*•*»■• 

57.  Tràiquattroalihor  Saettar^-- 

Chcfurdalcafo  a earc^^^fl® 
lè  Citherea  diftrlbair^f’,-,,- 
A fuon  di  vari;  bro  n:.  i V ^ 

Ma  Oardireu  de'più  fiVr. 

Comeil  più  de» 5 ^ 


3 OC  a la  ^ *=* 

Ti'  * •/!’  n*  \ corde T\y^ 

59.  Di  rigid  odo  è il  . once 

ezzar  prima  fi  , efie  pertinace 
Quello  adoprar  £Ìo,°’  preearmal 

Di  rai  materia  à lT^\ • P«rch^f„a^ 
MaieId.fciorcjn^^.‘^^5*ta  alTai. 
firrorfupur,  d*;«v, 


^ nolcoH 


f CANTO  T ENTE  S IMO.  54^ 

10.  Sotto  bemjno  c placido  Corri fo 
Velando allhoraV tuoi  tormenti  acerbi 
laDeaconlieto  emanCixeto  vifb. 

Rifpofc.a  quegli  accenti  aCpri  c iiiperbi. 
Ragion’c  ben,  ebe  del  mìo  Adone  uccifo 
Memoria  ancor  tra*'Bar  bari  fi  fcrbl. 

E perche  videben,  cli*invidia  Upùnic, 

M già  promefto dono  altron’aggiunfc. 

11.  Qiefta  fottile,  & inffcgnora  rete  1 

Prendi  (gli  dillè)  a pi  vi  col  or  contefta. 

Poco  meji  ch’lnvifibllì  bà  le  Tete , 

O^ta  Ai acne  mon  dmil  e a q uefta.  .. 

le  fere  di  x,a\&audcdngorde  c liete 
Vi  corron  yolontier  pe^ 

Et,a  l’augel,  cbé*n  s\  od  nodi  c colto> 

Il  perder  Ubertà  uon  pc£a  molsei* 

ft.  finito  ildardeggiar,  C©n  oldare  npte  • > 
Chiama  \a  tronca  i al  ballo. 

Po\  tace,  c’I  vulgo,  che  tacer  non  potè, 
làbifeisUando  lal  Cupn  breve  intervallo. 

ecco  akt’armoda  l’aria  pereote, 

Vie  plà  (bave,  cbe*l  guerricr  metallo» 

E D^rdirenira’-inufici,ft*^p*wcnti  ^ ^ 

Canta  d tript^o  i^o  con  lieti  accenti  ^ 

^5.  Follerio  Uballaritvfuor  del  drappello 

De  gli  altri  tutti  in  prova  ufei  primiero 
Sfrenato  ftrale»  ò fiiggitivo  augello 
Fora  di  luì  men  prefto,  e men  leggiero. 
Qucftl  una  raa  corrente  agile  e fnello 
Panxò  con  arte  tanta  c magiftero, 
Intraipezata  di  f aflaggi  tali, 

Gh*cm  pi  l’alme.immor^i.^ 


GLI  SPETTÀCOLI, 

<4.  Ond’un  par  di  còturni  in  premio  ei  n’hebl 
Barbaramente  a la  ninfàl  guerniti. 

Al  purpureo  corame  II  maftro  accrebbe 
Ricchi  riccami  in  bel  tramaglio  orditi  i - 
E’n  guifa>  che  ftimar  non  fi  potrebbe, . 

Di  figura  d’argento  eran  fcolpiti. 

Ei  donogli  a terfilla  il  giorno  ifteflb. 

Che’l  don  pagò  con  mille  baci  appreflT®  .• 

^5.  Parta  innanzi  Alibello,  un  che  c»’ falci 
S’arrifcbia  a far  prodigiofe  prove. 

Sì  ftrani  fon,  fon  sì  mortali  & alti , 

C’horrore  infieme,  e meraviglie  movc. 
Lanciafi  in  aria,  e con  tremendi  aflalti' 

In  mille  fogge  inufitate  e nove 

Su  la  punta  d’or  d’un  brando,  hor  d’una  \%ch 

Hor  la  fchicna  riverfa,  & hor  la  pancia. 

46-  Poi  di  ferro  la  man,  di  piombo  il  pied^ 
Carco,  parteggia  Paure,  e’I  del  difeorre, 

E per  la  tefa  fune  andar  fi  vede 
Qual  Dedalo  novel,  da  torre  a torre. 

Vienfi  ^fin  con  ardir,  ch’ogni  altro  eccede 
Col  capo  in  giù  precipitofo  a porre, 

E eon  i’eftremo  fol , pendente  in  libra 
Softien  fefteflb,  e fi  raggira,  e vibra. 

47.  Il  feconda  Aquilanio,  emulo  antico, 

De  gli  altri  faltator  capo  fovrano, 

Efecohà  Clan  neo.  Delio,  Laurico, 

E Garbino,  e Celauro,  e Floriano. 

Tutti  congiunti  allhor  coftor  ch’io  dico, 

Fan  di  sè  l’un  sù  l’altro  un  groppo  eftrano^. 

Et  ergendo  di  membra  eccelfe  mura. 

Fan  di  corpi  tefluti  alta  ftruttura. 


Di  max- 


’ CANTO  I MO. 

|I.Dimartoralicbberu.n  rara  c pregiata 
Zanio  artlficiofo  e peregrino , 

Che  oli  occhi  havea  di  lucida  granata, 
Elcianncjciexampc  Ka'vea  d’or  fino, 
la  cuimorbìda pelle  erafodraca 
D'unbcl  fcrico  vello  ine  re  melino  > 
EconlaccldiCeta  intorno  {parfi 
rotcvaalfiancoappcndcrli,  c legarfi. 


(?■  L’altro  jion  mcn  leggiadr  a , c pretiofa  . 
Epcr materia  infieme,  e per  lavoro 
Confoglie  di  rubino  iiel>l>e  unaroia, 
itonVp'vue  di  fmalto,  e gambo  d oro. 
Houotaioanccr  poi  d’alcunacofa 
fù  ciaCcua’altro  de*  compagni  lor  o. 

Sùjsù  (Venere  diiilc^  lior  bafti  tanto, 

Non  fi  tolga  al  mio  CelTo  il  proprio  vanto* 

70*  Setbinfi  i cor  virili  3.  lotte,  a gioftre. 

Non'  s’ufur pi  Komai  V buoni  l*arti  donnefchc 
Vengano,  e feopr  au  lor  leNinfe  noftrc 
Come fàp piani  menar  carole,  c trefcfip.  , 
Mlhor  vagbe  donzelle  in  varie  moftre 
Com parvar  con  fiorite , e con  morefehei 
E de  la  balleria  di  quelle  fchiere 
Le  Gratie  eran  macftre,  e condottiere. 


V’èLindaura  gentil , Marpefia  bella. 

Mirtea  vezzofa,  e Hlantea  gioconda, 
Albarofa  la  bianca,  e Fior  diftella 
La  bruna,  e col  crin  d’or  Fulvia  la  blonda. 

Ma  Lilla,  a cui  queftabelleiza  e quella 
Di  gran  lunga  non  c pari,  ò feconda , 

La  pupilla  d Aprii  fembra  tra’fiori, 

O’ia  lampa  maggior  tra  le  minori, 

t.  Pren. 


jXì.  . 


n« 


548  Glf  SPETTACOLI, 

yt.  Prence  cotì  tanta  gratta  a danzar  Lilla  ' 

Il  contrapaffo  pria,  poi  la  gagliarda,  ^ 

Che  d’amor langue,  c^di  dolcezzabtilla 
Il  mifero  Filen/mentre  la  guarda*, 

E non  folo  a le  Eanamc,  onde  sfavilla 
L’alto  Sol  de’begli  occhi,  è forza  ch’arda. 
Non  fol  la  bianca  man  lo  lega,  e fiede. 

Ma  trafigger  fi  fente  anco  d^  piede. 

73 . Bel  piè  ffeco  dìcca)  mentre  che  finge 
La  danza  eflercitar  mobile  c vaga, 

N e le  tue  rote  ì cìrcoli  dipinge , ' 

Dove  m’incanta  la  mia  bella- Maga. 

Tefl’e  mille  catene,  onde  mtftringc. 

Et  incurva  milllarchi,  onde  m’impiaga. 
Quc‘giri,  ch’ella  in  tanti  nuodi  implica, 
Sótt  labirinti,  ovc’l  mio  core  intrica. 

74.  O felice  il  terreo , che  vai  premendo 
Deh  perche  non  pols’io  cangiarmi  in  (aflb? 
Se  ben,  mentre  che’n  te  lo  guardo  intehdò. 
L’anima  mi  calpefti  a cìafcun  paflb. 

Gimè,  lènto  il  tuo  moto,  e noi  comprendo, 
Com’éflcr  puoi  così  veloce,  ahllafib? 

Sì,  sì^ola  pur  lieve  a faettarmi, 

Poi  c’hai  l'ali  d’  Amor,  come  n’hai  l'armi. 


75.  Così  de  la  fua  Lilla  innamorato 
L’afflitto  Pefeator  tràìb-  diceas 
Et  ellaintanto'havea  si  ben  danzato. 
Che  l’honor  riportò  da  Citherea. 
Dono  d’unhel  I^avpne  ammaeftrato 
Tràlcraenfe  a fervir  le  fé  la  Dea. 
Con  la  coda  fapea  ne^Soli  ardenti 
Scopar  Ic-mofche,  e temperar’!  venti 


CANTO  VENT -ESIMO.  s^y 

UfcIrClltioPaftor  pprcia  fv  Tcorgc, 
ChaballarlaCuaFllUinvita  c prega, 
filli  fua  che  riero! a alqu.ai\ to  lorge, 

Pur  quel  che  chiede  > a l’arcvator  non  nega. 
Levata  in  piè , la  bella  man  fi  porge, 

La  bella  man,cherincatena  e lega 
Reverente,  c tremante  egli  la  prende, 
Efibaciala  fua,  mentre  la  {tende. 

Tl-  Seco  al  tenor  de  la  maeftra  cetra 
Pian  pian  s’aggira  pria  c’Kabbia  a lalciarla, 
ludi  la  lafcla , indi  da  lei  s’arxetra, 

Indi  rivolto  a lei , torna  a baciarla; 

E cortefe  un’Inchino  anco  niiupctra. 

Mentre  curva IWlnoccliio  ad  honorarla. 

Stadi  laNlnfa  ln°mcxo  al  cerchio  immota, 
Clitio  qual  elida,  intorno  al  Sol  U rota . 

7«.  Del’honefto  favor  fatto  orgogliofo. 

Poiché  chlufa  più  volte  egli  ha  la  volta, 

Vaffene  in  atto  grave,  e gtatiofo.  ^ 

A reftringer  la  man,  che  dianzi  ha  Iciolta, 
Torna  feco  al  paflaggio  ayenturofo, 

E’n  tanto  egli  le  parla,  ella  1 alcolta; 

E trattenendo  in  baili  accenti  il  gioco. 

Scopre  l’un  l’altro  al  fuo  celato  foco, 

7>.  La  Dea  trahendo  fuor  nobil  cicuta:  , j 

Fatta  di  fette  canne  in  Siracufa,  p 

Donolla  a Clitio  , a la  cui  voce  arguì» . 

Ben  s’accordb la  fua  canora Mufa. 
GaxaVoquacc,  ch’iPaftor  faluta, 

I Filli  hebbe  indono,  in  gabbiacburnea  chmU 
I Humana,  lingua 

\ E chiunque  epnofee a nome  app$lU, , 


jf#  GLI  SPETTACOLI, 

50.  Due  coppie  ancor  la  Dea  volfe,  c’haveffc  ^ 

DI  Colombe  vezzofe  a meraviglia,  • 

E lì  feconde,  che  cialcuiia  d’elle 
Benquattro  volte  il  niefe  impregna,  c figlia.:' 
L’una  è sì  bianca  che  le  nevi  iftclTe, 

L’iftello  latte  nel  candor  fomiglia.  ^ 

U altra  d’uii  vago  vezzo  il  collo  ha  cinto  ^ 
Di  varie  macchie  à più  color  dipinto,  ^ 

51.  Faunia  diCitherca  fervalafciva  ^ 

Vien  dopo  loro  ad  occupar  la  lizza,  ‘ 

E come  baldanzofa,  & attrattiva  • 

Prende  Ardelio  per  man,  che'n  piè  fi  drizza  ' 
Incominciano  in  prima  a fuon  di  pi  va, 
Secondo  Tufo  a carolar  di  Nizza, 

Nizza,  che  di  Provenza  il  bel  paefe 
Rende  fiipcrbo  dclfuo  forte  arnefe. 

8t,  Mollèrfi  al  paro,  &amboduo  ballando 
Vedeanfi  a man’a  man,  fola  con  folo 
Prima  a parto  veloce  in  mifurando  ^ 

Con  giravolte,  c feor  ribande  il  fuolo  , 

Pofeia  l’un  l’altra  in  sù  le  braccia  alzando 
Levarli  in  aria,  e s’ir  fenz’ali  a volo, 

E’npiu  fcambietti  a l’ultima  raccolta 
Serrar’il  giro-,  c terminar  la  volta. 

83.  Coli  vid’io  qualhorai  campi  aprici 
f ervon  sù’l  fil  de  la  ftagionc  adulta 
Ne  le  felvc  cola  liete  e felici 
De  la  famola , e fortunata  Augnila 
Danzatori  leggiadri,  c danzatrici 
A groppo  agroppo  in  vaga  rota  angulla 
Pender  girando  a fuon  d’arpa  canora, 

£ di  plaufi  fellanti  empir  la  Dora. 


) cmro  VENTESIMO.  y;i 

<Cf>ynp/fo  il  primo  ballo,  ecco  s’apprefta  < 
Ucoppla  lieta  a variar  munanza, 

Eprendc  ad  agitar  poco  modella 
Conmill’atti  difFortni  o£cen.a  danza, 
ferali  Cozzo  inventor  , cHc  tra  noi  quella 
lawdufle  prlmier  Barbara  uCaiiza, 

CMama quello fuo gioco  empio c profano 
Ssrayanda,  c Ciaccona  il  novo  Hifpano. 

l' Due  caftagnette  di  foiioro  bollo 
lienne  leman la glovinecca  arpica, 
Ch’accompagnandoli  piè  con  grada  mollo 
^^nforte  adhor’adhor  fcroccar  ledita. 

^eggeun  timpano  l’altro,  llqud  percolfo 
Con fonagletti  ad  atteggiar  l’invita} 
alternando  un  bel  concetto  doppio 
^ fuono  a tempo  accordano  lo  Icopplo, 

• Quanti  moti  alaCcivla,  e quanti  gelll 
l^fOKocar  ponno  i più  pudici  affetti, 

Quanto  Corromper  può  gli  animi  honelli 
f^apprefcrttario  a gli  occhi  i vivi  oggetti. 

Cenni,  ebaci  difegnahor  quella  , hor  quelli, 
Fanno  i fianchi  ondeggiar,  feontrar  i petti, 
^occhiudon  gli  occhi , e quali  infra  fé  ftelfi  • 
|Vengon- danzando  a gli  ultimi  compleffi. 

!•  Letto  era  un  pregio  cfpofto  in  quelle  felle  ^ " 
Con  colonne  d’eletto  el  ette  e fine, 

C’havéan  di  Sfinge  i piè  d’Arpiale  tclle,  ‘ 
Lcullodie  di  porpora,  c cortine, 

E.  vergate  per  tutto  e quelle  e quelle 
Stano  d’oro  in  triplicate  trine, 
latto  U thalamo  ricco  c pretiofo 
Ala  viftaparca  più  ch’ai  ripofo.  * ' 

Ce 


I 


J5»  GLI  SPETTACOLI»  | 

SS.  De  le  danxe  sfacciate 

Volfe  la  l,>eaj che  per  trofeo  IcrviUfc  j 

A le  voftrc  dolclflimc  fatiche  j»/t-  ' 

Quefto  fia’lpremio,  e quello 

Qui  col  mio  figlio  ignudo  entro  già  PliCHC 

La  prima  notte  a le  beate  riffe. 

Qui  voi  dar  fide  al  gioco,  &•  al  difetto  ^ 

Potrette  dei  ballar  lupplir  col  letto.  '3 


8^.  Diana,  che  la  guancia  hàvea  vermiglia  t 

Quegli  aiti  abominabili  tniramlo.  i 

B tenea  tuttavia  chine  le  ciglia  t 

Per  la  vergogna  del  baiar  netandoj  • i 

Non  fu  lenta  a chiamar  la  Tua  fàitiigna»  i 
Che  venne  al  cenno  deldivin  comando,  j 
B fenza  uCcir  de  l’honeftà  devuta  i 

Va  riddon  cominciò  con  nona  muta. 

90.  Lucilia  bella,  che  qual  Sole  ir  ragià , 

Lidia  gioliva, che* qual  fiamma^sfacc, 
Parthonia  calia,  Gloriano  fagglu, 

Abfinthia  cruda.  Antifila  fagacc  ^ 
f lorifmeno  foliuga,Bgle  felvaggia, 

Lefbia  ritrofa,  Theftili  fugace. 

Amaranta  fuperba,  Altcria 
Danzan  tutte  raccoltcin  unàfchicra. 


91.  Guidato  alquanto  infieme  il  ballo  tondo^ 

Ballar  volfcr  divife  ad  una  ad  una, 

E con  crror  feftevolc  c giocondo, 

Mà  col  decoro  debito  a ciaftuna, 

Di  quante  danze  hà  più  leggiadre  il  mondo 

' Nontralafciato  in  tal  vicende  alcuna, 

Qual  più  per  arte.  ò por-vaghezza  ag^ada, 
Del  vcntaglÌQ,  deltoj:chloiB<ic  ^ pjjj* 


DIflda  Dea  d’ Amo  r : X.’  lio  nefto,  e’I  bene 
Del  meritato  honor  non  (ì  defraude. 
Nondeevera  virtù  , ne  fi  conviene 
Senza  premio  reftarfi  , e Tenza  laude. 

Vuoili  qui  dimoftrar,  cK’a  l’opre  ofeene 
Venerpuòplù  , cK'a  le  contraaie  applaude» 

E fattafi recar  la  ftacna  d’oro 
Derifteffa  Virtù.,  la  donò  loro. 

9J-  Non  vuol  Febo  CotFrlr,  che  la  forella 
L’honor  del  bel  ballar  Cen  porti  fola,  ! 

Onde  de  le  Cue  M.u.ie  il  cKoro  appella, 

E l’aureo  pletro  accorda  a la  violla. 
Vien’tofto liitcfo  il  fiioii,  la  fchiera balla. 

A l’armonia dé  le  divina  fcola 
Eco’legamlde  le  bracciaiftelTe 
Siranioballecto  in  vaghi  nodi  intefle. 

H-  Sotto  la  trccciade  le  braccia  alzate 
Per  filo  hor  quella,  hor  quella  il  capo  abbalTa 
E torrendo  le  mani  iiinancllate 
Altra  fen’efca,  altra  (pcentra  c pafla. 

Poi  ch’ai  fin  le  catene  ha  rallentate 
Eabelliirima  filza,  il  campo  lalla, 

E follettaaballar  reftaindirparcc 
Ter  licore,  che  Diva  è di  queU’arcc.  • 

,9J-  Si  ritragge  da  capo , innanzi  falli,  ' 

Piega  il  ginocchio,  e move  il  piò  rpedito, 

E ftudiaben  come  diipenfii  patii , 

Mentre  del  dotto  fuon  fegue  l’iavito 
Circonda  il  campo,  c raggirando  valli 
Eria  che  proceda  a carolar  più  trito. 

Si  lieve,  che  porla,  bcu  clic  pr-^fondci 
Prem er  fenz’aiftmdar  le  vie  de  i*ondc. 

roCn-  ' A»  Slì’l 


GLI  SPETTACOLI, 


55  + 

^6.  Sù’l  vago  piè  fi  libra,  e’I  vago  piede 
Movendo  a palio  mifurato  e lento, 

Con  maeftria,  con  leggiadria  fi  vede 
Portarla  vita  in  cento  gHifeecento, 

Hor  fi  fcoita.hor  s'accolta,hor  fagge,hor  ric- 
Hor’amaca,  hor’  adeftrainun  mométo  [dc- 
Scorrendoilfuoljfi  come  iiiol  baleno 
De  l’aria  elUva  il  limpido  fercno. 

97.E  confi  deliri  e ben  compofti  moti 
Radendo  in  prima  i'  pian  s’avolgc,&  erra 
C he  non  fi  sa  qual  piede  in  aria  roti, 

E qual  fermo  dc'duo  tocchi  la  terra. 

Fa  Cuoi  cord , c (uoi  giri  hor  pieni  hor  voti. 
Quando  l’orbe dillorna , e quando  il  ferra 
Con  partimentl  sì  minuti  elpelfi, 

Che’l Meandro  non  ha  tanti  refleflì. 

9?.  Divide  il  tempo,  e la  mlfura  eguale. 

Et  offerva  in  ogni  atto  ordine  e norma.  . 

I Scccmdo  c’hode  Ìl  Sonatore,  e quale 

O grave  il  fuono,  ò concitato  e i forma , 

. Tal  col  piede  atteggiando  ò fcende,  ò Tale, 

E va  tarda,  ò veloce  aftarapar  l’orma. 
Fiamma,  & onda  fomiglia , c turbo  , e bifcia. 
Se  poggl*>  ò cala,  ò fi  rivolga,  ò ftrifeia. 

Fan  bel  concerto  l’un’e  l’altro  fianco 
Per  le  parti  di  mexo,  e per  l’cftrcme, 

^ Moto  il  deliro  non  fa,  che  fubit’anco  ^ 

Non  l’accompagni  il  Tuo  compagno  inficni^ 

Concordi  i piè,  mentre  fi  vibra  il  manco , 
L’altro  ancor  con  la  punta  il  terrcn  preme , 
f T empo  non  batte  mai  fearfo,  ò fovcr  chio, 

Nd  tira  a cafo  inaUinca>  nè  cerchio. 

Tict 


CANTO  'V'  EM  T E S IMO.  ' S5S 

too.  Tiene  ne’paflaggl  fu.ol  modo  cilvcrr*. 
Come divcrfo è de’contcnti  il  cuono. 

Tanti  nefà  per  dritto,  e per  traveiifo. 

Quanto  lepaufe  c le  periodi  tono. 

B tutta  pronta  ad  ubbidire  al  verfo  , 

Chc’l  cenno  infegua  del  maeftro  fnono, 

Hot  s’avania,hor  s’arretra,  hor  fmonta,  hor 
Efemprecon  ragion.  s’abbaXTa,  & alza,  [balza 

*01-  Talhor  le  fughe  arrefta,  il  corpo  pofa. 

Indi  muta  tenore  in  uii’iftanrc, 

E con  Geometria  meravigliofà 
A^pre  il  comparto  de  le  vaghe  piante, 
Ondeviene^aftampar  sfera  ingegnola 
E rota  a quella  del  Pavon  fembiante, 
Tengonoi  piè  la  periferia , e‘J  centro, 

Quel  volteggia  di  fuor,  quello  ftà  dentro. 

SùTfiniftro  foftlenfì,  c’n  forme  nove 
E’ngil corposi  ratto  agira  intorno. 

Che  confretta  minor  fi  volge  e move 
^Ivolubil  palco,  l’agcvol  torno.  , 

Con  grada  poi  non  piu  veduta  altrove 
gentilmente  ,ondc  parti,  ritorno. 

^'erge  c fofpeudc  , c ribalzando  in  alto 
^ompe  l’aria  per  mezo,  c trincia  ilfalto. 

Il  capolnchlna pria chc|n alto  làglla. 

E gamba  a gamba  intrcccia&  incroeichia) 

Da  le  braccia  aiutato  il  corpo  fcaglia, 

La  pcrlbna  ritira,  c fi  rannicchia. 

Poi  Cpiccall  lancio,  c mentre  l'aria  taglia , 

Due  volte  con  l'un  pLd’ahro  fi  picchia, 

E«  fa  battendo,  c ribattendo  entrambe 
Sollevata  dal  pian,  guizzar  le  gambe. 

Aà  I 'Pei 


ss^ 


GLI  SPETTACOLI, 


IO+.  Poi  ch’ella  è giunta  in  su  quanto  piupotc. 
Là  vedi  in  giù  duTiinuir  cadente, 

E nel  cn  .ier  si  lieve  il  Cuoi  percotc, 

Che  fcoiìa  ò calpefUo  non  Ce  nc  fentc, 

E’bel  veda-  con  che  mirabil  rote 
Sùlofpatio  primer  piombi  repente 
Come  p ù ùiclla  alfin,  che  ftrale,  ò lampo, 
DiCcorra  à Calti,  e cauriole  il  campo. 


Immobilmente  il  popolo  CoCpefo 
Pende  da’moti  di  colei,  che  balla. 
StupiCceogn’un  che  de  le  membra  il  pelo 
Eldolla  al  ciel,  qual  ripercollb  pilla. 

Serpa  in  obliquo,  ò vada  a palio  fteCo, 

Opra  il  tutto  con  arte,  e mai  non  falla. 

Otid’alza  un  gr'do  alfin  garrulo  e roco. 


E’I  Sol  terminali  giorno,  & ella  il  gioco. 


106.  Bla  madre  d’ Amor  con  quelle  lodi 
De  le  Corcllc  Cue  celebra  il  vanto. 
Diveimmortali,  Vergini  cuilodi 
Del  pregiato  licor  del  fiume  Canto, 

Da  cui  per  far’al  Tempo  eterne  frodi, 

■ Hanno  i miei  bianchi  augelli  apprefo  il  canto 
Qual  dono  offrir  vi  può,  che  vii  non  na, 

OTa  sfera,  ò la  terra,  ò l’onda  mia? 


107.  Ecco  nove  corone.  H lette  quelle 
Sono  à fregiar  le  vollrc  chiome  bionde* 
Pefoben  degno  di  si  degne  tclle, 

Poi  che  de’deli  al  numero  rifponde. 

Soa  merlate  di  gemme,  e han  contefte 
Difmcraldofiniffmio  le  fronde, 

La  CUI  vcMuf  a fi  conforma  al  verde 

pc  Parbor,  che  giamai  foglia  non  perde. 


Aiot 


557 


canto  VE.1SIT  esimo. 

A te,  che  fatto  hai  cq^uÌ  novo  Hellcona, 
Chiudendo  il  feftcgglar  «iiqucfto  giorno  ^ 
Oltre  c’havrai  de  la  gentil  corona, 

Come  l’ahre  compagne,  il  crine  adorno, 
Quello  ricco  monile  ancofi  dona 
Accerchiar  nove  volte.il  collo  intorno, 

Aa  cui  di  bel  zafir  prende  un  branchigllo , 
Che  da  l’ifole  vien  del  mar  vermiglio. 

loj.  Màtu,  che  più  d’o^ni  altrui  diletti. 

Onde  ftimata  tei  la  piu  gentile, 

Erato  mia , che  gli  amorofi  affetti 
Spiegando  in  do  Tee  e dilicato  flile,  , 

Lufinghii  cori,  intenerirci i petti. 

Altro  havrai,  che  corona,  c che  monile, 
Aegna  per  la  tua  rara  alta  eccellenza 
D’effer  de.la  mia  rota  Intelligenza. 

II®.  Se  nonhò  cofa  chc’l  tuo  merto  agguagli, 
Reflabuon  voler  pago  e ‘contento,!  ^ 

Togli  quello  fcrittoio,  ì cui  ferragli, 

1 cui  foderi  fon  tutti  d^argento. 

Tien  figurato  di  fottili intagli 
In  ciafeun  ripofliglio  ilfuo  flronicnto. 
Coltelli,  erigile,  e con  mirabil’arte 
Dent’altri  ari.efi  da  vergar  le  carte. 

III.  E*di  terfo  diafpro  il  bel  lavoro 
De  l’uvna,  che  rinchioftro  in  fc  ricetta, 

Fufo  in  vece  d’inchìoftro,  hauvi  de  l’oro. 

Di  cui  l’arco  ha  il  mio  figlio , e la  faceta, 
Del  pili  candido  C'gno,  e più  canoro 
Penna  lo  fparge  infra  mill’altre  eletta. 

E’I  vafel  de  la  polve  in  grembo  tiene 
Ricche  del  Gangee  pretiofe  arene. 

i <*oa 


€LI  spetttacoli. 

Ili.  Con  quefto  a gloria  mia  vò  che  tu  feriva 
Verfi  foavi  ateneri  d’ Amore, 

E io  quallior  sù  la  Caftalia  riva 
T’ederciti  a cantar  con  Taltrefuorc 
Farò  che  del  tuo  ftil  la  vena  viva 
Dolcezza  aliai  de  Taltrc  habbia  maggiore,  ^ 
Dando  al  tuo  canto , accio  che  piu  s’ apprezzi, 
T urte  le  gratie  mie,  tutti  i miei  vezzi. 

Hj.  Laftcllamia,  che  quando  il  Sol  vienfora 
' Uhiu^a  cade,e’n  ciel  forge  la  prima. 

Quella , che  (veglia a falutar  l’Aurora 
Infanti  Spirti,  & a cantar’in  rima, 

E più  che’n  altra,  è (olita  in  quelt’hop 
D’alzar  l’ingegno,  ond’alte  cofeefprima, 

Vò  che  col  raggio  fuo  fempre  feconda 
Furor  divino  a la  tua  mente  infonda, 

3 1 4.  Difle,  e già  fuor  dc’tencbrofi  horror! 
Trahca  di  vive  perle  II  corno  pieno 
Cinthia , e fpargea  di  criftallini  albori 
Il  taciturno  e gelido  fereao. 

Taceano  i venti,  o lang.uidetdi  fiori 
Giaceano  al’herba  genitrice  in  feno. 

Nel  fuo  placido  letto  il  mar  dormiva. 

Del  cui  gran  fonnd  il  fremito  s’udiva. 

115 . Sor fe  V encrc  bella,  e feco  tolti  ^ 

Tra  mille  lumi  i peregrini  Dei, 

Lor  provide  d’alloggio,  e fur  raccolti 
Ne  l ampia  reggia  ad  albergar  con  lei. 
Sgombra  fu  la  gran  piazza,  anf  orche  molti 
De’riguardanti  e nobili,  e plebei 
Volfer  per  non  lafciar  gli  agiati  luochi 
Al'pettar  nel  cheatro  i novi gWochi. 


Già 


Canto  x esimo.  5^^ 

ii<-  Già  lampeggiando  11  del  l’Alba  rrahea 
Da  le  nubi  notturne  auree  fcìntille, 

E colte  già  dal  feminarlo  havea 
Dcle  rugiade  mille  perle  e mille, 

Onde  con  larga  mano  ella  fpargea 
Dal  vafo  d’oro  ìnn argentate  ftUle, 
Innebriando  di  celefli  h<imori 
l’avidità,  raridità  de’fiori. 

U7,  Quando  Ciprigna  ad  ordinar  le  coli; 

Del  di  lecondo  -oicl  del  ricco  albergo, 

E de’ lottanti  al  vi ncitor  proprie 
^icro  Molofl'ojbran  macchiato  il  tergo, 
C’havea  di  piaftre  terfe  c lumlnofe 
D’acciar  dorato  intorno  un  forte  ulbergo 
E d’un  cuoio  durillirno  ferrato, 

Xi^ro  di  punte  d”oro,  il  collo  armato. 

118.  novo  premio,  e con  la  luce  nova 
Ecco  piùd’una  tromba  ad  alta  voce 
De  la  lotta  cittar  s’ode  a la,  prova, 

Et  incitarla  gioventù  feroce. 

Subito  pretto  a comparir  lì  trova 
Ciflb  il Thebano,  Batto  il  Cappadocc, 

E Clorigi  è con  effi,  e Vigorino, ‘ 

11  primo  è Cireneo, l’altro  è Bitiuo. 

119.  Noto  a l’Olimpo  Olimpio,  & al  Citerò 
Eucitto  , un  di  Thed'aglia,  & un  di  Ponto, 
Brancaforte  diTarfo,  cBellamoro 

Di  Babilonia,  huom  celebrato  econto, 

E col  temuto  Organo  il  ficr  Bruuoro 
Moftrafi  anch’egli  apparecchiato  e pronto. 

E Bronco  il  forte,  e l’anlmofo  Hedralto 
Efl'er  bramano  i primi  al  gran  contro, 

A a 4i  Mà 


5^0  GLI  SPETTACOLI, 

110 . Mà  Satirifco  entro  l’Agone  intanto 
Salta,  & afpira  a i preparati  premi. 
D’unaDriada  , e d’un  Fauno  in  Erimail€o 
Fù  generato  di  confali  femi.  • 

Non  è Satiro  in  tutto,  eccetto  quanto 
Tengon  fol  de  la  capra  i piedi  eltvemi. 

Forma  Humana  ha  nel  refto,  e di  due  corna» 
Con  cui  cozza  lottando,  il  capo  adorna.^^ 

Ili-  Corteccioallhora,uncontadinpolTentc, 
Contro  coftui  per  tenzonar  s’è  mollo, 

A le  braccia  in  Arcadiaufo  è fovente 
Venir  con  gli  Orli,  e n’hà  le  pelli  addoflb. 

Ha  come  gli  Orli  iftelli , irto  e pungente 
SiVl  petto  il  pel, grande  ogni  membro  e groffo 
B de  le  piante  figlio , e de  le  felve , 

Commun  l’albergo,  e’I  vitto  ha  con  le  belve. 

ni.  Le  fèlve  a quefto  p^olo,  c le  piante 
(Horribile  à contar)  fui  genitrici, 

E crebbe  poi , robufta  turba  errante. 

Senza  cura  di  fafee , ò di  nutrici.  ^ 

Da  novo  pie  calcata,  il  fuol  tremante 
ScolTc  la  terra  infin  da  le  radici, 

Quandò  da’padri  fraflini , e da’faggi 
Vide  i fanciulli  ufeir  verdi,  e felvaggi, 

113.  Spaventati.  & attoniti  ftupito 

Quel  dì,  che  prima  al  del  gli  occhi  levato» 

E videro  alternar  con  vario  giro 
De  la  notte  e del  giorno  il  folco  ,e’l  chiaro. 
Fama  è , che  lungo  tratto  il  Sol  feguiro 
Quando  ofeurar  la  fera  il  dì  miraro, 
Temendo  forte  (ahi  Cemplici)  non  loro  , 
Involalfe  per  Tempre  i raggi  d’oro. 


Veder 


CANTO  ventesimo. 


jèi 

114*  Veder  duo  lottator  tanto  eccellenti 
Da  corpo  a corpo  a contraftarriduttì. 

Fu  gran  diletto  , ond’a  mirargli  intenti 
In  piè  s’aUaro  i circoftanti  tutti. 

Non  ftettcr  molto  a bada  i combattenti, 

Ambo  del  par  ne  reflercitio  inllrutti, 

Mà  fubìto  n’andar  fenz’altrò  dirli 
Impetuofamente  ad  aflalirfi. 

*15'  Non  da  fpiedo  , ò da  ftral  talhor  feriti 
Duo  fier  Leoni  , ò duo  Cinghiali  alpeilri 
Hifonar  d’urli  horrendi,  e di  ruggiti 
Fancon  canto  furor  gli  antri  fil veltri, 

Con  quanto  inficme  ad  affrontarli  arditi 
Vennero  de  la  lotta  i duo  madri , 

Efiftrinfero  a un  tempo,  c d’altri  gridi 
Rimbombar  fcr  d’intorno  I campi,  e i lidi, 

ii6.  Tra  Caldi  nodi , c rigide  ritorte 
Avinchiati  così  ftetter  gran  pezza.  ^ 

Poi  fi  ftaccaro,  e con  rivolte  accorte 
Cominci aro  a moftrar  forza,  c dcftrezfza. 
Pefante  è runj,  ma  ben  gagliardo  e forte. 
L’altro  è ieggicr , ma  di  minor  fortezza. 

Pur  girandoh  ognor,  con  l’arte  attuta, 

E con  la  propria  agilità  s’aiuta. 

*17-  Poich*  ei  più  volte  ha  circondato  il  piano. 

Le  gambe  a’ larga , e ferma  i piedi  in  terra. 

Le  fpallc  incurva,  e l'una  e l’altra  mano, 
Dittende  innanzi,  accinto  a nova  guerra. 

Con  minacciofo  fcherno  il  fier  ViDano 
Sorride,  e contro  lui  ratto  fi  ferra  , 

.£  con  un  braccio  il  più  forte  che  potè 
Difovtdl^  collottola  il  percotc. 


óx  GLI  SPETTACOLI^ 

u8 . Quafi  duro  baftone,  ò grofla  trave 
Parve  battefl'e  al  Satiro  la  fronte, 

E ftordito  refto  dal  picchio  grave , 

Pur  come  addoflb  gli  cadeflh  un  monte. 

Mà  fi  rifeote  intanto,  e perche  pavé 
D’un  nemico  sì  ficr  l’offcfe,  e Tonte, 

Cerca  di  prevaler  fagace  e fcaltro. 

' Con  ftratageroi,  e con  cautele  a Taltro.. 

U9.  Mpftrò  fortp  dolerli  ',  e d’haver  roteai 
La  tefta/edicader^uafis’infinfe. 

Onde  colui  per  dargli  un’altra  botta 
Scioccamente  ridendo,  oltre  fi  fpinfe, 

E credendo  homai  vinta  haver  la  lotta,, 
Sènza  riguardo  alcun  feco  fi  ftinfei 
Ma  tutto  in  fe  medefmo  ei  fi,raccoire. 

Et  afpettar  quelTimpeto.non  volfe. 

130.  Mentre  Cortcccio  con  Tardir,  c’hà  prclb» 
Rlfoluto  ritorna  a la  battaglia, 

E la  feconda  volta  il  braccia  ftefo , 

Per  di  novo  ferirlo,, a lui  fiXeaglia, 

La  fronte  abbafla,c  pria  che  ThabbiaofFcfo 
Gli  entra  di  fotto,  e fa  che’n  vaivi’ ailàglia , 
E dà  loco  a la  fùria,  e la  ruina 
Del  colpo  irreparabile  declina. 

131.  Schivato  il  colpo,  e col  fuo  deliro  braccio 
Prefo  de  Taverfario  il  braccio  manco, 
Quafi  legato  da  tenace  laccio, 

" GÌieTimprigiona,  e Tattrav.erfa  al  fianco 
T enta  ben  Taltro  ufeir  di  quell’impaccio, 
MàperclTè  greve, ;e  travagliato,  e fianco, 
Ceder  gli  è forza>-c  nclcolpirea  voto 
£ tirato  a cader  dal  proprio  moto. 


CANTO  ventesimo. 


*|x.  Tutto  in  un  tempo  el  gli  paùòsfuggcndo 
Sotto  Tafcella,  e gli  s’avinfe  al  collo, 
Econle  mani  il  gran  ventre  cingendo 
Gli  falcò  sù  le  terga,  e circondollo, 
Inguifatai , che’n  ginocchion  cadendo 
Quei  venne  a terra,  c nonpocea  dar  crollo, 
Pur  con  sì  fitto  sforzo  alfinfi  torfe, 

Che  quali  in  piedi  libero  riforfe. 

*}5-  E con  quel  dimenar  diè  sì  grand’urto 
Aldeltro  allalicor,  chel'havea  cinto, 

Ch’a  l’impro vifo  allhor  colto , c di  furto, 

Pù  per  cadérne  anch’egli , indietro  fpinco. 
Mà  pria  cli’apien  difciolco , e’n  piè  rifurco, 
FulVe  Talcler,  già  poco  mcn  che  Vinto, 
il  quafi  vincitor  de  la  contefa 
N on  fu  già  lento  a rattaccar  la  prefa. 

134.  Robuftamcnce  con  le  braccia'illega. 

Con  le  corna  il  ferifee  a capo  chino, 

E’I  ginocchio  di  dietro,  ove  fi  piega. 

Batte  in  un  punto  col  calimi  caprino, 

E tanca  forzi  ad  atterrarlo  impiega 
Che  Lo  coftringe  a traboccar  fiipino. 

Far  non  potè  però,  quando  Topprefle, 

Ch.’ ancor  fovr^il  caduto  ei  non  cadeflè.^ 

ìjf.  Seco  abbracciato,  c fortemente  ftretto 
L’abbattuto  Paftor  in  modo  il  tene 
Ch’addoilb'in  venir  giùTel  traile  al  pett»| 
Onde  cadere  ad  amboduo  convenne. 
Cadder  foffovra,  c d'onta,  e di  difpetto  , 
L’un’c  l’altro  fremendo,  in  piè  rivenne,, 

E già  moveanfi  a più  rabbiofe  rifiè , 

Mà  Cithcrcavi  i’intcrpofc,  e dille. 


5<j4  gli  spettacoli, 

53^.  Non  convien,  che  più  oltre  hoggi  proceda. 

Giovani  valoroh,  il  fhrorvoftro, 

Nè  che  cotanto  un  vano  fdegno  ecceda* 

Balli  l’alto  valor,  che  qui  s è moftro. 

Non  vò,  cke’l  fangue  alofcherzar  faccedaj. 
Non  è mortai  conflitto  il  gioco  noftro- 
Ceflìno  l’ire-,  ambo  egualmente  flètè 
D.;gni  di  palma,  & egual  premio  havretc,. 


x;7.  Habbiafi Satirifco il Can promeflo, 

^ Ma  non  s’oblii  de  l’altro  infieme  il  merto». 
Quel  Pardo  cacciator  gli  fia  conccllo. 
eli  è di  fpoglia  ricchiflima  coverto. 
piCi  voleadir,mà  sùquel  punto  ifteflo 
Vide  Membronio  entrar  nel  campo  aperto? 
Membronio  il  fiero  Scitha  , huom  eh  a le 

Anima  Piramide  raflembra.  [mem  ra 


138.  f embrafbrtefenfibilce  fpirante, 

Sembra  viva  montagna  a la  ft^tura.^ 

Non  giamai  (credoj  in  alcun  fuo  Gigante 
Tanta  mafia  di  c arne  unìN  atura. 

Del  vado  capo  ale  tremende  piante 
Coddifmifurataèla  mifiira. 

Che  tra  gli  huoraini  grandi  è quello  iltello, 
Ch’è  trai  virgulti  piceiolLil  cipreflo. 

135.  Pien  di  fuperbo  e temerarie  orgoglio  . 
■Quelli  nel  cniufo  cerchio  entrato  apena 
Oeponleveltì,  cin  un  confufoinvoglia  ■ 

luriando  le  gitta  in  su  l’arena. 

Poi  quali  eccelfo  & elevato  fcoglio , 

De  l’ampie  fpalle , e de  PimmenCa  Ichiena 
Scopre  gli  ccceffi,  e di  terribil’ombra 
Ben  piantato  nel  m«o,  il  piano  ingomma. 


CANTO  VBNTBSma  5^5 

140.  Qual  Tino  Rior  de  la  prigion  tenace 
LiberOj  e’n  piè  levato  a veder  fora , 

Se  l’augd,  cnc  famelico  e mordace  > 

Le  fue  feconde  vite  ere  di  vora>  ^ 

Da’iioìirc  campi,  ove  diftefo  ei  giace  i 
Sorger  gli  deffe,  c rcfplrar  talhora-. 

Coiai  parca  ci^iel  moftro  borrendo  e rio-, 

CK’i  più  temuti  a fp aventar  ufclo. 

141.  Con  bieco  fguardo  in  prima  egli  fi  vide 
Torcerle  luci,  e follevar  laf^cia, 

Afpra  fe  fchcrxa.  Se  hornda  fe  ride  > 

Hor  chefia  fe  s’adira,  o m minacciai 
Indi  con  formidabili  dìsfide^ 

Ambe  (barrando  incontr  al  Cicl  le  braccia. 
Di  tal  parole  audaci  & arroganti 
Uorecehie  fulminò  de  gli  afcoltanti. 

141.  Hor  venga  a noi  di  quanta  gente  accoglie 
Quefta  di  lottatori  ampia  adunanza, 

<^al  più  di  palme  cupido?,  c di  fpoglic 
In  fe  bda,  e’n  fua  poflanza.  ‘ 

Vedrem  chi  tanto  infane  havra  le  voglie. 
Che  di  meco  pugnar  prenda  baldanza. 
Parlo  a chiuque  intorno  ode  il  mio  grido,. 
E qu  anti  qui  nc  fon,  tanti  ne  sfido. 

14.3.  bJeffunrifpondeal’oltraggiofcnote^ 
Salvo  fol  di  Beotia  Un  Giovinetto , 
Ch’accende  allhor,  perche  foffrir  noi  potè* 
Di  vergogna  la  guancia,  c d’ira  il  petto, 
Incomincia  a fcgnargli  ambe  le  gote 
Del  primo  pelo  un  picciolo  fregetto, 

Mà  folto  l’ombra  de  le  fila  bionde 
' JDl  qua  di  là  kzawera  i[’^condc  ^ \ 


fCg  GLI  SPETTACOLI,  1 

244,  Crindor  da  L’or  dei  crine  egli  liebbe  nome  1 
Perche  sibionde,  e molli,  e dilicate,  ; 

E sì  crefpe,  e sìterfe  haveale  chiome,  i 

Ch’auree  invero  pareano  , e non  aurate»  1 
E qualhor  da  la  forbice  (fi  come  » 

Sogliono  a chi  fi  ronde)  eran  cagliate,  1 

Per  pofleder  sì  lucido  theforo  ? 

Le  compravan  le  Donne  a pefo  d’oror  j 

145.  Senza  accorciarla  unjuftro  hà  già  nutrita; 
Labclla  chioma,  ond’è  dififiifa  e lunga, 

E non  è dì , che  culca,  e ben  forbita, . 

De’più  pregiati  aromati  non  l’unga.  ; 

Kaà  s'hor  avien,  che  da  l’imprefa  ardita  i 

Vincitor'efca,  ech’a  la  patria  elgiunga. 
Troncar  promette  in  voto  I capei  cari, 

E d’Apollo  offerirgli  a i facri  altari.  ^ 

246.Polchc  vede , ch’alcun  non  ofa  ancora 
Di  contraporfi  a quelColoflo  immane, 
Sfibbiafiil  manto,  e lenz  altra  dimora 
Scinte  le  fpoglie,  ignudo  ivi  rimane, 

£ del  corpo  virildimoftra  fora 
fatezze  leggiadre  e fovrhuraane, 

Onde  de  l ‘altre  membra  al  vago  volto 
Quel  che  i dxapia£codeano,ilpregio  hà  t»lc# 

*47.  Sentendo  nel  bravar,  che  fa  colui, 

Publica,  e generai  l’»:igiuria,  e l’onta, 

£en  che  debii  diibrzc,incontra’aluÌ 
Da  la  voglia  è portato  audace  « pronti^ 
Nèfenza  tema,  e meraviglia  altrui 
Il  coraggiofo  giovanel'atooma , 

Ma  1 altro  con  piè  fermo,  e fronte  olfi:ttra 
Minacciando  l’afpetca,c  nulla  iicora. 

Se-: 


CANTO  V-RTST  T E SIMO.  f6.j 

148.  Sooxi^Ua  là  ne  lo  {leccato  Ibero 
Tauro,  cui  gente  irrlcatrice  efpugna, 
C^lhor  dal  carmeg&ìar  fatto  più  fiero,, 
iiede  il  Cicl  con.  la  &onte,  il  mol  con  l’ugna^ 
La  codalnalxa , a\>b>a{là  il  collo  altero, 
Sbarrale  nari,  e sfida  i venti  a pugna, 

E par  corto  le  corna,  e torvo  i lumi 
Quando  forge  dal  letc®,ilRcde’fiumi. 

149.  E che  può  folle  ardir?  che  puòj  che  vale 
Contro  sì  fconcla  machina,  e sì  valla? 

Che  non  c’haver  proportione  eguale. 

Con  tutto  il  petto  al  capo  gli  fovrafta? 
LafciaEìpur  crollar,  mcntr’el  fallale  , 
Sollien  gli  urti  innocenti,  e non  contrada} 
Mà'l  tempo  attende,  e con  accorto  cìglio 
Cerca  a la  treccia  d’or  darglidi  piglio, 

I5G.  Lacrecciad’oro, ch’ai  foffiar  del  venta 
Volava  intorno  innanellatae  fciolta, 

Era  molto  al  garzon  d’impcdiraento» 

B gli  occhi  gli  copria,  tant’era  folca. 

Ónde  il  Gigante  ala  vittoria  intento 
Hebbe  pur  d’affetcarla  agio  una  volta. 

N e L’aureo  crin  la  fiera  man  gli  defe, 

B canto  ueilracciò,  quanto  ne  prefe. 

1. . Come  quando  calhora  aduto  Gatto 
Il  nemico,  che  rode,  ha  ne  la  branca, 

>5  on  Cubito  l’uccide  al  primo  tratto  , 
Idàjquinci  e quindi  lo  raggira  c fianca,, 
Tinche  v^gendol  poi  mezo  disfatto, 

E che  lo  fpu  to  adhor  adhor  gli  manca* 
D*ppo  lungo  fcherzai  pur  finalmente 
A la  zampa  lo  toglie , e dallo  al  dente. . 


5^8  GLI  SPETTACOLI, 

r^z.  Così  Membronio  altero  é furibondo 
Poiché  foft'crco  ha  il  bel  Cr indoro  alquanto^ 
Con  oltraggio  crudel  per  lo  crin  biondo 
Lo  {batte  a terra,  e quivi  il  lafcia  intantoj 
E difprezzandoinficme  il  Cielo,  cl  monclo-,, 
L’infolentc  parlar  raddoppia,  c’I  vanto. 

Perche  foffre  (dicea)  chi  più  fiftima. 

Che  gli  tolga  un  fanciul  lalotta  prima? 

Ijj.  Venite  voi  (ch’io  taPhonor  non  curo J v 

■ Voi  forti,  al  braccio  mio  degna  fatica. 

Venga  ciafcun,  che  vuol  provar,  fe  duro, 
O’molle  è il  fen  de  la  gran  madre  antica. 

Così  dìc’cgli  con  fembiante  ofeuro. 

Nè  Corimbo  foftien,  che  così  dica. 

Di  Crindoro  è compagno,  anch’egli  Greco> 

E di  ftretta  amiftà  legato  fcco. 

J54*  Nacque  sùI’Acheloo,  famofo  fiume. 

Che  lottò  già  col  domator  dc’fortij 
Econtan,  chel  ifteffo  humidoNumc 
Gl’infcgnò  l’arte,  e mille  tratti  accorri, 

E del  pontar  la  pratica,  c’I  coftumc, 

E le  prefe  a cangiar  di  varie  fortij 
E di  perfona  cflendo  agile  e delira, 

Vincitor  riufei  d’ogni  paleftra. 

1/5.  Spiacque  a ciafcun  la  crudeltà  villana 
DelBarbaro  feroce,  e difeortefej 
Ma’l  fido  amico  a la  caduca  cllrana 
D ira  non  men,  che  di  pietà  s’accefe.  ’ 

V olgiti  (difle)  à me  BclHa  inhumana^ 

Che  dilKonori  l’honorate  imprefe, 

Ed’avilìre,  c d’infamar  ri  gonfi 
JL’lioiioy  de  1«  vittorie,  c de’crionft 


Ko 


\j6,  Non  fopcibir con  vanit a.-s\  {ciocca , ; 

Pcrcicmole  dime  mbra  Habt>i  cotanta,  ’ 
Chcfcfcmbra  il  tuo  corpo  eccelfa  rocca. 

Eccella  rocca  ancor  s’ abbatte  c fchianta. 

Speffo  da  giogo  altero  alpla^ri  trabocca 
Tronca  da.picciol  ferro  iirimenfa  pianta. 

Spedo  lo  (inifurato  angue  <l’£gitto 
Da  mlaiato  atòmal  cacLc  trafitto 

ij].  Fdrueelfor  del  ficr  Leon  TSI cmeo 
V'ièplù  forfè  di  te  forte,  c membruto, 

Por  nel  tallon.tr  afitto  alfin.  cadco 
M morfo Col  d’un  pefciolin brandita. 
fùdit^ucUlf io  mi  fon,  del  campo  Acheo 
forfè  minor  Vefploratore  aftuto, 

I Purtolfedifuaman  con  picciol  temo 
L’arroganza,  c la  "vita  a P olifèrao. 

^ i;8.Conun  ghigno  frexxante,  c pien  d’orgoglFov 
L’afcolta  il  grande,  e cjual  fi  fia,  noi  de^na, 

Teco  non  conia  man  combatter  voglio  > 

Solo  il  mio  piede  a ben  lottar  infegna 
Con  un  calcio  di  cjuei,  eh  aventàr  loglio. 

Ti  manderòdo ve  Saturno  regnai 
E’n  tornar  giù  mi  recherai  novelle 
Di  ciò  che  colafbù  fanno  le  ftellc.  • 

159.  Cosi  rifpofe,  e così  dettò  prefe  ' ' ’ ' • 

Un  {Ulto  tal,  che  fé  ftupir  le  genti , " 

Ne  T Apennin  fi  forte,  ò il  Monfanelc 

Scodò  è talhor  da  prigionieri  venti.  " ‘ t 

Poi  d’un  grido  si  fiero  il  Ciel  offefe. 

Che  la  terra  crollò  da’fondamenti. 

Vacillò  la  gran  piazza,  crimbombonne 
L’aria,  c tremaro  intorno  archi,  c colonne. 

Con  " 1 


m 


ffb  GLI  SPETTACOLI,  « 

jéo.  €on  sì  fatto  romor  , cjuand’Hcrcol  morfci 
Aprì.latrandò  Cerbero  le  golei  3 

Con  tal  rimbombo  Giove  a punir  col^  Ji 
Del  fier  Tiran  la  temeraria  prole.  t 

E con  ftrepito  egual  Poxzuol  fé  forfè 
lyaltofpavento  impallidire  il  Sole,  ii 

Allhor  ch’a  lo  fcoppiar  de  le  campagne  f 
Vomitò  fiamme,  e partorì  montagne.  3 

Senz’altro  motto,  al  vantator  fuperbo  ì 
' Il  buon  Corimbo  allhor  fi  drizza,  e tace-  i 
E d’età  verde,  e di  vigore  acerbo,  ^ 

Indomito  dì  cor,  dì  ftirto  audace,  f 

T utto  callo , tutt’oflo  e tutto  nerbo,  5 

Di  polpe  afcìutto,  e d’animo  vivace.  t 

Quadrato hà il  corpo, c fovra  i fianchi  ftretto  5 
Gli  homcri  larghi,  e fpatiofo  il  petto,  ij 

Stupir  le  turbe  intorno,  a cui  non  era  * 
Conta  la  filma  del  campion  gagliardo. 

Quando  infpcrato  , e folo  ufcirdifchic» 
L’hebber  veduto,  c’n  lui  fifaro  il  guardo», 

Mà  tra  color,  c’havean  notitia  intera 
Di  quel  valor,  che  non  fu  mai  codardo. 
Meraviglia  non  nacque,  e lor  non  nove 
L’iifate  n’attendcan  prodezze  e prove. 

Del  pari  Ignuda,  e Simulata  c punta 
Da  fprone  egual,  la  fiera  coppia  arriva, 

E poiché  già  conceffo  a prima  giunta 
Libero  ad  ambo  il  campo  è da  la  Diva, 
Poic’han  la  pelle  immorbidita  & unta 
Col  licor  verde  de  la  molle  oliva. 
Chinanfiaterr'»,  econ  furore  c rabbini- 
Fregan  le  mani  insù  la  fecafabbia. 

Q^an- 


Quando  d’arida  polve  amli  o-  pr  es’  hanno 
^antolor baila  ad  Inafprar  le  palme, 
Noncosì  tofto  ad  abbracciar  lì  vanno 
Quelle  dae  fenza  pari  intf  epid’alme. 
Mide’colpi,  ch’ai  naoto  accingi  ftanno. 

Ferme  nel  fucile  ben  liV>rate  Calme , 
Dacapoapièdacpieftoa  e da  c[ucl  canto 
Trattengon  gli  occhi  ^ mifiir arfi  alquanto. 

Xj-  Ufadafcunl’induftria  , adopra  ogni  art* 
Per  haver  ne  la  luce  anco  vantaggio, 

Bfceglie  ilfito,  e’n  gnila  il  Sol  coni  parte, 
CHegli  occhi  offenda  a raveriàrioilraggloy 
Cercandopur  di  collocar  fi  in  parte, 
Dovenonn’habbiala  Tua  vifta  oltraggio, 

E’a  SI  fatta  poftura  il  1 urne  piglia, 
ChegUfiedalefpallc,  e non  le  cìglia. 

Volge  Membro  nlo  al  fuo  nemico  il  vifb, 
Tien  curvo  il  collo,  e tien  le  gambe  aperte,' 
E’ntanto  adavincblarlo  a l’iraprovllb , 
Larghe  le  braccia,  & inarcate,  & erte. 
Corìtnbolnsè  raccolto  , c’nsù  Tavifo 
Le  raan,  gli  occhil  » e 1^:  faccia  a lui  converte 
E indietro  col  piè,  col  capo  avante 
Tenta  haver  ne  la  prefa  il  primo  iftante. 

1^7*  Lanciarfi  ambo  in  un  tratto , & ìnveftiti 
S’aviticchiar  con  noderofi  groppi 
Nè  polpo  a nuovator  tra’ falli  liti 
Tele  mal  nodi  sì  tenaci  e doppi, 

Come  fur  quei , che  di  lor  membra  orditi. 
Tentando  infidie.  e traverfando  intoppi, 
Strinfell  infieme  In  cento  modi  eftrani 
Con  le  braccia,  co’piedi,  e con  le  mani. 

Premier 


GLI  SP'EttACÓLT, 


VP- 

168»  Premer  petto  con  petto  ambo  vedreftì, 

E (lineo  à (lineo,  e fronte  a fronte  apporli. 
Ambo  a provaiifFettarfi  agili  e predi 
Sotto  i lombi,  SII  i colli , e dietro  a 1 dorfì. 
Stan  così  buono  ^atio  e quegli  e quelli,  ^ 

Pur  dilbrìgati  alnn  vengono  a fciorlì, 

E con  gran  giri  intorniando  il  loco 

Van  quinci  e quindi, e fan  più  largo  il  gioco. 

Torna  da  cwo  ad  affrontarli,  ci  petti 
Con^iu  ngc  inlieme  la  robuda  coppia, 

E sì  forte  gli  tien  ferrati  e llrecti , 

Ch’afferma  ognù  che  già  vien  meno, e fcoppla 
Poi  fon  pur  a lafciarfi  alfin  coftretti, 

Indi  pur  l’un’e  l’altro  ancor  s’accoppia, 

E l’un’e  l’altro , mentre hor  lafcia,  nor  pende. 
Scambievolmente  ognor  varia  vicende. 

170.  Come  in  riva  paludre,  ò in  balza  alpina 
Quando  dal  furor  d’Euro  è combattuta. 
Minaccia  antica  pianta  alta  ruina. 

Accenna  arbore  ecceLfa  alta  caduta, 

Hor  la  cima  frondofa  a terra  inchina,  / 
Hoi  ’in  alto  dal  vento  è foJdcnuta,  ? 

E’I  moto  altero  de  l'altere  fronti  ’ 

Fà  (lupire,c  tremare i fiumi,  e i monti. 

171,  Così  fanno  que’duo.  Sovente  vedi 
Mutar  fogge  d’aflalto  hor  que  Ilo , hor  quefto. 
Il  minor  dal  màggier  talvolta  credi 

Gii  foffbcato,  & abbattuto,  e pedo. 

In  un  momento  poi  riforto  in  piedi 
Rincalza  l’altro,  & a ghernirlo  è predo. 

Hor  refpinge  il  nemico , hor  n’è  refpinto. 

Ne  fi  diftingue  il  vincitor  dal  vinto. 

SÙ 


jOìc  dita  Jc’pvè  Corlml>o  in  alto 

»aiL. 


talhor, ma  no n.  gli  aririva  al  mento, 
Talhor  prende  a falcar  j ma  fcinprc  infalto 
%o  butto  SI  grande  è corco  e lento. 

Non  però  fv  ritraile  dal  fiero  aflalto, 

Nedi  forzagli  cede,  ò d’ardimento. 

^ittò  raccolta  è vie  più  force,  e langue 
Troppo  allargato  in  un  gran  corpo  il  langue 


*13l4embr orno  Caldo  in  mezo  al  canapo, e dritto 
Dicraardiaiaacco,  e di  difefa  ftalii. 


IVi  C di  Ci  L i.  ^ ^ 

E cerea  ftancUeggi  ar  1*  e nani  i n-vatto, 

Clieglivà  incorno  con  veloci  pai  i, 

conni 


Miper  farglifi  egual  nel  gran  <^on{litto 
Convien,  che’l  tSrgo  itxcvii:  vi,  e che  s abbjffi. 
PenCa dargli  di  piglio*  e I altro»  ugge, 
©ni'dlbuffa.  cbeftemmla,  e freme. crugge- 


74  Qnal'orbo,  ì.  cui  xanxara  intorno  è pecchia 
Vb/a  importuna  aA  infcftar  ^ ^^'a. 

Et  hoc  nel  “CotVpun 
E pm  ntorna,  quant  e p ^ ^ 

Tal  c^uanto  P"  “ à la  tenton  le  braccia, 

Hor  qmnci,  ^or  q^“^ 

Daldeftto  j indarno ftende, 

E le  man  per  pignari'-» 


r „fi-rmbo  afBitìcati  e llanchi, 

ÀÒrba-natic  fparf. , 

Edi moUe  ^ battono ifianchi. 

Già  con  fpe  j travagliar  più  (cariì, 

tTv?«a fela,  e Jr  gll'manclu  . 


f74  GLI  SPETTACOLI. 

I7tf.  P^irdal’lionorfofplntp,  iti  diè  follie  ufi  , 
E gli  ufati  furori  in  sè  raccende» 

Mà  con  le  vafticà  de’membri  iminenfi 
Pili  che  conia  poflanzaei  lì  difende. 

Il  Greco,  c’hà  più  vigorolìi  fenfi. 

Più  frefco  a l’opra,  c più  vivace  intende. 

Et  ecco  già  que’nervi  intanto  adocchia. 
Che  di  dietro  incurvar  fan  le  ginocchia* 

J77.  E perche  laflb  il  vede  , e pien  d’angofcia 
Con  ladra  gli  accenna  inver  la  fpalla. 
Minaccia  al  collo , e in  un  momento  pofcia 
S'inchina,  mà  l’effetto  al  pender  falla. 

Che  la  man  troppo  breve  a l'ampia  cofeia» 

• Inhumidità  dal  licor  di  Palla, 

Nonpotendo  fermar  la  palma  in  elTa, 

Lubrica  a fdrucciolar  vien  da  fe  ftelTa. 

178.  Ilfuperbo  diScithia  -,  ancorché  rotto 
Da  laltanchezza,allhor  punto  non  tarda* 

I villolì  da  lui  si  malcondotto, 

I Par  che  di  (lizza,  c difpecto  n’arda. 

Sovra  andar  gli  lafcia  ,e  quali  fotto  ■ 

Sci  caccia  in  modo  con  la  man  gagliarda, 

Ch'a  l’ombra  del  gran  fcno,onde  il  foverchU 
Tutto  l’afconde,  e con  le  braccia  il  cerchia. 

17P.  Cosi  chi  cerca  con  occulta  mina  ' 

L'oro  fcpoltoin  fotecrranco  fpeco, 

Se  la  rupe  fi  rompe,  e‘n  giù  mina , 

Si  che  chiufa  la  buca,  ci  retti  cieco, 

Sotto  l’alta  pcrcolTa  c repentina 
Tutti  gli  ordigni  fuoi  nè  traggo  ^cco, 

-E  pon  hncln  un  punto  a l’opra  atditfl, 
4Ì'iugorda  avaritia,  dea  lavica. 


No» 


I CAMTO  VRN  T E SIM0.  $7S 

S».  Non  perde  il  cor  Corimbo  anzi  s’affretta 
Incaricarlo,  c rlpoCar  n.oI  laffai 
E per  ch’aàir’un  colpo  il  tempo  afpetta, 

I Sotto  libraccio  ocnaicoil  capo  abbaifa» 
Econpiùd’unafcoira,  e d’una  Uretra 
I Gli  elee  a le  cofte.  Indi  a le  fpallc,  e palla. 

I Di  qua,  di  là  con  l’ima  e l’altra  mano 
Gli  annoda  Ifianclil  ,c  tenta  alzarlo  invano. 

Più  volte  a delira  manca  ilfier  Gigante 
Spinge  c refpinge>.^e  con  gran  forza  i tira, 
Manon men laido  il  trova,  e men collante. 
Che  grolla  cj^nercia  a Zefiro,  che  fpira. 

I iegran  gambe  ognor,  de  le  gran  piante 
Si  ben  fondate  tien>  mentr’ci  1 aggira, 

le  Colonne,  c le  bali  in  su  l’srene. 

Che  la  propria  graveztain  piedi  il  tiene, 

111.  Pur*alfin  tutto  a la  vittoria  intefo. 

Ratto  da  faccia  a faccia  a luis’avcnta, 

Indi  cjuantuncjuc  incolerabil  pelo. 

Sol  levandol  da  terra,  alto  il  {oftenta, 

Quando  cofi  ne  l’aria  eì  l’hàfofpelo, 

Non  allarga  i legami,  c non  gli  allenta , 

Mà  con  tutto  il  vigor  de  la  perfona 
Là  dove  pende  piùj  più  s’abbandona, 

183.  Sovra  l’olio  del  petto  alto  levato  : -• 

Calcollo  si,  chc’l  rcfpirar  gli  tolle, 

Quanto  d’impeto  liavea,  tjuanto  da  fiato 
Ne  le  membra, e nel  cor,  tutto  raccolfc  , 

E piegandolo  a forza  al  manco  lato, 

Lui  da  fc  fpinfe,  e fe  da  lui  difciolfc, 

Onde  cadendo  alfin,  con  l’ampia  fchicn» 
XljmciBbrucocampion  Itampo  l’arena> 

Moli 


/ 


GLI  SPETTACOLI, 


184.  Non  alcrltnend  il  generofo  Alcide 

Quando  il  Libico  Anteo  pugnando  alTalfe,  g, 
' Poi  che  de  la  cagion  chiaro  s’avide  > -j 

Ond*ci  più  volte  al  Tuo  valor  prevalfe, 

Tra  le  braccia  polfentl  & hoinicide 
Stringendo,  fcherni  l’arti  fue  falfe,  ■ 

E tanto  fpatio  lo  Tolte nne  e relle,  j 

Che  violentia  fuor  Talmanelpreffe.  ^ < 


185.  Cadde  con  quel  fragor , che  fuolc  al  bado 
C ader  .fmoflb  da  l’onde  argine,  ò ponte, 

E parve  a punto  che  fcolTelo  il  fallo, 

Veniffe  quafi  a dirupare  un  monte. 

T uttì  a quella  mina,  a quel  fr  acallo 
Segno  moftrar  d’altaletitia  in  fronte  , 

E con  grido,  e ftupore  al  rifo  mifto 
Favorire  applaudendo  ogn’ un  fu  vitto. 


j 


tS6.  Mentre  intorno  ridcala  turba  pazza , 
Confondendo  a l’applaufoaltobifblglio. 
Fattoli  Citherca  venire  in  piazza 
Stranio  vafel,,  volfe  a Corimbo  il  ciglio. 
Tua  lia  quefta  (gli  dilTe)  in  quella tazza^, 
Che’n  India  conquiftò  lo  Dio  vermiglio, 
Giove  bevea  nel  tempio  già,  che  pria 
Di  Ganimede  a me  nuHebe  il  Cervia, 

I 

137.  La  tazza  ha  il  ventre  aliai  capace  e gra 
E (come  vedi)  di  CriftalU  alpino. 

Sorge  vite  dal  fondo,  e da  le  bande 
Le  icrpc  intorno,  c fa  corona  al  vino, 

Son  di  fmeraldo  l pampini,  che  fpande. 
L’unc  fon  di  topatio,  c di  rubino  , 
E’aguifa  tal,  che  l’arte  aflembra  calo  , 
li  cionco  inferioi  fà  piede  al  vaCo. 


CANTO  VENTESIMO. 


I7f 


In  raczo  al  vafo  ricco-c  prctiofb 
Sd con  arte  mirabile  piantato 
UticcCpo  intier  tic  l*arbofccl  ramofb. 

Che  fu  già  da  M.eclu.la  inranguinatoj 
Onde  il  dolce  licor  cl’iin  frcico  ombrofo 
Sparge,  nè  mea  cb’  al  labro^a  l’occhio  è grato, 
E incl’ce  il  rollo  al  verde , e’nfiemc  ferra 
Le  delitic  del  mare  , e de  la  terra. 

iBj  De  le  gemme,  c*hà  dentro, il  prezzo  è H ine- 
Sirottiirartiflcio  è di queft’opra,  [no. 
Perche  mentre  la  coppo  ha  voto  il  Ceno, 
Paiono  acerbi  i grappoli  di  fopra^ 

Ma  quando  poi  comincia  ad  eller  pieno. 
Tanto,  che’l  vino  Infin  a l’orlo  il  copra. 
S’annegriice  U rigor  de  la  verdura. 

E diventa  l’agrefto  vua  matura. 

190.  Cosi  dic’ella,  e glicl’confcgna  c porge , 

E veduto  lAembronio  a la  pianura, 

Loqual  carco  dì  polve  in  pie  riforge 
Vie  più  che  di  fupcrbia,  e di  bravura. 

Perche  confa fo  il  mira,  e ben  s’accorge-, 
Quanto  Vaffligga  il'  duol  di  Tua  feiagura, 

Non  vuol>  clValcunoin  sìfeftofo giorno 
Di  lei  fi  parta  con  mcftltia,  c feorno. 

191,  Una  gran  fiafeaindonoottien  da  !cl. 

Opra  ben  terfa  d’acero  tornito, 

Che  d'un  bel  chiaro  ofeuroìnduo  carnei 
Per  la  man  del  gran  GnMo  è colorito.  ^ 

In  una  parte  de’celefti  Dei 
X>ipintoò  il  lauto  c fplendido  convito» 

Nc  l’altra  un  vendemmia  badi  Baccanti, 

Di  felvaggi  Sileni,  e Coribami. 

Y9Ì>  Ih  £ò 


578  GLI  SPETTACOLI, 

ipr.  Sovragiunge  CrInJoro,  ilqual  fi  lagna 

Del  torto  ingiufto,  e moftra interno  afFanno^ 
Dicendo,  che  da  lui  ne  la  campagna 
Fiì  per  fraude  abbattuto,  e per  inganno* 
Graffiali  il  volto,  e di  bel  pianto  it  bagna, 

E vendica  nel  crìn  Tingiuria  e’idanno  , 

Et  accrefcono  gratia  ala  beltate 
Le  chiome  polverofe , e lacerate.  ' 

Ride  Ciprigna,  e col  bel  vel  fiottile 
Gli  aficiugadi  fiua  man  gli  occhi  piangenti. 

Poi  d’alabaftro  candido,  e gentile 
là  due  portar  ben  grandi  urne  lucenti, 

Glàdi  ceneri  fiacre  antiche  pile, 

Hor  tutte  piene  d’odorati  unguenti. 

Queftl  licori  pretiofi  c fini 
Servanti  (difle)  a far  più  molli  i crini.  ~ 

j^4.  Dopolc  liittefaticofie  e fiere 
La  bellicola  Dea  prende  per  mano, 

E la  vuol  fieco  giudice  a federe 

Sovra  il  gran  palco,  che  comanda  al  piano. 

Poi  fra  le  genti  armigere  e guerriere 
Fa  per  l’Araldo  fiuo  gridar  lontano, 

Che  chiunque  honor  brama , in  campo  vada 
A tirar  d’armi,  & a giocar  difipada. 

Per  incitar,  per  allcttar  con  l’efica 
Gli  animi  forti  a la  tenzon  novella, 

E perch’a  icori  arditi  ardir  s’accrcfica» 

Un  dolce  premio  a conquiftar  gli  appelU» 
Vergine  addita  lor  fiorita c frclca 
Nata  in  Corintho,  c fra  le  belle  bella.) 

Bianca  vie  più  che  tenero  liguftrb, 

E compito  ha  di  pocoU  terzo  lui^ro. 


579 


CANTO  VENTESIMO. 

Fùbeltà  canea  a i fianchi  di  coloro, 
Chedeveano  armeggiar,  ftimulo  ardente, 
Ter  ch’ai  valor,  che  langue  alto  riftoro 
1 traftuUid’Amor  recan  fovente  . 

Tofto  Brandio  comparve,  & Armidoro, 
L’un  detto  il  feritor,  Talcro  il  valente. 

Giuro  lo  fcarmigliaro,  Ormiifto  il  fiero, 
Garinto  ilrolTo,  e Nloribello  il  nero. 

Taurindoil  Mofeo  , il  Tartaro  Briferro, 
Arguito  il  Siro,  il  Perfian  Duarte, 

E Giramon,  che  sì  ben  gira  il  ferro, 
EFulgimarte,  il  folgore  di  Marte 
Magabizzo,  e Spadocco,  un  ladro, un  fgherro 
Ambo  hor  rivolti  a piu  lodevol’arte 
BeliCardo  dal  guado,  Albindal  ponte 
Groteier  del  bofeo.  Se  Olivan  dal  monte. 

I5»8.  Mentre  fon  quelli  in  gara,  & altri  Herol, 
Di  cui  la  Miifa  mia  l’opre  non  narra, 
HefperioIfpanOjdi  cui  prima,  ò poi 
Huom  più  audace  nonni,  prende  , la  fraarra 
E precorrendo  i concorrenti  fuol , 

Cacciali  il  primo  entro  la  chlufa  {barra. 

Indi  la  man  toccando  a la  donzella, 

Con  un  forrifo  altier  così  favella. 

X 99-  farà  meco  pugnando  hoggi  collel 
D’aUraguerra  miglior  campo  il  mio  letto. 
Non  fpetei  alcun  de  la  beltà  di  lei 
fin  c’havrò  quella  in  man,  prender  diletto. 
Chiunque  opporli  ardifee  a i detti  miei, 

V enga,  e’I  vieti,  fe  può , ch’io  cui  l’afpctto. 

Gli  otii  più  dolci  fon  dopo  i fudari , 

Pria  cQnyìcn  trattar  Tarmi,  e poi  gliamori. 

Sèi.  Bard* 


j8o 


GLI  SPETTACOLI, 


xO0.  Bardo  il  Tofcano  allhora  oltre  s’avanza, 
Sdegnofo,  che  coftui  tanto  prefuma, 

E dice,  Nel  parlar  tanta  arroganza 
Làdov’è  chi  più  vai  non  fi  coftuma. 

Se  foftegno  non  hai  d’altra  fperanza , 

Già  cerai  fconipagnato  in  fredda  piuma. 

Il  guadagno  non  va  fenza  il  periglio , 

E’i  ver  piacer  de  la  fatica  è figlio. 


lOi.  E tuchi  fei?  (replica  l’altrofe  donde 
Il  primo  a cercar  brighe  efeì  frà  tanti? 
Spello  quand’altri  per  rimor  s’afeonde,^ 
Chi  di  tutti  è il  peggior  fi  tragge  avanti. 
Son  chi  mi  fono , e qual  mi  fia  (rifponde} 
Son  più  di  te  che  siti  iVimi  e vanti, 

E di  qualunque  al  par  di  te  s’apprezza , 
Degno  di  polTeder  quella  bellezza. 


xo\.  Havea  per  cominciar  deporto  11  manto. 

Ma  trovò,  che  già  preìo  era  l’arringo  , 

E chcl’haveagià  prevenuto  intanto, 

E venia contr’Helperìo  , Ugo  il  Fiammingo. 
Per  attenderne  il  fin  fitraheda  canto, 

E vede  quefto , c quel  cauto  c guardingo 
Mov'crfi  a tempo , e’n  vaga  pugna  e nov2t 
VicendevoUindurtrie  ufar'a  prova. 


105.  Hor  s’inchinano  al  Cuoi  curvati  c balli 
Hor  in  men  d’uu  balen  levanfi  in  alto, 

Hor finno innanzi, hor tranno  indietro  i parti 
Hor  fon  rapidi  al  giro,  hor  deftri  al  falto. 
Trattienfi  alquanto  il  Belga, c’n  guardia  ILafifi 
Alfins’arrifchiaa  più  vicino  alTalto . 

Fà  pur  l’iftcflb  ilbaldanzofo  Ibero  , 

Mà  volge  in  fimil’atto  altro  pcnilero. 


CANTO  Ventesimo.  fH 

^®4-  Diftringcrfi  con  luì  fi  riconfiglia, 
Enonpone  a l’efFetto  altra  dimora. 

De  la  fpada  nemica  il  debil  piglia, 
Sichelasforza  a l'carlcar  di  fora. 

Eoi  con  la  fua  ravincbia,  e l’attortiglia, 
Viftaaldifcgno  fuo  cornmoda  l’hora. 

Intiual  modo  io  non  so  , sòj  che  lontano 
elicla  fà  l'velca  alfìn  balzar  di  mano. 

105.  Ride,  & inerme  il  lafcia , & indifejfà  J 
L’altier,  che’ n fuo  valor  troppo  li  fida, 
Etafchernir  più  ch’a  tchermire  intefo, 
VolgefiaBardo,  ciò  minacciac  grida. 

Colui  corre  a Tappelloi  e d’ira  accefo 
Vaflene  ad  affrontar  chi  lo  disfida, 

Lo  qual  contro  li  vien  per  fargli  il  tratto, 

Che  dianzi  a l’altro  aftucameme  ha  fatto. 

lofi.  Ma  qual  d’Hctruria,  che’l  fuo  gioco  intede. 
Svia  conia  palma  il  ferro,  é Io  ratfina. 

Con  la  manca  la  delira  indi  gli  prende, 

E la  guardia  gli  afferra,  c gl’incatena  , 

E mentre  in  guifa  il  cicn',  che  non  l’offende, 
Zaffandogli  col  piè  dietro  la  fehìena, 

Di  piatto  ancor,  quafi  a fanciul  con  verga 
Al  fuperbo  Spagnuol  batte  le  terga. 

107.  Non  ripofa  egli  già,  pòi  c’hàdel  Tago 
L’altero  Idalgo  humiliato  c vinto. 

Che  di  nova  fatica  è ben  prefago, 

Vifto  Olb  rando  l’ Infubre  a pugna  accinto, 
Che’l  capo  ha  di  gran  piume  ornato  e vago, 

E di  banda  purpurea  il  petto  cinto. 

Lairgo  fa  quefti  il  gioco,  e con  bravura 
Leggiadra  da  veder  più  che  fecura. 


Con 


SH  GLI  SPETTACOLI, 

zo8.  Con  empie  rote  intorno  a lui  palleggia, 

. E’I  taglio  adopra  a dritto,  & a travcrfo. 

Senza  intervallo  alcun  Tempre  colpcggiJ^, 

E tìen  nel  colpeggiar  modo  dIverTo. 

L’altro  ftà  ben  coverto,  e temporeggia 
Col  ferro  al  ferro  di  lontan  converfo, 

A Ifin  quando  a mifura  eflcr  s’accorge. 

Il  tempo  accoglie  , c’n  contr’a  lui  lì  porge. 

^9-  Saggio  è chi  coglie  a tempo  il  tempo  lieve 
Clic  lieve  più  che  ftral  vola,  è che  vento. 

Et  è picciolo  inftante  ottimo  breve, 

indivifibile  momento.  . ' 

ogni  altro  affare  eflcr  non  deve  ^ 

Altri  a pigliarlo  neghittofoelento, 

Più  non  la  fchcrma  e neceflàrio  affai,  " 
Che  fe’l  lafci  fuggir,  non  torna  mai. 

xio.  Tofto  ch’a  fennoffiogli  apre  la  porta  - 
Colui,  che  di  ferir  1 aure  fi  vanta. 

Più  nonindugia  II  Thofeo , e non  fbpporta> 
Mà  la ftoccata  fubico  gli  pianta; 

E con  impeto  tal  la  punta  porta, 

E fi  lancia  ver  lui  con  furia  tanta , 

Ch’a  cader  quafi  indietro  eil’hà  coftretto, 

E la  1 pada  gli  rompe  in  mezo  al  petto. 

zn.  Applaudon-cutti  allhor  ,ma  quando  Bardo 
' G à nel  pugno  la  palma  haver  fi  ftima. 

Di  lui  fi  duol  lo  fchermidor  Lombardo  , 

E ceder  non  gli  vuol  la  fpoglia  opima. 

Anzi  perfidoil  chiama,  & infingardo  , 

Con  dir,  che  ratto  H brando  havea  già  prima 
Nel  all'alto  d’Hefperio,  e fi  querela. 

Ch’egli  per  fraude  il  vinfe,  e per  cautela. 


E quafi 
Ma  fc’n 


CANTO  VENTESIMO.  5*5 

lu.  La  fanciulla  per  man  Bardo  tenendo. 

Vuol  pur,  che  come  fua,gli  conceda. 

L’altro  per  l’altra  ancor  lavien  trahendo, 
Ciafeun  brama  per  fc  la  nobil  preda. 

Ma  le  due  Cee  gli  acquetano,  imponendo, 
Clì’ancor  da  capo  à tenzonar  fi  rìeda, 

Et  acciochc’l  giudicio  alfin  non  erri, 
Fanvifitar  con  diligenza!  ferri. 

113*  Per  moftrar  meglio  il  ver,  la  pugnaaccctta 
IlGucrrier  d’Arno,  ancorché  d’ira  avampL 
Et  ecco  il  ferro  allhor  con  tanta  freta 
Tornai!  Bravo  a rotar,  ch’eccedei  lampi. 

Ma  giade  l’altro  il  Ciel  fà  la  vendetta,  , 

E l cafo  vuol,  che  l’avcrfario  inciampi, 

Ch’un  non  sò  che  gli  s’attraverfa  al  paffo, 

^E’I  piè  gli  rnauca,  e fdrucciola  in  un  faflb. . 

Conia  chiave  del  piè  guada  e feommeffa 

tV-^il-iforge  Olbrando  da  le  molli  arene, 

Dblentc  sì,  che’n  mezo  al’iraiftefla 
Al  nobil  vincitor  pietà  ne  viene , 

Loqual  cortefemente  alui  s’apprcfla, 

A levarli  l’aita,  e lofoftiene. 

Et  obliando  le  difeordie,  e l’otite. 

Gli  forbifee  le  vedi,  c’I  bacia  in  fronte- 

M;.  La  giovane  tra  lor  già  litigata 
Redò  pur  finalmente  in  fuo  potere,  ^ 

E l’altro  che  pur  dianzi  haveadracciata. 

La  traverfa  vermiglia  in  sù’l  cadere , 

Un’altra  n’ebbe  intorno  intorno  orlata 
Di  merletti  di  perle  a tré  filiere, 

Et  havea  di  grottefehe,  e di  fogliami 
(Lavordinobil’ago)  ampi  riccami. 

4 Più 


5*4  GLI  SPETTACOLI, 

xi6.  Più  che  propria  virtù , deftin  fecondo 
Diè  quella  palm  a {ei  difl'e)  al  mio  rivale. 
Colui,  che  n’erge  in  alto,  e fpingc  al  fondo. 
Dona  fpeflo  gli  honori  a chi  men  vale. 

E l’alto  allhor  : Più  dee  pregiarfi  al  mondo 
Favor  divin  d’ogni  valor  mortale, 

Se  le  delle  mi  fer  si  fortunato, 

Dunque  ihCiel  m’ama,  c nc  ringratio  il  fato^. 

■% 

117.  Vener  qui  s’interpofe,  c'fciolfe  il  nodo. 

Con  un  dolce  forrifo  a la  favella  : \ 

V incad  pure  in  qual  fi  voglia  modo , 

Che  la  vittoria  al  fin  fù  Tempre  bella.  - 
Tronco  il  filo  a la  lite,  e fiflb  il  chiodo 
Al  decreto  immortai  la  t ^ ca  più  bella,  ^ 

Fè  dopo  quelli  ì duo  primier  campioni 
Contenti  ancoreftar  con  altri  doni. 

ai8.  Ponfi  pofeia  a mirar  Martio , e Guerrino, 
L’un  de  quali  è Guafeon,  Taltre  Normano, 
L’un’e  l’altro  iracondo,  e repentino, 
Chetolerar,  chedcftreggiar  non  fannow 
Efce  pria  l’Aquitano,  indi  vicino 
Fattoli  a l’altro,  ove  le  fraarre  Hanno, 

Perche  vinto  d’orgoglèo  efler  non  foffre, 
De’duo  Itili  d’accìar  la  fcelta  gU  offre» 

119.  Eran  le  fmarreben  temprate  e dure, 
Quantunque  oltre  il  dever  lunghe  , e fottili. 
G^uerrin  Ibrridei  e dice,  Altre  armature 
Sicoivengon,  che  quelle  a cor  virili. 

Par  mi  unl'cherxar  da  pargoletti , ò pure 
On  pugnar  da  gueriler  codardi , e vili.^ 

A dirti  il  ver,  meglio  amerei  provarmi 
Con  la  fpada  di  tìi,  che  conqueft’armi. 

^ A chi 


■j 


I .'Cìnto  3Ve  n t e s i mo  . 

Ho.  A chi  pace  non  vuol,  guerra  non  manca 
(Marno  rifponde)  In  caixipo  ecco  mi  vedù 
Voglimi,  ò con  la  riera,  ò con  la  bianca. 
Promto  Tempre  m’havrai,c^ual  più  mi  chiedi 
Non  vuol  Ciprigna,  cKe  la  coppia  franca. 

Che  già  novadistida  Kà  naefla  in  piedi, 
la  fefta  fua  s\  dilecr  oCa  e lieta. 

Macchi  di  Canguc,  e gllel’conccndce  vieta. 

M.  Grida  Guerrino  , almen  fa  che  ficn  tolti 
Da  le  ponte  de’ ferri  1 «duo  bottoni. 

Nè  fien  da’colpi  eccettuati  volti. 

Mantenga  poi  clafcuu  le  lue  ragioni. 

Non  creder  ch’io  miglior  novella afcolti 
Ne  men  brami  di  te  quel  che  proponi. 

Replica  Marno,  c freme  iratamente. 

Onde  Vener  coftretta,  alfin  coniente. 

ni.  Non  molto  In  lungo  andò  trà  loro  il  gioco 
Nè  l’un  de  l’altro  Hebbc  la  man  men  preila% 

Si  ferrar  tofto  InGeme  i cor  dì  foco, 

E la  mira  pigliaro  ambo  ala  tefta. 

0 nde  l’aflalto  lor , che  durò  poco, 

Si  terminò  con  attion  fuuefca, 

E pallaio,  e Gquarclato  aTimprovilb 
L’un  con  rocchio  fello,  l’altro  col  vilb. 

sq.  Poi  c’hà  la  Dea  non  fenia  doglia  acerba 
Vitto  il  tragico  fin  dclabateaglia. 

In  rifanar^i  con  qualch’util  herba 

I Prega  Apollo  à moftrar  quant’egli  vaglia. 

Poi  dona  à Marcio  d’agata  fuperba 

! Da  portar  nel  eappel , ricca  medaglia. 

Et  a Guerrin  d’una  fattura  eftrana 
Per  ornarfeae  il  petto  aurea  collana, 

; Sorga 


■MI» 


SZ6  GLI  spettacoli, 

ii4*  Sorge  Altamondo,  un’Aleman  merabmtt 
Di  fupei  bla,  e di  vìn  fumante,  e caldo, 

E non  attende,  che  col  Tuono  arguto 
L’inviti  in  campo  a duellar  l’Araldo. 
Caricho  il  Greco  è contro  lui  venuto,, 

D ofl'a  minor,  mabenrobuftoefaldo, 
Huom  di  corpo,  di  piè,  di  mano  attiva,  . 

Di  fpirio  pronto,  e di  coraggio  vivo..  : * 

YaflTenc  il  Greco  fenza  far  parole 
Per  dargli  il  primo  allhor’allhor  di  piglio». 
Afpcttar,  che  fi  fcaldl  egli  non  vole, 

N c filma  il  dargli  tempo  utU  configlio,  . 
Che  la  mina  di  si  greve  mole 
Teme,  e’I  reftame  oppfeflb  ègran  periglio* 
Onde  nel  rìpararfi  c nel  colpire 
De  l’induftria  fi  ferve,  c de  l'ardite. 

xié.  Nclefue  guardie  hàdifvantaggio  grand 
E d’huopo  è ben,  ch’anch’egli  il  lenno  adopi 
Ch’ad  ogni  moto,  che  le  braccia  fpande. 

De  l’arapo  corpo  una  gran  parte  feopre, 
Ma’l  picciolo  davante,  e da  le  bande 
Facilmente  fi  ferra,  e fi  ricopre- 
E può  meglio  cangiar  fico,  e poftura. 

Non  havendo  à guardar  tanta  ftatura . 

^^7.Mencre  i colpi  il  Germano  adombra  e fing 
Con  molti  tempi , ed  tempo  indarno  fpendi 
L’ultima  parte  del  fuo  forte  ei  fpinge 
Si  che  ne]  mezoil  debile  gli  prende. 

Gli  guadagna  la  fpada,  indi  u ftringe 
Seco,  & adoflo  gli  fi  fcaglia  e ftende,. 

Nè  potcndol  ferir  di  piede  fermo; 
Con.fugace  trapaflo  ufà  altro  fchcrmo*. 


S 


I aì^TO  VBN  T E S IMO.  587 

ul  Sù per  la fpaàa,  die  Giariclio  hàftefa, 

Quegli aWhor  trahe  di  p u. n c a i nvcr  Ja  faccia} 
Màqutftianch’ei  di  punta  a fargli  ofFefa 
Sotto Ubracclo  tuo  dcfiro  il  ferro  caccia, 
f pcrnon  s’arrifchiar  Ceco  a laprefa, 

Chesà,  c’hà  maggior  forze,e  miglior  braccia 
Senz’altro  indugio  in  un  medefmo  inftance 
Lafctifccneliìanco,  e paflìa  avance. 

U9.  rerdarglimtefta,  con  un|tratto accorta 
Dlrivcifo  al  cavar  tira  Altamondo} 

Màl’akro  allhor,  che  (i  ritrova  al  corto. 

Mentre  la  fpada  fi  rivolge  in  tondo. 

Subito  che  dei  ferro  il  giro  hà  feorto 
Sù’l  primo  quarto,  il  batte  col  fecondo, 

La  mifura  gli  rompe,  e con  tré  paffi 
Cautamente  veloce,  indietro  fallì. 

' 130.  E perche  vede,  che  1 nemico  a molta 
Pofl'anxa  accoppia  ancorfcaltrito  ingegno, 

E fe  fotto  gii  va  fol’una  volta. 

Non  havrà  quella  furia  alcun  ritegno, 

Fà  cò  n la  mente  in  sé  tutta  raccolta  ■ 

Ricorrendo  al’aftutie,  altro  diffegno. 

Et  ufa  ogni  arte,  accioche  vinta  ha 
Da  la  fagacità  la  gagliardia. 

Z3I.  Torna-,  e di  novo  ancor  gli  s’avlcina 
Fingendo  di  tentar  nove  paffate, 

Po^ia  con  gran  preftezza  il  capo  inchina 
Tra  le  cofe  di  lui,  che  l’hà  {barrate, 

E in  aria  con  altiflìma  mina 
Dopò*l  tergo  fel  gitra  a gambe  alzate. 

Si  che  de  le  gran  membra  il  vaftopefo  , > 

quam’egU  è lungo,  a tcfta  ftefoi 

lèb  6 .Venere 

-?lVnero 

Tctojaucw 


j8S  GLI  SPETTACOLI, 

Venere  una  cintura  allhor  gU  dona.- 
C’  ha  di  fottìi  riccamo  l guernimcnti, 

S fon  d’oro  le  brocche,  ond’a  la  zona. 
S’affibian  col  tirante  l perpendentL 
B’ITedefco,  ch’ai  fuol  conia  perfona 
Brutta  di  polve  fparge  alti  lamenti,  ^ 
Guadagna  anch’ei,  ben  turbato,  e trlfto^ 
Contro  l’ebrezza  unTndico  amethifto. 


1^5.  Ma  già  Cencio,  e Camilla  il  vulgo  afpett%. 
Ogni  voce  nel  circe  homai  gli  chiama, 

Tantaè  l’opinion  di  lor  concetta. 

Che’l  popol  tutto  il  paragon  nebramav 
Coppia  quefta  di  maftri  era  perfetta, 

Emuli  d’alta  ftima,  e di  gran  fama,  ^ 

Ch’ebber  per  mille  palme  infra  i migliori 
Ne  le  fcole latine  i primi  honorL 

^34*  Nacquero  in  riva  al  Tebro,  ambo  Romani 
Ma  da’nativi  lor  patri  foggiorni 
Per  defio  di  veder  paefi  ftrani. 

Capitati  eran  qui  di  pochi  giorni. 

Già  di  fpada,  e pugnale  atman  le  mani, 
D’habito  lieve,  e ralfettato  adorni,  ^ 

E fuccinta  hanno  a ftudio  in  sù’l  farfetto» 
Spoglia  di  bianco  lino  intorno  al  petto* 


xjj.  Etaccioche  de’colpiilfegnorefti 
Ne  la  candida  tela,  e vi  s imprima, 

Da  l’un  canto>  e da  l’altro  c (quegli  e qucftS 
Tinti  han  di  nero  i fèrri  in  suia  cima. 

Non  fono  ad  affrettarfi  ancor  siprefti,. 

E non  fi  ftringon  fubito  ala  primaj 
Ma  fanno  intenti  ad  ogni  moto , a cenno» 
Moderator  de  rardimenro  ilfenno. 


Tcnw: 


aNTO  VENTESIMO, 

Ttm  cuCcan.  con  1 n gcgnofc  prove 
'proprio  vantaggio  adito  e'ftrada. 
ConcotdeaV  corpo  il  piò,  concorde  move 
l’occWvoala  maivo,  6c  ala  man  la  fpada. 

Hòr  minaccia  in  ixn  loco  efach’alcrovc 
InaCpectataia  per  coda  cada. 

Hor  riColuto  Vun.  l'altro  incontrando, 
Sottcntrainiicme,  e d lottraggc  al  brandbw. 

157.  In  ambo  la  racri  on  s’agguaglia  a l’ira, 
L’un’c  l’altro  è del  pari  agile,  e forte. 
Quegli  talhor’accenna  , e talhor  tira 
Colpi  furtivi  con  infldie  accorte} 

Quefti  girando,  al  ferro  hoftil,  che  gira 
Oppon  guardie  fagaci,  aftute  porte . 

Se  l’un  con  leggiadria  chiama  fingendt^ 
L’altro  con  maeft  ria  para  ferendo. 

i}8.  Camillo,  ove  il  paflàggio  aperto  vede,, 
Spinge  la  fpada  per  entrare  veloce. 

Ripara  hor  quefta,  dice,  e batte,  e ficde 
Col  piè  la  terra,  e l’aria  con  la  voce. 

Mà  Cencio  con  la  Tua  non  gliel’conccdcj, 
L’urta  in  sè’l  forte,  e la  ribatte  in  crocce 
Sovra  Telfa  la  ferma,  e da  l’impaccio 
Ritrahe  Cubito  poi  libero  il  braccio. 

In  un  tempo  niedcfmo  il  ferro  abbaffo. 

Dritto  al  còltaro  inver  la  manca  parte,^ 

E mentre  impetuofo  andar  fi  laffa, 

Grida  : Così  s’inganna  arte  con  arte. 

L’altro  il  periglio  del  fìiror  che  pafla. 

Schiva  col  fianco  e traggefi  indilpartci 
Et  arabo!  ferri  mentr’un  poggia,  un  cala#. 
Scorr  oncia  van,  su’  1 tergp  „e  lotto  Tala, . 

Nòli 


590  GLI  SPETTACOLI, 


140.  Non  molto  ftan , ch’eflendo  entrambe  i» 
Di  tornarla  le  prefe,  & a le  ftrette  [punto 
Tiran  di  punta  in  un  medefmo  punto 

Si  ratti,  che  dei  Ciel  fembran  faettcy] 

E’n  quella  parte  ove  l’un  coglie  apunto’. 
L’altro  nè  più  nè  men  la  fpada  mette. 

A colpir  quello  e quel  và  sùle  cofee, 

Si  che  vantaggio  in  lor  non  lì  conofee» 

141.  La  rattaccaCamillo,  efi  prefenta 
Col  piè  deliro  davante  ardito  e francor 
E’n  palio  naturai  vi  fi  follenta 

Di  profilo  col  bullo,  e mollra  il  fianco , 

E con.  la  fpada,  che  per  dritto  aventa, 

Stende  il  braccio  migliore,  & alza  il  manco» 
Ripara  un  col  pugnai  la  tella  in  alto, 

£ l’altro  il  colpo  dal  nemico  allalco. 

141.  Cencio  incontro  gli  va’,  nè  fi  feompone. 
Ma  col  finillro  piede  oltre  s’avanza. 

Nel  dritto  del  diametro  fi  pone , 

Sì  ch’ai  circol  pcrvien  de  la  dillanza, 

£ de  la  manca  fpalla  il  punto  oppone 
V erfo  la  linea  hollil.poi  £a  mut  ' 

E dal  confin,  che  dianzi  s’hà  prcfcf^* 

Di  moto  traverfalmovc  il  piè  dritto®'^ 

,a4J.  Efcedal  primo  Circolo-,  e và  ratto 
NeLfccondo  de  quattro  a cangiar  po{^ 

E rimofl'o  quel  punto,  annulla  a un 
De  la  linea  nemica  il  fegno  oppofló 
E con  moto  minor  di  quel  c’hà  fatto 
Colui,  che  di  ferirlo  cradifpofto, 

£ del  tutto  contrario  a l’altrui  moto,  ' 

J a che,  fc  vuol  ferir,  ferifea  a voto* 


CANTO  VENTESIMO.  5^ 

»44  0ttcgli  allhor  piede  a p lede  inficmeaggiuc» 
S’apre  ir»,  palio  di  forza,  e viengliadoflo* 

E laikoccata fegaita  e la  punta 

Porta. a <juel  Tegnopur,  ch’è  già  rimollo,. 

E’nluì,  ma  cosi  fcarfo,  il  ferro  appunta, 

Che  tocco  fi  può  dir  più  che  percolTo. 

Il  colpo  è si  leggier,  noce  sì  poco, 

Che  tiitian  dubbio  a chi  rimirra  il  gioco.- 


x45*  ^^  l*altro  a un  tempo  da  la  parte  averla 

Contrapoftod’obliqu.o  a laferita, 
lafpalla  delira  inconcr’a  sèconverfa 
eli,  hà  di  ferma  imbroccata  apieu  colpita. 
Ecol pugnale  intanto  gli  attraverfa 
La fpada  ch’ai  tornar  relia  impedita, 
l?oi  fi  ritira , e con  la  Tuadiftcla 
Ponfi , e col  corpo  in  feor ciò  a la  difefa. 


ni.  Qui fè cenno  agli  AraUi.enon,  permifii: 

Che  l’oftina  pugna  oltre  feguifle . 

E la  coppia 

Che  di  parM  mercè  fi 
E da  Ciprignain  premio,  eda  laBellon» 
iolgoifna^iebbc  Vun.  1 altro  Bifaona. 


Ambeluara  e fingolar  bornie, 

E quellae  qneftafvincola,  e sfcv.Ua , 


591 


GLI 


PETTACOLTj 


148.  Intanto  11  Sol  s’inchina,  c fa  pa_  agg 
0’HcCperla  a vifttar  l’cflrcnao  lino, 

B fianco  pcrcgrin,  del  gvan  viaggio 
Hivcndo  il  minor  circolo  fornico^  ^ 
Carta  c il  Giel,l*ot>rainchìo£lro,e  pena  il 
Onde  cancella  il  d\,  eh*  à già  compirò, 

E’I  fin  del  lungo  corlo  a lecere  vive 
D’oro  cclcfte  in  Occidence  fcrivc. 


*49 


Sparito  il  Sole,  in  apparir  le  fielle: 

Voto  Turco  di  genti  il  canapo  reità. 

Chìfotto  le  firondofe  c verdi  ombrelle' 
ValVenc  ad  alloggiar  ne  la  fòrelta^ 

Chi  del  Palagio  in  queltc  ltanze,e’n  quelle,- 
^ in  quella  cala,  c’n  quoltai 

Altri  giace  in  campagna  , c’I  giorno  accende 
Trà  pergolati,  c padiglioni,  c cende. 

*50.  Mà  già  traheaad  Gange  i biondi  crini 
Apollo  i Aioi  dorati  alberghi, 
Bratto  fuor  de  gl*Indici  confini 

Aivolanti  corfier sferzava  i terghi 
Per  venirli  a 


Tu«odYsdr?“^!^--^ 

Giàs  Aa  turb^al  n,  CavalierC 

Già  fi  vci  gon  pafiàr  0^^^" 

Errar  cavalli  a mano  Scudieri, 

eoa  livree,  con  ^re»  ’ ' «rr’in  volta 
E portar  quinci  e ouT^t*  ® cimieri, 

n.  Alentxte 


59Ì 


CANTO  VBNT  ESIMO. 

iji-  Mentre  che  del  pae£e>  e di  "ventura 
Molta  cavalleria  concorre  al  gioco, 

Sì  che  de  lalarKltlUìma  pianura 
aongia  pieni  i cantoni  a poco  a poco. 

De  la  Quintana  efpcrti  Fabcl  hancura, 

E di  piantarla  In  opportuno  locoj 
E proprio  In  sùla  Ibarra  appo  la  lizza 
Nel  mezo  de  VjZ  tela  ella  ^ drixza. 

15J.  Stà  coverto  di  ferro  un’huom  di  Ic^no 
Con  lo  feudo  In  bracclaco,  e Telmo  chiufo» 
Ch’cfpollo  al  colpi  altrui  berMioefegno^ 
Termina  llbufto  in  un  volubilmfo, 

E s’affigc  ala  bafe, egli  è foftegno 
forato  ceppo,  e ben  fondato ingiufo, 
Sovra  cui,  «quando  avieri,  ch’altri  il  perca 
Agevolmente  fi  raggira  c rota. 

154.  Tré  catene  bàia  delira  e tyiindiàvintò 
DI  tré  globi  di  piombo  il  pefo  pende. 

Sì  che  qualbor  all  manco  braccio  è fpinto, 
L!alcre  con  effe  fi  rivolge  e ftende, 

Pur  come  voglia,  a le  vendette  accinto  , 
Caftlgar  cbl  FaAUfce,  e chiTcfFendci 
No  sì  cauto  effer  può  , nè  gir  si  fciolto. 

Che  sùT  tergo  11  guerriernonnefia  colto.’ 

Ite.  Un  plller  di  diafpro  Interra  fitto 
Svila  porta  à l’entrar  de  lo  ftcccato 
In  eran  lamina  d’or  regge  uno  fcritto 
A note  di  rubln  tutto  vergato. 

Qui  de  la  gloftra  il  generale  editto. 

Che  dlan-z-l  a fuon  di  trombe  è publicato, 
r>i  quanto  In  ella  adoperar  conviene 
I-c  leggi  per  capitoli  contiene. 


Bella 


gli  spettacoli, 

t^6.  Bella  è la  vifta  a meraviglia  c lieta. 

Varia  lagentCjè  l’habito  diverfo. 

Chi  fcopre  nel  veftir  gioia  fecreta, 

Chi  tacendo  fi  duold’Amor  perfo.^ 

Chi  cifra  hà  d'or  sù  l’armi  ,e  chi  di  feta. 

Altri  in  profa  alcun  breve  , e d’altri  in  verto. 
Clafcunoò  nel  colore  , ò nel’imprefa 
A l’amata  bellezza  il  cor  palefa. 

157 . Sidonio  in  campo  è i l primo  a comparir^ 
Sidonio  dico,  il  genero  d’ Argene, 

L’accorto  Amante,  il  cui  felice  ardire  • 

Meritò  d’ottener  l’amato  bene. 

Ma  mentre  tutto  intento  a ben  ferire 
Già  con  la  lancia  in  punto  oltre  ne  viene, 
Dala  fua Donna,  ch’è  sCi’l  palco  alfifa. 

Con  altr’armi  è ferito,  e d’altra  guifa. 

zfS.  Quarteggjatc d’argento  .armi  azurrinc  .a 
Son  le  divife  fue  pompofe  e belle. 

Di  zaffir  tempeftate,  e di  turchine. 

Fatte  a fembìanza  d’onde,  e di  procelle. 

Tra  cui  comparfe  fon  d’acque  marine , ^ 

E di  brilli  cileftri  alquante  ftelle,^  ^ 

Che  fiinno  al  Sol,  fi  com’a  i lampi  il  Butto 
Balenar,  tremolar  l’arnefe  tutto. 

La  lorica  è d’argento , adorna  e ricca 
De  le  più  belle  pietre  di  Levante, 

Con  fibbie  d’or  fi  ferra,  e fi  conficca 
Con  chiodetti  pur  d oro,  e di  diamante 
Bandato  vien  d’una  «erulea  ftricca  , 

Con  bei  fiocchi  di  feta  in  giu  cafcantcj 
E del  color  medefmo  al  deliro  braccio 
Tien  di  biondi  capei  trecciato  un  laccio. 

Perche 


CANTO  VEISITESIMO 


5^ 


<0.  Perche  Dorifbc  axu.rra\ira  la  verte, 

Verte  anch’egli  l’axurrQ>  e l’ula,  e Tama, 
El’auree  fila  in  c^ucl  corion  contcrte, 

Sonde  le  chiome  pur  <lc  la  fiia  Dama. 

Con  piarne  d’or  <^uel  fariciullin  celcrtc, 

Quel  nudo  Arder  , eh’ An.i.ore  ilmondochia- 

Sovra  la  rota  di  Fortuna  alliCo^  [ma 

Porta  ne  rduio,  e n.e  lo  feudo  inciio. 

iJi.  Bice  per  forte  a tutti  gli  altri  avanti  > 

E’I  primo  loco  ad  occupar  fi  move.^ 

Tre  volte  correr  fol  lice  a’gioftranti 
Per  leegre  de  la  I>ea  figlia  di  Giove.  ^ 
Soriano  hà  un  corficr,  che  i primi  vanu  ^ 

Riportò  de  la  gioftram  cento  prove, 

E sii  chiede  co-vingW.  accinto  alcotfo, 

Al  fuo  Signor  laUbcrra  dclmorfo. 

Ki.  Erbaio,  edi  fattexxeaflalben6e^.  .• 

Gra(^o  petco.ampia  groppa, elargo  fianco. 
Spedo  col  piè  fonoro  il  terreo  batte, 

Mora  col  deft  co  il  xappa.  bora  col  manco. 
Quafi  notturno  Clel  folco  di  latte, 

5i  divide  la  fronte  un  fregio  bianco. 

Brune  hà  gambe  ginocchia , ebnme  chiome 
Duo  pièbllxani.  eBaUanellohanome. 

t<J.  Di  pace  impatiente.e  di  dimora. 

Sente  l’odor  do  la  ^ 

?:nt:i  a°dh:^odhor  gonfia,  cdiacrra. 
Tutto,  fpumofo  il  ricco  fren  divora. 
Drixxa  il  collo,  erge  il  crin,  gratta  la  terra. 

« /-Vie  tré  volte  ode  la  tromba. 

Par  frflo,  che  volando  efeadiftomba. 


1 


S9^  GLI  SPETTACOLI, 

a(?4.  Gli  ftrlnge  i fianchi,  c l’una  c l'altra  coila  ■ 
Con  ftimuli  d’or  punge , c ripunge, 

E di  la  dove  a punto  il  colpo  apporta, 

V à per  dritto  a ferir  non  molto  lungc.  ^ 

Il  buon  deftrier,  ch’ai  termine  s’accorta,  ' ‘ 
Para  in  tré  falti,  quando  al  fin  vi  giunge,  ‘ ’ 
Al  mormorio  de  l’ottemita  laude  i 

Con  la  tert  alta,  e col  nitrito  applaude*  I 

Trà'i  fegoo  infcrior,  ch’è  ne  la'gola, 

E’I  fecondo  di  mezo  il  tronco  e fpezza, 

E ben  chel  pregio  è d’una  botta  fola,  i 

V encr,  che  molto  il  fuo  fedele  apprezza. 

Col  dono  avantagglato  il  riconfola 
D’un  fornimento  pien  d’alta  richezzaj  * 
Guernigion  da  deftrier  fuperba  e bella 
Con  temerà,  e groppiera,  e fafcia,e  fella. 

aip.  Aduifuccede  un  Saracin  di  Tarlo,  ^ 

Che  la  corazza,  e la  di  vifa  e nera, 

E diferpi  d’argento  il  campo  fparfo 
De  la  cotta,  che  l’arma  a la  leggiera. 

Con  l’afta  in  pugno,  è ne  l’agon  comparii^ 
Che  pur  di  negro  in  cimahà  la  bandiera. 

. S u’I  finiftro  galon  curva  la  ftorta, 

E’I  turcafl'o  con  Parco  al  tergo  porta. 


i6j.  Pafiato  un  cor  d’acuto  ftrale  e crudo 
Ha  per  cimier  la  cappellina  bruna. 

Di  gran  foglie  d’acciar  fafeiato  feudo, 
Scudo  a fembianza  di  non  piena  Luna, 
Cppre  fenza  bracciale  il  brado  ignudo. 

Nè  color  v’hà,  nè  v’hà  pittura  deuna, 

^Ighe  di  bianco,  e dice  *,  O morte, 
(L’anima  fenza  corpo)  ò miglior  forte. 


CANTO  VEiNX  ESIMO. 

Havcaper  la  bellUHma.  Adamanta, 

Figlia  del  Rè  a*  Arabia  il  cor  feritoia 
Era  pelò  da  la  vczro£aln£anta 
Ogni  rcrvieio  fuo  poco  gradi  co  j 
Eben  die  roflc  in  lui  pro<iex:za  quanta 
Hluftrarpoffa  altrui,  languiafchernico  * 
Perche  meato  havea  ralo,  hirfuco  labro, 

Yifo  pallido.  Ut  un,  rugofo,  c fcabro. 

ih  Tofto  riconofeiuto  a la  coverta 
De  l’armi  fò,  com’Kuom  £amofo  c chiaro. 
Veggendol  poi  con  la  baviera  aperta , 

Le  cutbe  incorno  un.  lieto  grido  alzar o.- 
Ecco  Alabrun,  che* n ogni  colpo  accerta, 
Alabrun  da  la  lancia,  U campion  raro. 

Senza  dublo  egli  è dello.  Havrà  tra  poco 
Termlu  la  fefta,  e li  vedrà  bel  gioco. 

170*  Vien  portato  coftui  da  un  fuo  Stornello 
Rapido  si,  che  fe’n  campagna  il  vedi 
Formar  volte  e rivolte,  agile  augello, 

Mobil  paleo,  volubil  fiamma  il  credi. 

E fe’n  mga  ne  va  Tpedito  e fnello , 

Par  le  procelle  a punto  habbia  ne’piedi. 
Vergano  a bruno , c picn  d’alto  aidimentOf 
Vola  non.  corre,  c aomehà  Pdfavento, 

Sovente  crin  Col  leva,  erge  la  tefta,  r 

E picchia  il  fuol  con  la  ferrata  zampa, 

Calza  nel  corfo  l’hcrba,  c non  la  pcfta, 

Preme  col  piè  l’arena,  c non  la  ftampa 
Soffia  boriando , c’n  quella  parte  e’n  quella 
Sempre  fi  volge,  c d'alto  incendio  avampa, 
Chiude,  nè  trova  al  fuo  furor  mai  loco , 

Sotto  II  cenerdel  manto  alma  di  foco. 

Conili. 


08  GLI  SPETTACOLI, 

2,72,.  Contan,  che  de  l’Arabica  pendice 
Mentre  pafee  a l’armcnco  i riva  al’acque» 
Pien  dì  quella  inconftanza,  imitatrice 
Del  mar  vicino,  in  su  gli  feogU  nacque. 
Nettunprimler  domo  Ilo,  anzi  (1  dice  , 

Che  talhor  di  montarlo  ei  fi.  compiacque. 
Quel  veloce  il  portava,  e vie  più.  lenti 
Ne  venian  dietro  ad  emularlo  i venti, 

K 

i7j.Pungendo  ei  dunque  a quel  deftrier  lapacia, 
^E’sì  rapace,  e violento  il  moto, 

'ch’agio  no  hi  d’arreftar  pur  la  lancia. 

Perde  l’incontro,  e fa  t’arringo  in  voto. 

Onde  infiammato  di  roflor  la  guancia 

Ritorna  a fpron  battuto,  e briglia  fciolta 
A ferrarlo  nel  corfo  un’altra  volta. 


174.  Vana  ancora  è la  botta,  & è tra  via 
Dal  foverchio  furor  difperfa  e cruafta. 
Che  pria  che  giunto  a la  Sorti  ce  cilia. 
Per  feftefl’a  in  andar  fi  rompe  l’afta. 
Ancor  tu  contro  me  Fortuna  ria 
(DUTe)  congiuri?  Amor  Colo  non  bafta» 
Vtnea  il  mio  Farfallino,  e dai  fetgenti 
Gli  a innanzi  «eaco  a i primi  accenti . 


i7j.  Quefto  de  l’altro  è men  carnofo  e grandi 
Sttettodi ventre,  c corto  digiunture. 

£*del  color  de  l uve,  c de  le  ghiande 

Quandoin  piena  ftagioB  fon  ben  mature. 
Biondi, «juafi Leone,  e velli  fpande. 

Evinci  vermlgiie,  c gambi  ofeure. 
Membra  fvcgliatc  ad  oìsrI  ^ 

RaWean  nef, 


CAN' 


^99 


CANTO  VENTESIMO. 

C^Lagucrnlturaè  candida, e morella 
Coabei  puntali  di  lucente  fmalco, 

Mà  di  lame  acciai*  ine  arma  la  fella 
Ben  ferme  e forti  ad  ogni  duro  adatto, 

Selva  difolte  piume  ombrofae  bella 
Gl’imbofca  il  capo,  e fi  rincrefpà  in  alto, 
^medefrao  ei  vagheggia.  &orgogliofo 
ncebi  fregi  Tuo,  non  ha  ripofo. 

il  Moro  , e de  l’error  commedb 
Tutto ftizzofo, un’altra  landa  tolfe, 

E di  meglio  colpir  fermo  in  fé  ftdTo, 

Contra  ilFacchin  le  redine  gli  fciolfej 
^ n fin’al  pugno  alfin  la  ruppe  in  elfo, 

E tra’il  vifale,  e lamafcella  il  colfcj 
E fc  non  che  ftrifciò  rafehiando  il  fogno, 

I^cl  primo  pregio  il  colpo  era  ben  degno. 

17B.  Pur  da  labellaGiudice,  chcl  gefti 
Stava  a notar  de’gioftiator  baroni. 

Per  compartir  conformi  a quegli , c quelli 
Gli  honori  a l'opre,  a le  fatiche  i doni. 

In  pegno  di  conforto  a i penfier  meill 
Un  paio  riportò  di  ricchi  fproni. 

Che  di  fin’or  le  fibbie,  c ie  girelle , 

E d’aguzzi  diamanti  havean  le  ftcllc. 

^79.  Jloridauro,  e Rofano  eran*  due  pegni, 

D Una  portata  infieme  al  mondo  nati° 

E pargoletti  hereditaro  i regni 
Cc’Cafpi  alpeftri,  c de  Rifei  gelati. 
r'L  di  duo  fervi  indegni, 

Che  già  dal  morto  Rè  furo  eflaltati. 

A tradiglon  del  regio  fccctro  privi 
N’andaro  orfani  via  tcmpoi  % fuggitivi. 

Crcfcìjttto 


6om- 


G L f S P E T T A C O L ti 


iSo.Crefciutein.  forze,  e pervenuti  t 
Mollerò  Tarmi  intrepidi  guerrieri» 

E vendicato  i ricevuti  danni, 

E raquiftaro  gli  ufiir pati  imperi- 

Horgià vinti,  Scuccìfi  iduoTiranm, 
Quàncvcniasio  i giovinetti  alteri, 

E del  color  de  l’ herbe,*  e de  le  foglie 
SparCe  di  Soli  d*oro,  havean  le  Tpoglie» 


zSi.  L’oro  forbito  in  sù  Tarnefe  verde 
Incorai  guiCa  folgora-  e rifplendc 
Che  la  villa  abbai* dagl ia,  e la  dirperdc- 
E’Ifinto'Sol  col  vero  Sol  contende, 

E contendendo  alparagon  non  perde. 
Che fe  raggi  ne  trahe,  lampi  gli  rende- 
Ambo  egualmente  di  due  belle  iiTiprefc 
Fanno  a Telmo  ornamento,  al  prefe- 


181.  Ne  Tana  è un  Sole  , a cui  velar  la  luce 
Tenta  vii  nube,  e ricoprir  la  faccia. 

Ingrata  al genitor,  che  lo  produce. 

Dice  il  cordo  Ilo,  che  lo  feudo  abbraccia» 
Nc l'altra  il  SoTifteffb  anco  riluce, 

CKc'l  malnato  vapor  diffrugge  e ftraccia# 
Ediceilmotto  in  Cù  la  targa  al  tergo» 

Io  che'cn  alto  la  traili,  io  la  difpergo» 


1,85*  Cavalcaquci  di  placida  andatura 

Dcftrlcr  gentili  che  nc  l*  andar  pa.legsl<^* 

TranncU  ciglio,  eT  calcagno.  In  cuil^lacura 
Sparfe alquanto  di  bmn  , tutto  blanchcggU» 
il  cigno  lm«no,c  la  Colomba  Imputa 
Nc  la  camcic  del  bel  pc  l paressia  ^ 
Sembu.l'aBd.r.si  vago  è cju^  civalto, 
Siofaiopnflcgglo,  d doozcUctta  In  ballo. 

Nacque 


j CANTO  .VENTESIMO.  ^oi 

Nacque  di  padre  Xhrecc,^  madre  Armena 
Nc’ monti  là,  dov’AqirilQnc  alberga, 

NominolTi  ArmcUmo  ,e  l’ampia  Ichlena 
Un  profondo  canal  gli  riga  e verga. 

B ìraorde  U mor  foi  <^e  con  or  l’aiFrena, 

E fi  lafcia  con  man  palpar  le  te^a. 

Sbavan  le  labra , e con  lafciva  sferza 
Laluflurla  del  crin  sù’l  collo  fcherza. 

i8j.  Picca quefV altro  un  Barbaro  veloce  , 
Ch’egualquafi  al  pcnficro  il  corfo  ftende. 

De  lo  fpron,  de  la  verga,  e de  la  voce 
Pria  che  fenta  il  comando,  il  cenno  intende. 
Fierezza  vaga,  c leggiadria  feroce, 

Hiimile  al  morfo  alteramente  il  rende- 
Sterilper  arte,  e meglio  aflài  per  quello 
Fatto  ìnhabil  maritò,  habile  al  refto. 

i86.  Chiamali  il  Turco , e de  la  furia  lieve. 
Direfti,  e che  de  Pimpeto  fia  figlio  , 

Lungo,  c fottìi  la  gamba , afeiutto  e breve 
li-capo,  alto  la  fronte,  altero  il  ciglio.  , 

JDi  tutto  il  corpo,  ch’c  di  bianca  neve, 
L’eftremo  della  coda  hà  fol  vermiglio. 
Picchiato  a fchizzi , e di  macchiette  fofche 
Puntellato  il  mantel,  come  di  mofehe. 

tS7-  Corfero  alternamente,  e pria  Rofano 
. Ben  due  volte  colpi  ne  la  gorgiera. 

Corfe  la  terza  poi,  ma  corfe  in  vano» 

Che  la  (barra  toccò  nc  la  carriera. 

Non  fé  nie^lìo  di  lui  l’altro  germanoj 
Che  due  volte  tornò  con  l’hafta  intera» 

Fallò  duo  colpi  ,&alatcrzabotta 
Già  fé  danno  maggior  Phavcrl  a retta. 

' r#/.  il.  Ce 


^0% 


gli  spe tt acoli, 

x88.  Mentre  che’n  ceiito  pezzi  a la  goletta 
La  rupe  con  la  man  pollente  e franca. 

Una  fcaglia  volò,  come  faceta , 

E ficonfille  al  corridor  ne  l’anca; 

Ond’a  contaminar  la  neve  fchietta 
Dì  quella  fpoglia  immacolata  e bianca 
Videli  tofto  un  vermiglictto  rivo 
Per  la  piaga  fpiccar  di  fanguc  vivo. 

189.  Di  quel  cafo  pietofa , c dì  quel  fanguc 
Venere  il  tutto  ad  ofTervare  intenta, 

Al  primo  un  bel  cimiero  in  foggia  d’angue 
Eabricato  di  gemme,  in  don  prelenta; 

A l’altro  in  vece  del  deftriero  eflànguc 
Di  pel  fimile  a l’ambra  una  giumenta. 

Che  già  di  poco  ingravidata,  il  feno 
Di  parto  ancor  non  ben  maturo  ha  pieno. 

1^0.  Specchio,  e corona  de  le  Frigie  Italie , 
Figlia  di  bella,  e generofa  madre , 

E de  le  più  magnanime  cavalle 
Scelta  per  la  miglior  fra  cento  fquadrc  ; 

Nel  petto,  ne  le  groppe,  e ne  le  Ipallc 
Pomellata  è di  macchie  afl'ai  leggiadre» 

Da  la  vivacità,  che’n  lei  sfavilla, 

Il  nome  tolfe,  e s’appellò  Favilla. 

i^i.Sc^ue  M6tauro,huomben  corputoegrofl# 
Da  tei  feudieri  accompagnato  e cinto. 

Con  l’iftefla  livrea,  ch’ei  porta  addoffo , 
Stellata  d’oro  in  un  roflbr  mal  tinto. 

Lo  feudo  alticr,  che  fimilmente  è rolTo, 
Tien  del  gran  Giove  il  fulmine  dipinto» 

Di  corona  reai,  tutta  cornetta 

pi  gemme  c d’or, cerchiato  ha  l’elmo  m tetta 


1 CANTO 


VENTESIMO. 


Ji.  E ne  la  fommità  del  morione 
Parfifchijc  fpiri  fuor  fiamma  vivace, 

E fpega  l'ali,  &.  apre  un  fier  Dragone 
De  l’ampia  gola  il  baratro  vorace. 

Saginato  , eiroflìgno  ha  un  fuo  ronzone, 
Ch’ala  grandezza  Tua  ben  fi  conface 
Nacc^ue  in  India  sù’i  Gange,  & è cornuto, 
E’I  corno  è lungo,  e più  che  lancia  acuto. 


IJ-  Pende  un  fiocco  di  perle  al  corno  in  punta 
Di  perle  de  le  noci  afl'ai  maggiori. 

Porpora  con  argento  in  un  congiunta 
D’un  fovrariccio  d’or  broccata  a fiori. 

Che  de  l’eftremo  margine  trapunta 
Di  bei  fregi  hà  lafafcia,  e di  lavori. 

Tutto  il  fuperbiffimo  Alicorno 
Tien  dal  capo  al  callon  bardato  intorno. 

•+.  Gonfio  di  gloria,  e di  fuperbia  pazza 
In  fé  ftefl'o  il  Guerrier  fi  pavoneggia, 

E quantunque  fia  folo  in  sì  gran  piazza. 
Tutta  ei  folo  l’occupa,  e fignoreggia  i 
E ben  che  forte,  e di  feroce  razza , 

L'animal,  che  cavalca,  c che  maneggia, 

Sot  to  il  pefo , che  porta  in  sù  la  fchieua  , 
Ficca  un  braccio  le  braccia  entro  l'arena. 

'5-  E’RèdiRhodo.  il  regno,  a cui  comanda. 
Con  Cipro  in  sù  i confini  c fempre  in  guerra 
Queftiin  atto  fpezzante  allhor  dabanda 
Per  gioftrar  sù  le  molTe  un  tronco  afferra. 
Ma  l’Araldo  ne  vien,  che  gli  dimanda 
Chi  fiafi,  c di  qual  gente,  e di  qual  terrai 
Rifponde  il  fier,  colmo  d’orgoglio  , e fdegno 
Chi’l  Sol  AonYcde,ède  laluce  indegno. 

Ce  t Sole 


Sole  c il  mio  nome,  c non  è loco  alcuno» 
Dove  chiaro  nonfìa,  nè  più  dirotti, 
Ch’ell'crben  devria  qui  noto  à ciafcuno 
Il  temuto  flagel  de’Cipriotci.. 

Ciò.bafti,  c balli  fol,.  ch'io  mi  fon’uno, 

Ufo  a far  moiri  farci,  e pochi  mocci. 

Non  bada  a far,  ciò  detto,  altro  difcor£b. 

La  lancia  impugna,  e s’apparecchia  al  corlb. 

287.  L’orecchie  a pena  il  primo  fuon  gli  fiedc 
Deltortuofo  incicator  metallo , 

Che  diip.icca  un  gran  crocco , e ne  fuccede 
L’ctfccco  mal,  ben  c’habbia  fcufa  il  fallo. 
Slniftrando  il  dellrier  dal  deliro  piede, 
Cadder  curri  in  un  fifcio  huomo,c  cavallo. 
Quel  fuo  dal  corno  è poderofo  e grave  » 

E del  meftier  la  pratica  non  have. 

288.  Levali  in  fretta  da  l’immonda  Labbia 
Tra  (e  fremendo  irato  e furibondo} 

E perche  quando  colpa  egli  non  v’habbla. 

Chi  mancaal  primo  arringo,  efce  al  fecondo 
Rimonta  arfo  di  fcorno,  ebrodi  rabbia 
In  un’altro  collier  membruto  e tondo. 

Di  non  minor  pollanza,  e gagliardia  , 

Che  la  Dea  de  gli  Amori  in  don  grìnvia. 

189,  D un  Alfana  di  Scichia,  ed’un  Centauro 
Là  nel  freddo  Pangco  fu  generato. 

1 1 fuo  pelame  è del  color  de  l’auro. 

Il  fao  nome  per  > ezzo  è lo  Sfacciato , 

Perche  fol  ne  la  faccia  ( il  fello  c lauro) 

D una  gran  pezza  bianca  ei  va  Legnato 
Di  quatto  gambe  parimente  è Ibdzo, 

E camiiia  (aitandola  balzo  a balzo* 


Foci» 


CANTO  VEN  T E SIMO. 

J6®.  PocomlffUor  del  primo  il  fecond’atto 
5cgui,  perche  dal  fc^no  ancor  lontano, 
lofconcerto,  c’idilordìn  fCi  sì  fatto. 

Che  fi  lafciò  la  lancia  nCcir  di  mano. 

Pur  la  ripiglia,  c ftudia  il  terzo  tratto 
Per  far  buon  corfo,  c non  Ferire  in  vano 
Nè  dando  loco  altrui  d’entrar’in  campo. 
Con  l’incontro  emendar  cerca  Tinciampa. 

jei.L©  feudo  del  FaccKin  nel  mezo  imbrocca,' 
Che  la  feorzakà  d’acciar  lubrica  e lifeia. 
Onde  vien  l’hafta  in  giù  tofto  che’l  tocca, 

Di  f'Thembo  a fdracciolar  con  lunga  ftrifcla. 
Girati  il  torno,  e la  catena  fcocca. 

Che  s’ode  allhor  fifchiar,  com’una  b ifeia, 
Enel  paffar  con  le  piombate  palle 
là  lun^e  al  Cavaller  fonar  le  fpalle. 

jot.  Qual  robnfto  caftagno,  ò pino  alpino 
Del  celeftc  Centauro  a i primi  orgogli,^ 
5’avlen,  che  del  bel  verde  Oftro,  o Garbino 
La  folta  chioma,  e le  gr^n  braccia  fpogli , 
O’clVa  buffe  ne  feota  il  contadino 
Gl’hiiTutl  ricci,  e i noderofi  fcogli, 

Fulmlnà  al  piano  i frutti  fuoi  fonori. 

De  le  m«nfe brumali  ultimi  honori. 

303.  Tal  quella  mobil  machina,  che  prefta 
In  sè  medefma  hraggira  e libra, 

Faccende  allhor  fioccar  farpratempefla, 

11  braccio  move,  e le  catene  vibra, 

E*n  tal  guifa  al  Guerrlcr  la  fchiena  pefta, 

Cb’ ogni  nervo p;li  dole,  & ognifibra. 

Batte  le  palme  il  vulgo,  e fifehia,  e grida, 
.Non  è vecchio,  òfanciul,che  nonne  rida 
' - Cc  5j  Tot- 


Zo6  GLI  SPETTACOLI, 

J04.  Tornare  i primi  a replicar  l’antennc , 

Tal  n’hebbe  honor , che  fu  biafmato  avantcj 
E fpeflòll  piombo  incatenato  venne 
A (caricarla grandine  pefante. 

Così  la  piazza  un  pezzo  lì  trattenne 
Con  gran  piacer  del  popol  circoftante  j 
E cialcun  tanto  quanto,  il  vile,  e’I  prode 
N’hebbe,  chi  più,  chimeno,b  premio,©  lode. 

305.  Vedegirando  poi  Vener  le  ciglia 

A coppia  a coppia  entrar  ne  la  barriera 
Di  diciotto  Guerrier  nobil  quadriglia^ 

A i fembianti,  & a gli  habiti  itranieraj^ 
L’armatura  cialcun  porta  vermiglia. 

Salvo  colui,  che  capo  è de  la  (chicrai 
E con  tal  gratia,  e maeftà  cavalca , 

Che’l  palio  volontler  gli  apre  la  calca. 

306.  Onde  ala  làggia  Dea  de  la  civetta  * 

Stupida  inatto  fi  rivolge,  e parla. 

Che  fquadra  è quella , che  rrà  l’altra  eletta, 
Trahe  tutti  gli  occhi  intenti  a vagk^ggiarla? 
^ E vien  con  si  beU’ordinc  riftretta, 

Ch’io  per  me  non  faprei,  fé  non  lodarla  ì 
Così  dice  la  Dea  na  ta  da  fonde , 

Eia  Vergili  del  Cicl  cosi  rifponde. 

307.  AlatuiTlietièbenraglon  ,che  porti 
olio  dì  fortunato  obligo  eterno. 

Perche  mentre  pur  dianzi  i Guerrier  forti 
"•  Prcndendoin  picciol légno! flutti  a fcherno, 
TraCcorreono  ifentier  torbidi  e torti 
De  rdemento  a lei  dato  in  governo 
Per  honorar  la  tua  famofa  fella 
L’acque  turbò  con  Cubica  teinpella.  ^ 

* Onde 


CANTO  VET4  T ESIMO.  ^07 

pS.  Onde  il  drappello  ave  nturler,  ch’errante 
Altre  imprefe  cercando  In  A(ì  a giva. 

Stanco  dal  mareggiar,  fermò  le  piante 
In  quell’ amena  e diletcofa  riva. 

Hor  qui  finche  s’ ac  eque  ti  11  mar  fonante 
Vien  per  provarli  a la  r cnxon  fcftiva, 

Peregrin  di  collume,  e d’idlonia, 

E v’è  dentro  raccolto  il  fior  <li  Roma. 

509.  Chiamala  ognun  la  compagnia  del  foco. 
Perche  qual  foco,  dllfip^.  e confuma. 

Non  trova  al  fuo  valor  riparo  ò loco, 

Arde  per  tutto,  e tutto  il  mondo  alluma.’ 
Ciafeun  deftrlero  In  vep  pugna,  ò in  gioco 
I^itrè  penne  Canguigneil  capo  impiumai 
Gli  elmi, e Var mi  fiano  eguali,e  quelli  e quelle 
Pian  per  fregi,  c crrriicr  fiamme,  c fiammelle. 

)it>.  Tutto,  del  pari  a la  medefma  guifa 
L’inclito  ftuol  di  porporadguermto. 

Se  non  quanto  diverm  è ladiyifa. 

Di  cui  ciafeun  lo  feudo  ha  colorito. 

Solo  colui  (meco  lo  fguardo  alTifa 
A quel  primier,  ch’ioti  di  mollroaditD) 

Come  dituttilor  fuprema  feorta  , 

Differente  dagli  altri  il  veftir  porta. 

311.  Que«yli  è Michel,  che  quali  eccelfoDuce 
Vien  de  la  truppa,  c condoctier  fovrano, 
Pompa,  gloria,  delitia,  unica  luce) 

De  facri  colli,  e de  i’honor  Romano-, 

Scelto  fu  dagli  Heroi,  ch’egli  conduce. 

Dì  confenfocommunper  Capitano. 

Ecco  la  {barra  d’oftro , ceco  l’alter© 

Leon,  che  s’erge  e tien  fra  Tunghie  il  Pero. 

C é 4 Colui 


t 


<o8  GLI  SPETTACOLI^ 

a.  Colui,  ch’è  feco  in  su  la  fila  prima, 

E’il  gran  Ranuccio,  intrepido  campione. 

Tra  i più  chiari  guerrier  di  Comma ftima  . 
Vibri  l’haftajò  la  fpada  insù  l’arcione» 

Onde  poggiato  de  la  gloria  in  cima 
Mille  l’attendon  già  palme,  e corone 
Sù  la  rotella  d’or  mira  dipinti 
Con  le  foglie  cerulee  ì fei  Giacinti 

313.  Pietro  il  feconda,  alta  fpcranxa,  c pregio 
D’Italia  tutta,  e l’honorato  ftemma 
In  celefie  color  con  ricco  fregio 
D’un’aareoraftro,  e di  fei  ftc II  e ingemma. 
Marcantonio  ò\con  lui,  giovane  egregio  , 
Guarda  colà  mifteriofo  emblemma. 
Covienpur  che  foggiacela  (il  fenfoefprlrae^ 
L’infernal  Drago  a f Aquila  fublime, 

J.14 . L’alto  che  fegue,c  la  colonna  moftra 
Bianca  in  sù’l  minio,  & h»à  sificr  l’afpetto, 
Sciarra  s’a^pella,e’n  guerra  mai,  ne  indolirà 
Non  fùpiu  ardito  cor,  più  franco  petto. 
Virginio,  è quei,  che’l  puro  argento  inoftra 
Di  tré  trraverfe  di  rubino  fchietto. 

Anima  llAuftre,  e d’ adornar  ben  degna 
Del  tuo  bel  fior  la  gloriofaiiilegna. 

3iy.  Vedi  un,  che  de  gli  auge!  l’alta  Reina 
T affiata  ha  di  fcacclii,  orati  e-neri, 

Lucido  Sol  de  la  virtù  Latina,' 

Camillo  hà  nome,  a fcritto infra  i primieri» 
Sabellio  feco  a par’a  par  carni na. 

Specchio  immortai  ai  Duci,  c di  guerrieri. 
Conofeoben  l'ìmpronrafua  famofa, 

Ch’è  la  Colomba,  c tra  i Leon  la  rof** 

Eccone 


CANTO  VENTESIMO.  €09 

fié.  Eccone  un’altra  coppia.  A*  deftro  fianco 
Veggio  un  Baron  dì  gcnerofe  prove  , 
Ruggier,chc  fovra’l  fondo  azurro,e  bianco 
Inquartato  l’augel  porta  di  Giove. 

^ poi  Sforzuj  che  gli  vien  dal  manco. 
Ne  con  minor«baldanza  il  deftriermovc  i 
Figura  in  sù’l  curchin  l’orbe  di  fmalto. 

Aureo  Leon  con  aureo  pomo  in  alto. 

Ji7-'yeG  Ifmonda,  & Emilio.  O fti^^c  altera. 
Tra  le  fortune  invitta,  e tra’perigli. 

Quei fovr’alta  colonna  Aquila  nera 
Spiega,  che  fpiega  Tali, apre  gli  arcigti. 

Dove  ftrcttain  catena  è quella  Fera, 

Che  riforma  lambendo  i rozi  fi^li, 

Quelli,  ch’è  de’piii  celebri,  e piu  conti, 

Un  Cornio  ha  nel  brocchier  fovra  tre  monti 

'^18.  Horatio.  e quegli  là,  che  nel  vermiglio 
Tre  lune  d’oro  ancor  crefcenti  hàdiCpartc, 
Signor  d’armi  poflente,  e dì  configllo. 

Del  guerreggiar,  del  comandar  sà  1 arte. 

una  Ninéi  del  Tebro , è coftui  figlio, 

Onde  figlio  lo  {lima  altri  di  Marte, 

Et  è ben  tal,  che  Marte  ci  fcmbra  a punto, 
Marte  quando  è però  tcco  congiunto  . 

Mario  a lato  gli  va.  L’armi,  che  cinge, 
(Fuor  lofcudo,ch’è  rofib)  ha  tutte  bianche} 
Duo  Leoni  in  quel  rollò  egli  dipinge. 

Che  quattro  Pani  d’oro  han  trà  le  banche. 
Annibaldo  lalancia  a prova  llr'nge, 

E’n  fcmbianzc  ne  vien  feroci,  e franche-» 

Il  bruno  Scorpion  fcolplfcc  in  oro. 

Che  vcflàlo  fia  poi  del  fiero  Moro. 

Cf  5 II 


6iQ  GLI  SPETTACOL.I, 

3X0.  1\  buon  Curdo  procede  a lui  vicino, 
Sciplo  con  Fabio  alfin  dietro  s’accampa.  - 
L’un  nel  targone  azur  fculco  d’er  fino 
Tien  l’animal  magnanimo,  che  rampa. 
L’altro  il  quarder  dorato , e purpurino 
Di  croce  trionfai  per  mezo  ftampaj 
L’ultimo  haliftad’hor,  che  per  traverfo 
Scacchicr  divide  innargentato,  e perfo. 

jiT.  Ma  nonvediundilor,  c’hagiàl’anteniìo.^ 
Sovra  la  cofciajbenche  grave,  e grolla , 
Lieve  giunco  gli  fembra,  & agii  penna. 
Stiam  pur  dunque  a mirar  quant’egli  polla.  ^ 
Giù  fattofi  da  capo,  ecco  ch’accenna 
Dritto  in  sù’l  filo  entro  l’agonlamoffai 
Ecco  volar  qual  folgore  leggiero  ^ 

La  piuma,  che  fiammeggia  in  sù’l  cimicroi. 

In  tanto  polche  furo  i npmi  ferità 
De’Cavalier  da  1^  divifa  ardente, 

E d’olfervare  i promulgati  ediid 
-Giurato,  c per  mirar  tacque  la  gepte. 
Correndo  ad  un  ad  un  gli  emuli  invitti 
Tutti  fi  fegnalar  notabilmente. 

Alcun  non  fij,  che  non  n’ufcifle  apiena 
O con  vittoria,  ò con  applaufo  almeno. 


Reftava  fol  colui,  che  de  labella 
Brigata  quali  il  prlncipal  venia. 
Quando  con  foggia  infolita  c novclLv. 
Il  lerraglio  pafso  de  la  baftiaj 
Ne  sò  s’ alcun  sì  ben  difpofto  in  fella 
giamai  di  leggiadria. 
Dopo  tutti  coftuìvenne  folingo 

Signorilmente,  a poficdcr  Tarringo» 


CANTO  VENTÉSIMO.  6n 

Jt4-  II  più  fapcrbo  augcl  sù  la  celata 
Trionfante  ne  l’atto,  ha  per  cimiero, 
Qualkor  gonfio  di  fafto  apre  e dilata 
De  le  conche  di  fmalto  il  carchio  intero, 

E de  la  piuma  florida,  e geminata 
Spiegando  gli  orbi,  di  fue  pompe  altero. 

La  bella  feena  de  la  coda  grande 
Di  cento  fpeechi  illuminata  fpande. 

jtj.  Di  più  color  la  forra vefta  inteflc. 

Che  la  fpoglia  non  è di  Flora,  ò dTri, 

In  cui  le  cime  de  le  penne  iftelfe 
Son  di  fmeraldi  in  vece  ,e  di  zaffiri. 

Sì  ben  da  dotto  artefice  commdlg. 

Che  par  che  intorno  il  fermamento  ci  giri 
Par  con  tant’occhi  un’Argo, e ferabra  armato 
Un  giardino  fiorito,  unCidftcHato. 

Ji6.CottI’habito  ha  ildeftrlcr  qualch’agguagUa- 
Non  so  s’altro  mai  tal  ne  fu  veduto.  [za> 
Bianco  ha  il  mantello,  e’h  difufataufanza 
Sparfo  di  nere  macchie  il  pel  canuto, 

Mà  le  macchie,  e le  rote  hanno  lembianza 
Di  ciglia’e  d’occhi,onì’^ei  rall'embra  occhiato 
Cervier  s’appella,  c par  mentre  palleggia 
L’orgogliofo  Pavon  quando  vaneggia. 

3^-7‘  Unfufto  intier  dlfrallinofilvcftro 
Per  far  buon  colpo,  abella  porta  elegge, 

Prima  fel  reca  in  man  dal  fianco  deftro, 

Poi  tra  via  Talza,  e'n  sù  là  deftra  il  regge,  • 

Ma  qual  braccio  poria  forte  e Madtro 
legarlo  pur,  non  che  ridurlo  in  fchegge 
Tré  volte  corre,  e’I  Saracinpercote,' 

Mà  quel  duro  croncoii  rom  pc  r non  potè. 

Cc  6>  Tr 


GLI  SPETiTACOLIy 

IzZ  . Et  ecco  dopoUii  vi  comparifce 
Alerò  ftranicr , ché’l  popol  folto  allarga. 
Nel  fao  volto,  e ne  gli  anni  Aprii  fiorifee. 
Par  che  raggi  d’Amor  per  tutro  fpargà. 

Per  obliquo  hàcoftui  tré  niexe  ftrizzc  j 
Di  lucid’or  ne  la  purpurea  targa.) 

E sCi  l’elmetto,  ch’è  di  falda  tempra  , ^ 

La  Fenice  immortai  quando  s’inlerapra.  . 


.^9.  Non  Colo  eterne  in  quella  efprime  l’oprc 
Del  proprio  fingolar  pregio,  e valore. 

Ma  de  la  Donna  fua  la  beltà  feopre 
Ch’è  del  mio  bel  Sebeto  unico  honorc. 

Di  morato  lati  l’armi  ricopre , 

Color  gintil,  che  pur  dinota  Amore, 

In  foggia  di  mandiglia,ò  di  guarnacca  V 
C he  con  bottoni  di  rubin  s’attacca. 

^30.  Io  non  so  dir,  fc  quelfuperboarfc 
Di  tanti  fregi,  c lì  pompolì  adorno 
Già  del  nobil  Signor  del  bel  paefe, 

A cui  fon  l' Alpi  ampia  corona  intorno^ 

Al  gran  Monarca  del  valor  Frane efe 
Donato  già  nel.trionfal  ritorno, 

Fufle  tal,  ch’agCTuagliar  potelfe  in  parte- 
Di  quella  fpogUa  ò la  ricchezza,  ò l’arte» 


351.  Di  genitrice  Ifpana , e padre  Moro, 

Regge  un  delli’ier,ch’a  gli  atti,e  foco, e ventc^ 
La  groppa,  il  capo,  e tutto  il  rello  hà  d’oro. 

; Fuor  che’l  finillro  piè,  che  fembra  argentoj 
E de  la  bardatura  il  bel  lavoro 
Par  d’ oro  è tutto,  e d’oro  il  guernimentOj 
D’orO  le  ftalTc , c d’oro  il  frcnfpumantc  , 

E d’or  porcai  calzare  anc*  le  piante. 


CANTO  VENTESIMO. 

jjt.  Del  Cavalter  che  Io  cavalca  c doma, 
El’occhk)  deftro,  e’I  fiordclafuaftalla. 

Ei  ftelTo  II  pafce,  Francalancia  il  noma. 

Perche  dal  dritto  corfo  unqua  non  falla» 
Vedefi  infuperblr  fotto  la  foma, 

Lieto  del  pefo,  che  foftiene  in  Tpalia» 

Cavar  fpelib  l’arena,  e l’or  lucente 
Delfren  fonoro  eflcrcitar  col  dente. 

JJJ.  Senza  mutar  cavallo,  ò prender  fiat®' 

Quefti  l’huo/R  finto  in  tré  carriere  afiale» 

E ben  tré  volte  in  lui  del  pin  ferrato 
Rompe  fin’a  la  refta  il  tronco  frale  : 

E ne  la  terza  ha  più  fecondo  il  fato , 

E fa  la  co^o  mi^ior  con  forza  eguale»^ 
Nclabufiaglida  prelTola  vifta  , 

Si  che  tre  botte  in  una  botta  acquifia. 

B4-  Euor  de  la  lizza  ei  sè  ritratto  a pena , 
Quand’ecco  in  giubba  d’or  contefta  a maglie 
Gioftra&or  novo.  Ufi  corfier  falbo  affrena». 
Bravo,  e di  fommo  ardir  ne  le  battaglie. 

Sù  lacrefta  de  l’elmo  ha  la  Sirena  , 

Tutta  fquamofa  di  dorate  fcaglie. 

Quel  che  s’imbraccia  da  la  parte  manca  » 

Con  tre  gran  ^cePincarnato  imbianca^ 

35  5.  Bel  cavalcante , in  maeftofo  getto 
Con  largo  giro  il  chiufo  pian  circonda. 

. Va  poi  nel  raczo,  e da  quel  lato  c quefto 
Spinge  il  deftriei'jch’e  quali  al  vento  fronda^ 
Dolce  di  bocca,  & a la  mano  e pretto, 

E di  gran  core,  e di  gran  lena  abondai 
Spirito  a nome,  c gli  cenvicne  invero  > 

Ecrch’ oltre  juwdo  ùfpkitofoc  fiero. 

' 'Cordali 


i^f4-  GLI  SPETTACOLI^ 

336.  Gordon  di  fottìi  feta  il  regge  a freno. 
Barbaro  pettoral  ronia  a tràverfo,  ^ 

Che  d’auree  borchie  è tcmpeftato  pieno, 

E di  gran  perle  Orientali  alperfo , 

A la  tefta  frontal , fermaglio  al  fena 
Gli  fan  due  bolle  di  fmeraldo  terfo. 

E per  mczo  le  coftejov^fi  ftringe. 

Serica  zona,  e gioiellata  il  cinge. 

137.  Dal  più  fin’or , ch’invia  l’Alpe  Arimafpa, 
Fricata,  e contefta  ha  fella,  e frangiai 
Serra  la  coda,il  pavimento  rafpa, 

E le  gemme  del  fren  ruminae  mangia. 

Con  tanta  maeftria  le  braccia innalp^ 

Con  tal’arte  in  andando  il  palio  cangia,^ 

Che  ne’fuoi  vaghi  atteggiamenti  e mott 
Par  che’ariafehermifca,  e’n  terra  miti. 

Jj8,  Poiché  conofce,  che’l  guerrier  rifolvc  ' 
Dar  fpettacolo  grato  a l’altrui  velie, 

Non  fai  dir,  coli  deliro  eilì  rifolvc. 

Se  vola  in  aria,  ò fe  nel  fuol  fuffifte. 

Nè  pur  col  vago  piè  fegna  la  polve , 

Nè  su  la  melfc  oftènderia  l’arifte. 

B ijuegli  hor  lo  fofpinge , hor  lo  ritira. 

Hor  lo  fofpcndc,  hor  com’un  torno  iltira^ 

Afuondi  tamburini,edi  trombcttCr 
Lo  cui  ftrepito  rauco  il  Cicraflbrda 
Tré  vòlte,  è quattro  intorno  egli  il  rimette. 
Et  al  pronto  ubbidir  l’aiuto  accorda, 

Sempre  applicando  a sì  làltì , a le  corrette 
Col  dolce  impero  dcl’àgevol  corda 
De  la  gamba,  del  piede,  c del  tallone 
Hof  la  Polpa,  hor  laftaffe,  & hor  lo  fprone. 

TaUujr 


MW 


CANTO  VENTESIMO.  fìs 

^ù.  Talhor  l’arrefta  di  falcar,  già  laflo, 

E nel  raccorlo , imprime  orna  Tur’ orma. 

Poi  di  novo  il  volteggia  a (àltoc  palTo, 
Mutando  a un  punto  c difciplina,  e norma, 

E mentre  va  con  repolon  più  baffo 
Terra  terra  ferpendo,  un  cerchio  fonaA; 
Chiunque  il  mira,  al  variar  ftupifee 
Di  tanti,  e tali  e giramenti,  ebifcc. 

Speffo  gli  fa , fi  come  cionco,  ò zoppo, 
O’quefto  ò quello  alzar  de  le  due  bracci^,’ 

E dandogli  un  leggier  mezo  galoppo, 

Sovra  tre  piedi  hor  quinci,hor  quindi  il  caccU 
Fermo  nel  centro  alfin  con  un  bel  groppo 
Di  faletti  minuti,  alza  la  faccia, 

E’I  fa  davante  al  tribunal  divino 
Inginocchiar  con  riverente  inchino. 

34^.  Per  non  troppo  ftancarlo , ancorché  tuteò 
Sia  foco,  e tutto  fpirtòy  e tutto  nervo , 

E perche  sàiCh’è  per  ufanza  inftrutto 
Piu  ch’ai  corfoal  maneggio  accenno  al  fervo" 
Ch’un  n’ha  più  frefeo  e ripofato  addutto , 

Mà  disfrenato,  indocile  e protervo? 

La  coda  àlcrin,  la  gamba,  il  capo , e’I  vifo 
Solo  hà  (tì  nero,  ilximanente  è grifo* 

343.  Del  color  del  cilitio  orna  la  fpogUa, 
Semplice  berrettino , c non  rotato , 

Onde  quandufeir  fuol,  fuor  de  la  foglia»' 
B’daciafcun  Simulator  chiamato*. 

Per  manfueto  agnel  pria  che  fi  fcloglia  >. 
Sembra  unaFuriapoi  difeatenatoj 
Cofi  ricopre  a chi  non  sa  fuo  ftile 
La  iuperbia  del  cor  d’habico  hunalk. 


1 


ili  GLI  spettacoli; 

244.  Il  Cavalìer  conlafinlftramano  ; 

Sii’l  pomo  de  l’arcion  la  briglia  ftende, 

. Spiccato  uii  Icggier  ialto  indi  dal  pianc^ 
Senza  ftafFa  toccar  Covra  v’afcende. 

Quel  ritroCo.e  teftìo  s’impenna  in  vanOy 
In  van  s’arretra,  e calcitra,  e contende. 

Che  viè  più  del  guinzaglio , e del  cdpcftro  , 
- Può  l’arte  in  lui  del  domator  maeftro. 

34  j.  Pria  da  la  verga,  e da  Io  fpron  corretto  >. 
Poi  con  vezzi  addolcito,  e fatto  molle, 
Quantùque  ancor  pien  d’ombre,edifofpcttO 
Confentir  gli  convenne  e quant’ei  volley 
E benché  gifle,  ov’era  agir  coftretto. 

Con  precipitto  impetuofo  e folle. 

Pur  gli  fé  nondimeno  un  verde  falce 
Romper  con  bell’incontro- infin  al  calce. 

j4«.  Lafciail  poliedro , e fà  menar  dal  paggio 
Altro  deftrier,  ch^è  de  color  del  topo. 
Superbo  sì,  ma  non  così  felvaggio , 

E tempre  avezzo-ad  inveftir  lo  fcòpa.  ^ 
Spirto  hà  dlfcreto,  e moderato  , e uggio> 

E fenza  fegno  alcun  capo  Ethippo. 

Con  occhio  ardente , e con  orecchia  aguz:ra' 
Fremita,  anhela,  & annitrifee,  e ruzta.  '* 


347.  Di  portar  per  l’Agon  l’ufato  incarco 
Ferve  già  d’uji  defir  non  mai  fatoUoi 
E vuolfi  de  io  fpronc  efl’crgU  parco. 
Bafta  accennargli,  & allentargli  il  collo. 
Va  più  ratto,  cne  tirale  ufeito  d’arco. 
Senza  dar’a  la  mano  un  picciol  croi!©. 
La  via  trangugia,  e rapido,  e leggiero 

^uba^  jnan  la  briglia  al  Cavagliero^ 


C/lKTO  ventesimo.  «17 

j48.  Dal  cotttt  trito,  e da  l’andar  foavc  ; 
Turbine  t detto,  e 1 turbini  trapafla; 

deftra  allbor  di  fmlfurata  trave 
Arma  il  guerriero  cftranoj  indi  TabbafTa. 

E nel  Facebin, benché  malTicciee^rave, 
Tutta  ^ual  fragni  vetro,  ei  la  fracaUa. 

Due  volte  cor  Ce,  c fc  Hlieflo  effetto , 

L’unaai  guanciale,  e l’altra  al  bacinetto» 

Rivoltaallbora  a Citherea  Bellona» 

Che  tace,  e conftupor  la  mira  in  volto,* 

Che  ti  par  di  coftui  {Ceco  ragiona) 

Ch’ad  ogni  altro  nel  corfo  il  pregio  bà  tolto? 
S’io  miro  oltreil  valor  de  la  periona, 

La  patria  ond’egU  ufcì,  non  mi  par  molto  y 
Poi  cli’a  lei  qualunqu’altra  in  tali  affari 
Convien  che  ceda»  e da  lei  fola  impali, 

550.  E’figliodiParthenopefamofaj 
Sergio,  garzon d’indomito  ardimento, 

Ch’à  i monti  di  V cnafro,  c di  V enofa, 

E a i piani  di  Bari,  e di  Tarcnto, 

Gente  vincendo  invitta  e valorofa , 

Importo  ha  il  giogo,  e nonhàpelialmentOr 
Se’n  guerra  conquiftò  fpoglie,  c trofei , 
Chefarà  nc  le  gioftre,  ene’torneh 

jji*  L’erter  qui  ben  montato  io  ben  confcflb,  ^ 
Ch’altrui  vai  molto,  e forali  dir  menzogna. 
Che  dal  cavallo  al  Gavalier  ben  fpeflo 
El’honor  non  rcfulti,  e la  vergogna. 

Ma  ch’ardire,  e vigore  habbia  in  fe  fteflo  ■ 

E di  core,  e di  corpo  anco  bifogna , 

Lo qualirruginUce,  erefta  ottufo 
Quando  non  v’è  la  buona  fcola,  e l’ufo,  i 


Vl8  GLI.  SPETTACOLI, 

551.  Qucft’ufo  dunque , ch’affinar  fi  fuolc 
Col  travaglio,  c’I  fudor  fiorifce  quivi, 

E non  v’ha  loco  In  quanto  gira  il  Sole  , 

Dove  meglio  s’eflerciti  e coltivi. 

Ma  coftuijd’altajftirpe  altera  prole, 

E’tal,  che  raro  fia,  ch’altri  v’arrivij 
Rimira  rarmifue  colà  ritratte  , 

Un  Ciel  di  fangue  con  tré  vie  di  latte. 

353.  Più  vola  dir,  mal’altra  allhor  repente 
Il  parlar  l’enterruppe,  e difife,  Hor  guarda. 
Guarda  que’trè , che  fior  d’ardita  gente 
Sembrano  in  vifta,c  n’armeggiar  gagliarda. 
Mira  i fembianti  nobili, ^ pon  mente 
Come  ciafeun  tra  l’armi  e fplenda , & arda 
Già  chi  fien  ben  m’avìfo.  E l’Inveutricc 
De  l’arbofcel  pacifico,  le  dice, 

3j4.Son  ('s’io  mal  non  m’appongo,  e nonvaneg' 
Di  Savoia  i tré  lumi,  i tré  fratelli , [gio 
Trà  quanti  qui  nerallemblea  ne  veggio 
Pregiati  illuftri,  & incliti  donz  elli, 

Tengon  nel  piano  Augufto  il  reai  feggio, 
Trà  que’confin  delitiofi  e belli, 

A cui  con  molli  braccia  , e dure  fronti 
Fan  riparo  tré  fiumi,  e cento  monti. 

355.  Candida  è di  ciafeun  la  fovra  infegna. 
Candide  fon  le  vefti,  c le  lamierei 
Mà  l’un  ne  l’elmo , e nel  brocchier  difegna 
Il  Sagittario  de  1 eterne  sfere. 

L’altro  in  quefto  & in  quel  figura  e fegna 
Croce,  terror  de  l’ Africane  uhiere. 

Del  terzo  adorna  il  capo  , adorna  ilfianco 
Pofto  in  campo  vermiglio  un  deilrier  bianco 

Tutti 


Canto  ventesimo. 

J5^.  Tucticoftor,  che  vedi,  & altri  molti 
Son<]uì  per  arte  pur  giunti  di  Theti. 

Ecco  i’un  dopo  l’altro  in  un  raccolti 
Cominciano  a fpezzar  faggi,  & abeti. 
Dorefio  è quei , che  già  gli  occhiali  ha  fciolti 
Al  deftrier,  ch’à  nel  cor  Ipirti  inquieti , 

Buo  per  gioftra,  atto  a caccia, ufo  in  battaglia 
Altro  il  mondo  non  n’hà  dì  miglior  taglia. 

J57.  Sottile  il  capo  , il  collo  ha  curvo, & ambe 
Brevi  l’orccchie,  e l’altra  acuta , 

Afpre  di  nervi,  e mufcoli  le  gambe, 

Largo  petto,  ampio  fen,  groppa  polputa. 
Spedo  (brana  le  fauci,  e lecca  c lambe 
Il  Iren  dorato,  il  labro  arriccia,  e fputa. 

Nè  fù  di, cor  lo  mai  ,nè  mai  di  core 
V elocità,  ferocità  maggiore. 

358.  Bruna  ha  la  fpoglia  in  ogni  parte  integra 
Più  che  fpento  camone,  ò pece  Ichietta. 

Ma  bell’aria,  occhio  vivo,  e villa  allegra. 
Morbida  pelle,  e rilucente  e netta. 
Biancheggiar  gli  fa  fol  la  fronte  negra 
In  forma  di  cometa  una  rofetta. 

Altri  Corvo  il  chiamo,  ma  bianca  della 
Per  tal  cagione  il  fuo  Signor  l’appella. 

jy9.  Alpino  è l’altro , e del  Sitano  armento 
Vivacilfimo  allievo,  un  corfier  preme.  ^ 

Ne’campi  là  del  fertile  Agrigento 
Pafeiuto,  e nato  del  più  nobil  Teme. 

Vede  raantel  tutto  leardo  argento. 

Se  non  che  fofche  hà  fol  le  parti  cdrerac, 

E l’ampia  groppa,  e fpianate  fpalle 
Gli  ara  con  lunga  lida  un  nero  calle. 


Ito 


GLI  SPHXXACOI-Ia 


CI 


340.  Svi  la  cervice  de  la  delira  parte 


Gli  pende  il  crine  > elpcllo  ilcjiialla  e fcotc. 
S’a2gira,  e per  l’arenc  intorrxp  jfparte 
TeUe prigioni,  e lab>lrinti>  e rote 
Quant’è  dal  liiol  fin-’a  la  cingKia  ad  arte 
Parche  milÀiri,  c’n  vani* aure  percote- 
Ringhla,  nè  volentier  ioggiace  al  freno. 
Scorre  cjnal  lampo,  e clnamaii  Balcno- 


iù 

3 


a 


• ' — a. V»  wx. 

Vedi , cKi  già  per  dritta  linea  angafta 
Senvabroccando  ilcorridor,  c’Ha  focco^ 
Il  piodude  Organata,  c col  pennello 
pjollarebbc  pittor  £brmar  piu  bello. 


jét.  Non  mal  Saturno  in  svi  leggiadre  fpogUc 

Sonar  d’aUl  nitriti  intorno^  ^ 

PciynvolarA  a gelofia  mo^ie. 

Leforcac  di  P.-Uo,  c di  PeneS^ 


Al  ^u-1  1 '-uiA'cnco. 

Al  nabli  volacor  la  palma  toRlle, 
ni'r'ir"”  B'»  per  l’aria  il  mio  P 


Perfeo. 


jr — * A.*.  A A ni.10  irci-i-cv^» 

E Lucl^r^  «d'icl  che  domò  PoUucCi 
ELucitcro  detto  è da  la  luce. 


fi^atetae  e (ignorili 

« Éimof^  Ari^Ll  r ‘‘‘ 

Vergin  non  " «ebe  corCc. 

Inircccc,  c*n  vr'  ò si  (otti 

Si  come  moli?  cappelli  attor (c, 

lebclle  fete  ® ‘ fP‘=S» 

">«=nnaftro  d’or  U lega. 


■yì'..- 


fama 


r-a/ 


. CANTO  YENTESINfO.  6ti>. 

J^4-  Fama  c,  c’hi^vcndoil Sol,  giuntoa  l’Occafo 
Difciolto  il  Carro  in  su  Tareiia  ibera. 

Del  Teme  di  Piioo  coucecco  a cafo 
Partorillo  del  Tago  una  deftriera. 

Partita  con  bel  tratto  infin'al  nafo 
Hà  di  bianco  la  fronte,  alquanto  nera* 

E di  v^hi  coturni  innar^eiicatl 
Tutti  mfal  ginocchio  i piè  calzati, 

j^5-  Il  refto  di  gran  pezze  hà  vario  il  manto. 
Quali  per  arte  a più  collo  tellute; 
E*lbelcandor , che  togUeal’Alpi  il  vanto 
Qnando  al  Verno  maggior  fon  più  canute, 
Seminato  di  bigio  è tutto  quanto 
la  fpeffcftelle,  c’n  gocciole  minute. 

Eccetto  il  capo,  il  piè  la  coda,  e’I  crine, 
Spruzzato  par  di  ceneri,  e di  brine.  > 

}66..  Già  già  fi  move,  e fuor  del  folto  ftuolo 
Del  cor  disfoga  I generofi  ardori. 

Ecco  lievi  ondeggiar  per  l’aria  a volo 
Del  cimier  bianco  i tremolanti  albori. 

Par  l’aura  il  porti,  a pena  liba  il  lliolo, 

E’I  fuo  Duce  conduce  afommi  honori, 

Là  dove  per  valor  più  che  per  Ibrte, 

Rompe  II  faldo  troucon  col  braccio  forte. 

j5y.  Col  dicca  Minerva,  e ben  di  quanto 
Parlato  hàvea  veraci  erano  i detti. 
Pcrch’altaraence  a le  lor  prove  intanto 
Pollo,  havcan  fin  gli  armcggiatori  eletti. 
Onde  volendo,  oltre  la  loàa,c’l  vanto. 
Remunerargli  con  cortcfi  effetti, 

Con  quello  dir  L dlfpcnfiera  bella 
RÌT»lfc  a lor  la  fiiccvb  c U divella. 


61Z 


GLI  SPETTACOLI 


— A ^ ^ -w  -w  — - — y 

JiS.Hor  qual  cofa  Jhavrò  mal,  ch’ai  voftro  merco 
nviti/Iìmi  Heroi,  ben  fi  convegna? 
p mar  l’^rrario aperto, 

cchezza  havria  di  tal  valor  condegna; 
an  che  larga  altrui  dona,  io  so  ben  certo, 

Pur  -r^f 

Gradire,  a 

’wIcÌpf4atrofiV'l°^ 

T ' o”P  voler  vi  dono 

L una  e carbonchio  e v*^  i • 

Cinto  di  fiamme  il  «an  Re.ofa  1°  “ "’ì* 

C’h^Tr^  '«“nanel  d’eletto 
Ne  lattt°Dt"^ÌtÌcn"rr'‘  S"'- 

Delquintocerchi^egrce'  . 

Qucfto elmoaccet§*lii^nM corfo, 
Raflbmigllaaved«.rlr»  c lucente. 

E k pup^i,  hi  di  piropo"  rdf’’’? 

Le  gran  fauci  fpaiJ  ^ P ardente  J 


CANTO  VENTESIMO.  tfzj 

J71-  Nè  fpiaccla  a tc , degna  progenie  e chiara 
Di  quel  fangue Lodato,  honor  degli  oftri, 
Per  cui  col  l'ebro  altero  in  nobil  gara 
Fia  che’l  Rheno  minor  contenda  e giollri, 
Ea  cui  già  con  Pelli na  prepara 
Il  Vaticano  plùrublimi^nchioftri. 

Il  pronto,  ancorché  povero  tributo 
Prender’in  grado,  al  tuo  valor  devuto , 

17 1.  Ecco  unafpoglia , che  i fuoi  (lami  fini 
Intinti  ha  nel  licor  de  le  cocchiglie, 

Ordita  a fovrapofte,  e di  rubini 
fregiata,  e d’altre  ancor  gemme  vermiglie. 
Molti  piccioli  fpecchi  adamantini 
Accrefcondellavor  le  meraviglie, 

Conlparfi  in  lei  sì  chiari  e lampeggianti, 
Ch’abbarbaglian  la  viftaa’riguar  danti. 

174.  L’oftro  infieme,e’I  criftallo  accoppiar  volli 
A dinotarti  con  duo  faggi  avifi 
E la  reai  grandezza,  a cui  t’eftolli  , 

E la  chiara  prudenza,  in  cui  t’affili. 
Ond’havran maggior  gloria  i facri  colli 
Da  te,  dà’cuol  ne  l’alta  fede  affili, 

Che  quando  in  altra  età  Roma  felice 
Fù  di  mille  favelle  Imperadricc. 

7j.  Quello  di  fila  d’or  manto  telTuto, 

Che  infin’al  lembo  è figurato  a {Ielle, 

Là  dove  tutti  han  di  diamante  acuto 
FIfIà al  centro  una  punta  e quelle  e quelle, 

T uo  fia  Signor,  c’hai  qui  recar  faputo 
D’arneli  in  campo  invention  si  belle  , 

Che  non  fia  mai , che’n  gioftra  altri  compau 
Con  portatura  più  leggiadra,  egaia. 


^1+  GEI  SPETTACOLI,  ( 

17^.  E’infienije  a voi,  cheda’coiifinleftremi 
Del  nobil  Latioper  sì  lunghi  errori 
Seco  venifte,  e d’altri  pregi,  e premi 
Non  mancheranno  ancor  publici  honori. 

Ma  fé  da  farvi  al  crìn  degni  diademi 
Palme  Idume  non  ha,  Parnafo  allori,  J 

Disè  s’appaghi  il  gran  valor  Latino  : 

^ Lumi  eterni  di  Marte,  e di  Quirino. 

377.  Tacquefi,*&  ecco  allhor  mentre  I deftrierii 
Già  già  t'ebo  inchinava  al  mar  d’ Atlante, 

Per  di^erfo  camin  duo  Cavalieri 
* In  un  teinpo  venir,  d’alto  fembiante.  . 

. Dorati  hà  l’un  di  lor  gli  arnefi  interi,  I 

Sovra  l'elmo  l’augel  del  gran  Tonante, 

’ E nel  tondo  d’acciar  rampante  e dritto 

Il  tcrocc  animai  d’Hercole  invitto. 

578.  Vienfene  affifo  in  un  Giannetto  Ibero, 
Figlio  del  vento,  e ben  l’agguaglia  al  corCo. 
Zefiro  nominato  è quel  dcllriero. 

Picciolo  il  capo,  & ha  folcato  il  dorfo. 

Raro  crin,  tolta  coda,  occhio  guerriero, 
Lunato  il  collo,  c fovra’l  petto  il  morfo. 
Fremendo  il  rode,  e pien  dì  fplrti  arditi 
Squarcia  l’aria  co’paifi,  eco’ nitriti. 

579.  Salvo  la  fronte,  oveper  mezo  feende 
Candidiflima  riga,  è tutto  foro. 

Barde  hà  purpuree,  e di  puree  bende 
Gli  fa  ricco  monile  arnefe  Moroj 
Sonora  piggìa,  e tremula  eli  pende 

Giù  da  la  [guancia  di  fquil  lette  d’oro.  • ' 

Alto  la  ftafth,  e coturnato  il  piede  ^ 

Con  lungo  fproHc  il  Cavali^!  lo  fiede. 

L’ka- 


CANTO  VENTESIMO. 

jlo.  ybdbko  del  Guerricr,  che  fegue  appreflb, 
E’cU  feiamitoazur,  fatto  a fogliami, 

E dì  gigli  minuti  un  nembo  IpefTo 

V‘è  Iparfo/il  cui  contefto  è d’aurei  ftami. 

Sculto  in  mezo  a lo  feudo  ha  il  fiore  iftefio. 

Un  Giglio  fol  maggior  che  nc’riccaini  i 
Et  erge  per  cimicr  di  gemme  adorno 
Il  follecico  augel,  cli’annuaita  il  giorno. 

Governali fren d’un gran  Frifon  corcaldo, 
Ch’è  del  color  del  dattilo  maturo  » 

A par  d’un  monte,  ben  quartato  è faldo, 

E tré  talloni  ha  bianchi,  e l’altro  ofeuro, 
Moftra  ne  l’occhio  il  cor  focol'o  c calda , 

Segna  la  fronte  nera  argento  puroj 
E col  pie  forte,  e col  gagliardo  pollo 
Stampierale  velligia  anco  nel  fallo. 

581.  Petto  largo  hà  tre  fpanne,  e doppia  fpinai 
E corta  fchiena,  e fpatlofa  coda 
Boccafquarciata,  e tefta  ferpentina, 

Dì  corno  terfo  unghia  fonante  e foda. 

Leva  a tempo,  e ripon  quando  camìna 
Le  grolle  gambe,  e le  ripiega,  e fnoda. 
Tremoto  è il  nome  fuo  , però  che’n  guerra 
Ciò  ch’urta  abbatte , e fa  tremar  la  terra. 

383.  Ne  l’Incognita  coppia  ognuno  affili  e 
Pien  diletto,  e di  ftuporc  il  ciglio. 

E come  un  doppio  Sol  quivi  apparille, 

D’cgni  intorno  ne  nacque  alto  bilbiglloi 
Il  nome  d’ambo  duo  prima  fi  fcrìfle. 

Il  Guerrier  dal  Leone , e quel  del  GlgUoi 
Indi  far  de  la  Sorte  in  egual  loco 
A vicenda  deipari  ammelfi  al  gioco. 

VeL  H.  Dd  Di 


5T- 


6^6  GLI  SPETTACOLI, 

384.  Dà  di  piedi  al  deftrier  prima  colui, 

Che’l  Ciglio  porta,  e rompe  in  sù  la  creftat 
Quel  che  porca  il  Leon,  và  dopo  lui, 

E nel  loco  medefmo  il  colpo  affeftai 
Altre  due  volte  corrono  ambodui, 

Nc  v’hà  vantaggio  in  quella  parte,  ò in  quella 
Che  l’un'e  l’altro  con  tré  lance  rotte 
Viene  eg